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    La religione popolare,

    cammino di salvezza?

    Luis A. Gallo *


    Alcune chiarificazioni iniziali

    Prima di affrontare il nodo della nostra tematica espresso nella domanda del titolo di questa relazione, e per poter farlo con certa lucidità, occorre chiarire in che senso si parlerà di religione popolare e cosa si intende per salvezza.

    Religione popolare

    Prendiamo qui il termine in senso concreto, nel senso cioè di "cattolicesimo popolare", secondo l'accezione dell'articolo di A.Vergote. Ossia, come "il cattolicesimo che è strettamente vincolato alle tradizioni culturali del popolo e al quale aderisce la maggioranza del popolo, e che ne assume anche le caratteristiche" [1].
    In questo senso ne hanno parlato anche la Evangelii Nuntiandi (EN) al n.48, e il Documento della III Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano a Puebla (DP) al n.444. In quest'ultimo si dice, infatti, che la religione popolare è "la forma o l'esistenza culturale che la religione assume in un popolo determinato", e che "la religione del popolo latinoamericano [...] è un cattolicesimo popolare".
    Tale forma di religiosità è, di fatto, il risultato dell'incontro della fede cristiana con le culture a sfondo religioso di tipo cosmico, incontro del quale essa riporta i chiari segni. Non solo nei popoli, cattolici a fede più recente, come quelli dell'America Latina, dell'Asia o dell'Africa, ma anche quelli di fede antica hanno accolto il cristianesimo non a partire da una tabula rasa, culturalmente e religiosamente parlando, ma a partire da sostrati religioso-culturali molto profondamente radicati. Il loro passaggio alla fede ha implicato sempre un processo di inculturazione, più o meno riuscito, che nelle condizioni migliori è sfociato in una sintesi tra gli elementi ìn esse esistenti e quelli proposti dal cristianesimo (mai, d'altronde, in stato "chimicamente puro", spogliato cioè da espressioni culturali), e in altri è sboccato in un sincretismo. Se si è onesti si dovrà riconoscere che, in realtà, una certa dose di tale sincretismo la si ritrova sempre nell'ambito della religione popolare, anche lì dove la sintesi sembra più riuscita.
    Un'altra caratteristica di rilievo di questo tipo di religiosità, come lo fa notare lo stesso Vergote, è quella di essere una "religion coutumière" [2]. Essa è strettamente collegata alle usanze del popolo e in certo qual modo si identifica con esse. Tanto è vero che arriva a costituire una delle componen- ti della cultura stessa del popolo [3].
    Faccio rilevare ancora un'altra caratteristica di questo cattolicesimo evidenziata dalla EN e ripresa, per ovvie esigenze di sensibilità, dal DP: esso è vissuto prevalentemente dai poveri e dai semplici (EN 48; DP 447). Agli effetti della nostra ricerca questo dato merita speciale attenzione, come avremo occasione di sottolineare più avanti.

    La salvezza

    Chiedersi se la religione popolare sia un cammino di salvezza implica chiarire prima che si intende per salvezza. Ora, se è vero che astrattamente parlando è facile essere d'accordo sul significato del termine, parlando in concreto non lo è tanto. E questo perché anche questa categoria, come l'intero bagaglio dei contenuti del messaggio evangelico, va soggetta al regime d'incarnazione e, più concretamente, ad un regime di inculturazione [4].
    Come lo si può facilmente verificare dallo studio dei testi attinenti (manuali di teologia, catechismi, libri liturgici, ecc.), e dal semplice contatto con il modo di pensare e soprattutto di agire di pastori e fedeli, è esistito ed esiste ancora un modo che possiamo chiamare "classico" di concepire la salvezza apportata da Cristo. E non è superfluo far notare che è precisamente la religione popolare l'ambito dove essa è calata in profondità e il veicolo mediante il quale è stata trasmessa per generazioni come qualcosa di scontato, di non sottoposto al benché minimo dubbio. Si può dire che tutto il cattolicesimo popolare è costruito su questo fondamento, e che gira tutto attorno a questo asse. Si tratta di quella concezione secondo la quale salvarsi è "andare in cielo". Con ciò che questo sostanzialmente implica, e cioè che, dopo la morte che consiste nella separazione dell'anima dal corpo, l'anima, se debitamente disposta, se ne va a contemplare per sempre Dio, con la conseguente felicità che tale visione comporta [5].

    Non ritengo necessario né opportuno mettere in evidenza i condizionamenti culturali di una tale concezione, frutto indubbiamente e principalmente dell'inculturazione del cristianesimo nell'ambito greco-romano. Trovo invece più utile al nostro scopo rilevare alcune delle principali caratteristiche che segnano tale concezione. La salvezza vi appare, anzitutto, come accentuatamente spirituale. La frase "salva l'anima tua", così pppolarmente diffusa, ne è una irrefutabile conferma. E tutta una pastorale elaborata e praticata all'insegna dello "lavorare per la salvezza delle anime" ne è un'altra, non meno evidente. È vero che in nessun momento si è pensato, nel cristianesimo, che il soggetto della salvezza fosse solo l'anima dell'uomo, dal momento che, per esempio, si è sempre proclamata la fede nella risurrezione finale della carne; ma ciò non toglie che ci sia stata - e ci sia ancora, molte volte come comportamento residuale - una foce tendenza a privilegiare soteriogicamente lo spirituale, a scapito del corporale e in genere del materiale. Le ripercussio ni concrete di una tale impostazione per ciò che si riferisce alla vita di fede sono troppo conosciute per soffermarci a ricordarle [6].
    Una seconda caratteristica di questa concezione della salvezza è quella di porre l'accento sull'individuale. La stessa frase sopra citata lo sta ancora a dimostrare. È vero che il cristianesimo, soprattutto nella sua dimensione etica, viene prospettato fondamentalmente in una linea di amore fraterno; ma non è meno vero che l'insistenza posta sull'anima individuale per ciò che riguarda la salvezza finisce spesso per fare della salvezza un "affare privato", senza legami intrinseci con la sorte degli altri. In fondo, andi l'adempimento del precetto dell'amore fraterno viene ad essere considerato come una mera condizione della salvezza propria. Si sa quanto questo individualismo abbia segnato in passato l'esistenza cristiana.
    Una terza caratteristica è quella dell'accentuazione della ultramondanità e, per ciò stesso, della astoricità della salvezza. In definitiva, si pensa che salvezza vera sia quella che si ottiene dopo la morte, al di là di questo mondo di quaggiù. Il cielo, infatti, viene dopo, quando si son tagliati i legami con questa terra, e con il tempo: nell'eternità. Indubbiamente quanto si fa ora, nella storia, può avere un valore salvifico, ma piuttosto come condizione per assicurare la salvezza eterna. A livello popolare questo modo di pensare è stato -ed è ancora adesso- molto presente. Certo, la teologia ha elaborato una sua concezione della grazia come germe della gloria, rilevando in questo modo la continuità ontologica tra loro; ma ciò non è passato in genere alla sensibilità popolare, la quale ha piuttosto visto nello sforzo presente una mera occasione di acquistare dei meriti per il cielo.
    Ancora una caratteristica da rilevare: la stretta relazione stabilita, all'interno di questa concezione, tra culto e salvezza. C'è probabilmente in ciò un influsso della diffusa mentalità dicotomica tra sacro e profano propria delle religioni cosmiche [7]. Per queste, infatti, la salvezza si ottine nell'ambito del sacro, dove può avvenire l'incontro con il divino. E dato che il sacro si manifesta prevalentemente nel culto, si capisce l'enorme peso ad esso dato. Tutta una concezione della pratica sacramentale popolare è influenzata indubbiamente da un tale modo di vedere le cose.
    Se possiamo facilmente constatare che un modo di pensare e vivere la salvezza cristiana come questo è ancora oggi abbastanza diffuso, soprattutto a livello popolare, dobbiamo anche prendere atto che esso è entrato in crisi presso altre fasce di cristiani. E precisamente perché il sostratto culturale che lo sorregge sta andando in sfacelo. Fattori di diversa indole hanno influito perché la sopravvalutazione dello spirituale nell'ambito dell'antropologia vada cedendo il posto ad una più equa valutazione del corpo e in genere della materia e delle realtà materiali. Una spiccata sensibilità comuniria e addirittura collettiva sta sostituendo sempre più la tendenza individualista di altri tempi. Il vivo desiderio e la possibilità reale di risolvere i problemi intramondani e storici fa si che gli uomini di oggi siano più sensibili al bisogno di avere i piedi saldamente posti sulla terra pkii che a camminare con lo sguardo volto al cielo. Infine, il fenomeno della secolarizzazione, con la sua crescente presa di coscienza dell'autonomia delle realtà mondane (GS 36b) e la conseguente desacralizzazione, stanno portando acceleratamente. al superamento della tradizionale dicotomia tra sacro e profano, culto e vita.
    Così si è andata smontando quella concezione della salvezza che per secoli ha presieduto e la vita e l'azione di tanti cristiani e pastori, e che ha creato anche dei santi. La teologia attuale ha sentito il bisogno di mettersi al servizio del superamento di questa crisi letteralmente radicale, cercando di tematizzare ciò che sta avvenendo nel popolo di Dio in modo magari . confuso, e cercando di aprire così le strade di nuove inculturazioni [8].
    Tali strade devono passare necessariamente attraverso un ritorno alle fonti bibliche [9]. In esse si viene a riscoprire, mediante l'analisi per esempio dei due avvenimenti-chiave dell'Antico e del Nuovo Testamento - l'Esodo e la Pasqua - che per la fede rivelata salvezza significa vittoria della Vita sulla Morte. Dove Vita e Morte non sono da prendersi nel senso meramente biologico o corporale, ma in un senso più largo che include ogni positività e negatività umane rispettivamente. La Pasqua di Cristo è la rivelazione massima della salvezza appunto perché è il luogo dove la Vita ha la sua vittoria piena e definitiva sulla Morte.
    Orbene, di questa ritrovata concezione biblica della salvezza, della quale la concezione "classica" non era che una rilettura culturale, se ne stanno facendo attualmente altre, tanto al livello spontaneo delle basi ecclesiali quanto a livello propriamente teologico. Ne spiccano due [10]. Esse corrispon dono a due orizzonti o universi culturali diversi, segnati da preoccupazioni prioritarie differenti.
    La prima è quella che viene fatta a partire dalla sensibilità largamente diffusa nelle zone più ricche e tecnicamente più sviluppate del Nord dell'umanità. L'insieme dei fattori che caratterizzano il modo di affrontare la realtà in queste zone creano in coloro che vi abitano una sensibilità accentuatamente esistenziale.e personalista, incentrata appunto sulle problematiche personali e interpersonali. Vita e Morte si giocano per essa principalmente su questo fronte. È per questo che per i cristiani di questa parte dell'umanità salvezza equivale a "realizzazione esistenziale". Una realizzazione che ha a che vedere con l'autenticità dei rapporti con gli altri e con Dio, con la capacità di comunione, di accoglienza e di dialogo, con la conquista della vera libertà personale, con il senso genuino della vita, ecc. Tale salvezza si ottiene nel superamento di una perdizione concepita come "fallimento esistenziale", caratterizzato dalle condizioni opposte a quelle appena enunciate. Ovviamente, questo concetto ha una portata intramondana, temporale, ma si apre anche ad una portata definitiva che le conferisce il suo senso pieno. Il cielo è, in questo contesto, la piena e definitiva realizzazione esistenziale, ottenuta mediante la totale comunione interpersonale con Dio e con gli altri. Questo cielo si può anticipare, imperfettamente ma realmente, alla terra; questo futuro si può fare già presente in qualche misura, nella misura cioè in cui tale comunione viene realizzata.
    La seconda rilettura si sta facendo nelle altre zone dell'umanità, quelle dei popoli poveri del Sud, dove le condizioni di vita sono caratterizzate basilarmente dalla povertà massiccia e degradante [11]. La sensibilità con cui molti cristiani di queste zone affrontano la realtà è di tipo storico e prassico. Essi sentono il bisogno urgente di una trasformazione delle situazioni negative che segnano pesantemente la loro vita, collettiva e personale, e perciò anche dei condizionamenti di tipo prevalentemente strutturale che le producono. Per loro Vita e Morte si giocano principalmente su questo fronte. La salvezza ha per loro un nome preciso: liberazione [12]. E questa categoria ha una portata anzitutto storica, nel senso che significa trasformazione del sistema globale socio-politico che sta alla base della condizione di povertà inumana che li affligge [13]. La perdizione e la salvezza, la More e la Vita, sono lette quindi in chiave anzitutto storica, benché non vengano ignorate le altre dimensioni personali e interiori che esse comportano, neanche la loro dimensione escatologica. Il cielo è, in questa prospettiva, una situazione di totale "comunione e partecipazione" [14] che coinvolge le relazioni fondamentali degli uomini con Dio, tra di loro e anche con la natura [15], una situazione quindi di piena e definitiva eliminazione di ogni forma di accaparramento ed emarginazione generatrici di Morte. La possibilità di anticipare questo cielo al presente, alla terra, in forme sempre meno imperfette di comunione e partecipazione ad ogni livello, è ciò che rende possibile un impegno concreto per la salvezza. La prassi étorica di liberazione è,. perciò, prassi di salvezza perché è azione rivolta efficacemente all'eliminazione della Morte nelle sue radici, e alla vittoria della Vita.
    Queste due riletture della salvezza cristiana hanno delle caratteristiche comuni, pur con sfumature diverse. Segnalo brevemente le prime, tralasciando le seconde. Anzitutto, esse mettono l'accento sull'integralità della salvezza. Non già l'anima ma l'uomo è il soggetto della medesima, e l'uomo nella sua integrità, in tutte le sue dimensioni e componenti. Poi, tutte e due insistono sulla dimensione comunitaria della salvezza: il soggetto di essa non è mai l'individuo isolato, ma immerso in una rete di rapporti intralasciabili. Ambedue insistono, inoltre, sulla dimensione intramondana della salvezza; anzi, copovolgendo la concezione precedente, fanno più attenzione a queste., che a quella escatologica, pur non trascurandola totalmente. Infine, per tutte e due la salvezza è strettamente vincolata all'ambito del profano e della vita, pur senza negare il senso e il valore del sacro e del culto.

    La religione popolare, invocazione di salvezza

    Così chiariti succintamente i concetti di religione popolare e di salvezza, entriamo ora nel nodo della nostra questione. Nel rapporto tra queste due realtà faccio subito rilevare un primo aspetto che mi sembra importante: la religione del popolo costituisce una accorata invocazione di salvezza.
    In effetti, al di là della sua concezione esplicita della salvezza cristiana, generalmente identificata con quella che abbiamo presentata come "classica", e cercata in modo non sempre adeguato specialmente per ciò che si riferisce al culto, il popolo cattolico è spinto da un sentito bisogno di salvezza, e di una salvezza veramente integrale. È molto facile constatare che coloro che vivono questo tipo di religiosità più che alla ricerca del cielo e della salvezza dell'anima - che si vogliono pure assicurare -, vanno dietro a soluzioni per i loro problemi immediati, intramondani. Sono le angosce collegate alla sopravvivenza personale, familiare o di gruppo (l'acqua per il raccolto, la medicina per le malattie, l'allontanamento dei cataclismi, la buona riuscita in una prova, ecc.) o quelle riguardanti i rapporti tra le persone (armonia coniugale o familiare, scoperta del coniuge adeguato, ecc.) a costituire l'oggetto del dinamismo religioso e cultuale, addirittura sacramentale, dei "poveri e semplici" che praticano tale religiosità.
    Si potrà anche facilmente accertare che c'è spesso del non autenticamente religioso in tutto questo. Si finisce infatti molte volte per scaricare su Dio, sulla Madonna, e soprattutto sui Santi delle responsabilità che si potrebbe e si dovrebbe assumere in prima persona. Invece di impegnarsi con le proprie capacità a risolvere i problemi suaccennati, si ricorre a queste forme religioso-cultualé che in questo modo non fanno altro che contribuire a rinforzare tali forme di delega. Altre volte si incorre in autentici atteggiamenti e processi magici, cercando di costringere le "forze superiori" ad intervenire nell'ambito intramondano mediante riti e preghiere considerate irresistibili da parte loro. Certe forme di novene ai Santi o certi modi di partecipare alla messa, alla confessione, al battesimo non possono non qualificarsi come atti magici. Altrettando si dica dell'acquisto e dell'uso di determinati oggetti vincolati al culto quali medaglie, candele, scapolari, talismani di diversa indole, immagini dei Santi, acqua bendetta, ecc.
    Eppure, dentro a tutto questo c'è, indubbiamente, un'invocazione. La "povera gente" che si dà a queste pratiche è di solito gente che non trova facile la vita, che deve lottare faticosamente per la sopravvivenza propria e altrui, e che si rivolge a chi, secondo la sua genuina intuizione di fede, ha la possibilità di aiutarla. Essi sono convinti che Dio, la Madonna e i Santi non possono volere la loro condizione di "perdizione"; anzi, che voglino il loro benessere e la loro felicità integrale, e perciò si rivolgono a loro. O almeno pensano che dovrebbe essere così.
    Questo dato è interessante perché, oltre a farci sapere che la religione popolare si porta profondamente dentro questa invocazione di salvezza, ci dice anche che essa concepisce la salvezza come integrale, come qualcosa cioè che ha a che vedere con la totalità dell'essere umano in questo mondo e nell'altro. È vero che la cerca in modi a volte sbagliati, ma questo non toglie la legittimità della sua ricerca.
    Una conferma di quanto sto dicendo la possiamo trovare nel Documento di Puebla. Esso afferma, al suo n.452, che la religiosità del popolo latinoamericano a volte si trasforma in "un grido per una vera liberazione". È risaputo che per la III Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano liberazionÈ è il nome concreto che ha in questo momento storico la salvezza. Si potrebbe dire che essa, parafrasando Paolo VI nella Populorum Progressio [16], abbia proclamato che per l'America Latina "il nuovo nome della salvezza è liberazione". Spesso, nel suo Documento, il sostantivo "liberazione" viene accompagnato dall'aggettivo "integrale" [17]. È un modo per sottolineare che detta liberazione non può prescindere dai suoi aspetti interiori e personali, ma che neanche può lasciare fuori le dimensioni economiche, sociali, politiche e culturali [18].
    È d'altronde indiscutibile che, spinta dalla concretezza storica, la Conferenza di Puebla concentrò la sua attenzione su queste ultime, pur senza trascurare i primi. Liberazione è, quindi, principalmente - benché non esclusivamente - trasformazione dei condizionamenti economico-socio-politico-culturali che generano la situazione di estrema e inumana povertà che affligge i milioni di uomini e donne del Continente [19] . Ed è questa liberazione concreta, intramondana e storica quella che concretizza, senza esaurirla ovviamente, la salvezza. Per essa grida la religione popolare dell'America Latina in questo momento.
    È soprattutto in questa e mediante questa che si verifica ciò che, con un realismo non privo di slancio poetico, afferma in un altro passo il DP: "Dal l'interno dei paesi che compongono l'America Latina sta salendo verso il cielo un clamore sempre più tumultuoso e impressionante. È il grido di un popolo che soffre, che chiede giustizia, libertà, rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e dei popoli" (n.87).
    Probabilmente sia l'America Latina, unico continente massicciamente cristiano in questo momento, il posto dove il cattolicesimo popolare è più diffuso, e anche l'unico dove esso ha acquistato queste connotazioni liberatrici. Ma sicuramente la situazione di fondo si verifica in modo analogo nelle altre zone del mondo dove esso è ancora presente: questo cattolicesimo del popolo è un clamore per la salvezza, e più precisamente per una salvezza cha abbracci l'intera realtà dell'uomo.

    Religione popolare, un cammino di salvezza?

    Constatare che la religione popolare -lì dove esiste- costituisce un reale clamore per la salvezza non è ancora dire che essa sia una strada che conduca alla medesima. Potrebbe essere un clamore reale ma alienato, come sosteneva K. Marx della religiosità del suo tempo [20], indiscutibilmente popolare dal momento che l'impatto del processo di secolarizzazione non si era ancora fatto sentire tra le masse. E, di fatto, in non pochi casi e in certe sue impostazioni concrete lo è.
    Torno nuovamente al Documento di Puebla. Esso, dopo aver segnalato gli elementi positivi di cui la religione popolare è portatrice (n.448), fa anche un elenco realista degli elementi negativi che si possono riscontrare in essa: superstizione, magia, fatalismo, idolatria del potere, feticismo e ritualismo (n.456) [21]. Nel caratterizzarli afferma laconicamente che sono "di tipo ancestrale". È indubbio che questi aspetti sono la chiara manifestazione di quel sincretismo tra religiosità cosmica e fede cristiana di cui abbiamo parlato precedentemente. Mentre infatti la prima è molto spesso e in forza della sua genesi tutta intrisa degli elementi negativi denunciati da Puebla, la fede cristiana è invece, nella misura in cui è autentica, antiwgsuperstiziosa, antimagica, antifatalista, antiidolatrica, antifeticista e antiritualista. Ed è precisamente per il fatto di essere tale che questa fede risulta una strada di salvezza per l'uomo: lo salva dai falsi rapporti con Dio, con gli altri e con la natura. Ognuno degli elementi negativi segnalati è invece forza di perdizione, nel senso che costituisce un fattore di Morte tra la gente, come lo dimostra palesemente l'esperienza. La fede si oppone ad essi perché vuole il trionfo della Vita. In questo senso si può quindi dire che, nella misura in cui nella religione del popolo ci sono queste forme negative e disumanizzanti, essa non è una strada di salvezza.
    C'è ancora di più, ed è la stessa Conferenza di Puebla a rilevarlo. Si tratta, anche qui, di un dato di fatto, collegato a quanto è stato detto poco sopra. Il Documento lo enuncia in questi termini: "La religione popolare [...] non si è espressa sufficientemente nell'organizzazione delle nostre società e dei nostri Stati. Essa lascia ancora in vigore quelle che Sua Santità Giovanni Paolo II ha chiamato 'strutture di peccato' (Omelia a Zapopán, 3, AAS LXXI, p.230). Così la spaccatura che esiste tra ricchi e poveri, la situazione di intimidazione in cui vivono i più deboli, le ingiustizie, le omi/ssio. ni, e le sottomissioni umilianti che essi soffrono, contraddicono radicalmente i valori della dignità personale e della solidarità fraterna" (n.452). Si tratta di una valutazione soteriologica globale della religiosità popolare latinoamericana, ma che probabilmente si può estendere a gran parte della religiosità popolare di altre zone. Ed è una valutazione negativa per cio che riguarda questo aspetto concreto.
    Forse a qualcuno, estraneo al progetto ecclesiologico e pastorale della Chiesa latinoamericana risulterà difficile scoprire la portata soteriologica di una tale valutazione. Essa apparirà più chiara se si tiene conto di quanto è stato accennato precedentemente: per questa Chiesa la salvezza è, al presente, liberazione integrale. Orbene, le strutture hanno un peso decisivo, benché non esclusivo, in ordine a questa liberazione. Il peccato dal quale bisogna liberare il popoli del Continente è anche e prioritariamente, data l'incidenza mortifera che esso comporta, il peccato cristallizzato nelle strutture di ingiustizia, oppressione e sfruttamento. Non ci sarà salvezza concreta, storica, fintanto esse saranno "ancora in vigore" (DP 452). Il fatto che la religione popolare, nonostante essere un clamore per tale liberazione (1.c.), non contribuisca sufficientemente alla rimozione di tale ordine (o meglio, disordine) strutturale, è dovuto in gran parte alla presenza di quegli elementi negativi a cui si è fatto riferimento sopra. Uno di essi è alla base di tutti gli altri: il fatalismo. I cultori della religione popolare hanno spesso una visione fatalista della realtà -natura e società- che li porta a una rassegnazione passiva o alla delega delle proprie responsabilità, atteggiamenti che prendono poi forme di superstizione, magia, feticismo e ritualismo. È ciò che rende non salvifica tale religione da questo punto di vista.
    Che dire allora? e, soprattutto, che fare? La tentazione immediata è quella di fare piazza pulita. E a questa tentazione hanno ceduto, in un passato non molto lontano, alcuni teologi e pastoralisti. Provenienti da ambiti di una religione più "illuminata" ed "elitista" [22], hanno visto nella religione del popolo solo una accozzaglia di elementi negativi e alienanti che conducevano ad una situazione di infraumanità. E, con logica coerenza, hanno cercato di eliminarla per sostituirla con una fede più pura, liberata da usanze e tradizioni popolari. Il Magistero della Chiesa ha segnalato invece altre piste. La EN ha rilevato le potenzialità evangelizzatrici che ci sono in essa (n.48), e il DP, rieccheggiando l'Esortazione Apostolica, sostiene:
    "Come tutta la Chiesa, la religione del popolo deve essere evangelizzata sempre di nuovo" (n.457). Non eliminazione, quindi, bensì accoglienza. Ma una accolgienza dinamica e critica mediante la quale il cattolicesimo popolare venga "purificato, completato e dinamizzato mediante il Vangelo" (1.c.).
    Diverse volte ho accennato alla condizione sincretistica in cui si trova in genere la religione del popolo. È indispensabile superare questo sincretismo per arrivare ad una vera sintesi. Il sincretismo mescola acriticamente elementi eterogenei; la sintesi unifica, con chiarezza critica, elementi omogenei. Per arrivare ad una religione popolare autenticamente evangelica, e quindi salvifica, si dovrà lavorare per far sì che i germi evangelici che si trovano nella cultura del popolo, e cioè della gente povera e semplice che principalmente la pratica, non vengano soffocati da forze antitetiche, spesso presenti nella religiosità cosmica soprattutto per via della sua visione fatalista della realtà, ma vengano fecondati dalla fede genuina del Vangelo di Gesù Cristo.
    La sfida è quindi seria là dove la religione popolare è ancora radicata in certa visione del mondo frutto a sua volta di una esperienza plurimillenaria di sottomissione dell'uomo alla natura. Si tratta di portare avanti costantemente una "pedagogia pastorale" (DP 457) finalizzata a purificare, completare e dinamizzare, mediante il Vangelo, quanto c'è in essa affinché possa sprigionare il potenziale salvifico che si porta dentro.
    Credo che il punto focale da rilevare in questo contesto sia quello della dimensione storica della proposta di fede rivelata. Infatti, mentre chi dice "natura" dice determinismo e quindi anche ripetitività, chi invece dice "storia" dice libertà e futuro [23]. In fondo le religioni cosmiche non sono che la sacralizzazione della natura, specialmente nel suo eterno girare su se stessa [24], ed è per questo che esse non favoriscono una coscienza storica in senso stretto. La suaccennata tendenza al fatalismo ne è una logica conseguenza. La proposta evangelica, invece, è una proposta di libertà e di novità. Gesù, nell'annunciare l'imminenza del regno di Dio (Mc 1,14-15), propone pure un radicale anti-fatalismo perché mira ad una trasformazione totale del presente in vista di un Futuro nuovo e diverso, più conforme al progetto di Dio e più conforme allo stesso tempo alle aspirazioni più profonde e genuine degli uomini. In questo senso il Vangelo dovrebbe fungere da fermento critico nei confronti di questa religiosità popolare a sfondo cosmico-fatalista, in modo tale che la contraddizione esistente tra la sua invocazione di salvezza e la sua tendenza alla rassegnazione passiva e alla delega delle proprie responsabilità venga superata in favore di un impegno storico concreto. È il caso di potenziare ciò che, secondo il Documento di Puebla, esiste già germinalmente: "Il popolo, mosso da questa religione, crea o utilizza al suo interno, là dove la comunione di vita è più intima, alcuni spazi per esercitare la fraternità: per esempio, nella famiglia, nel quartiere, nel villaggio, nel sindacato, nello sport. E intanto non dispera e sa attendere con fiducia non priva di accorgimento i momenti propizi per avanzare verso la tanto sospirata liberazione" (n.452).
    Fino adesso ho preso in considerazione solo la religione popolare vissuta pacificamente. Non ho tenuto conto di un dato importante della presente situazione, l'impatto del processo scientifico-tecnico su buona parte della medesima. È risaputo che il progredire della scienza e della tecnica sta facendo entrare in crisi la visione della realtà sottostante alla religione del popolo. La presa di coscienza dell'autonomia delle realtà umane (GS 36b), che si sta diffondendo sempre più velocemente tra i popoli dell'intera umanità, anche tra quelli meno "sviluppati!', conduce a vedere le cose in modo profondamente diversoS come si vedevano prima. La secolarizzazione e la conseguente desacralizzazione si sostituiscono ad una percezione sacrale del mondo. In molti casi questo fatto produce il crollo del cattolicesimo popolare, e con esso quello della stessa fede. Resta, tutt'al più, qualche residuo culturale e/o folklorico privo della sua vera portata religiosa. In altri casi la scuote soltanto, senza farla scomparire completamente. La grande sfida, in questo caso, è quella di essere capaci di sostituire una religione popolare a sfondo cosmico con un'altra a sfondo secolare, storico. Compito certamente non facile, ma altrettanto urgente.
    Si tratterebbe di potenziare ancora di più il processo di storicizzazione della religione sopra accennato. Mi rifaccio ancora una volta, a questo scopo, al Documento di Puebla, nel quale i Vescovi hanno dimostrato un lucido realismo sulla condizione in cui viene a trovarsi la religione popolare del Continente latinoamericano per via del sopraggiungere della "cultura urbano-industriale, ispirata alla mentalità scientifico-tecnica" (n.421). E hanno visto, in questa situazione, una sfida alla fede e al compito dell'evangelizzazione. Soprattutto, hanno rilevato il rischio concreto di secolarismo insito in essa e, perciò, hanno formulato il seguente orientamento: "Uno dei principali compiti del nuovo impulso di evangelizzazione deve essere quello di rendere attuale e di riorganizzare l'annuncio del contenuto dell'evangelizzazione, partendo dalla fede stessa dei nostri popoli, in modo che questi possano accogliere i valori della nuova civiltà urbano-industriale, in una sintesi vitale il cui fondamento sia la fede in Dio e non l'ateismo che è la conseguenza logica della tendenza secolarista" (n.436).
    Come si vede, il criterio-guida è lo stesso cha aveva orientato l'incontro della fede con la cultura e la religiosità cosmiche: l'incarnazione, tradotta in assunzione critica [25]. Si parla, nel testo appena citato, di "accogliere i valori della nuova civiltà urbano-industriale, in una sintesi vitale". È precisamente questa la sfida da raccogliere in ordine a fare della religione-popolare una via di salvezza.
    Un aspetto d'importanza dovrà essere tenuto presente in questo processo: il soggetto dovrà essere il popolo stesso. Appunto perché la religione del popolo è praticatLsoprattutto dai "poveri e semplici". Essi, essendo i primi e privilegiati destinatari del Vangelo, hanno una specie di connaturalità con il Vangelo stesso. Se non sono sottoposti ad un processo di inculturazione coloniale - come purtroppo è accaduto più di una volta nella storia dell'evangelizzazione [26] - sono capaci di cogliere la proposta evangelica nella sua genuinità, e di realizzarla con grande coerenza. È l'orientamento indicato dal testo di Puebla sopra citato: "partendo dalla fede stessa dei nostri popoli", si dice in esso, per indicare che le cose non devono venire propinate dall'alto, ma devono gestirsi dal basso.

    Conclusione

    Le riflessioni precedenti hanno certamente un'importanza peculiare per chi si occupa da salesiano della salvezza integrale dei giovani più poveri e bisognosi e dei ceti popolari. Appunto perché poveri, questi destinatari si trovano a vivere in gran parte questo tipo di fede cristiana che si esprime nella forma di cattolicesimo popolare. Se, e nella misura in cui tale religiostà costituisce una autentica strada di salvezza, essa non potrà venir né ignorata né trascurata. Anzi, dovrà venir ampiamente valorizzata e fatta oggetto di attenzione, sia lì dove è ancora pacificamente praticata, sia lì dove essa è già entrata in crisi. La sintonia dei salesiani con "i figli del popolo" [27] dovrebbe costituire un a priori largamente favorevole da questo punto di vista.

    NOTE

    1 VERGOTE A., Le catholicisme populaire, in La Foi et le Temps 4 (1981) 192 (trad.nostra).
    2 Ibid 294.
    3 "La religione del popolo latinoamericano, nella sua forma culturale più caratteristica, è espressione della fede cattolica. È un cattolicesimo popolare" (DP 444). "Pur con deficienze e con il peso del peccato sempre presente, la fede della Chiesa ha segnato l'anima dell'America Latina, caratterizzando la sua identità storica essenziale, e costituendosi come matrice culturale del continente, dalla quale nacquero i nuovi popoli" (ibid 445).
    4 Cf MOLARI C., Salvezza, nella ricerca teologica, in BARBAGLIO G.-DIANICH S., Nuovo Dizionario di Teologia, Roma 1979 , 1414-1438 (soprattutto nella prima parte l'A. fa vedere i diversi modi in cui la salvezza cristiana venne inculturata nei primi cinque secoli).
    5 Una interessante descrizione di questa visione beatifica, fatta nelle categorie proprie dell'epoca, la si può ritrovare nella Bolla Benedictus Deus di papa Benedetto XII (cf DS 1000-1001).
    6 Su tali ripercussioni cf CHENU M.D., Peuple de Dieu dans le monde, Parigi 1966, 22-23; Réflexions chrétiennes sur la verité de la matière, in Esprit (maggio-giugno 1948) 884-888; Théologie de la matière. Civilisation technique e spritualité chrétienne, Parigi 1967, 7.
    7 Cf ELIADE M., Il sacro e il profano, Torino 1973.
    8 Ho trattato un po' più distesamente questa questione nel mio articolo. La salvezza in Cristo oggi, in AMATO A.-ZEVINI G. (ed)., Annunciare Cristo ai giovani, Roma 1980, 235-249.
    9 Il ricorso alle fonti originali della Bibbia si fa più incalzante in epoche come la nostra in cui è in corso un profondo cambiamento culturale epocale. In tali circostanze le inculturazioni precedenti, soprattutto le più vicine , nel tempo, fanno più da schermo che da trasparenza agli scopi di una percezione del messaggio rivelato.
    10 Cf l'analisi un po' più dettagliato nell'articolo citato a nota 8.
    11 Tanto la Conferenza Episcopale di Medellín (1968) quanto quella di Puebla hanno caratterizzato la situazione globale del continente latinoamericano in questi termini. Dìce il DP: "Consideriamo poi come il flagello più devastatore ed umiliante la situazione di inumana povertà nella quale vivono milioni di latinoamericani, espressa per esempio in mortalità infantile, mancanza di una casa decente, problemi di salute, salari di fame, disoccupazione e sottoccupazione, denutrizione, insicurezza del lavoro, migrazioni in massa, forzate e senza protezione, ecc." (n.29). Descrizioni come queste abbondano lungo tutto il Documento, e certamente possono estendersi all'intero Sud dell'umanità.
    12 Rimando per questo tema al mio volume Evangelizzare i poveri. La proposta del Documento di Puebla, Roma 1983, soprattutto p.23 e 27-30, dove studio il senso della salvezza e della liberazione nel processo ecclesiologico latinoamericano dopo il Vaticano II.
    13 Cf ibid 100-101.
    14 Il binomio "comunione e partecipazione" costituisce una delle categorie portanti del Documento di Puebla, che lo usa molto spesso e con diversa portata. Gli serve anche per parlare del futuro escatologico al quale è chiamato l'uomo (per es. n.322).
    15 Dal n.322 al 329 il DP propone la sua linea antropologica avvalendosi appunto di questa triplice relazione costitutiva dell'uomo.
    16 Al n.87 di questa enciclica Paolo VI diceva che "il nuovo nome della pace è sviluppo".
    17 Cf Evangelizzare i poveri, o.c., 101.
    18 In questo modo la Conferenza di Puebla ha voluto prendere distanzia sia da coloro che riducevano la liberazione a un fatto puramente "spirituale" (liberazione dal peccato come rottura del rapporto con Dio), sia di coloro che la riducevano a un fatto puramente "temporale" (liberazione socio-politica).
    19 Cf ancora Evangelizzare i poveri, o.c., 101.
    20 Per la critica di Marx alla religione cf Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in GRUPPI L., Karl Marx-Friedrich Engels. Opere scelte, Roma 1974, 3a.ed., 55-71.
    21 Gli altri elementi menzionati dal Documento a continuazione sono certamente di minore importanza nei confronti di questi, che svelano la vera radice di quanto di negativo si annida nella religione popolare.
    22 Il DP denuncia questo fatto nei seguenti termini: "La religione latinoamericana soffre, da tempo, del divorzio esistente tra élites e popolo" (n.455).
    23 Cf RAMOS REGIDOR J., Secolarizzazione, desacralizzazione e cristianesimo, in Rivista liturgica LVI, 5-6 (1969) 483-485.
    24 Cf ELIADE M., La nostalgia delle origini. Storia e significato nella religione, Brescia 1972.
    25 Dice al riguardo il DP: "La Chiesa, Popolo di Dio, quando annuncia il Vangelo e i popoli accolgono la fede, si incarna in essi e ne assume le culture. Instaura così non una identificazione, ma uno stretto vincolo con esse [...]; rimane valido nell'ordine pastorale il principio dell'incarnazione, formulato da s.Ireneo: 'Quello che non è assunto, non è redento'. Il principio generale dell'incarnazione si concretizza in diversi criteri particolari: [...]. La Chiesa, nel proporre la Buona Novella, denuncia e corregge la presenza del peccato nelle culture; purifica ed esorcizza i disvalori. Stabilisce, di conseguenza, una critica delle culture" (nn.400.404).
    26 Si veda al riguardo l'opera della CEHILA (Comisión de Estudios de Historia de la Iglesia Latinoamericana), Para una historia de la evangelización en América Latina. III Encuentro latinoamericano de CEHILA (Santo Domingo 1975), Barcellona 1977.
    27 Vedere al riguado la discussione attorno alla apertura del Collegio di Valsalice per i figli di nobili e ricchi, e la ragione del rifiuto dei salesiani consultati da D.Bosco (cf MB X 342-343).

    BIBLIOGRAFIA

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    a. Repertori bibliografici
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    110 (1982) 65-84.300-313.451-472; 111 (1983) 450-575; 113 (1985) 546-574.
    b. Alcuni studi di rilievo:
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    - AA.VV., Religiosità popolare e cammino di liberazione, Bologna 1978.
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    - GUTIERREZ G., Teologia della liberazione, Brescia 1972.
    - MOLARI C., Salvezza. Nella ricerca teologica, in BARBAGLIO G.-DIANICH S., Nuovo dizionario di teologia, Roma 19792, 1414-1438.

    * Anche se datato (basta vedere la bibliografia), pensiamo utile inserire nel sito questa riflessione proposta nel corso delle Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana negli anni 80, perché tema sempre vivo e su cui si sono mostrate attenti anche recenti documenti della Chiesa.


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