3. LA SPIRITUALITÀ GIOVANILE SALESIANA
Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare (Fil 4,9).
PREMESSA
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Il cammino di educazione alla fede rivela progressivamente ai giovani un progetto originale di vita cristiana e li aiuta a prenderne consapevolezza. Il giovane impara ad esprimere un modo nuovo di essere credente nel mondo, e organizza la vita attorno ad alcune percezioni di fede, scelte di valori e atteggiamenti evangelici: vive una spiritualità.
La ricerca sulla «spiritualità giovanile salesiana», adatta ai tempi nuovi, ha avuto nel CGS e nel CG21 momenti storici di approfondimento. Ora il CG23 la rilancia nelle comunità e tra i giovani. La ricerca continua ancora; la realtà, però, viene da lontano.
Una prima formulazione è nel sogno dei nove anni. «Renditi umile, forte e robusto».[1] Per questo Giovannino Bosco riceverà in Maria una madre e una maestra che lo accompagnerà nella missione giovanile.
Nell’ambito di Valdocco, poi, ispirate da Don Bosco, fioriscono espressioni diverse di santità e di vita nello Spirito. Le biografie di Domenico Savio, Francesco Besucco e Michele Magone descrivono la santità giovanile del primo Oratorio, quella che, ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa, sarà offerta a tutta la gioventù con la canonizzazione di Domenico Savio e la beatificazione di Laura Vicuña.
D’altra parte, sempre la nostra tradizione ha parlato del Sistema Preventivo come di un progetto di spiritualità. Nel trinomio «ragione religione e amorevolezza», fusi in un’unica esperienza per la «grazia di unità», si ritrovano i contenuti e il metodo dell’accompagnamento spirituale.
Il «Giovane Provveduto» e i vari «Regolamenti» scritti per gli allievi delle case salesiane riportano, nel contesto semplice della vita ordinaria, l'impegno della spiritualità salesiana.
«Salesiana» non è, quindi, il distintivo particolare di un gruppo; indica, invece, la fonte carismatica collegata alla corrente spirituale dell’umanesimo di san Francesco di Sales, ritradotto da Don Bosco nell’esperienza dell’Oratorio.
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Il protagonismo giovanile trovò a Valdocco un ampio spazio in tutti i settori della vita, fino al punto che i giovani furono chiamati da Don Bosco ad essere con lui «confondatori» di una nuova Congregazione.
Da parte loro i giovani lo aiutarono ad iniziare, nell’esperienza giornaliera, uno stile di santità nuova, sulla misura delle esigenze tipiche dello sviluppo del ragazzo.
Furono così, in qualche modo, contemporaneamente discepoli e maestri.
In tutte le comunità salesiane oggi, come già accadeva ieri nell’Oratorio di Don Bosco, l'impegno spirituale nasce da un incontro che fa scoccare l'amicizia. Da questa scaturiscono il riferimento continuo e la compagnia ricercata per l'approfondimento della vocazione battesimale, e il cammino verso la maturità di fede.
«Io voglio restare con Don Bosco»[2] esprime la scelta di un modo particolare di crescere nella vita dello Spirito: l'esperienza di vita cristiana precede la riflessione sistematica.
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Il collocare il giovane, con i suoi dinamismi interiori, al centro dell’attenzione dell’educatore e quale criterio pratico per la scelta degli itinerari da percorrere, manifesta la caratteristica fondamentale della spiritualità giovanile: è una spiritualità educativa.
Si rivolge a tutti i giovani indistintamente e privilegia i più poveri.
L'assumere la sfida della lontananza-estraneità e dell’irrilevanza della fede nella vita chiede agli educatori di accompagnare e condividere l'esperienza dei giovani. «Amate le cose che amano i giovani» ripete Don Bosco ai salesiani nell’attuale situazione, «perché i giovani amino ciò che amate voi».[3]
Far crescere i giovani in pienezza «secondo la misura di Cristo, uomo perfetto» è la meta del lavoro del salesiano.
PRESENTAZIONE SINTETICA
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Per aiutare le comunità ad una lettura rapida della proposta e per sollecitarle ad un ulteriore approfondimento, si offre una descrizione dei nuclei della spiritualità giovanile salesiana.
1. Spiritualità del quotidiano.
Il quotidiano ispirato a Gesù di Nazareth (cf. Cost. 12) è il luogo in cui il giovane riconosce la presenza operosa di Dio e vive la sua realizzazione personale.
2. Spiritualità della gioia e dell’ottimismo.
Il quotidiano va vissuto nella gioia e nell’ottimismo, senza rinunciare per questo all'impegno e alla responsabilità (cf. Cost. 17 e 18).
3. Spiritualità dell’amicizia con il Signore Gesù.
Il quotidiano è ricreato dal Cristo della Pasqua (cf. Cost. 34) che dà le ragioni della speranza e introduce in una vita che trova in Lui la pienezza di senso.
4. Spiritualità di comunione ecclesiale.
Il quotidiano si sperimenta nella Chiesa (cf. Cost. 13 e 35), ambiente naturale per la crescita nella fede attraverso i sacramenti. Nella Chiesa troviamo Maria (cf. Cost. 20 e 34), prima credente, che precede, accompagna e ispira.
5. Spiritualità di servizio responsabile.
Il quotidiano viene consegnato ai giovani in un servizio (cf. Cost. 31) generoso, ordinario e straordinario.
1. Spiritualità del quotidiano
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La sfida fondamentale per un credente e per una comunità è trasformare l'esperienza di vita, in forza della fede, in esperienza evangelica.
È facile proclamarsi cristiani in modo generico. Difficile è vivere da cristiani, sciogliendo i nodi che rendono problematica l'esistenza e aprendosi alle esigenze pratiche delle beatitudini. L'armonia interiore di un giovane e la gioia di vivere esigono la «grazia di unità».
Nell’esperienza salesiana questa è un’intuizione, gioiosa e fondamentale insieme: non c'è bisogno di staccarsi dalla vita ordinaria per cercare il Signore.
Le prime pagine del GIOVANE PROVVEDUTO proclamano questa esigenza giovanile: «Voglio che siate felici».[4] Quando i salesiani, prolungando il Don Bosco di Valdocco, vivono la carità pastorale e danno origine ad un ambiente di famiglia in cui «si prova il bisogno e la gioia di condividere tutto»,[5] facilitano l'armonia e suscitano nei giovani la domanda sulla felicità.
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Alla base della valutazione positiva della vita quotidiana c'è la continua scoperta dell’evento dell’Incarnazione.
La condizione umana di Gesù rivela che Dio è presente nella vita, e di questo Dio afferma la trascendenza. Gesù-Uomo è il sacramento del Padre, la grande e definitiva mediazione che rende Dio vicino e presente. Egli ci insegna che il luogo per incontrare Dio è la realtà umana: la nostra e quella degli altri, l'odierna e quella storica. «Tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei miei fratelli, lo avete fatto a me».[6] È la vita umana, quindi, che ci immette nell’evento dell’Incarnazione.
La vita, allora, è primariamente «dono» offerto a tutti; dono «misterioso» per le attese che suscita. È come uno scrigno che racchiude significati e orizzonti imprevisti.
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Assumere con coerenza l'aspetto ordinario dell’esistenza; accettare le sfide, gli interrogativi, le tensioni della crescita; cercare la ricomposizione dei frammenti nell’unità realizzata dallo Spirito nel Battesimo; operare per il superamento delle ambiguità presenti nell’esperienza giornaliera; fermentare con l'amore ogni scelta: tutto ciò è il passaggio obbligato per scoprire e amare il quotidiano come una realtà nuova in cui Dio opera da padre.
Nell’amorevolezza del salesiano che con «bontà, rispetto e pazienza»[7] accompagna la costruzione della loro personalità; nell’accoglienza incondizionata della comunità che esprime la sua predilezione per loro,[8] i giovani scoprono un segno di Dio che ama e previene. Nonostante le esperienze negative della paternità o dei rapporti familiari che possono aver vissuto, il cuore nuovo, che si stanno costruendo, li aiuta a guardare il mondo in maniera diversa.
Questo sguardo farà percepire che all'origine della nostra vita, così com'è, con le sue pulsioni e aspirazioni, c'è una chiamata di Dio.
«Amare la vita non frammentata, ma progettata come vocazione, vuol dire ricevere l'appello ad impegnarsi come costruttori di umanità, di giustizia, di pace [...] Amare la vita a grande respiro, aperta alla cultura come agli ideali, alla condivisione e alla solidarietà, capaci di aver coraggio di sognare come Don Bosco mondi nuovi, uomini nuovi».[9]
2. Spiritualità della gioia e dell’ottimismo
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Ciò che appare evidente a Valdocco è la gioia, l'ottimismo la speranza.
Don Bosco è il santo della gioia di vivere suoi ragazzi hanno imparato così bene la lezione da dire con linguaggio tipicamente «oratoriano» che «la santità consiste nello stare molto allegri».[10]
Ai giovani emarginati del suo tempo Don Bosco presentò la possibilità di sperimentare la vita come festa e la fede come felicità.
La musica, il teatro, le gite, lo sport, la quotidiana letizia di un cortile sono stati sempre valorizzati dalla pedagogia salesiana come elementi educativi di primaria importanza. Suscitano numerose energie di bene, che saranno orientate verso un impegno di servizio e di carità.
La festa salesiana non è mai manifestazione di un vuoto interiore alla ricerca di compensazioni; né l'occasione di distrarre dalla realtà spesso dura e perciò da rifuggire.
È invece occasione per costruire amicizia, e sviluppare quanto di positivo c'è nei giovani.
Questo stile di santità potrebbe meravigliare certi esperti di spiritualità e di pedagogia, preoccupati che vengano sminuite le esigenze evangeliche e gli impegni educativi.
Per Don Bosco, però, la fonte della gioia è la vita di grazia, che impegna il giovane in un difficile tirocinio di ascesi e di bontà.
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Don Bosco per tutta la vita indirizzò i giovani sulla strada della santità semplice serena e allegra, congiungendo in un’unica esperienza vitale il «cortile», lo «studio» serio e un costante senso del dovere.
Egli offre oggi, come risposta fedele all'amore gratuito di Dio, una preziosa rilettura del Vangelo, nello spirito delle beatitudini.
Esse manifestano, innanzitutto, chi è Dio per noi e quale dev'essere il nostro impegno di credenti per la costruzione del Regno. Stimolando, poi, a vivere nell’unità la gioia e il dovere, ci insegnano ad assumere, alla sequela di Cristo, la croce, come dimensione pasquale della scelta evangelica e perciò dello sviluppo in umanità seconda la statura di Cristo, morto e risorto.
Al di fuori di un cammino seriamente impegnato, la crescita diventa sempre più difficile. Il salesiano lo ricorderà spesso ai giovani, quando essi avranno l'impressione che ristrutturare la propria vita alla luce del Vangelo richieda il distacco da beni irrinunciabili.
Libertà, giustizia, solidarietà, corporeità molte volte porranno il giovane credente davanti ad un bivio: o stare con il Signore Gesù, accettando il travaglio della fede, oppure scegliere di realizzare la vita al di fuori del suo influsso. È questo un momento cruciale, un passaggio arduo ma necessario, per giungere alla sintesi in cui si sperimenta la fortuna di vivere insieme al Signore della vita e della storia.
Giovanni Paolo II, con felice intuizione, ha definito il luogo della fanciullezza e adolescenza di Don Bosco, il COLLE DELLE BEATITUDINI GIOVANILI: perché da lì parte un messaggio di gioia e di responsabilità per i giovani che guardano a Don Bosco come a padre e maestro.
3. Spiritualità dell’amicizia con il Signore Gesù
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Vivere lo spirito delle beatitudini nello stile di Valdocco è realizzare legami di stretta amicizia tra Gesù e il giovane.
Non ci si contenta più del primo incontro e della simpatia verso il Signore. Si vogliono approfondire la conoscenza e l'adesione alla sua Persona e alla sua causa. Si cerca una risposta concreta al suo amore, ricambiato con impegno e generosità.
I giovani, quando sono giunti a questa relazione con il Cristo Signore, si aprono alla radicalità evangelica.
L'esperienza dell’Oratorio, con la storia personale e comunitaria di Domenico Savio, Francesco Besucco e Michele Magone dice come tutti i giovani possono percorrere la via di questa amicizia con Cristo.
Amico, Maestro e Salvatore sono i termini che descrivono la centralità della persona di Gesù nell’esperienza spirituale dei giovani che vivono lo stile salesiano. La dimensione personale del rapporto «Gesù è mio amico e compagno»[11] dice Francesco Besucco spinge a conoscere la totalità del mistero di Cristo, morto e risorto.
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Preoccupazione costante di Don Bosco fu di educare alla fede, camminando «con i giovani per condurli alla nuovo persona del Signore risorto» affinché... crescessero «come uomini nuovi».[12]
Don Bosco amava ripetere che «l'educazione è cosa di cuore».[13] Anche il cammino della spiritualità richiede un cuore nuovo. Se non si raggiunge questo centro che muove la vita umana, non si realizzerà alcuna conversione profonda e duratura.
A contatto con il Signore Risorto i giovani rinnovano un amore più intenso per la vita. In amicizia con il Signore Risorto si plasmano un «cuore oratoriano», che vibra con la irrequieta sensibilità giovanile e con la forza silenziosa ma efficace dello Spirito Santo.
4. Spiritualità di comunione ecclesiale
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Sorretti da una spiritualità che nasce dal rapporto tra persone che trovano in Cristo un amico comune, i giovani degli ambienti salesiani sentono un grande bisogno di stare insieme. Da amici condividono e celebrano la gioia di vivere, per aiutarsi vicendevolmente. Fanno così l'esperienza di divenire lievito in mezzo agli altri ragazzi e giovani.
Per esigenza naturale, inoltre, organizzano e, in qualche misura, istituzionalizzano l'amicizia creando gruppi collegati ai più vari interessi della loro esistenza: dal gioco alla cultura e all'impegno religioso.
Tra i gruppi, spesso, sviluppano un collegamento, perché si ritrovano a partecipare agli stessi ideali e valori. Si orientano così verso un movimento giovanile ispirato ai tratti spirituali di Don Bosco.
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La relazione personale con il Cristo risorto e l'esperienza di gruppo sfociano in un rapporto filiale con la Chiesa.
Don Bosco fu un uomo di comunione. Insegnò ai giovani a vivere il mistero della Chiesa, che racchiude, nella debolezza dell’umano, la grazia invisibile della presenza di Dio.
La sua personale testimonianza quotidiana e l'ambiente di famiglia che creò all'Oratorio, suscitarono nei giovani il senso della collaborazione e della corresponsabilità.
Anche oggi la diversità di interessi, di doni e di valori che convivono nella comunità educativa sono una testimonianza della presenza del Signore che unisce tutti in un cuor solo e in un’anima sola. Questo spirito di famiglia è segno efficace della Chiesa che si vuole costruire insieme, per un servizio fraterno verso coloro che hanno maggior bisogno.
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La storia dei giovani all'Oratorio, vivente Don Bosco, è ricca di espressioni concrete di amore alla Chiesa.
Infatti, la comunione cerca continuamente di collegarsi con tutte le forze impegnate per la salvezza e per la costruzione del Regno di Dio.
Questa comunione, poi, si esprime nella stima e nella fraternità operativa verso i Pastori e verso quanti cooperano per il bene di tutti, dei giovani in particolare.
Cerca, inoltre, il dialogo e l'intesa con coloro che sono responsabili della pastorale locale, lasciandosi guidare da una matura visione di fede, capace di comprendere e accettare gli aspetti umani della Chiesa, i suoi limiti e le sue carenze.
Si apre, infine, ai problemi dell’uomo e dei giovani che sorgono nei diversi contesti.
La spiritualità si misura e cresce nel confronto con la storia delle persone.
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Sentire come propri i grandi interessi della Chiesa universale, intervenendo in maniera proporzionata alla capacità di ciascuno, rappresenta un impegno costante nella storia salesiana.
Ha il sapore di «grande avventura religiosa» la preparazione della prima spedizione missionaria nella Congregazione. Tutto l'Oratorio, infatti, venne coinvolto, e ciascuno si sentì parte attiva. Fu un’esperienza che sviluppò tra i giovani una viva sensibilità verso la mondialità dell’impegno apostolico.
Tra le componenti di una spiritualità giovanile salesiana ci sono l'amore esplicito al Papa e l'adesione convinta al suo magistero.
La persona del Sommo Pontefice è segno visibile di unità per tutta la Chiesa. È una presenza provvidenziale per il servizio che svolge nel nome di Cristo Signore a favore di tutta l'umanità.
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L'incontro e la relazione con il Cristo risorto si vivono in maniera particolare nella celebrazione dei sacramenti.
La tradizione salesiana riconosce ed afferma la loro importanza nella crescita cristiana dei giovani.
Oggi, poi, seguendo il rinnovamento conciliare, le comunità rivalorizzano i sacramenti dell’iniziazione.
Così il Battesimo, inizio del cammino di educazione alla fede, impegna gli stessi giovani in una catechesi rinnovata e in una testimonianza di vita coerente con la configurazione a Cristo Signore.
Così la Confermazione, sacramento che porta a realizzare la maturità della fede attraverso i doni dello Spirito, assume particolare importanza nell’età giovanile.
La pedagogia della santità in Don Bosco ha evidenziato, però, in modo privilegiato, l'influsso educativo della Riconciliazione e dell’Eucarestia.
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Il sacramento della Riconciliazione, che celebra l'amore di Dio più forte del peccato, fu da Don Bosco presentato ai giovani come una delle colonne fondamentali dell’edificio educativo.
Per questo a Valdocco veniva celebrato frequentemente ed era circondato di particolari attenzioni.
Se ne curava, innanzitutto, la preparazione attraverso un ambiente accogliente, ricco di amicizia e di fraternità. Ciò aiutava i giovani a superare la naturale riluttanza a manifestare i segreti del proprio cuore.
Lo si voleva, poi, orientato alla vita: doveva, cioè, migliorare i rapporti interpersonali; creare le condizioni per un impegno più manifesto nel compimento dei propri doveri; sostenere la conversione e il rinnovamento del cuore, perché il giovane potesse «darsi a Dio» con un proposito efficace.
Infine, si prolungava nella direzione spirituale, per rinforzare l'adesione al Signore, e nell’incontro fraterno con l'educatore attraverso la condivisione gioiosa della vita.
I frutti educativi del sacramento della Riconciliazione sono molti.
I giovani sostenuti dall'amore che comprende e perdona trovano la forza per riconoscere il proprio peccato e la propria debolezza, bisognosa di sostegno e di accompagnamento. Imparano a resistere alla tentazione dell’autosufficienza. Offrono il perdono come ricambio della riconciliazione ricevuta. Si educano al rispetto delle persone. Si formano una coscienza retta e coerente.
Il regolare ricorso al sacramento della Riconciliazione dà efficacia al processo di conversione e di rinnovamento.
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La celebrazione dell’Eucarestia preparata attraverso un clima di solidarietà e di amicizia è vissuta come un incontro festivo, pieno di simboli ed espressioni giovanili.
È celebrazione gioiosa della vita.
Diventa così per i giovani un significativo momento di crescita religiosa.
La si chiama seconda colonna dell’edificio educativo nel sistema salesiano. Dall'Eucarestia, infatti, il giovane apprende a riorganizzare la sua vita alla luce del mistero di Cristo che si dona per amore.
Impara a sottometterla, prima di tutto, alle esigenze della comunione, vincendo egoismi e chiusure.
È portato a ricercare, poi, la donazione generosa di sé, aprendosi alle necessità dei compagni e impegnandosi nelle attività apostoliche, adeguate alla sua età e maturazione cristiana.
L'Eucaristia diventa, così, per lui una fonte di energie nuove per crescere nella grazia. «L'educazione al vero amore passa attraverso l'Eucarestia».[14]
La tradizione salesiana ricorda un’altra espressione tipica di rapporto con la persona del Signore Gesù: la visita e la preghiera davanti al SS. Sacramento. Nella parola di Don Bosco spesso ritorna il richiamo alla «visita» come mezzo per esprimere a Dio il «grazie» per i doni dell’esistenza.
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La preghiera, fatta con stile salesiano, presenta alcune caratteristiche particolari.
È la preghiera del buon cristiano, semplice e popolare: affonda le sue radici nella vita. Ama il clima festoso degli incontri tra giovani, ma sa trovare anche il momento per un dialogo personale con il Signore. Si esprime con formule brevi e spontanee, ricavate dalla Parola di Dio e dalla liturgia.
Ogni generazione è chiamata ad inventare la sua preghiera, in fedeltà alla tradizione e nel coraggioso confronto con la cultura e i suoi problemi.
Per questo, la preghiera salesiana sa accettare le nuove modalità che aiutano i giovani a incontrare il Signore nella vita quotidiana. E', cioè, flessibile e creativa, attenta agli orientamenti rinnovatori della Chiesa.
Don Bosco usava più spesso il termine «pietà» che non quello di «preghiera».
La pietà esprime la coscienza di essere immersi nella «paternità di Dio» e guarda, più che alle parole, ai gesti dell’amore di chi cerca di piacere in tutto al Signore.
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La spiritualità giovanile salesiana dà un posto privilegiato alla persona di Maria.
Don Bosco fin dall'inizio della sua vocazione, nel sogno dei 9 anni, la ricevette come guida e sostegno.[15] Con il suo materno aiuto compì il disegno che il Signore aveva sulla sua vita. Al termine della sua fatica potè affermare con verità: «Tutto ha fatto Maria».[16]
A contatto con la comunità salesiana i giovani imparano a guardare a Maria come a colei che «infonde speranza»[17] e suggerisce loro alcuni atteggiamenti tipicamente evangelici: l'ascolto, la fedeltà, la purezza, la donazione, il servizio.
I giovani vivono tutti certi tempi difficili di trasformazione ma anche di entusiasmo, per la novità che li attende e che desiderano con tutte le loro forze.
Maria, invocata e onorata con il titolo di «Ausiliatrice», è per loro «segno di certa speranza e di consolazione».[18]
Quando giungono ad una devozione mariana motivata, i giovani che vivono nell’ambiente salesiano scoprono gli orizzonti verso cui li sospinge l'Ausiliatrice: un ardente zelo apostolico nella lotta contro il peccato e contro una visione del mondo e dell’uomo contraria alle beatitudini e al «comandamento nuovo».
5. Spiritualità del servizio responsabile
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Il giovane credente, spinto dallo Spirito, è a servizio dell’uomo, come la Chiesa, esperta in umanità.
Il servizio misura il cammino della spiritualità.
Don Bosco, padre e maestro della gioventù, richiedeva ai suoi giovani di diventare «onesti cittadini e buoni cristiani». La sintesi dei due elementi è il frutto più maturo della spiritualità giovanile. La semplicità della formula nasconde la fatica da compiere e l'impegno mai completamente realizzato.
Essere onesto cittadino comporta oggi per un giovane promuovere la dignità della persona e i suoi diritti, in tutti i contesti; vivere con generosità nella famiglia e prepararsi a formarla su basi di reciproca donazione; favorire la solidarietà, specialmente verso i più poveri; sviluppare il proprio lavoro con onestà e competenza professionale; promuovere la giustizia, la pace e il bene comune nella politica; rispettare la creazione; favorire la cultura.[19]
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La storia dei giovani all'Oratorio, vivente Don Bosco, è ricca di questo apprendistato della vita cristiana: essere al servizio degli altri, in maniera ordinaria e in forme talvolta straordinarie.
Oggi si aprono al giovane nuovi campi di servizi. C'è l'animazione educativa e culturale nel territorio, per vincere l'emarginazione e diffondere una cultura di partecipazione; c'è il volontariato civile e missionario, per collaborare con altri organismi alla promozione umana e all'evangelizzazione.
L'amore alla vita, nel segno dello Spirito, e nello stile di Don Bosco, sa trovare strade adeguate per venire incontro alle migliori energie del mondo giovanile.
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Molti giovani sono ricchi di risorse spirituali, presentano germi di vocazione apostolica e giungono fino a far maturare l'incontro e la simpatia iniziale per don Bosco in volontà di donarsi per continuare la sua missione.
La conoscenza dei problemi quotidiani che i propri compagni vivono, trova in molti giovani una prima risposta d’intervento educativo.
Molte vocazioni nascono, di fatto, da una felice esperienza di servizio in un quartiere, in rioni poveri, in una catechesi all'Oratorio, nella visita agli infermi, negli impegni di volontariato e di educazione. I giovani si domandano: «In quali spazi sociali ed ecclesiali mi inserirò per esprimere il mio amore alla vita e al Signore della vita?»
È certa per alcuni la chiamata alla famiglia e a una professione, vissute come servizio responsabile alla Chiesa e agli uomini. Per altri è sempre più evidente la scelta del sacerdozio e della vita religiosa.
Tutti, in ogni caso, guidati dallo Spirito del Signore e animati dai valori della spiritualità salesiana, accolgono e vivono la propria esistenza come vocazione.
NOTE
[1] MB 1, 125
[2] Cf. MB 5, 526: «Non voglio abbandonare Don Bosco; voglio restare sempre con lui». Cf. anche MB 6, 334-335
[3] Cf. MB 17, 111
[4] Cf. MB 3, 9: «Voglio insegnarvi un metodo di vita che vi possa... rendere allegri e contenti»
[5] Cost. 16
[6] Cf. Mt 25,40
[7] Cost. 15
[8] Cf. Cost. 14
[9] Il Rettor Maggiore al Confronto DB 88
[10] MB 5, 356
[11] Cf. G. BOSCO, Il pastorello delle Alpi, Torino 1864, p. 158, in G. BOSCO, Opere edite, vol. XV, [400]
[12] Cf. Cost. 34
[13] MB 16, 447
[14] E. Viganò, ACG n. 327, p. 13
[15] Cf. Cost. 8
[16] Cf. nota 21
[17] Cf. Cost. 34
[18] LG 68
[19] Cf. ChL 37 e 44