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    “Tu solo hai…”

    Giuseppe Iovino

    iovino

    Parlare di sé e della propria vita interiore è sempre una sfida, perché guardarsi dentro è come entrare – come dicevano i mistici – nel proprio “castello interiore”, dove non ci sono solo sale regali, saloni delle feste, finestre panoramiche che danno su fiorenti giardini… ma anche sgabuzzini, luoghi oscuri, stanze nascoste. E poi… quali criteri utilizzare per raccontarsi e raccontare? Seguire un filo rosso o accogliere il “nuovo” che succede, davanti a cui ci si trova quasi sempre impreparati?
    Quando poi non basta guardarsi, ma bisogna raccontarsi… allora la sfida è ancora più ardua e anche un po’ imbarazzante perché si consegna qualcosa di vivo: la propria vita.
    Scrivere queste righe mi ha obbligato a fermarmi dalla frenesia dei mille impegni del quotidiano, mi ha fatto rallentare, quasi mettermi alla moviola, per lasciar tornare alla mente e (forse) rivivere i vari ricordi.
    Questo mi ha permesso di attivare una speciale consapevolezza: non solo nella materialità del ricordo, ma in una specie di giudizio filtrante, cioè nel rivedere con gli occhi di oggi lo ieri vissuto.
    Prima vivida immagine: una confessione liberatoria, all’età di 15 anni, in un campo invernale. Sono trascorsi ormai 5 anni da quel 1 gennaio 2019, ma posso collocare in quella precisa data una specie di “cambiamento” totale della mia vita: lì una consapevolezza mi è balzata evidente: l’oratorio, che avevo conosciuto quasi per caso solo pochi mesi prima, non era un luogo qualunque, uno dei tanti di frequentazione con gli amici, ma qualcosa di più, di determinante, dove la mia presenza era non numerica o banale, ma significativa perché mi coinvolgeva a livello profondo. Da quel giorno sono seguiti tanti incontri di gruppi formativi, campi e pellegrinaggi, ma quella confessione – con quello che si è portata dietro – ha svoltato tutto il mio cammino.
    L’estate di quello stesso anno è stata la mia prima da animatore all’Estate ragazzi, un’esperienza travolgente con i miei amici in cui ti soppesi con i tuoi propri limiti, specialmente di pazienza, le stanchezze, gli imprevisti e le gioie delle belle giornate trascorse con i ragazzi.
    Lo stesso servizio in oratorio è cambiato nel tempo, ma è rimasto una costante negli anni delle superiori: dal gioco coi bambini del catechismo ai gruppi formativi dei Savio ai ragazzi delle medie.
    Grazie ad alcuni don e ai miei animatori, che vivono nel loro quotidiano e anche in scelte radicali la bellezza di una vita donata, ho conosciuto e scoperto la figura di Don Bosco e così ho imparato cosa significhi essere un animatore salesiano non solo al centro estivo, ma specialmente nel quotidiano tra i vari impegni della giornata.
    Un’altra grande grazia che mi ha segnato è stata il pellegrinaggio in Terra Santa, nelle vacanze natalizie della terza superiore, in cui ho potuto vedere i luoghi in cui Gesù è nato, cresciuto, ha insegnato e ha dato la vita per noi! Proprio in questo viaggio sono risuonate in me alcune pagine di Vangelo a cui tutt'oggi sono profondamente legato, come le parole di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!” (Gv. 6, 68) e sempre il dialogo fra Gesù e Pietro sulla spiaggia del Mar di Tiberiade, a Tabgha, in cui per tre volte il Signore chiede all’apostolo se lo ama.
    Un’ultima bella e recente esperienza di fede, vissuta con i miei amici e tantissimi altri giovani, è stata la GMG di Lisbona 2023 in cui Papa Francesco, alla veglia di Sabato a Parque Tejo, ci ha detto e ribadito: “La gioia è missionaria, non è per noi stessi, è per portare agli altri”. Un invito a noi giovani ad essere Luce, donata agli altri. Un bellissimo appello che mi ha colpito affinché insieme ai miei amici e con la mia vita potessi essere vero testimone!
    Queste mie tre esperienze sono state, dalla più lontana alla più recente, i “fuochi” della mia vita interiore, della mia relazione personale con il Signore che si sta tuttora costruendo nella mia quotidianità vissuta da cristiano nel servizio in oratorio, nello studio e nelle lezioni all’università, in casa, nei vari impegni e nella preghiera in cui affido molto di quanto vivo. Attorno ad essi cerco di costruire, di migliorare, di consolidare.
    Specialmente quest’anno nella preghiera ho trovato quel momento di fedeltà quotidiana in cui consegnare tutti i pensieri, incontri, dubbi e gioie della giornata. È anche quello stesso luogo in cui prendere le varie scelte, da apparentemente le più banali alle più complesse. Non nascondo la difficoltà di trovare un tempo privilegiato fra tutti gli incastri delle giornate, ma sempre di più questo ritaglio, perlopiù serale o notturno, è essenziale. Le fatiche certamente non svaniscono come d’incanto, ma diventano più leggere da portare e d’affrontare. E avanza una comprensione nascosta e profonda “del tutto”.
    Mi rendo conto che la chiave di queste righe che ho scritto sono “prendere consapevolezza”, e questo per me vuol dire non solo vivere con spontaneità e con gioia, ma cogliere un filo conduttore, trovare delle ragioni, gustare il senso e anche magari intravedere la bellezza, di me e degli altri. Con l’occhio di oggi – certamente più attento e maturo – vedo anche una “mano” che mi conduce e mi sostiene e che mai mi lascerà cadere senza potermi rialzare. Questo occhio non rivede solo i ricordi, ma fa luce e chiarezza al mio oggi, mi permette di andare avanti con fiducia, e anche con speranza. E mi permette di trovarmi con altri, da cui ricevo amicizia ed esempio. È davvero straordinario vedere come due personaggi di un lontanissimo o non recentissimo passato, Gesù e Don Bosco, ti coinvolgano oggi nelle tue scelte, ti facciano sentire a casa, sprigionino promesse sempre mantenute.
    Se ripenso al me di qualche anno fa, in prima superiore, con le mie varie fragilità, dubbi nella scuola e nelle amicizie, mi sorprendo dei tanti passi fatti, della vicinanza di amici veri trovati nei momenti in cui ne avevo più bisogno, delle difficoltà superate, degli incontri e delle parole ricevute.
    So bene che non sto dicendo niente di eccezionale. Sento che è tutto molto “normale”, a tratti molto routinario e simile a tanti altri animatori del mio oratorio, ma una cosa c’è di più e di nuovo nella mia vita, una scoperta che – forse per mancanza di parole migliori – ho definito consapevolezza: la mia vita è unica e irripetibile, in ogni istante, e io sono “speciale” agli occhi di qualcuno, agli occhi di Dio. Scoperta in una confessione di cinque anni fa, ho consolidato questa certezza, se pur con alti e bassi, e dopo questo molto è davvero cambiato e mai avrei pensato che da un sì primigenio, ripetuto con coerenza nelle pieghe del quotidiano con i suoi piccoli gesti, la mia vita potesse essere reindirizzata in maniera così drastica.
    Certo, le mie “stanze” sono ancora affastellate di sogni, di desideri, di ideali, di voglia di fare e di essere. C’è ancora moltissimo da sistemare, da purificare, da riordinare… ma ho trovato la strada dove camminare e dove realizzare quello mi bolle dentro. Le antiche parole di Pietro a Gesù: Signore, da chi andremo? Solo Tu hai parole di vita eterna! sono diventate mie, e le dico con uno slancio che spero sempre sincero e fedele.

    * 21 anni, studente al secondo anno di Giurisprudenza all’Università di Torino; fa parte della consulta MGS del Piemonte ed è animatore presso l’oratorio dei Salesiani di Venaria Reale.


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