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     Fascino dei santi

    Pietro Brocardo


    P
    er chi voglia mettere a tema l'argomento della santità cristiana il riferimento ai santi, che ne sono la più viva incarnazione, si fa necessario. Sia a quelli innumerevoli e non canonizzati, che hanno marcato la vita e la fede del popolo di Dio, sia specialmente a quelli che la Chiesa registra nell'albo dei santi per la loro risposta eroica all'iniziativa preveniente di Dio.

    Ora è un fatto incontestabile che «da qualche anno l'agiografia è ritornata di moda», non solo ad opera di autori di secondo piano, ma tra gli stessi ricercatori universitari. Questo rinato interesse per i santi, spiega A. Vauchez, «è tanto più interessante in quanto non ha a che vedere con dei fenomeni devozionali. [...] Non è sotto questo aspetto, ma piuttosto a livello di un fascino esercitato in modo generale dai grandi uomini - gli eroi ed i santi - che bisogna senza dubbio cercare le motivazioni di un interesse crescente suscitato dai testi agiografici: più o meno confusamente i ricercatori scientifici, come il grande pubblico, percepiscono che questi documenti non hanno ancora detto la loro ultima parola e che veicolano un messaggio che, quanto all'essenziale, resta ancora da decifrare».
    Questa citazione, che potrà essere condivisa in tutto o in parte, rende quanto mai attuale una riconsiderazione della vita di don Bosco sotto il profilo specifico della sua santità.
    Bisogna tuttavia riconoscere che in quest'epoca di transizione, dalle dimensioni planetarie, caratterizzata da una nuova visione del mondo, dell'uomo e della sua storia - e, nei paesi opulenti, da una diffusa indifferenza religiosa -, il discorso sulla santità, sia pure quella di un santo simpatico ed accattivante come il "santo dei giovani", è tutt'altro che agevole. Oggi, anzi, la stessa parola "santità", come scriveva Egidio Viganò, Rettor Maggiore dei Salesiani, «può essere mal compresa da una
    mentalità sfasata, abbastanza comune e frutto di un ambiente che oppone una specie di blocco culturale ai contenuti genuini del suo significato. Potrebbe venire identificata con uno spiritualismo d'evasione dal concreto, con un ascetismo per eroi d'eccezione, con un sentimento d'estasi dal reale che disistima la vita attiva, con una coscienza antiquata circa i valori dell'attuale svolta antropologica. È da lamentare fortemente una simile caricatura».
    Eppure, tutte le volte che ci si confronta con un santo autentico, questa rappresentazione confusa, distorta e persino caricaturale, si dissolve nel nulla. «I santi - ha scritto Pascal - hanno il loro proprio regno, il loro splendore, le loro vittorie e la loro maestà».
    Il mistero dei santi ha un tale fascino da imporsi spesso agli stessi increduli.
    Sulla santità si è detto e scritto moltissimo. Lasciando da parte le discussioni di scuola diremo, molto semplicemente, che la santità, dono di Dio e impegno dell'uomo, altro non è che la «vita trasfigurata in Cristo» (Rm 8,29) - il «solo santo», il «santo di Dio» (Mc 1,24) - mediante il dinamismo delle virtù teologali e i doni dello Spirito Santo. Santità è la vita di Dio-Trinità in noi e di noi in Dio. Per sé tutti i battezzati viventi in grazia sono, a pieno titolo, "santi", ma non allo stesso grado e livello.
    Quando diciamo che don Bosco è "santo" intendiamo affermare che egli, distaccandosi dalla schiera dei comuni cristiani, ha vissuto la vita battesimale con maggiore determinazione e intensità; ha raggiunto
    la meta che la Costituzione dogmatica Lumen Gentium addita a tutti i fedeli: la «pienezza di vita cristiana», la «perfezione della carità, cuore e compendio della legge», la «perfetta unione a Cristo» (nn. 40, 50).
    Tale pienezza comporta un vero e proprio martirio o eroismo cristiano, di cui è archetipo il Martire divino. Dopo di Lui ed in comunione con Lui vengono gli altri martiri, i quali con l'effusione del proprio sangue hanno dato la suprema testimonianza della fede e carità.
    Tuttavia, secondo concetti e criteri ampiamente elaborati e aggiornati nei processi di Beatificazione e Canonizzazione, viene, da secoli, riconosciuto come eroe il fedele - pensiamo a don Bosco - il quale ha praticato, almeno per un lungo periodo prima della morte, le virtù teologali e morali in grado sommo, cioè in misura superiore al modo di agire dei comuni cristiani, in situazioni anche ardue e difficili. Oggi si riconosce che la pratica perfetta, fedele e perseverante dei doveri inerenti alla propria condizione di vita e al proprio stato comporta un vero eroismo ed è perciò criterio di santità, «Anche le cose più comuni possono
    diventare straordinarie quando sono compiute con la perfezione della virtù cristiana» (Pio XI). Don Bosco è santo, perché la sua vita è stata pienamente eroica.

    Figura rappresentativa della «Scuola di santità torinese»

    La santità non è quantificabile: Dio solo ne conosce la profondità ed il segreto. Ci sono però dei santi il cui destino sembra sia stato quello di rimanere piuttosto nell'ombra ed altri, i quali, per i grandi servizi resi alla Chiesa ed alla società, si sono imposti e si impongono all'attenzione dei fedeli come uomini di eccezione. Tra questi è don Bosco. Mons. Giuseppe De Luca, erudito e letterato insigne, conoscitore profondo della religiosità italiana, ha scritto di lui: «Nella storia dell'ottocento italiano Giovanni Bosco è nella santità non meno di quello che Alessandro Manzoni è nella letteratura o Camillo di Cavour nella politica: vale a dire "un sommo"».
    Si potrà discutere questo confronto, resta però vero che don Bosco è una delle figure più rappresentative di quella che è stata chiamata da Paolo VI la «Scuola di santità torinese», che in realtà abbraccia l'intero Piemonte. Una scuola, che, nel giro di un secolo o poco più, ha visto fiorire, come risulta da indagini recenti, innumerevoli Santi, Beati, Venerabili e Servi di Dio. Si tratta di soggetti oriundi del Piemonte o che operarono ivi, interdipendenti e diversi, il cui anelito comune sembra potersi racchiudere in queste due parole: pregare e fare. Una scuola, quella torinese, in senso molto ampio, che, a giudizio dei competenti, si è caratterizzata per il suo sincretismo, frutto di pragmatismo molto connaturale al temperamento piemontese; per il suo equilibrio pratico fatto di buon senso; per il suo atteggiamento di prudenza e di non allineamento politico, ideologico o partitico; per il suo tradizionalismo che non esclude, soprattutto in don Bosco - il più esposto di tutti per le coraggiose prese di posizione contro l'anticlericalismo liberale dominante - audacia creatrice, grande spirito di iniziativa, capacità di aprire costruttivamente alle necessità della Chiesa le frontiere dei tempi nuovi. I protagonisti di questa scuola sono, per lo più, sacerdoti. Paolo VI, nel discorso pronunziato per la Beatificazione di Leonardo Murialdo, ne ha tracciato un lucido profilo. «La scuola di santità torinese del secolo scorso [sec. XIX] ha dato alla Chiesa un tipo di ecclesiastico santo, fedelissimo alla dottrina ortodossa e al costume canonico, uomo di preghiera e di mortificazione, perfettamente aderente allo schema abituale della vita prescritta ad un
    sacerdote, il quale, però, proprio per questa generosa ed intima aderenza sente salire nella sua anima energie nuove e potenti, e si avvede che d'intorno a lui bisogni gravi e urgenti reclamano il suo intervento. Non cercheremo in lui novità di pensiero, troveremo invece in lui novità di opere. L'azione lo qualifica. Spinto dal di dentro del suo spirito, chiamato al di fuori da nuove vocazioni di carità, questo Sacerdote ideale si concede ai problemi pratici del bene a lui presente; e inizia così, senza altre previsioni che quella dell'abbandono alla Provvidenza, la impensata avventura, la novità, la fondazione cioè d'un nuovo istituto, modellato secondo il genio di quella fedeltà iniziale, e secondo le indicazioni sperimentali delle necessità umane, che l'amore ha rese evidenti e imploranti. Così il Cottolengo, così il Cafasso, già dichiarati Santi, così il Lanteri, così l'Allamano, che ne seguono le orme, così specialmente don Bosco, di cui tutti conosciamo la grande e rappresentativa figura. E così il Murialdo».
    L'aria di famiglia che si respira nella scuola torinese, le molte convergenze che accomunano i Servi di Dio fra di loro e che ha indotto gli studiosi a parlare di una koiné - di una comune affinità e parentela spirituale - non sono però indice di uniformità. Ogni santo ha il suo volto, il suo stile, la sua indole, esercita una propria missione, è uguale e diverso. Don Bosco, ad esempio, non è il Cafasso, sia per le doti personali e storiche, sia perché è fondatore. E l'essere fondatore comporta una diversa configurazione della santità e uno speciale carisma. Un "dono nuovo" cioè alla Chiesa.

    Memoria e profezia

    Don Bosco è insieme santo del passato e profezia viva di ciò che Dio vuole nella storia. Va quindi avvicinato sia in chiave storica che profetica. In chiave storica, perché solo il versante della storia è in grado di risuscitare il passato, in quanto tale, senza deformarlo. Da questo punto di vista don Bosco è e sarà per sempre un tipico santo piemontese dell'Italia risorgimentale, come S. Ignazio di Loyola è un tipico santo basco della Spagna del sec. XVI. Sensibile ai valori della cultura emergente bisognosa di lievitazione evangelica, sensibile ai disvalori, alle ambiguità, ai mali da combattere, arginare, prevenire; sensibilissimo alle urgenze della gioventù bisognosa ed abbandonata, ai nuovi bisogni della vita religiosa e della Chiesa del suo tempo, aspramente combattuta nel suo Capo e nelle sue istituzioni. L'approccio a don Bosco deve approdare alla conoscenza del "don Bosco totale", quale lo hanno fatto i settantadue anni e mezzo della sua vita ed il lavorio operato su se stesso. Si comprenderà allora, ad esempio, come egli sia nutrito della teologia e della spiritualità del suo tempo, come sia partecipe della coscienza che la Chiesa aveva di sé sotto il pontificato di Pio IX, come certi suoi atteggiamenti siano il riflesso della sua formazione ecclesiastica avvenuta in tempo di restaurazione.
    Ma la memoria non è archeologismo; per essere significativa e fedele al Dio della storia deve leggere il passato anche in chiave profetica, portatrice di futuro, di valori intramontabili e perenni. Tra questi valori vanno ricordati: le intenzioni permanenti di Dio sulla sua vita, gli elementi essenziali della sua indole e del suo spirito, dinamicamente aperto sul futuro, la realtà vitale ed essenziale della sua missione, le valenze positive del suo secolo - la Chiesa si è sempre appropriata di quanto c'è di buono nella vita dei popoli - rilanciate come profezia nella nostra cultura. «I principi umani e cristiani nei quali si basa la sapienza educatrice di don Bosco portano in sé valori che non invecchiano» - dice Paolo VI -, perché «tale incomparabile esempio di umanesimo pedagogico cristiano [...] affonda le sue radici nel Vangelo».
    Il discernimento tra memoria e profezia non è facile. Impegna l'autorità dei Successori di don Bosco e dei Capitoli generali; garante suprema è però sempre, in ultima istanza, l'autorità della Chiesa, vigile custode dei carismi che Dio fa sbocciare nel suo seno.
    Le pagine che seguono si propongono di evidenziare alcuni elementi perenni della santità di don Bosco, con particolare sottolineatura del suo dinamismo apostolico e della "grazia di unità" con cui ha saputo unire vitalmente orazione e azione. Don Bosco infatti è stato innegabilmente un santo attivo.

    Santo attivo

    A distanza di anni possiamo costatare che don Bosco è all'origine, non solo di una numerosa posterità spirituale, ma anche di una vera e propria "corrente spirituale" nella Chiesa, che sta permeando il mondo, e di una "scuola di spiritualità", come ricerche in atto stanno dimostrando. Una spiritualità apostolica però, o, come si può dire, dell'azione, informata dalla pienezza della carità pastorale onnipresente.
    La spiritualità dell'azione nell'attuale contesto culturale può prestarsi a non poche ambiguità. Sono infatti molti a pensare che l'azione sia l'unica categoria con la quale l'uomo si interpreta e agisce su se stesso, sugli altri, sul mondo. Prassi e ortoprassi sono sempre un punto caldo della teologia spirituale, che è scienza dell'agire umano vivificato dallo Spirito.
    La Chiesa non è nuova a questi problemi come dimostra la storia dei grandi apostoli dei secoli passati. In un mondo che enfatizza fortemente le parole prassi, lavoro, attività, azione, la vita di don Bosco, dominata, per così dire, dalla vertigine dell'azione, può riuscire paradigmatica per quanti vogliono impegnarsi costruttivamente nella edificazione di un mondo a misura d'uomo fermentato dal Vangelo, essendo il suo agire inestirpabilmente vincolato e dipendente da quello salvifico di Dio. L'agire è una nozione primaria dell'esistenza: non si lascia circoscrivere in una definizione rigorosa; tanto meno l'agire cristiano.
    Possiamo però distinguere in esso un doppio movimento: quello immanente che giustifica e comanda le azioni e le opere esterne, e quello direttamente volto alla trasformazione delle cose. Solo il primo è veramente perfettivo della persona e dei suoi valori. Don Bosco vale per ciò che fa o fa fare, ma immensamente di più per ciò che è e che vuole. È questo il modo corretto di considerarlo.

    L'asse della vitalità spirituale

    Il cristiano di oggi, tentato dalla difficoltà di congiungere in unità vitale l'essere e l'agire, l'amore a Dio e l'amore al prossimo, la preghiera ed il lavoro, l'azione e la contemplazione, troverà in don Bosco un modello concreto di unità spirituale vissuta nel vortice della vita attiva.
    In lui nessuna dicotomia o lacerazione interiore, ma una perfetta "grazia di unità": Dio è veramente il
    sole, l'asse portante della sua vita. Santo dell'azione, egli non mette di certo il silenziatore sulla preghiera, ma sa fare dell'azione il "luogo abituale" del suo incontro con Dio; valorizza la ricchezza perfettiva dell'orazione, ma considera perfettiva anche l'azione. Il suo modo sacramentale di essere chiesa consiste esattamente nell'impegno ad «agire come chiesa». Sa che tra preghiera e lavoro corre un costante rapporto dialettico: l'una manda all'altro e viceversa; ma sa anche che questo rapporto è regolato dalla volontà di Dio, norma suprema. Sono concetti sui quali ritorneremo al momento opportuno.

    Santo di sempre

    Per la sua radicale unione a Cristo che è di «ieri, oggi e sempre», don Bosco è anche santo intemporale, santo di tutti i tempi. Senza dubbio il santo di domani avrà tratti e modulazioni inedite, sarà diverso da quello del passato. Ma una cosa è assolutamente certa: questa diversità non sarà mai di sostanza. Con il Card. De Lubac possiamo dire, a colpo sicuro, che il santo di domani, come quello di ieri, sarà «povero, umile, spoglio di sé. Avrà lo spirito delle beatitudini. Non maledirà né lusingherà. Amerà; prenderà il Vangelo alla lettera, cioè, nel suo rigore. Una dura ascesi lo avrà liberato da se stesso. Erediterà tutta la fede di Israele, ma si ricorderà che essa è passata attraverso Gesù Cristo. Prenderà su di sé la croce del Salvatore e cercherà di seguirlo».
    I santi non invecchiano, ha detto Giovanni Paolo II: «Sono sempre gli uomini e le donne di domani, gli uomini dell'avvenire evangelico dell'uomo e della Chiesa, i testimoni del mondo futuro». Il fatto che don Bosco avvinca ancora ed attiri a sé, potentemente, schiere di giovani e di fedeli, dimostra che egli possiede in sé qualcosa che sfida i secoli. Quanti vivono nella sua orbita o si sentono comunque desiderosi di entrare in familiarità con lui, possono raccogliere, senza tema di errare, il messaggio della sua santità, semplice e profonda, accattivante e simpatica, se pure molto esigente. Don Bosco, così amabile e comprensivo, ci vuole infatti «non mondani anche se nel mondo; non estranei ma con una propria identità; non antiquati ma odierni profeti della realtà escatologica della Pasqua; non facili imitatori della moda, ma coraggiosi cultori di un rinnovamento esigente; non disertori delle vicissitudini umane, ma protagonisti di una storia di salvezza. La nostra sequela di Cristo secondo lo spirito di don Bosco utilizza tutte le circostanze, gli eventi e i segni dei tempi, anche le situazioni più negative e ingiuste, per crescere e far crescere nella santità» (E. Viganò).
    Non diversamente sollecita alla santità l'attuale Rettor Maggiore, Juan E. Vecchi, quando scrive, nel suo commento alla Strenna dell'anno 2000: «Ripartiamo da Dio: può essere un consiglio che si addice in un'epoca di eclisse, di esperienza religiosa frammentaria e soggettiva, di caduta del senso del peccato, di confusione della coscienza». Egli, nelle sue pubblicazioni, nelle sue circolari ai confratelli, e recentemente nel libro dal titolo I guardiani dei sogni con il dito sul mouse (intervista di C. Di Cicco a don J.E. Vecchi, presso l'editrice LDC, Leumann 2000) non esita ad affrontare i problemi più scottanti e attuali dell'educazione e formazione giovanile, come: le forme inedite del confronto generazionale, le disuguaglianze sociali e il pluralismo culturale (plurireligiosità, pluralismo etnico, ecc.), il mondo sconvolgente dell'internet, l'erotismo, la bioetica, l'ecologia.
    Questo vertiginoso trapasso culturale comporta necessariamente di adeguare e ripensare le modalità del sistema preventivo e della sua spiritualità, del suo slancio apostolico, ecc.
    Juan E. Vecchi non elude queste tematiche, come si legge nel libro citato, quando viene detto: «Alla fine di un secolo che ha celebrato i 100 anni dalla morte (1888) e l'inizio di un nuovo secolo che tra breve celebrerà i 200 anni dalla nascita (1815) del fondatore Giovanni Bosco, i Salesiani sono guidati da un suo successore, il primo non italiano e il primo, della serie di otto, che si chiama Giovanni come don Bosco.
    Un altro Giovanni che non ama i profeti di sventura e punta sull'aggiornamento del patrimonio educativo per riuscire nella sfida posta agli educatori dai nuovi tempi.
    Don Vecchi propone di fondare sulla ritrovata e reciproca comprensione il nuovo patto tra generazioni, necessario per garantire la qualità della vita di ognuno, liberandolo dall'indebita pressione di paura per il futuro che una società anziana può generare.
    È la scelta - come invece non avvenne negli anni '60 - di dialogare con i giovani, in un passaggio d'epoca nel quale la gioventù rischia l'estinzione».
    Oggi come ieri, come si evince da quanto siamo venuti dicendo, il laborioso discernimento che s'impone per ogni dove sarà sempre più facile, nella misura in cui la vis ab intra, cioè la vita divina sarà senza compromessi la dominante dell'esistenza dei membri della Famiglia Salesiana. In una parola, resta pertanto sempre vero che il dono più grande di noi agli altri è la nostra santità.

     

    (Fonte: Profondamente uomo, profondamente santo, LAS 1985, Introduzione, pp. 11-20)

     


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