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    Attenzione

    agli studenti universitari

    nei pensionati salesiani

    Appunti per un confronto

    Juan E. Vecchi


    1. UN SERVIZIO EDUCATIVO

    La pastorale salesiana si è rivolta, nell'ultimo tempo, all'età giovanile con più determinazione che nel passato. Ne sono prova gli animatori, i volontari, gli obiettori, i giovani cooperatori, la frangia alta del MGS. I motivi sono conosciuti. Le stesse ragioni hanno portato ad allargare la nostra presenza tra i giovani universitari, che da "eccezionale" ed "esigua" sta diventando normale e consistente. Infatti registra un aumento costante negli ultimi sei anni.
    Il lavoro tra gli universitari non riproduce puramente e semplicemente le esigenze della pastorale giovanile. Perché esso raggiunga il soggetto nelle sue domande più significative richiede interventi che ne considerino seriamente la condizione. Non sono tali le proposte generiche in cui l'esperienza universitaria rimane fuori del discorso educativo. Confluisce dunque nella pastorale giovanile portando una propria sensibilità e ricevendone in cambio i contributi delle altre componenti: tra le due, pastorale giovanile e lavoro tra i giovani universitari, non ci deve essere né separazione né confusione.
    Oggi si sviluppano quattro linee di azione per e con gli universitari. La prima provvede alla creazione di strutture accademiche (Università cattoliche), nelle quali si cerca di dare una certa unità al sapere umano e si favorisce il dialogo di questo con la fede. Una seconda linea è quella dell'evangelizzazione della cultura. Si propone l'intervento dei credenti nella produzione di cultura nella quale le università, cattoliche e non, hanno un ruolo preponderante ma non unico. La terza propizia una presenza di animazione religiosa negli ambienti universitari rivolta a giovani e docenti. La portano avanti gruppi, movimenti e cappellanie universitarie. Assicura alcune condizioni per la formazione cristiana della popolazione universitaria, come servizi religiosi, attenzione spirituale personale, iniziative culturali. Aiuta in questo modo i singoli a fare una assimilazione, filtrata attraverso la fede, della cultura prodotta dall'università.
    C'è infine una quarta linea che rivolge un'attenzione particolare alle condizioni di vita e alla maturazione del giovane universitario. Lo scenario, in cui si svolgono i suoi interventi, non è lo spazio universitario, ma sono i luoghi ecclesiali di aggregazione giovanile, generali o specifici, i servizi che la comunità cristiana predispone quando si rende conto del numero, delle problematiche particolari che questi soggetti affrontano e della ricchezza che essi rappresentano per il presente e il futuro della comunità.
    Ciascuna di queste linee pastorali usufruisce e partecipa delle altre. Ma ha anche obiettivi e modalità di azione proprie per cui sono differenti i progetti e gli interventi. La prima guarda alle strutture accademiche, la seconda alla cultura collettiva da mettere a disposizione dei giovani, la terza all'animazione cristiana di un ambiente, la quarta si occupa quasi esclusivamente delle persone. È sul versante "educativo". Si propone di aiutare i giovani a gestire per la propria crescita l'incontro con il mondo universitario, a elaborare in forma personale quanto ricevono dall'università, e a far fronte anche a problemi di vita tipici dell'età e della condizione in cui si trovano.
    Tra i servizi che si possono offrire, il pensionato "a carattere educativo" ha un suo profilo specifico. Per chi dispone di camere e ne vuole trarre profitto, la domanda di alloggio è una ragione sufficiente per metterle a disposizione dei giovani. Ma chi pensa ad un servizio educativo deve mirare ad altri traguardi e ad altre possibilità, che vanno oltre il problema della sistemazione. Il primo interrogativo da chiarire è quindi il tipo di servizio che vogliamo prestare.
    Tra le forme di pensionato "quello salesiano" ha pure esigenze e intenzioni specifiche. I pensionati soddisfano una necessità pratica e forse in funzione di essa vengono cercati da molti giovani e famiglie. Quelli gestiti da religiosi presentano anche un vantaggio non indifferente che potrebbe giustificarne l'esistenza: è quello "ecologico" cioè un ambiente che mette in salvo dai rischi morali più gravi. Ma questi sono mete troppo povere riguardo alle disponibilità, almeno di un certo numero di giovani e riguardo all'impiego delle nostre energie e strutture educative.
    Bisogna chiarire la portata della nostra intenzione "educativa", i traguardi che ci proponiamo nella maturazione della persona, puntando decisamente su una qualificazione del servizio.
    Se il progetto di partenza è di basso profilo, l'azione non andrà oltre tale livello. Se invece l'intenzione educativa è chiara si potranno fare degli adattamenti, ma le strutture, il personale, il programma saranno concepiti secondo le sue esigenze. Ora il tempo che stiamo vivendo non ci consente fronti di semplice ripiego o utilizzazione di spazi. La nostra pastorale e l'educazione sono anche loro alla ricerca della qualità.

    2. IL SOGGETTO DESTINATARIO DEL NOSTRO SERVIZIO EDUCATIVO

    Chiarita la nostra intenzione educativa, caratterizzata dall'attenzione, principale non esclusiva, al soggetto e scelto il tipo di struttura (casa -comunità di accoglienza), prima di concretizzare ulteriori elementi del progetto è indispensabile vedere come si presenta dal punto di vista educativo il soggetto al quale vogliamo prestare il nostro servizio: quali i nodi della sua maturazione come persona, quali le sue difficoltà e risorse.
    Senza intenzione di tracciare un identikit e soltanto per avviare l'interscambio, indico alcuni tratti.
    In primo luogo si tratta di soggetti "seletti". La popolazione universitaria infatti, anche con l'espansione degli ultimi anni non oltrepassa il 1820% dei giovani, compresi tra i 19-24 anni. È anche un numero prescelto tra gli universitari medesimi e tra coloro che sono in cerca di alloggio. È infatti minima la percentuale di coloro che lo desidera e ottiene in pensionati a carattere formativo-religioso. Questo fatto non può essere assente dalla coscienza del soggetto sia che lo senta come una opportunità, una necessità o una imposizione. Ma deve avere il suo peso nel cosiddetto patto educativo. Comporta il suo coinvolgimento nel progetto formativo e non solo l'accettazione delle regole esterne di comportamento.
    In secondo luogo il soggetto-destinatario del nostro servizio è di solito di estrazione popolare e possiede una educazione cristiana de base. Da queste condizioni ci si può aprire ad altri soggetti nei quali esse si verificano di meno. L'essere di condizione modesta si addice alla nostra missione attenta sempre a favorire chi è più bisognoso. Mentre l'educazione cristiana di base (di famiglia, di parrocchia-oratorio, di scuola cattolica) costituisce un punto di partenza indispensabile per il tipo di formazione che si vuole dare e per una gestione corresponsabile del pensionato. La mancanza di entrambe possono essere supplite da disposizioni particolarmente favorevoli del soggetto verso gli obiettivi del pensionato. Ma una caratterizzazione iniziale diversa cambierebbe la fisionomia del nostro servizio.
    Il giovane poi si inserisce in un sistema di relazioni culturali, sociali e interpersonali sui generis, in cui vengono meno i punti di riferimento che lo avevano sostenuto fino a quel momento.
    C'è un distacco educativo dalla famiglia, che nella maggior parte dei casi non riesce ad accompagnare l'esperienza universitaria o ha su di essa soltanto attese economiche o di prestigio. C'è il distacco dal proprio ambiente religioso al quale il giovane non sente più di appartenere e al quale spesso non ritorna nemmeno quando va in famiglia. Svanisce anche l'appoggio della "classe scolastica", che costituì un riferimento di solidarietà e condivisione nella scuola media e media superiore. L'università soltanto in alcuni corsi superiori consente questa dinamica di cameratismo e solidarietà personalizzata. Vengono meno anche le figure degli insegnanti come interlocutori, accompagnatori e amici. È da tutti riconosciuta la difficoltà di rapporti interpersonali, formativi e culturali con i docenti universitari. L'esperienza didattica fatta di lezioni, seminari, esercitazioni ed esami non li include. Le università sono diventate un "sistema di aule" e di "laboratori". Parlare di comunità universitaria appare fittizio per la maggior parte dei grandi atenei. L'università "virtuale", progetto e ideale, non corrisponde allo scenario reale nel quale si svolge la vita dello studente.
    L'interesse educativo o di formazione integrale è quasi inesistente. Vengono privilegiate la ricerca e la preparazione professionale in senso tecnico. Mentre la maturazione umana e culturale del singolo è fuori dagli orizzonti dell'organizzazione universitaria.
    Il soggetto "isolato" dagli influssi formativi precedenti si trova coinvolto in strategie di carattere macroculturali, cioè tendenti ad orientare la mentalità e l'uso delle risorse secondo determinate direzioni: il progresso tecnologico in funzione della crescita economica globale. L'interesse maggiore e la ragione di prestigio delle università consistono nei successi conseguiti nello sviluppo delle conoscenze e nella didattica per comunicarle. L'eccellere nella scienza, la selettività, la competitività, regolano la consegna della cultura alle nuove generazioni.
    Il giovane peraltro è ancora in fase di elaborazione della propia identità. Ciò vuol dire che il suo processo educativo è tutt'al più orientato, ma non ancora completo. Anzi alcuni aspetti che saranno determinanti (cultura, etica, professionalità) sono nel momento più delicato di maturazione. Si pone dunque domande a molti livelli. Spesso le prime di queste domande riguardano la scelta di studiare, di intraprendere una certa carriera e di farlo in un determinato centro universitario. Non è insolito un tale ripensamento di fronte a insoddisfazioni o difficoltà negli studi. Le informazioni generali, la conoscenza di se stessi e della professione che si avevano al momento della scelta vengono giudicate insufficienti.
    Ma oltre a queste domande, che hanno la loro importanza perché incidono sullo stato d'animo e sui dinamismi di maturazione, ci sono gli interrogativi culturali che le nuove conoscenze sollevano: e più ancora che le singole conoscenze il tipo di ragionamento, la struttura e i presupposti delle discipline. È inevitabile un ripensamento delle visioni della realtà e convinzioni ricevute nella socializzazione precedente.
    Il ripensamento culturale, frammentario o organico, non può non influire sulla verifica della fede. È probabile che molti giovani portino un sapere religioso poco sviluppato e poco interiorizzato. E quindi inadeguato per far fronte alla mentalità tecnico scientifica che si va formando in loro velocemente e acriticamente. Di conseguenza il pensiero religioso può risultare poco attendibile come approccio obiettivo alla realtà.
    Il rapporto fede-vita, che avevano acquisito e davano come teoricamente scontato, salta non tanto per un'altra concezione o ideologia ma per la frammentazione dell'ambiente e della vita. È facile che metta in forse l'appartenenza ecclesiale e che senza discussione né polemiche ci sia un'allontanamento quasi naturale dalla comunità cristiana.
    Il problema culturale e religioso diventa interrogativo etico in molte direzioni teoriche e pratiche. Il giovane si forma un'opinione sui principali punti caldi della discussione morale attuale e sulle agenzie che sostengono una determinata posizione.
    Anche lo sviluppo affettivo entra in una nuova fase con la maggior autonomia, l'orientamento del proprio comportamento sessuale, l'instaurazione di relazioni significative. In una parola si può accettare una valutazione globale data nel convegno su "Salesiani e pastorale tra gli universitari": "Gli studenti e le studentesse universitari si trovano in un periodo aperto a molte possibilità di crescita - e quindi anche di crisi - ai diversi livelli della personalità (intellettuale, culturale, professionale, sociale, religioso) (C. Nanni, a cura di, Salesiani e pastorale tra gli universitari, Roma, SDB, 1988, pag. 77).
    Finalmente è congenita alla situazione in cui si trova il giovane la concentrazione nello studio, la provvisorietà e fugacità dei rapporti con i suoi interlocutori adulti. Nello stesso pensionato i tempi utilizzabili per incontri comunitari o di gruppi sono stretti. La stanchezza, le giornate intense di lezioni, portano all'evasione e all'immediato nei tempi disponibili per altre attività diverse dallo studio. D'altra parte la stessa esperienza universitaria e del pensionato sono "di passaggio". Consentono una "semina", un'azione a cicli brevi capace di offrire elementi esemplari, di maturazione e che, nel migliore dei casi, rimarrà nella memoria come momento sorgivo al quale ritornare.

    3. I BISOGNI PIÙ SENTITI

    Lasciamo da parte il bisogno immediato e pratico della casa dove abitare e poter studiare e parliamo dei bisogni educativi.
    Il primo sembra essere quello di compagnia, di rapporti interpersonali qualificati, che aiutino a superare la solitudine e a trarre profitto massimo dall'esperienza universitaria, compensando quello che manca nella struttura accademica e non può essere dato dalla famiglia e dai coetanei.
    Può darsi che il giovane medesimo non colga la portata di questa domanda e cerchi di soddisfarla durante i fini settimana o con amicizie di evasione. Ma in questo modo il suo sviluppo sociale ha un arresto. È infatti un nuovo cerchio di rapporti che si deve attivare con interessi che le amicizie precedenti non hanno sviluppato.
    Questo bisogno chiama in causa la capacità di dialogo e la disponibilità di tempo del personale addetto al pensionato: fa pensare ad una organizzazione degli ambienti e delle attività che favorisca i rapporti tra i giovani: suggerisce di coltivare relazioni con persone e gruppi significativi dell'ambiente universitario, civile, ecclesiale.
    Un secondo bisogno è quello di mediazione a diversi livelli. Ci vuole qualcuno che si interponga tra il mondo universitario con le sue esigenze obiettive e le aspirazioni, le possibilità, la capacità di tenuta del singolo giovane: che lo aiuti a superare gli insuccessi e controllare la stanchezza, e soprattutto a elevare le motivazioni e le prospettive per il futuro. Alcuni giovani devono acquisire o sviluppare attitudini che le esperienze educative precedenti hanno trascurato: darsi un metodo di studio, mantenere un atteggiamento critico rispetto delle informazioni e di quello che ci viene proposto come scontato, usare il ragionamento per scoprire collegamenti, passaggi e sviluppi del discorso, fare sintesi personali progressive. Tutto ciò non è solo aiuto per riuscire negli studi ma anche condizione per costruirsi in senso più completo. E non si vede perché siamo pronti nel risolvere il problema della camera e non anche altrettanto attenti nel venire incontro a queste altre domande.
    La mediazione si richiede ad un altro livello. C'è da fare una saldatura tra il patrimonio culturale, acquisito prima, e la cultura universitaria: le nuove chiavi per interpretare la realtà, il nuovo atteggiamento mentale e soprattutto i nuovi riferimenti per la vita.
    Ancora un gradino più sopra c'è l'esperienza religiosa. Si deve mediare o aiutare a fare il passaggio dalla fede pensata con mentalità popolare a quella che si confronta con una cultura scientifica. È un accompagnamento non facile. Chi segue lo sviluppo la pastorale della cultura trova che ci sono ottime formulazioni per proporre, con nuovo linguaggio e nuovi riferimenti, le verità della fede. Poche invece sono le indicazioni valide per un dialogo della fede con il pensiero secolare, particolarmente tecnico.
    La maggior parte della pastorale è rimasta a livello "popolare" in fatto di devozione, di formulazione, di motivazioni e di visioni. In tale linea sono formati i preti e in tale linea operano. Non appena si imbattono in una mentalità con esigenze culturali, si ritirano. È dunque una mediazione che non trova risposta negli ambienti normali di Chiesa.
    Eppure è necessaria. Anche se durante l'adolescenza c'è stata una prima appropriazione personale della fede, la portata di questa non poteva andare oltre le esperienze e conoscenze di allora.
    I due bisogni precedenti inducono un terzo: luoghi di incontro e condivisione, luoghi umani piuttosto che soltanto materiali. Sono più importanti le condizioni e stimoli alla comunicazione che i locali. Si tratta di ambiti dove poter elaborare prospettive, criteri di cammino o sintesi di vissuto attraverso il confronto plurale e libero, e attraverso esperienze significative e condivise. Sono più fori che recinti, più comunità di amicizia, interscambio e progettazione che istituzioni o strutture anche se gli elementi organizzativi sono indispensabili. Questo bisogno spinge ad esaminare le condizioni del pensionato: il numero ottimale, la forma di gestione, la distinzione tra struttura di alloggio e comunità.
    Da ultimo si sente il bisogno di un inserimento nella realtà locale e di apertura sociale. La cultura è più ricca dell'esperienza universitaria e della vita del pensionato. Un rischio non immaginario per l'universitario è l'isolamento o ripiego sui propri obiettivi, la separazione dall'ambiente immediato, la mortificazione di aspetti della personalità che non sono compresi nelle discipline (espressione, lavoro sociale, pensiero religioso), la estraneità dal contesto.
    Ciò postula un programma che tenda a moltiplicare le interazioni tra comunità giovanile universitaria e quartiere, chiesa locale e le sue espressioni più vicine, mondo giovanile impegnato, associazioni e iniziative studentesche. Per questa apertura, coloro che svolgono un servizio educativo tra gli universitari confluiscono nella pastorale della cultura e nell'animazione dell'ambiente universitario.

    4. LA PROPOSTA E L'ITINERARIO

    Il nostro proposito è aiutare i giovani a raggiungere la maturità "spirituale", umana e cristiana, secondo le possibilità di ciascuno. Questa affermazione, anche se scontata, non è innocua. Se diventa parte del "patto educativo" tra giovani e salesiani, elimina molti malintesi iniziali e apre prospettive interessanti.
    Penso si debba pure accettare che tale maturazione non può avvenire se non si prende in considerazione un nucleo qualificante della pastorale-educazione degli universitari: il confronto tra cultura e fede, tra uomo e Vangelo; non un confronto teorico e nemmeno in funzione soltanto dell'esperienza soggettiva, ma come una riflessione fondata, di validità universale sugli interrogativi della persona e dell'umanità.
    Al centro di questo confronto o dialogo c'è il sapere: cioè la comprensione razionale della realtà, del suo senso, delle sue finalità e interrelazioni; e insieme un'approfondimento della "rivelazione" adeguato allo sviluppo delle conoscenze e delle esperienze di vita. Sovente nei documenti della Chiesa che riguardano scuole e università cattoliche si sottolinea che esse sono guidate da una peculiare concezione del sapere. Costituisce dunque una via maestra di formazione che non può essere sviluppata da altre.
    Seguendo il CG23 possiamo pensare un itinerario verso la maturità articolato in quattro aree. Le aree sono costellazioni di temi, aspetti della persona, possibilità o preoccupazioni educative omogenee che richiedono uno sviluppo, consentono un percorso, e suppongono nell'accompagnatore una certa competenza e determinati interventi. Il loro contenuto varia secondo le età e la situazione dei soggetti.
    La prima di queste aree per i giovani universitari riguarda le nuove dimensioni della vita da esplorare cioè da capire, assumere consapevolmente e sfruttare per la propria crescita: l'autonomia nel gestire la propria esistenza, la responsabilità su se stessi e la corresponsabilità riguardo ai beni che si condividono con vicini e lontani, l'impegno di studio e i risultati in termini di rendimento e di formazione, i rapporti che si scelgono e la qualità delle attività a cui si dedica il propio tempo, il modo di affrontare le situazioni di conflittualità, le intenzioni che muovono gli sforzi di autopromozione, la qualità dell'incontro con gli altri.
    Per gli universitari rientra in questa area una conveniente integrazione del sapere: cioè la valorizzazione di quello che si è acquisito prima per diverse vie (famiglia, scuola, esperienze sociali), il riconoscimento della validità delle varie forme di approccio alla verità, la capacità di mettere in rapporto ricerche scientifiche e interrogativi reali. La specializzazione e il frazionamento delle conoscenze non deve danneggiare l'apertura alla realtà e la formazione integrale della persona. Ciò significa crescere in una armonia culturale personalizzata, eminente o modesta che sia.
    Rientra anche in quest'area l'aiutare a cogliere e sviluppare la dimensione etica del sapere, che influirà in forma determinante sull'esercizio della professione. Si tratta di una riflessione critico valutativa sulle conquiste dei diversi settori del sapere, medicina, sociologia, economia, bioetica e dei problemi umani che sollevano; e anche sul significato, sulle vie e sull'uso del progresso scientifico. Non è una tematica marginale o troppo alta, della quale oggi si possa fare a meno. Non si può nemmeno affidare solo alla "fede" soggettiva e al buon senso evitando lo sforzo di riflessione. La sua urgenza ce la ricorda sia la "Veritatis Splendor", sia il nostro orientamento salesiano. L'etica è uno degli spazi privilegiati del dialogo tra cultura e fede, anche nella mentalità e nella coscienza individuale.
    Oltre agli aspetti soggettivi, in questa area, c'è da allargare e arricchire la visione del mondo, con le sue possibilità incoraggianti e le sue realtà tragiche. Dovrebbe aiutare il giovane ad uscire dal proprio guscio, dagli interessi soltanto individuali e pratici. "L'uomo maturo è quello che ascolta con attenzione gli interrogativi che la propria vita e il mondo propongono; quello che coglie il mistero che li avvolge e ne ricerca il significato mediante la riflessione e l'impegno" (CG23 124).
    Per entrambi gli aspetti, quello soggettivo e quello della realtà, il cammino educativo contempla la possibilità di fare esperienze, l'individuare le aspirazioni e limiti che in esse si avvertono, il formulare domande di senso, parziali e globali, l'apertura a risposte possibili, la scoperta di valori.
    Quest'area richiede da parte di chi accompagna sensibilità e e preparazione culturale. Perciò si è auspicato che chi va ai pensionati abbia esperienza universitaria.
    Una seconda area di attenzione è l'incontro "nuovo" con Cristo. "È assai frequente tra i giovani una vaga simpatia verso la persona di Gesù. Molti sono i messaggi e le immagini di Lui immesse sul mercato dai mass media e molti i giovani che conservano tracce di una esperienza religiosa infantile ed hanno impressioni esterne e generiche sulla vita della comunità cristiana. D'altra parte un'esposizione sistematica della fede può risultare per questi giovani soltanto una bella teoria, o l'ideologia articolata di un gruppo religioso, e non annuncio e promessa di salvezza" (CG23 85). I rischi per la fede che si porta dalla adolescenza non sono immaginari: l'insufficienza, l'insignificanza, la marginalità, quando non l'abbandono.
    Ci sono alcuni nodi da sciogliere: uno è l'incontro significativo con testimoni della fede capaci di attingere gli interessi e interrogativi attuali dei giovani. Il contatto con credenti, persone o gruppi del mondo universitario, va in questa direzione.
    Appare pure indispensabile l'approfondimento dottrinale. Non importa la sede (gruppo giovanile, percorso personale, diocesi o parrocchia, movimento di Chiesa) in cui il giovane lo compie. L'importante è che non manchi. È stata sempre la spina dorsale nella formazione dei militanti e degli animatori. Le università cattoliche lo considerano elemento unificante del sapere. Comprende la rilettura adulta del Vangelo, la conoscenza organica del mistero di Cristo, una certa "teologia" o scienza della rivelazione alla portata dei laici.
    Il problema è come suscitare la disponibilità e approfittare dei tempi ridotti per offrire quello che potrà avere ulteriori sviluppi nel futuro del giovane. È un aspetto questo che non viene soddisfatto dalle eventuali esperienze apostoliche, che gli universitari fanno.
    C'è poi la pratica della vita cristiana: il radicamento di atteggiamenti e comportamenti concordi col Vangelo e la formazione di una mentalità di fede. Quest'ultima comporta il confronto della fede con i grandi problemi e correnti culturali dominanti. "Richiede una coerenza di pensiero e di vita. Tralasciare tale aspetto significa preparare la tante volte deprecata rottura tra fede e cultura personale, tra pratica religiosa individuale ed etica sociale" (CG23 138). Non importa se tutto il gruppo non può fare l'intero percorso. È importante che chi è disponibile trovi chi lo sappia orientare e accompagnare.
    La terza area guarda all'appartenenza ecclesiale. Intende prevenire l'allontanamento e la estraneità riguardo alla comunità cristiana e cerca di rafforzare i vincoli esistenti di adesione ad essa. Dovrebbe dunque aiutare a progredire: dal sentirsi bene nella comunità ecclesiale e condividere qualcuno dei suoi impegni pratici, al riconoscere in essa la presenza di Cristo e il luogo naturale più adeguato per l'incontro con Lui.
    L'itinerario salesiano raccomanda l'accoglienza dei giovani nella comunità ecclesiale, il loro coinvolgimento in responsabilità di animazione; sottolinea l'efficacia dei gruppi specialmente quando si inseriscono in comunità educative ampie, impegnate in un progetto comune. Questo suggerisce la convenienza di avvicinare i giovani alle realtà pastorali salesiane o ecclesiali come il movimento giovanile, gli oratori-centri giovanili, il volontariato.
    Da ultimo c'è l'area vocazionale. L'età giovanile sembra essere oggi quella in cui il cammino vocazionale precedente giunge alla decisione. E fra tutte le condizioni in cui si trovano i giovani, quella universitaria presenta vantaggi non comuni per una riflessione sul futuro e per un progetto generoso di vita. Un semplice sguardo alle statistiche dei nostri novizi ce ne fornirebbe una prova eloquente. È vero che il più delle volta il maturare della vocazione nell'universitario non si deve agli elementi che apporta la vita del pensionato, ma ad altre attività e rapporti di Chiesa. Ma va detto di nuovo che non si chiede ad ogni singolo programma o struttura di provvedere a tutto, ma di orientare ciascuno verso le esperienze in cui meglio possa maturare.
    L'area vocazionale vuole portare ad una visione della vita come dono che va messo a servizio degli altri; fa prendere coscienza della missione del cristiano nel mondo e del ruolo del laico nella comunità cristiana; informa sulle varie modalità di consacrazione, in modo che tutti vedano le diverse possibilità di realizzazione, siano capaci di rispettare e valorizzare le scelte generose e elaborino un progetto di vita in cui vantaggi personali e donazione non siano gravemente opposti.

    5. A MO' DI CONCLUSIONE

    Quanto detto sopra può sembrare eccessivo per il tempo e il personale di cui si dispone e per lo stesso atteggiamento dei giovani convittori verso la formazione umana e cristiana impegnata. Ma non è un programma. È una miniera di possibilità da tener presenti e tra le quali scegliere in conformità a due parametri:
    - quello che si può proporre alla comunità o a un gruppo di essa;
    - il percorso che si può fare con singoli giovani. Ciascuno di loro ha una "biografia" propria. Non conviene tarpare le possibilità del singolo per accomodarle a quelle del gruppo. L'accompagnamento personale o direzione spirituale è, insieme all'organizzazione e animazione delle comunità, l'intervento dal quale ci si può aspettare di più.

    Roma, 21 maggio 1994


    T e r z a
    p a g i n A


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