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    Risuscitato da Dio

    José Antonio Pagola


    Dopo il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare la tomba.
    Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte.
    L'angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: "È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete". Ecco, io ve l'ho detto».
    Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno» (Matteo 28,1-10).

    Cristo è vivo

    La Pasqua non è la celebrazione di un avvenimento del passato che, anno dopo anno, si allontana sempre più da noi. Noi credenti celebriamo oggi il risorto che ora vive riempiendo di vita la storia degli uomini.
    Credere nel Cristo risorto non significa solo credere in qualcosa accaduta al morto Gesù. È saper ascoltare oggi dal più profondo del nostro essere queste parole: «Non temere, io sono, il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre» (Apocalisse 1,17-18).
    Cristo risorto vive ora infondendo in noi la sua energia vitale. In modo nascosto, ma reale, spinge le nostre vite alla pienezza finale. È lui «la legge segreta» che orienta il cammino di tutto verso la Vita. È lui «il cuore del mondo», secondo la bella espressione di Karl Rahner.
    Per questo, celebrare la Pasqua significa comprendere la vita in modo diverso. Intuire con gioia che il Risorto è lì, in mezzo alle nostre povere cose, a sostenere per sempre tutto ciò che di buono, bello, puro fiorisce in noi come promessa di infinito, e che, tuttavia, si dissolve e muore senza essere arrivato a pienezza.
    Lui si trova nelle nostre lacrime e pene come consolazione permanente e misteriosa. Lui si trova nei nostri fallimenti e nella nostra impotenza come forza sicura che ci difende. Lui si trova nelle nostre depressioni, ad accompagnare in silenzio la nostra solitudine e la nostra tristezza.
    Lui si trova nei nostri peccati come misericordia che ci sopporta con pazienza infinita e ci comprende e accoglie fino in fondo. Si trova perfino nella nostra morte come vita che trionfa quando essa sembra spegnersi.
    Nessun essere umano è solo. Nessuno vive dimenticato. Nessun lamento cade nel vuoto. Nessun grido resta senza ascolto. Il Risorto è con noi e in noi per sempre. Per questo, la Pasqua è la festa di quelli che si sentono soli e perduti. La festa di quelli che si vergognano della loro meschinità e del loro peccato. La festa di quelli che si sentono morti dentro. La festa di quelli che gemono oppressi dal peso della vita e dalla mediocrità del loro cuore. La festa di tutti noi che ci sappiamo mortali, ma che abbiamo scoperto in Cristo risorto la speranza di una vita eterna.
    Felici quelli che lasciano penetrare nel proprio cuore la parola di Cristo: «Abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio, io ho vinto il mondo» (Giovanni 16,33).

    Recuperare il Risorto

    Per non pochi cristiani, la risurrezione di Gesù è solo un fatto del passato. Qualcosa che accadde al morto Gesù dopo essere stato giustiziato nei dintorni di Gerusalemme circa duemila anni fa. Un avvenimento, pertanto, che con il passare del tempo si allontana sempre più da noi, perdendo la forza di influenzare il presente.
    Per altri, la risurrezione di Cristo è, anzitutto, un dogma che si deve credere e confessare. Una verità che, come altre verità di fede, si trova nel Credo, ma non si sa bene in cosa possa consistere la sua efficacia reale. Sono cristiani che hanno fede, ma che non conoscono «la forza della fede»; non sanno per esperienza ciò che significa vivere radicando la vita nel Risorto.
    Le conseguenze possono essere gravi. Se perdono il contatto vivo con il Risorto, i cristiani rimangono senza quello che è il suo «Spirito che dà vita». La Chiesa può dunque entrare in un processo di invecchiamento, abitudine e decadenza. Può crescere sociologicamente, ma allo stesso tempo debilitarsi interiormente; il suo corpo può essere grande e potente, mentre piccola e debole è la sua forza di trasformazione.
    Se non c'è contatto vitale con Cristo come con qualcuno che è vivo e dà vita, Gesù resta un personaggio del passato che si può ammirare, ma che non fa ardere i cuori; il suo vangelo si riduce a «lettera morta», risaputa e logora, che non fa più vivere. Allora il vuoto lasciato dal Cristo risorto comincia a essere riempito dalla dottrina, dalla teologia, dai riti o dall'attività pastorale. Ma nulla di ciò dà vita se alla sua radice manca il Risorto.
    Poche cose possono indebolire l'essere e l'agire dei cristiani tanto quanto la pretesa di sostituire con l'istituzione, la teologia o l'organizzazione ciò che può nascere solo dalla forza vivificante del Risorto. Per questo è urgente il recupero dell'esperienza fondante vissuta agli inizi. I primi discepoli sperimentano la forza segreta della risurrezione di Cristo, vivono «qualcosa» che ne trasforma le vite. Come dice san Paolo, conoscono «la potenza della risurrezione» (Filippesi 3,10). L'esegeta svizzero R. Pesch afferma che la prima esperienza dei cristiani consistette nel fatto che «i discepoli si lasciarono afferrare, affascinare e trasformare dal Risorto».

    Credere nel Risorto

    Noi cristiani non dobbiamo dimenticare che la fede in Gesù Cristo risorto significa molto di più di un assenso a una formula del Credo. Molto più anche dell'affermazione di qualcosa di straordinario accaduta al morto Gesù circa duemila anni fa.
    Credere nel Risorto significa credere che ora Cristo è vivo, pieno di forza e creatività, spinge la vita verso il suo destino ultimo e libera l'umanità dal cadere nella distruzione della morte.
    Credere nel Risorto significa credere che Gesù si fa presente tra i credenti. Significa prendere parte attiva agli incontri e ai compiti della comunità cristiana, sapendo con gioia che, quando due o tre di noi sono riuniti nel suo nome, lui è là e sta mettendo speranza nelle nostre vite.
    Credere nel Risorto significa scoprire che la nostra preghiera a Cristo non è un monologo vuoto, senza un interlocutore che ascolti la nostra invocazione, ma è dialogo con un vivente che ci sia vicino alla radice stessa della vita.
    Credere nel Risorto significa lasciarci interpellare dalla sua parola viva raccolta nei vangeli, e scoprire praticamente che le sue parole sono «spirito e vita» per chi se ne sa nutrire.
    Credere nel Risorto significa vivere l'esperienza personale che Gesù ha la forza di cambiare le nostre vite, risuscitare quanto di buono è in noi e liberarci da ciò che uccide la nostra libertà.
    Credere nel Risorto significa saperlo scoprire vivo nell'ultimo e più piccolo dei fratelli, mentre ci chiama alla compassione e alla solidarietà.
    Credere nel Risorto significa credere che è lui «il primogenito dei morti», in cui ha già avuto inizio la nostra risurrezione e in cui già ci è data la possibilità di vivere in eterno.
    Credere nel Risorto significa credere che né la sofferenza né l'ingiustizia né il cancro né l'infarto né il mitra né il peccato né la morte hanno l'ultima parola. Solo il Risorto è il Signore della vita e della morte.

    L'ultima parola è di Dio

    La risurrezione di Gesù non è solo una celebrazione liturgica. È innanzi tutto la manifestazione dell'amore potente di Dio, che ci salva dalla morte e dal peccato. È possibile sperimentare oggi la sua forza vivificante?
    La prima cosa è prendere coscienza che la vita è abitata da un Mistero accogliente, che Gesù chiama «Padre». Nel mondo esiste un tale «eccesso» di sofferenza che la vita può sembrarci qualcosa di caotico e assurdo. Non è così. Anche se a volte non è facile sperimentarlo, la nostra esistenza è sostenuta e diretta da Dio verso una pienezza finale.
    Questo dobbiamo cominciare a viverlo a partire dal nostro essere: io sono amato da Dio; mi attende una pienezza senza fine. Ci sono tante frustrazioni nella nostra vita, a volte ci amiamo tanto poco, ci disprezziamo tanto da soffocare in noi la gioia di vivere. Dio, che risuscita, può far rinascere la nostra fiducia e la nostra gioia.
    L'ultima parola non è della morte, ma di Dio. C'è tanta morte ingiusta, tanta malattia dolorosa, tanta vita senza senso, che potremmo sprofondare nella disperazione. La risurrezione di Gesù ci ricorda che Dio esiste e salva. Lui ci farà conoscere quella vita piena che qui non abbiamo conosciuto.
    Celebrare la risurrezione di Gesù significa aprirci all'energia vivificante di Dio. Il vero nemico della vita non è la sofferenza, ma la tristezza. Ci manca passione per la vita e compassione per chi soffre. Abbondiamo invece di apatia e edonismo a buon mercato, che ci fanno vivere senza gustare il meglio dell'esistenza: l'amore. La risurrezione può essere fonte e stimolo di vita nuova.

    A che serve credere nel Risorto?

    In una certa occasione, dopo una conferenza sulla risurrezione di Cristo, una persona chiese la parola per dirmi più o meno quanto segue: «Dopo la risurrezione di Cristo, la storia degli uomini è proseguita come sempre. Non è cambiato nulla. A che serve dunque credere che Cristo è risorto? Come può cambiare la mia vita di oggi?».
    So che non è facile trasmettere a un altro la propria esperienza di fede. Come gli si può spiegare a parole la luce interiore, la speranza, la dinamica generata dal vivere appoggiandosi radicalmente su Cristo risorto? È bene però che noi credenti esponiamo in base a cosa viviamo la vita.
    In primo luogo significa sperimentare una grande fiducia davanti all'esistenza. Non siamo soli. Non camminiamo smarriti e senza meta. Nonostante il nostro peccato e la nostra meschinità, noi uomini siamo accettati da Dio. Non mediteremo mai a sufficienza il saluto che Gesù risorto ripete spesso: «Pace a voi». Sebbene crocifisso dagli uomini, Dio continua a offrirci la sua amicizia.
    Inoltre possiamo vivere in libertà senza lasciarci schiavizzare dal desiderio di possesso e di piacere. Non abbiamo bisogno di «divorare» il tempo, come se dopo non esistesse più nulla. Non c'è motivo di riuscire a ottenere tutto e vivere «spremendo» la vita prima che finisca. Si può vivere in modo più sensato. La Vita è molto più di questa vita. Non abbiamo fatto altro che «cominciare» a vivere. Possiamo inoltre vivere con generosità, impegnandoci a fondo in favore degli altri. Vivere amando con disinteresse non significa perdere la vita, ma guadagnarla per sempre. Dalla risurrezione di Cristo sappiamo che l'amore è più forte della morte. Vivere facendo il bene è la forma più sicura per addentrarci nel mistero dell'aldilà.
    D'altra parte, godiamo tutto ciò che di bello e buono c'è nella vita, accogliendo con gioia le esperienze di pace, di comunione amorosa o di solidarietà. Anche se frammentarie, sono esperienze dove già ci si manifesta la salvezza di Dio.
    Un giorno, tutto quello che qui non è potuto essere, quello che è rimasto a metà, quello che è stato rovinato dalla malattia, dal fallimento o dalla mancanza di amore, troverà in Dio la sua pienezza.
    Sappiamo che un giorno arriverà per noi l'ora di morire. Ci sono molti modi per accostarci a questo avvenimento decisivo. Il credente non muore andando verso l'oscurità, il vuoto, il nulla. Con fede umile si consegna al mistero della morte, affidandosi all'amore insondabile di Dio.
    «La fede nella risurrezione - ha scritto Manuel Fraijó - è una fede difficile da condividere. Non è invece difficile da ammirare. Rappresenta un nobile sforzo per continuare ad affermare la vita, persino laddove questa soccombe sconfitta dalla morte». t questa la fede che sostiene noi che seguiamo Gesù.

    (La via aperta da Gesù 1. Matteo, Borla 2012, pp. 267-272)


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