Una vita universitaria
come una caccia al tesoro
Evisa Feleqi *
Pensare al proprio percorso di studi come a un sacrificio “necessario”, o tenersi al “minimo” sufficiente (diciamo il “diciotto” un tempo politico, o i percorsi più facili e meno impegnativi) è sicuramente il modo più faticoso (di certo il meno “gioioso) per affrontare gli anni di studio. Proprio in questa prospettiva penso spesso alle mie scelte, se ho fatto la scelta giusta o se forse avrei dovuto cambiare percorso, se ci ho messo tutto l’impegno possibile.
A 17/18 anni ho dovuto fare delle scelte di vita importanti che mi hanno portato certamente a delle rinunce, ma che mi hanno permesso di vivere delle esperienze bellissime. Pur amando tantissimo la mia terra, e orgogliosa del suo passato e delle sue tradizioni, tuttavia fare l’università in Italia era il mio sogno, ed è diventato l’obiettivo da perseguire: mi sembrava uno spalancamento sulla cultura occidentale, l’erede della cultura classica pur con le limitazioni che ho imparato a conoscere e a criticare. Ho così cominciato a studiare l’italiano, 12 ore a settimana, negli week end al termine della fatica scolastica della settimana. Non l’ho mai considerato un “sacrificio”, perché era lo strumento necessario per realizzare il mio sogno, gli studi di Scienze politiche e relazioni internazionali a Roma. Con tutti i documenti a posto ho atteso il visto da studente. Ricordo ancora la tensione (e un po’ di paura) in quel luglio 2015, in attesa della risposta dal consolato italiano di Valona. Avevo fatto tutto quello che potevo e desideravo una risposta positiva con tutta me stessa. Sentivo che il mio futuro e la mia vita dipendevano da quella risposta. L’ho ottenuto, ed è stato il primo sospiro di sollievo il primo passo nella mia “vocazione” studentesca all’estero. E così a fine agosto di quello stesso anno ho preso il volo per venire in Italia, da sola: mi sembrava di entrare in un nuovo mondo, come quando uno lascia il villaggio dove è nato per andare in città. Ero così felice che non ho pensato ai rischi e non avevo per niente paura, io che di carattere sono abbastanza timida e riservata. Avevo dentro di me la certezza che sarebbe andato tutto benissimo e avevo una sicurezza incredibile nel percorso che stavo per intraprendere. Beh, una paura c’era, come sa chiunque non ha i “documenti buoni”, quelli di un Paese CEE: la burocrazia, con cui si è sempre in lotta e davanti a cui ci si sente impotenti e persone piccole piccole (forse qui ho imparato la bellezza dell’essere “cittadini” e pieno titolo e diritto): in effetti il permesso di soggiorno e il suo rinnovo è l’unica possibilità di continuare gli studi, e ci si sente sempre col cuore in gola davanti al funzionario e al suo timbro!
Ricordo molto bene le prime lezioni, mi sentivo viva. Ero riuscita a farmi degli amici e non ho mai subito alcun tipo di esclusione o marginalizzazione; i professori erano molto gentili e soprattutto bravi. Ero semplicemente felice perché stavo vivendo il mio sogno. Quando entravo in aula con i libri e mi sedevo per ascoltare la lezione, mi sentivo adulta e importante. Mi piaceva molto quella vita. Nel gennaio seguente ho sostenuto i primi esami in lingua italiana. Quando mi sono presentata all'esame orale, ero così strano dentro che non sapevo se stavo vivendo emozioni positive o negative, tra ansia, paura, orgoglio perché ero riuscita a presentarmi all'esame e felicità perché stavo realizzando il mio sogno. Ho preso 25 in scienze politiche, ma per me è stato come prendere un 30. Ero felicissima, anche se in seguito - soprattutto col prosieguo degli studi e con gli esami successivi - mi sono resa conto non era un granché, non certo per i miei standard. Tuttavia ricordo benissimo la gioia che ho provato nel cuore in quel momento: il primo esame, la prima prova di “maturità”, il primo confronto con un professore e su una materia che volevo studiare… e poi in una lingua che non era la mia! Ho chiamato i miei genitori e ho reso felici anche loro, o almeno loro si sono mostrati felici della mia felicità. Sentivo che avrei potuto muovere le montagne, ed ero così orgogliosa di me stessa e di questo primo traguardo.
Dopo questo primo “esaltante” esame, ce n'erano altri due: storia contemporanea, in cui ho preso un buon voto (non interessa a nessuno dire che ho preso 28!), e diritto pubblico. Qui mi fermo perché devo raccontare anche episodi spiacevoli. Non li dico per criticare, ma per dire quanto certi episodi possono ferire (o anche scoraggiare) persone che trovano nell’università il campo della loro maturazione e preparazione per la vita e la professione. Avevo studiato davvero tanto per questo esame, diritto pubblico, mi ci ero dedicata più che mai perché ero consapevole che la materia era difficile. Sono arrivata al giorno dell'esame con la solita ansia, ma anche certa di essere ben preparata. La docente era una giovane donna. Ha fatto l'appello e ha cominciato a chiamarci. Prima di me si è presentato un ragazzo di origine marocchina e appena si è seduto, lei si è diretta verso di noi dicendo: "Mi sembra di aver visto la bandiera dell’ISIS sulla finestra", e mettendosi a ridere.
Nessuno di noi ha reagito, nemmeno io. Adesso sono pentita, ma sono rimasta come paralizzata, non me lo aspettavo e non si è mai pronti di fronte a queste cose. Ma mi sono sentita davvero male. Lui è stato bocciato e poi è stato il mio turno. Mi sono presentata, ho risposto correttamente alle domande che la docente mi ha chiesto, anche se su una ho fatto un po' di fatica. Alla fine dell'esame, mi ha detto che doveva bocciarmi perché non parlavo bene l'italiano, anche se in precedenza avevo superato due esami orali con 25 e 28. Sono uscita dall'aula e ho pianto tantissimo. Quella è stata la mia prima delusione. Li ho imparato che il percorso universitario è fatto anche di delusioni e cadute, ma mi sono rialzata subito. Dopo alcuni giorni sono andata in segreteria e ho chiesto di sostenere l'esame con un altro docente, raccontando tutti i motivi. L'ho poi sostenuto l’anno successivo con successo.
Cinque anni di percorso universitario: potrei raccontare tante cose, ansie e paure, anzitutto, ma anche tante soddisfazioni e gioie.
Prima di ogni esame ero sempre tesa, fino alle lacrime, perché avevo paura di non riuscire a prendere il massimo dei voti: in quel momento quello era il mio obiettivo principale e sembrava decisivo per la mia vita. Adesso posso dire che l'università mi ha aiutato a scoprire e riconoscere i miei “talenti”, di capacità e competenze, certo, ma anche di carattere. Mi ha resa una persona più forte, ha sviluppato molto il mio senso critico e analitico. Con l'università sono cresciuta. Avrei voluto che l'istituzione ci orientasse di più verso un percorso professionale, ma ho dovuto farlo da sola come una caccia al tesoro: e il tesoro era sempre qualcosa che non avevo ancora raggiunto. Ho vissuto 6 bellissimi mesi di Erasmus a Kiev, in Ucraina, durante il 2020. Lì ho fatto la quarantena del Covid, ma posso dire che sono stati i mesi più belli della mia vita da studentessa. Ho perfezionato l'inglese, ho imparato a leggere il cirillico e ho migliorato le mie conoscenze della lingua turca. Mi sono divertita e ho scritto la tesi della laurea magistrale in inglese. Mi sono laureata durante il Covid con il massimo dei voti.
Esami e laurea non hanno concluso la mia carriera universitaria, che è proseguita con altri master. Ma mi ha aperto la via per un diverso modo di pensare, che ho scoperto “sulla mia pelle”. Devo dire cosa mi ha maggiormente aiutato in questo, anche operando una critica del sistema, per un senso di verità e forse per aiutare altri che iniziano questo percorso prezioso ma non totalizzante ed esaustivo. La metodologia con cui ho dovuto affrontare alcuni esami è stata abbastanza carente, direi anche povera e inutile, poiché imparare a memoria dei contenuti o svolgere degli esami con risposte a crocetta non ha assolutamente aiutato la mia mente a svilupparsi. Ho dimenticato tutto quello che avevo studiato nel giro di una settimana: dovrei dire “purtroppo”? Secondo me, e la mia parziale comprensione, gli esami universitari dovrebbero essere sostenuti tramite una logica critica. Non dovrebbero essere studiati e raccontati come se fossero delle frasi da imparare e ripetere a memoria, magari neanche comprendendo appieno i concetti espressi e la loro pregnanza e significato. Quando si parla di un tema, fosse anche solo per raccontare una storia, c'è bisogno di analisi, di rigore analitico e critico su ciò che si sta dicendo. Questo sì aiuta la mente a esplorare i concetti, e non c'è bisogno di passare un mese a studiare e cercare di ricordare le parole di un testo, ma di essere in grado di analizzare il senso di ciò che si sta leggendo.
Oggi faccio progettazione sociale, il che mi rende orgogliosa di quello che faccio. Sento il bisogno e la fame di continuare a studiare per ampliare le mie conoscenze e competenze. Tuttavia, diversamente da quando ho iniziato, ora lo faccio con senso critico e consapevolezza di come si affrontano i problemi e le situazioni. L'università è una porta che si apre in mezzo a un bosco pieno di alberi. Devi avere una buona bussola per non perderti e comunque ritrovare sempre il sentiero.
* 26 anni, nata in Albania ma da lungo tempo in Italia dove si è laureata in scienze politiche con speciale attenzione alla programmazione sociale, in cui ha anche ottenuto un Master europeo.
Dopo l'anno di volontariato sociale, al momento lavora presso l'Associazione SxS, dove conta di mettere a servizio dei giovani in difficoltà le sue competenze e la sua umanità, basata sull'empatia e sul potere della parola e del dialogo.