CSPG, Scommettiamo nell'educazione, Elledici 1988
Orizzonti di passato, presente, futuro
Egidio Viganò
(pp. 33-40)
Il tema di questo intervento potrà sembrare strano o generico: orizzonti. È possibile certo sbizzarrirsi a piacimento; ma i lunghi viaggi che mi hanno portato in altri paesi e continenti per le celebrazioni del centenario di don Bosco e il mio ministero di animatore salesiano rinchiudono l'ampio spazio dell'orizzonte entro limiti circoscritti: la figura di don Bosco, il suo significatò per l'oggi. L'orizzonte comporta infatti un tratto di cielo e di superficie terrestre che si incontrano lontano e circoscrivono lo sguardo, mentre possono suggerire riflessioni profonde.
È famoso l'«Infinito» di Leopardi che spingeva il suo pensiero oltre la siepe dell'ermo colle che «dall'ultimo orizzonte il guardo esclude», mentre lo stormire del vento e l'infinito silenzio annegano il suo spirito in meditazioni sull'eterno e sul susseguirsi delle stagioni, così da esclamare: «e il naufragar m'è dolce in questo mare».
Io non desidero di certo far «naufragare» i lettori; invito solo a riflettere su alcuni orizzonti che si possono vedere nell'opera di don Bosco. Sono orizzonti geografici, orizzonti storici, orizzonti profetici.
ORIZZONTI GEOGRAFICI
Sono gli orizzonti del presente.
Iniziamo con uno sguardo a volo d'uccello sulla mappa delle opere salesiane nel mondo.
Alla morte di don Bosco (1888) le opere dei Salesiani erano 59 e 50 quelle delle Suore salesiane; oggi sono rispettivamente 1536 e 1478.
Nel 1888 i Salesiani erano 1049 e le Suore 393; oggi sono rispettivamente 17.618 e 17.203 (per un totale di 34.821).
Le nazioni in cui sono presenti i Salesiani sono 94 (e per le Suore 72): e in particolare 32 paesi dell'Africa, 24 paesi dell'America, 19 paesi dell'Asia, 3 nell'Australia e Oceania, 20 paesi nell'Europa.
Questi orizzonti geografici fanno percepire concretamente quello che Paolo VI ha chiamato «fenomeno salesiano» nell'ultimo secolo della storia della Chiesa.
Così la missione di don Bosco comporta oggi una presenza tra la maggior parte dei popoli, che si caratterizza:
- per la sua internazionalità e universalità;
- per la tendenza preferenziale verso il Terzo Mondo;
- per l'inserimento nelle culture popolari;
- per il coinvolgimento del laicato (cooperatori ed ex-allievi);
- per l'incremento delle vocazioni autoctone;
- per l'unità di spirito e di missione in armonia con una pluriformità di culture e di condizioni sociali e politiche.
ORIZZONTI STORICI
Sono gli orizzonti del passato.
Prendendo a riferimento l'ambiente sociale e ecclesiale del Piemonte e dell'Italia che ha influito sulla mentalità e vita di don Bosco, possiamo determinare quattro tappe con differenti incisività.
Anzitutto l'occupazione napoleonica, immediatamente anteriore alla sua nascita. Significa per il Piemonte l'importazione della Rivoluzione francese con resistenze e adesioni: tempi nuovi di libertà e democrazia.
Segue il periodo della Restaurazione dopo il trattato di Vienna (1815-1848): è contrassegnato dal contro-attacco alla Rivoluzione francese considerata come profanazione dei troni e degli altari tradizionalmente uniti. Don Bosco si forma in questo periodo: in un seminario-convitto con formazione rigida (conseguenza del giansenismo); a Torino, però, nel Convitto-pensionato per i neosacerdoti acquisisce orientamenti pastorali sotto l'influenza della teologia morale di S. Alfonso, ha come modelli S. Francesco di Sales e S. Carlo Borromeo, e la preziosa direzione spirituale di don Cafasso, mentre raggiunge una chiara decisione vocazionale per la gioventù povera e abbandonata, e incomincia l'iniziativa degli Oratori.
Successivamente si ha il travagliato periodo del Risorgimento (1848-1870) per l'unificazione d'Italia, con clima rivoluzionario e patriottico animato da movimenti liberali-laicisti, massonici, anticlericali; con un clero maggioritariamente ancorato a posizioni conservatrici, senza molto discernimento dei segni dei tempi. C'è però anche una intensa attività spirituale al di là del positivismo e dell'agnosticismo crescenti (apparizioni della Madonna - La Salette, Lourdes, Spoleto -; grande fioritura di santi e beati - in Piemonte tra la fine del 700 e l'inizio dell'800 ne fioriscono più di sessanta, e si fondano sette istituti maschili di vita apostolica e quaranta femminili): Daniel Rops parla di un «revival spirituale di cui quasi non si conosce un fenomeno equivalente lungo i secoli».
Il quarto periodo, dal 1870 al 1890, dopo la presa di Roma, vede il difficile caso di coscienza dei cittadini cattolici, ed è un periodo in cui si esasperano negativamente le relazioni tra Stato e Chiesa, si intensifica il fenomeno dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione, e incomincia a spuntare un cristianesimo sociale per tempi nuovi. Don Bosco è già anziano e ammalato, ma aperto alle nuove realtà, fonda i Cooperatori salesiani (1876); e don Rua, suo successore, si impegnerà attivamente nell'Opera dei Congressi (tra i primi cristiani sociali si conterà il cooperatore salesiano Giuseppe Toniolo).
Questi orizzonti storici, qui per necessità appena tratteggiati, fanno percepire, da una parte, il tramonto di una cultura e mentalità comuni negli ambienti ecclesiastici dell'epoca; dall'altra, la duttilità in don Bosco alle ispirazioni dello Spirito Santo presente nei tempi. Così segna un cammino di futuro sia nella fondazione della sua congregazione, sia nell'educazione dei giovani per la società concreta, sia nell'opera delicata di mediazione tra Stato e Chiesa, sia nel tipo di fedeltà al Papa, sia nella volontà di collaborazione concreta ai risultati del Concilio Vaticano I (1870), sia di impegno per le vocazioni alla vita sacerdotale e consacrata (se si sommano i sacerdoti diocesani e poi i religiosi e le religiose da lui in qualche modo avviati, si arriva alla cifra sbalorditiva di 6000: cf MB 5,412), sia di rinnovato culto alla Madonna come Ausiliatrice Madre della Chiesa, sia infine con intuizioni e audaci iniziative educative e pastorali a favore della religiosità popolare.
Mi piace ricordare qui un'affermazione del Prof. Pietro Scoppola nel discorso commemorativo al Teatro Regio di Torino il 30 gennaio 1988: «L'opera di don Bosco, come a mio avviso quella di Giovanni XXIII, si colloca fuori della coppia ideologica 'moderno-antimoderno', che ha tanto profondamente travagliato e diviso il cattolicesimo europeo dopo la Rivoluzione francese. La sua è una modernità esistenziale e vitale, priva di connotazioni ideologiche; è una capacità di cogliere, negli eventi, tutto quanto di positivo essi possono offrire. Ma proprio perché vitale ed esistenziale è una vigorosa modernità».
ORIZZONTI PROFETICI
Sono gli orizzonti del futuro.
Don Bosco appartiene certo al suo tempo con tutto ciò che ha avuto di caduco, ma quanto più lo si storicizza con oggettiva serietà, più emerge il segreto della sua forte attualità e universalità.
Si percepiscono in lui grandi doni di intuizione e di creatività, più in là delle sue pur notevoli doti naturali, come se fosse stato catturato dallo Spirito Santo che lo voleva guidare su sicure prospettive di futuro.
La sua inesauribile capacità d'inventiva unita alla costante volontà di dar risposta agli eventi ce lo presenta come un precursore profetico. Mi trattengo brevemente su alcune piste di valori che possono illuminare i suoi orizzonti profetici.
Un costante impegno per una ortoprassi cristiana
Don Bosco è stato un pragmatico, non un teorico. Negli studi preferiva la storia, nella pastorale preferiva l'azione, traduceva la spiritualità in lavoro, nel fare il bene cercava l'organizzazione, apprezzava le scoperte della scienza e si preoccupava di usare la tecnica, nelle sue risposte operative partiva dalle domande esistenziali di vita.
Il capolavoro che lo identifica è l'Oratorio.
Prima ancora di essere un'istituzione, l'Oratorio era una passione del suo cuore: trovare i problemi da risolvere andando a camminare per le strade, nelle piazze, nelle carceri, negli ambienti popolari, e impegnarsi concretamente a dar vita a delle iniziative di educazione, di promozione e di evangelizzazione.
Così a poco a poco, con grandi sacrifici e sofferenze, ha costruito una prassi che si prefiggeva di intervenire efficacemente sulla trasformazione della società. Voleva dare un'anima alla società in evoluzione e alla nuova economia cittadina.
La «prassi» è oggi tema di attualità: urge, si sente dire dappertutto, saper collaborare nella trasformazione del mondo. Lui non era animato da ideologie, ma da una carità cristiana che si appropriava con acuta intelligenza delle luci del Vangelo e le lanciava alla vita vissuta perché divenissero testimonianza e storia. Non gli bastava interpretare la società; voleva davvero cambiarla attraverso la promozione delle persone.
Alcune ideologie vogliono contrapporre l'ortoprassi all'ortodossia. Don Bosco si è collocato più in là di ogni mentalità gnostica e dualista con il realismo di una fede robusta, assunta come luce e guida di tutta la sua operosità.
La scelta preferenziale dei giovani e del popolo
La scelta di campo del suo impegno operativo è quella dei giovani e del popolo. I giovani poveri e bisognosi, i giovani apprendisti, i giovani con possibilità vocazionali: «mi basta che siate giovani perché io vi ami». Per loro ha impegnato tutte le sue non comuni qualità.
Questa scelta di campo lo situava nel futuro, nell'ambito culturale dei compiti educativi, nell'età della speranza e della volontà di vita, nell'interesse per il gioco, il teatro, la musica, il turismo, suggerendogli una speciale attenzione a tanti valori umani in crescita e in pericolo.
Anche la scelta del popolo è di tipo educativo, centrato sulla genuinità della religiosità, della condotta morale e della fede. A tal fine s'impegnò pionieristicamente nella comunicazione sociale (che allora era principalmente la stampa) divenendo un vero protagonista della cultura popolare cristiana.
Anche questa scelta lo situava nel futuro in sintonia con la crescita dei valori democratici.
Rifiutò coscientemente la politica dei movimenti ideologici e del potere per potersi dedicare con vera sincerità alla promozione dei valori civili: «onesti cittadini perché buoni cristiani».
L'attualità di questa scelta di campo appare ancor più chiaramente oggi in un'ora di trapasso culturale. Il pragmatismo apostolico di don Bosco, situato nell'orbita della cultura, ha molto da ispirare alla nuova pastorale del postconcilio.
Un acuto senso cristiano della «laicità»
La scelta di campo tra «i piccoli e i poveri» ha fatto sperimentare a don Bosco che la salvezza portata da Cristo non è qualcosa che possa prescindere dai valori umani e dalla loro promozione. Nella visione cristiana la realtà oggettiva delle cose è stata voluta dal Padre Creatore con una propria bontà e finalità. Quindi il senso cristiano della laicità non è un tema estraneo al mistero di Cristo o che faccia deviare da un'autentica attività ecclesiale; è piuttosto la realtà stessa dell'uomo, che è «la strada della chiesa»; in lui la fede scopre una continuità intrinseca tra creazione e redenzione.
Ora, se c'è una porzione dell'umanità che ha bisogno di conoscere e di veder promossa sinceramente l'autentica laicità delle cose e i genuini valori umani, è appunto la gioventù, soprattutto povera e bisognosa. Come si farebbe a far crescere in loro la pienezza del Cristo e far apprezzare le ricchezze del Vangelo senza che sappiamo che cos'è l'uomo e quali sono i valori del creato? senza che crescano in tutto ciò che di umanità ferve in loro e intorno a loro?
Il Papa Giovanni Paolo II (specialmente nella «Redemptor Hominis») ripete costantemente l'affermazione conciliare che il Verbo fatto carne è venuto a rivelare all'uomo il mistero totale dell'uomo.
Ebbene: don Bosco ebbe un acuto senso dei valori creaturali e umani; sapeva dialogare anche con chi guardasse ai problemi giovanili solo da un'angolatura secolare; si interessava al progresso delle scoperte umane e della tecnica; riconosceva il grande valore della professionalità, dell'amore al lavoro, dell'intelligenza creativa; considerava i valori del progresso assai utili alla realizzazione del suo impegno educativo-pastorale.
Una originale metodologia pedagogica
Nella preziosa lettera che il Papa Giovanni Paolo II ha voluto, con gesto significativo, scrivere per commemorare il centenario della morte di don Bosco, egli ha concentrato l'attenzione sul suo «messaggio profetico» nella prassi educativa. In un'epoca di trapasso culturale come la nostra - egli afferma - «il compito primario ed essenziale della cultura in generale e anche di ogni cultura è l'educazione».
Sappiamo che don Bosco chiamò il suo metodo «sistema preventivo». Ebbene: il Papa, dopo aver chiarito il concetto di «preventività» come l'arte di far crescere il bene «dall'interno», si sofferma lungamente sui tre grandi poli di valori che guidavano simultaneamente l'efficace prassi del grande Educatore: il trinomio ormai imperituro della «ragione, religione, amorevolezza».
Il polo dei valori umani («ragione») approfondito oggi dalla crescita in umanità dei segni dei tempi; il polo dei valori di trascendenza della fede religiosa («religione») aggiornato dagli orientamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II; e il polo dei valori del cuore («amorevolezza») illuminato da una più attenta consapevolezza anche scientifica del dialogo, della condivisione, della comunione, delle relazioni personali e dell'amicizia, dando «ampio spazio e dignità al momento ricreativo, allo sport, alla musica, al teatro o - come don Bosco amava dire - al cortile».
La Lettera del Papa continua con l'affermazione che «questi criteri pedagogici non sono solo relegati al passato». Il messaggio educativo di don Bosco richiede di essere ancora approfondito, adattato, rinnovato con intelligenza e coraggio, proprio in ragione dei mutati contesti socio-culturali e pastorali.
«... La sostanza dell'insegnamento (di don Bosco) - dice il Papa -rimane, le peculiarità del suo spirito, le sue intuizioni, il suo stile, il suocarisma non vengono meno, perché ispirati alla trascendente pedagogia di Dio... 'Don Bosco ritorna' è un canto tradizionale della Famiglia Salesiana: esprime l'auspicio di un 'ritorno di don Bosco' e un 'ritorno a don Bosco', per essere educatori capaci di una fedeltà antica ed insieme attenti, come lui, alle mille necessità dei giovani di oggi, per ritrovare nella sua eredità le premesse per rispondere anche oggi alle loro difficoltà e alle loro attese».
Una spiritualità dell'azione, del quotidiano, della gioia e della speranza
Don Bosco fu prete sempre e dovunque. La sua attività procede tutta da un ardore ministeriale instancabile e creativo. La sua carità pastorale trova una propria giustificazione teologica nel Trattato sull'amore di Dio di S. Francesco di Sales quando affronta il tema suggestivo dell'«estasi della vita e dell'azione».
Il Concilio Vaticano II, nel decreto «Perfectae caritatis» al n. 8, dà nuovo rilievo a questo tipo di spiritualità. Si tratta di sottolineare una contemplazione di Dio che porta intrinsecamente in se stessa l'impulso all'azione apostolica. Evita ogni dualismo tra «essere» e «agire», tra «testimonianza» e «servizio», tra «contemplazione» e «azione»; consiste in una «grazia di unità» procedente dallo Spirito Santo che unifica vitalmente i due aspetti. In tale spiritualità l'«agire» è manifestazione dell'«essere». Nell'attuale civiltà lanciata all'azione e al lavoro risulta particolarmente profetica una tale spiritualità. Ci fa pensare che l'«essere» della Chiesa è per se stesso dinamico per la sua fecondità materna. Non sarebbe autentico e pieno se non esplodesse in un'attività generatrice di bene.
È sbagliato considerare l'azione della Chiesa separata dal suo essere e quasi a lui posteriore; bensì le è inseparabile, lo costituisce, lo rivela, lo fa rifulgere, lo pienifica, ne esprime la genuina verità. Non viene «dopo», ma è «dentro». La vera azione apostolica è una forma di interiorità! Quanto hanno bisogno oggi, soprattutto i laici, gli educatori, di una simile spiritualità!
L'ANGOLO DI VISUALE DEGLI ORIZZONTI
Se vogliamo individuare il punto strategico da cui si percepiscono pienamente questi orizzonti profetici, non esito un istante nell'affermare che si trova nella «santità» di don Bosco.
Considero urgente oggi ricuperare, in una società in via di secolarizzazione, il vero concetto di «santità».
Essa è una realtà dello Spirito che influisce positivamente nella storia e su ogni aspetto dell'attività umana. Non è una fuga dal protagonismo sociale e culturale; ne è piuttosto un fermento. La spiegazione ce la dà Cristo, che è la santità in persona. La santità in lui non eclissa la sua umanità, ma la permea e le eleva facendo di lui l'uomo-tipo, il nuovo Adamo, il modello supremo dell'amore e della solidarietà per gli altri.
La santità cristiana è partecipazione viva e attiva di questo mistero dell'incarnazione, in Cristo e per noi, per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito del Signore inabita nei cuori e illumina, dirige e sostiene nella realizzazione della propria missione e del proprio ministero.
La santità di don Bosco proietta la sua figura di modello sugli orizzonti profetici che abbiamo tratteggiato, e invita tutti noi a fare della santità una meta di vita.
La sua, inoltre, è una santità originale perché applicata all'area dell'educazione; la quale è valida ed efficace solo se è opera di cuore.
Ogni santità è vittoria sull'egoismo e ascesi di svuotamento di sé; è radicata in una umiltà che serve da piattaforma di lancio per un amore tutto donato agli altri.
L'originalità della santità di don Bosco, poggiandosi fortemente su questa linea ascetica, non consiste nel farsi disprezzare, né nel farsi dimenticare, bensì nel «farsi amare», nel rendersi amico simpatico e ben voluto; non si può prescindere dal contraccambio di amicizia dei giovani che si vogliono educare, soprattutto se sono orfani, emigrati, poveri, emarginati, non amati da altri. Per questo ogni educatore santo deve sforzarsi di sostituire il proprio io con quello di Cristo («per me vivere è Cristo», diceva l'apostolo Paolo) e così fare tutto ciò che c'è di buono in se stesso per divenire «segno e portatore dell'amore di Dio ai giovani».
È sintomatico che sul letto di morte don Bosco abbia raccomandato a don Rua, suo immediato successore: «fatti amare».
Il Papa nella Lettera «Iuvenum patris» già citata, dopo aver fatto risaltare la figura poliedrica di don Bosco nei molti aspetti in cui eccelle, si detiene precisamente sulla sua santità. Cito: «Mi piace considerare di don Bosco soprattutto il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l'impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia. Proprio un tale interscambio tra 'educazione' e 'santità' è l'aspetto caratteristico della sua figura: egli è un 'educatore santo', si ispira a un 'modello santo' (Francesco di Sales) è discepolo di un 'maestro spirituale santo' (Giuseppe Cafasso), e sa formare tra i suoi giovani un 'educando santo' (Domenico Savio)».
Ecco il supremo punto di visuale, la vetta da cui contemplare gli orizzonti che mostra don Bosco a cento anni dalla sua morte.