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    Una comunità educativa che accoglie e responsabilizza (libro "Scommettiamo nell'educazione")


    CSPG, Scommettiamo nell'educazione, Elledici 1988

     

    Una comunità educativa che accoglie e responsabilizza
    Severino De Pieri
    (pp. 151-160)

    La comunità è il luogo privilegiato dove la persona può attuare il progetto di sé e sviluppare nel massimo grado la solidarietà e la partecipazione. Questo, tuttavia, è un ideale difficile, sovente irraggiungibile.
    Oggi da ogni parte è sentita l'esigenza della comunità, ma in pari tempo assistiamo al disagio di individui che sovente non riescono ad inserirsi o vengono emarginati.
    Ciò dipende forse dal fatto che non è stato ancora sufficientemente analizzato e risolto il problema del rapporto persona-comunità, e ciò è fonte di disagio o di disadattamento. C'è, infatti, un rapporto tendenzialmente conflittuale tra le esigenze della persona e quelle della comunità.
    Si tratta di armonizzare due aspetti complementari di una stessa realtà, senza pregiudicare nessuna delle due componenti.

    IL DIFFICILE RAPPORTO «PERSONA-COMUNITÀ»

    Recentemente qualche tentativo di mediazione è avvenuto attraverso l'esperienza dei «piccoli gruppi», che hanno avuto il pregio di maturare la socialità salvaguardando l'autonomia delle persone. Ma i piccoli gruppi sono sorti spesso come risposta a frustrazioni affettive e di solito hanno sviluppato una dinamica fortemente accentratrice e selettiva. In altre parole, il gruppo quasi inevitabilmente accoglie gli omogenei ed emargina i diversi.
    Nella comunità, invece, tutti dovrebbero trovare accoglienza, anche i diversi, gli immaturi, gli svantaggiati, i non realizzati. La costruzione della comunità resta dunque un obiettivo di primaria importanza nel nostro tempo, in quanto essa sola può consentire lo sviluppo e l'inserimento di tutti senza discriminazioni.
    Forma comunità un insieme di persone che vivono rapporti più o meno intensi di relazione reciproca e di solidarietà, inserite in un determinato contesto-ambiente dove vengono assimilati e vissuti valori e modelli di comportamento. In essa la persona, maturando, passa dalla relazione «io-tu» al «noi», attraverso un progressivo processo di identificazione con persone o gruppi di riferimento.
    Anche quando viene raggiunto nella coscienza collettiva, il «noi comunitario» può essere ambivalente, potendo cioè chiudere o aprire l'individuo alla società.
    Ad un grado più alto, oggetto di una scelta più cosciente e pertanto possibile a persone affettivamente mature, la coesione comunitaria è motivata da interessi comuni, dalla ricerca cioè di un fine. Questo obiettivo reca ai membri una gratificazione maggiore di quella semplicemente affettiva, ma non basta da solo a mantenere il legame comunitario.
    La comunità si fonda, perciò, anche su valori ideali, comunemente accettati, condivisi e vissuti, elementi tutti che costituiscono gli obiettivi dell'educazione alla comunità.
    A questo riguardo ci sembra di poter dire che occorre un dosaggio equilibrato di tutti questi fattori per garantire una buona dinamica comunitaria.

    Tre «immagini-guida» di comunità

    Possiamo individuare tre «immagini-guida» che hanno il potere di orientare in senso dinamico e profondo il sorgere e l'evolversi delle comunità.
    - La prima «immagine» è la famiglia: la comunità familiare risponde principalmente ad alcune istanze affettive e sessuali dei membri, ma può rappresentare il rischio della chiusura e delle disparità di rapporto fra i membri.
    - Oggi molti preferiscono l'«immagine» del gruppo: in esso la spinta comunitaria ha il pregio di trovare coesione e maggiore autonomia tra i membri, ma l'immagine «gruppo» può correre anche il rischio di creare nella comunità uno spirito di ghetto e di intolleranza.
    - Sta perciò emergendo una terza istanza che mira a costituire in senso maturo la comunità, ed è l'ideale della convivenza pluralistica. Questa concezione oggi è avvertita da molti, specialmente dai giovani, che sono sollecitati ad integrare con maggiore completezza l'esperienza dei piccoli gruppi.
    Ma per realizzare ciò occorre conquistare una maturità non facile e non comune attraverso l'educazione al vivere comunitario.

    CRISI DELLA VITA COMUNITARIA OGGI

    Si afferma sovente che l'educazione passa attraverso la comunità. Ma è giusto chiedersi: quale comunità? È certamente quella più ampia, del contesto sociale ed ecclesiale in cui i valori umani ed evangelici sono finalizzati alla crescita armonica dei singoli e della collettività.
    Al riguardo, oggi, la situazione appare però difficile e problematica.

    Ambivalenza del bisogno di comunità tra i giovani

    La ricerca di comunità presente tra i giovani d'oggi contiene aspetti positivi, ma è anche carica di rischi e distorsioni. In altri termini, è una domanda ambivalente: essa è simultaneamente appello dello Spirito e bisogno di comunione, ma anche ricerca intimistica e tentazione di fuga nel ghetto.
    Oggi l'analisi sociologica appare impietosa verso questo bisogno, inteso sovente come tendenza securizzante e ricerca di rifugio e iperprotezione.
    Gli stessi che hanno fatto l'esperienza dei gruppi e della vita associata, oggi hanno sovente perduta ogni illusione solidaristica.
    Con il «riflusso» molti adulti e giovani vivono un ripiegamento su se stessi, un'improvvisa necessità di «riscoprirsi come persone», di affrontare temi e problemi che riguardano l'individuo, le sue aspettative, i suoi bisogni e - soprattutto - l'immediata realizzazione dei medesimi.
    La ricerca di una migliore «qualità della vita» si trasferisce nell'esigenza di vivere meglio nell'«oggi», di risolvere subito il proprio malessere, e si accompagna al rifiuto di rinunce a sacrifici individuali in un recente passato finalizzati alla liberazione collettiva.
    Il bisogno di benessere psichico sale così al primo posto per larghi strati di giovani e di adulti d'oggi. E quella parte di generazione in cui la malinconia ha preso il posto dell'irrequietezza, la ricerca religiosa si fissa sovente nell'immaginario collettivo come rimedio alla sofferenza e allo smarrimento, e come aspettativa di certezze e rassicurazioni, con vistosi ritorni di magia e superstizione.

    Crisi di comunità e bisogno di comunione

    Lo scadimento dei rapporti interpersonali raggiunge oggi livelli inquietanti. Da ogni parte è sentito il bisogno di comunione. Ma le strutture comunitarie si rivelano sempre più inadeguate.
    Ecco alcune tra le principali difficoltà che rendono difficile o problematica la vita comunitaria:
    - la difficoltà sul consenso del vivere insieme: questo fondamento oggi viene posto in certo qual modo in discussione dal pluralismo, non sempre correttamente inteso;
    - la difficoltà di assumere un compito che trascende le attese e le esigenze personali dei membri: si assiste ad un rigurgito dell'«autorealizzazione», invocata come prioritaria sul servizio e la solidarietà;
    - la difficoltà di comunicare, con situazioni di chiusura e solitudine all'interno della comunità: senza una ristrutturazione delle comunità anche l'appello al dialogo rischia di restare illusorio;
    - l'eccesso di operatività, con un carico di impegni superiore alle possibilità personali e alle risorse di gruppo;
    - l'accresciuta domanda di autonomia dei membri, attraverso soprattutto la progressiva specificazione dei ruoli che rende ardua l'intercambiabilità e la mobilità culturale.

    EDUCAZIONE E «CLIMA» DI FAMIGLIA

    L'educazione si propone la formazione integrale della persona che è essenzialmente aperta alla relazione interpersonale e comunitaria.
    L'educazione promuove pertanto una vera «cultura di comunione» come presupposto per la costruzione della comunità in un determinato contesto sociale e ambientale.
    Si tratta di acquisire atteggiamenti e valori che aprano la persona al senso degli altri e della storia, quali l'accoglienza, l'attitudine al pensare insieme, a condividere gli impegni comuni e le forme di intervento necessarie, superando visioni autonome e settoriali, senza cadere nel genericismo o nel relativismo.
    A questo proposito si rendono necessari alcuni «pre-requisiti» da conseguire nella educazione al vivere comunitario: l'attenzione e l'apertura all'altro, la capacità di ascolto, l'accoglienza in profondo della persona con i suoi valori e disvalori, l'attitudine al dialogo, alla comprensione, la donazione di sé nell'amicizia e nella solidarietà, la partecipazione e la corresponsabilità.

    Il «clima di famiglia» nell'educazione: l'esperienza salesiana

    Sono questi gli impegni, ancora largamente disattesi, di una pedagogia della comunità da promuovere per il nostro tempo, soprattutto nell'educazione dei giovani.
    Il primo ambiente in cui avviene l'educazione della persona ed anche la sua formazione alla vita di comunità è la famiglia. Questa istituzione, nonostante la crisi che attraversa, resta indispensabile per la costruzione della persona e delle comunità. La famiglia, comunità essa stessa, è mediazione privilegiata per l'educazione alla vita comunitaria in senso più valido ed esteso.
    In essa i valori vengono trasmessi in maniera non solo cognitiva, ma soprattutto affettiva ed esperienziale.
    Questa modalità, nativa e primordiale, costituisce il cosiddetto «clima di famiglia», l'insieme cioè di elementi e caratteristiche chiamate a far parte di ogni relazione e intenzionalità educativa.
    La comunità, quando si propone intenti educativi e, perciò, diviene «comunità educativa», mutua dall'esperienza familiare soprattutto il «clima» educativo che la caratterizza, inserendolo tra gli elementi costitutivi della sua efficacia formativa.
    Una tipica attuazione storica di questa modalità la troviamo - tra l'altro - nella pedagogia salesiana e nel «sistema preventivo» di don Bosco che sintetizza, al riguardo, secolari intuizioni umane e cristiane.
    Tale sistema pedagogico «preventivo» si contrappone ai sistemi repressivo e permissivo con quelli che sono considerati i suoi pilastri: «la ragione», «la religione», «l'amorevolezza», «l'assistenza-presenza» dell'educatore.
    Per don Bosco il «sistema preventivo» è fondato sull'amore che si dona gratuitamente ai giovani per accompagnarne la crescita, facendo appello non alle costrizioni ma alle risorse dell'intelligenza, del cuore e del desiderio di Dio che ogni uomo porta nel profondo di se stesso. Associa in un'unica esperienza di vita educatori e giovani, in un clima di famiglia, di fiducia e di dialogo. Imita la pazienza di Dio, incontrando i giovani al punto in cui si trova la loro maturità e la loro libertà. Li accompagna perché sviluppino solide convinzioni e siano progressivamente responsabili nel delicato processo di crescita della loro umanità e della loro fede.
    Su questo metodo, o sistema o stile, don Bosco ha giocato tutta la sua vita, e da esso hanno preso forma le opere di ingegno e di cuore che ha generato con la sua paternità. Egli l'ha consegnato alla storia, e molti, che lo hanno assunto come riferimento per la prassi educativa, si rendono conto che è atto a costruire l'uomo integrale, a formare l'onesto cittadino e il cristiano impegnato.
    In particolare, nella pedagogia di don Bosco, è l'«amorevolezza» l'elemento più caratterizzante. L'amorevolezza trasforma il rapporto in un'intesa immediata e l'ambiente di educazione in una famiglia; per questo è considerata come principio informatore del sistema preventivo, come l'anima di esso. Tutti i problemi della pedagogia sono risolti da don Bosco alla luce della pedagogia del cuore.
    Ogni atto educativo è tale se permeato di carità e di amore, perché «l'educazione è cosa di cuore».

    LA «PREVENZIONE» IN AMBITO EDUCATIVO COMUNITARIO

    Prevenire non è tanto impedire, preservare o proteggere, quanto creare «difese interiori» (personali e comunitarie) attraverso l'offerta di un ambiente ricco di valori educativi e l'appello alla libertà e alla responsabilità.

    Prevenzione come itinerario dall'identificazione all'identità

    Un concetto cosí inteso di «prevenzione» amorevole, critica e creativa, viene assunto dalla comunità educativa che lo applica alle esigenze delle diverse fasi dell'età evolutiva.
    Trattandosi di soggetti in cammino verso la maturità, ancora non i autonomi e bisognosi di guida e controllo, sostegno e stimolo, la comunità educativa diviene per essi il luogo idoneo ad assicurare - nel tempo dello sviluppo - una necessaria piattaforma di identificazione.
    Nel cammino verso l'identità personale e sociale gli educandi, con l'aiuto della comunità educativa che attua il sistema preventivo, assimilano modelli di comportamento e sistemi di valore, maturano atteggiamenti e pervengono a decisioni progressivamente più autonome, libere e responsabili.
    Il metodo preventivo permette dunque, attraverso un itinerario lungo e complesso, di passare dall'identificazione all'identità.
    Oltre alla relazione educativa interpersonale, divengono perciò necessari un ambiente educativo comunitario e la proposta educativa da parte di educatori che instaurano rapporti ispirati all'amorevolezza e allo spirito di famiglia.

    Alternativa ad atteggiamenti di permissività, repressione e iperprotezione

    La prevenzione, attuata dalla comunità educativa, si pone in alternativa e contrasto nei confronti di atteggiamenti educativi profondamenti errati e nocivi.
    Ai nostri giorni, nella società occidentale, viviamo in un clima sempre meno ispirato alla repressione e sempre più incline alla permissività, con un ricorso quasi generalizzato all'iperprotezione, specialmente materna. E ciò avviene non solo in famiglia, ma anche in altre istituzioni educative.
    C'è il rischio che anche la comunità educativa, all'insegna di un malinteso concetto di prevenzione, assuma atteggiamenti inautentici di accoglienza passiva ed anche di iperprotezione.
    Sussiste il pericolo che la stessa permissività finisca per trasformarsi in una sottile e inedita forma di repressione educativa, inibendo l'espansione delle potenzialità personali nella crescita.
    Ci sono oggi degli indizi che possono segnalare la presenza di questi rischi anche nella comunità educativa.
    A titolo di esemplificazione possiamo accennare ad ambienti comunitari (gruppi, comunità, istituzioni) carenti di progetto educativo, esposti alle mode e ai condizionamenti culturali, non aperti alla realtà sociale, non inseriti nel territorio, chiusi dentro una monocultura integralista e di élite, ancorati al passato, dominati dalla paura del nuovo e del futuro, non di rado plagiati da leaders carismatici, e più sovente orientati al consumo di esperienze emozionali che sospinti all'elaborazione di una cultura critica e alternativa.

    L'equilibrio tra funzione materna e paterna nel sistema preventivo

    La «prevenzione», che attraverso l'identificazione conduce all'identità, richiede - sia nella famiglia che nella comunità educativa - l'equilibrio tra la funzione materna e paterna nell'educazione.
    Sarebbe infatti un errore collegare «amorevolezza» con funzione materna e «ragione» con funzione paterna.
    Nel sistema preventivo «l'amorevolezza» è nell'ordine del metodo, mentre «ragione» e «religione» sono nella linea dei contenuti.
    La funzione materna e paterna rappresentano due modalità interagenti e complementari nell'attuazione di tutte le componenti del sistema preventivo.
    In passato si collegava facilmente funzione paterna con autoritarismo e, più recentemente, funzione materna con iperprotezione. Non entriamo in merito alle ragioni sociali e culturali che nel nostro secolo hanno condotto a questa distorsione.
    Riteniamo invece necessario equilibrare il rapporto tra le due funzioni, pur attribuendo a ciascuna di esse lo specifico che loro compete.
    In altri termini, alla figura paterna, connessa con il modello e l'identità maschile, competerebbero più agevolmente i tratti non solo dell'intraprendenza e dell'attività, ma anche del controllo e dello stimolo sul processo educativo.
    Alla figura materna, connessa con il modello e l'identità femminile, sarebbero più congeniali non solo il sentimento e la delicatezza, ma soprattutto la comprensione e il sostegno.
    Il dibattito e le ricerche attuali su tale questione documentano la caduta degli stereotipi del passato circa la funzione paterna e materna fortemente distinte e contrapposte, e - pur conservando i tratti del modello e le funzioni del ruolo - assegnano tali funzioni alla diade padre-madre in quanto tale, nella sua unità di influsso educativo.
    Il discorso è estensibile anche alla comunità educativa, dove - nella compresenza di figure e modelli educativi di entrambi i sessi - viene richiesta una maggiore integrazione tra le funzioni paterna e materna, anche in rapporto all'attuazione del sistema preventivo.

    COMUNITÀ RESPONSABILIZZANTI E PARTECIPAZIONE AI PROCESSI DECISIONALI E OPERATIVI

    La comunità educativa associa in un'unica esperienza dinamica educatori e giovani.
    La relazione educativa che si instaura, nel contesto di un'esperienza di vita mediatrice di valori, è «asimmetrica», perché - pur richiedendo la reciprocità - non è mai una relazione alla pari, in quanto gli interlocutori sono differenti per età, cultura, formazione e soprattutto ruoli.
    È una relazione «comunicativa» non tanto di parole quanto di esperienze che si trasformano in messaggi, in modo tale da dare spessore concreto e vitale all'intenzionalità sottesa e ricercata in ogni comunicazione educativa.
    Per questo la comunità è pluriforme quanto ai membri che la compongono, gioca il tutto di se stessa nella finalità che intende conseguire, e mira a divenire - anche sotto il profilo esistenziale e simbolico - una struttura di comunione che si fa testimonianza e annuncio.

    I protagonisti e i ruoli della comunità educativa

    In primo luogo la comunità educativa è la comunità dei giovani, animati dagli educatori.
    La centralità dei giovani non si giustifica solo per il fatto che l'intenzionalità educativa è per loro, ma che essa si compie solo con loro e per mezzo di loro.
    La crescita verso l'autonomia, la libertà e la responsabilità richiedono l'opera di molti educatori, chiamati - a diverso titolo - a svolgere un ruolo di animazione e di comunicazione: anzitutto i genitori, primi e principali responsabili dell'educazione dei figli, quindi gli insegnanti, gli animatori, gli educatori, ecc.
    In un'esperienza educativa come quella salesiana, in cui è presente un'istanza connessa al particolare carisma di don Bosco, la comunità dei salesiani rappresenta il nucleo centrale di questa animazione che si allarga e coestende ai collaboratori laici, ai genitori, ai diversi organismi ecclesiali e sociali dove si situa l'esperienza educativa a livello locale e territoriale.
    La distinzione di ruolo non crea subordinazione, ma richiede l'interscambio e la reciproca collaborazione. Ciò fonda livelli diversi di partecipazione e di corresponsabilità.

    I traguardi della corresponsabilità e della partecipazione

    Nella comunità anche gli educatori sono chiamati a crescere con i giovani. Ciò comporta in essi duttilità evolutiva, accoglienza della diversità, coinvolgimento dei giovani nel processo educativo.
    I giovani non sono più «destinatari» dell'educazione, ma protagonisti e partecipi di tutto il processo educativo, con una gradualità e una espansione rapportate alla loro progressiva crescita di autonomia e responsabilità.
    L'appello alla corresponsabilità non avviene perciò sotto forma didattica, attraverso una comunicazione cognitiva, ma in maniera esperienziale mediante il coinvolgimento: la corresponsabilità richiede perciò strutture, organismi e iniziative di partecipazione e decisionalità (a cominciare dall'impegno a programmare insieme e a gestire insieme momenti educativi).
    Consapevoli delle enormi difficoltà che questo ideale di comunità educativa comporta, riteniamo che il tempo attuale richieda una sperimentazione di modelli non più affidata allo spontaneismo, ma seriamente fondata e verificata su base progettuale.

    Alcuni indici di «maturità comunitaria»

    Tentiamo ora di individuare alcuni indici che dovrebbero caratterizzare la maturità comunitaria, allo scopo di orientare il processo di acquisizione e di sviluppo della libertà e della responsabilità.
    La maturità comunitaria consiste nella capacità di stare insieme e di collaborare, consentendo a ciascuno la propria autonomia.
    Si tratta, in altri termini, di riuscire ad armonizzare l'unità degli intenti comuni con la varietà degli apporti personali.
    Ecco alcuni indici che caratterizzano la maturità comunitaria:
    - il consenso sugli obiettivi comuni: a ciascuno è richiesto di consentire su alcuni obiettivi «minimali» che rispondono alle attese di tutti, senza esasperare unicamente i propri punti di vista;
    - la partecipazione alle attività di programmazione in tutti i modi in cui ciò è possibile, ad esempio mediante assemblee, comitati, consigli e simili;
    - l'accettazione della legge della gradualità nell'attuazione di quanto inteso e programmato: diversamente con la legge del «tutto o niente» si ottiene quasi sempre l'effetto contrario, ossia la distruzione della comunità;
    - la reciproca tolleranza nelle opinioni divergenti o alternative, accettando senza isterismi il canone della maggioranza, anche se bisogna riconoscere che questa va continuamente maturata in senso critico e innovativo.
    Come si vede, la comunità ha bisogno dell'apporto di persone mature.
    Queste recano il contributo della propria esperienza, ma soprattutto la ricchezza del proprio equilibrio.
    È un apporto quasi vitale, fatto di presenza attiva, serenità, stimolo, sostegno affettivo, rinnovamento.
    La sicurezza con cui persone mature realizzano il progetto di sé contribuisce automaticamente ad attuare anche il progetto di comunità.
    È questo il compito che si prefiggono le varie istituzioni educative, le quali contano - per la trasmissione dei valori - sulla testimonianza e sull'esperienza vissute da animatori che si sforzano di essere anche modelli di comportamento.


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