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    Imparare dai giganti

    Michael Paul Gallagher


    Istruzioni per vivere la vita:

    Presta attenzione.
    Stupisciti.
    Parlane.
    (Mary Oliver, Red Bird)

    Non ho idea di quante ore della mia vita abbia dedicato alla lettura. Leggere ha occupato la maggior parte della mia infanzia, passata in un villaggio prima che ci fosse la televisione. Enid Blyton fu l'inizio e Balthasar la conclusione, con anni di Bronte, Beckett e Bellow in mezzo ai due. Dopo l'infanzia in paese e le superiori, vennero l'università e gli studi di letteratura, seguiti a loro volta da una ventina d'anni di insegnamento della letteratura all'University College di Dublino. Essendo anche sacerdote e gesuita, quel lungo periodo di contatti con gli studenti mi ha spinto verso la teologia. Ascoltarli era come vivere nel futuro. Imparai che le certezze della fede tradizionale erano profondamente in crisi, non per loro difficoltà intellettuale ma a causa di una nuova cultura che comportava una diversa serie di presupposti riguardo all'esistenza. Nacque così in me la passione di spiegare la fede a questo nuovo mondo.
    Poi la vita mi ha allontanato dall'Irlanda. Il programma era di andare in Paraguay, invece finii a Roma, dove dopo cinque anni al Pontificio Consiglio della Cultura diventai professore di teologia all'Università Gregoriana. Nonostante il dottorato in teologia, il mio retroterra era diverso da quello della gran parte dei miei colleghi. Mi resi conto che il mio orizzonte intellettuale era stato modellato, in modo lento ma permanente, dai tanti anni di studi letterari passati in una università statale. All'inizio sembrò uno svantaggio: semplicemente non ero così esperto di teologia come i miei colleghi. Ma dopo un po' ho capito che ciò che la vita mi aveva dato poteva aiutare me e i miei studenti ad affrontare i problemi della fede con un maggiore uso dell'immaginazione. Con una sensibilità modellata dalla letteratura e da anni di esposizione alla cultura emergente, leggevo la teologia con occhi diversi. Mi immergevo nei grandi pensatori del XX secolo cercando di renderli comprensibili alle persone che frequentavo. Questo, molto semplicemente, è all'origine del presente libro.

    Raccogliere per gli altri

    Che cosa ho imparato in tutti questi anni di letture sulla religione, di studio o insegnamento della teologia, e, ancor più importante, di quotidiana preghiera? Che cosa ho scoperto di comunicabile agli altri, a chi non ha avuto le mie stesse occasioni di cercare e riflettere? Queste pagine sono un tentativo di fare il punto delle mie letture e riflessioni e metterlo a disposizione di coloro che cercano Dio, compresi i tanti schietti amici che mi hanno detto di trovare Dio non tanto incomprensibile quanto irreale, fuori dalla loro personale mappa del mondo. All'inizio pensavo di intitolare questo libro «Tradurre i giganti», ma l'editore mi ha consigliato di scegliere un titolo meno criptico. In ogni caso la mia idea era (ed è) quella di proporre una 'traduzione' della grande tradizione teologica che sia adatta anche a quelli che non hanno avuto la possibilità di frequentarla approfonditamente. La mia vita, come ho accennato, mi ha spinto a esplorarla, dedicando innumerevoli ore a imparare dai giganti, e ho adesso la speranza di poter rendermi utile agli altri raccogliendo i frutti di quelle esplorazioni.
    Lo scopo di questo libro è quindi molto semplice: rendere accessibili agli altri gli esiti delle mie riflessioni sulla fede, un'avventura personale durata mezzo secolo. Più specificamente, intendo attingere dalla saggezza di dieci grandi autori e fare in modo che quella saggezza raggiunga persone che non possono dedicare la maggior parte del loro tempo alla lettura. Mi sono proposto di raccogliere ciò che questi colossi hanno detto e di esprimerlo nella lingua di oggi, la lingua non accademica che usiamo tutti i giorni. Sono convinto che molti – si considerino credenti oppure no – sono alla ricerca di un nutrimento di questo genere, allo stesso tempo intellettuale e spirituale. Tutti gli autori qui affrontati si sono interrogati sul senso della vita e sulla fede in modo profondo e creativo, ma anche difficilmente accessibile, almeno all'inizio, per il pubblico dei non specialisti. Mi sono quindi proposto di rendere la ricchezza che essi rappresentano accessibile ai più.
    E non parlo semplicemente dell'esistenza di Dio, che, pur essendo il tema centrale della fede, non coincide con la fede e non la esaurisce. La fede, infatti, è qualcosa di molto più vasto. Riguarda l'uomo nella sua totalità, non solo la sua parte che riflette sull'esistenza di Dio, e riguarda l'intera storia di Dio rivelata in Cristo, non solo certe spiegazioni dell'universo. Ricordo l'osservazione di un giornalista irlandese sul fatto che nei pub può accadere di sentire discussioni su Dio o la Chiesa ma mai, o quasi, su Cristo. I discorsi religiosi nei pub tendono a restare in superficie. D'altra parte, ciò che intendo esplorare in queste pagine ci porta verso una logica differente, un'altra lunghezza d'onda. I ragionamenti superficiali su qualche tipo di forza soprannaturale (a volte chiamata impropriamente 'Dio') non renderanno mai giustizia alla vera fede. Solo il nostro cuore, la nostra mente e le nostre umili ricerche possono mostrarci strade che vale la pena di percorrere (il resto è riserva di caccia per i vari Richard Dawkins).
    Il libro si intitola Mappe della fede nel senso che ogni capitolo sceglie un importante autore cristiano e si chiede come lui, o lei, ci indicherebbero la via verso la fede. L'attenzione c rivolta più a come possiamo orientarci verso la possibilità (li credere che ai contenuti del credere. Mi rendo conto, come ho detto, che a molti amici non credenti questo parlare di Dio suona come una lingua di cui non conoscono né il lessico né la grammatica. A loro non chiedo altro che prendere coscienza dei loro stessi dubbi di fondo. Sfogliando queste pagine, potrebbero cominciare ad apprezzare la lunga tradizione delle riflessioni su quella strana sorpresa che chiamiamo 'Dio'. Ma come rendere giustizia a questa rappresentazione dell'aspirazione e della scoperta in una maniera che abbia senso oggi? Nella prima parte di ogni capitolo un grande esploratore della fede è presentato con le sue parole. Una volta riassunto il modo in cui ciascuno di loro ha concepito il cammino verso la fede, in quasi tutti i capitoli provo a domandarmi: cosa ci direbbe oggi il pensatore che ho presentato? In otto dei capitoli mi sono arrischiato a escogitare un monologo immaginario, come ciascuno dei 'giganti' potrebbe pronunciarlo oggi. Effettivamente, lettori meno abituati alla teologia potrebbero trovare più comodo cominciare da lì. Nei capitoli dedicati a Dorothee Sòlle e Joseph Ratzinger mi è parso invece più appropriato un intervento di tipo diverso.

    Il contesto di oggi

    In che cosa consiste questo 'oggi'? Come lo possiamo descrivere? Lasciatemi utilizzare alcuni ricordi di un mondo che non esiste più. Almeno nel nostro mondo occidentale, chi cresce più giocando nelle strade di un villaggio senza guardare la televisione o navigare in internet? E chi, oggi, cresce con la sensazione che la religione sia un aspetto normale della vita, dalle preghiere domestiche alle occasioni di vita parrocchiale: le benedizioni, le missioni, le messe solenni? Come dice un indovinato verso di Wallace Stevens,
    «Stavamo tutto il giorno come danesi in Danimarca» (cioè bene, perfettamente 'a casa'). Ho in mente la mia infanzia irlandese, ma vale per il mondo intero. Una sessantina di anni fa la maggior parte delle persone avevano una mentalità da paese, perfino in metropoli come New York. Era così per i cattolici e le loro parrocchie, ma senza dubbio per quasi tutti i credenti, cristiani e non cristiani. Fede e appartenenza erano quasi due facce di un'unica medaglia.
    Oggi è raro che un bambino faccia esperienza di una religiosità ereditata in modo così liscio e pacifico. Dovunque nel mondo occidentale la Chiesa ha perso drammaticamente terreno e in molti casi ha smesso di essere al centro della vita delle persone. Nella complessità odierna, essa è solo una delle molte fonti potenziali di significato; e non delle più attraenti, oltretutto. Alla maggior parte delle giovani generazioni ciò che la Chiesa offre in fatto di dottrina, riti e concezione dello spirito appare strano, astratto e perfino ingannevole. Molti giovani sono stati a contatto con la Chiesa almeno in certe occasioni, come quella della prima comunione (un evento non di rado trasformato in un'orgia di consumismo), ma di solito a partire dall'adolescenza il linguaggio della Chiesa tende a sembrare completamente estraneo. Come potranno, quei giovani, trovare la strada verso la fede? Probabilmente non attraverso i sacramenti e la liturgia, almeno all'inizio. Simili espressioni della fede sono nobili e ricche quando sono comprese, ma finiscono col sembrare vuote se manca una base personale di «immaginazione religiosa» (un'espressione chiave di Newman). Investendo il suo intero capitale sull'aspetto sacramentale, la Chiesa rischia di mettere il carro davanti ai buoi, se mi è concesso mischiare le metafore. Le persone prima devono riscoprire la loro anima, riappropriarsi di quei desideri che il modo di vivere prevalente tende a spegnere. Solo allora potranno risvegliarsi alla sorpresa del Vangelo. Questa potrebbe essere la «nuova evangelizzazione» tanto auspicata da papa Giovanni Paolo II, per arrivare a ciò che non ci è più dato di raggiungere per mezzo di quella `sacramentalizzazione all'antica' perfetta per la mia cultura di villaggio.
    Il libro parte quindi dal presupposto della scomparsa di una tradizione stabile e dell'avvento di una cultura complessa. Se «il contesto condiziona la consapevolezza», come piace dire ai marxisti, è naturale che un mondo radicalmente cambiato abbia un enorme impatto sulla possibilità di vivere l'esperienza della fede. Nella nuova situazione, pochissime persone ereditano la fede dei genitori. Già parlare di 'trasmissione della fede', come ancora si fa, è troppo ottimistico, scontato e datato. Ci occorre un nuovo programma di nutrimento e riflessione spirituale, e gli autori presentati nei capitoli che seguono possono fornirci alcuni degli ingredienti fondamentali. Nonostante le molte differenze, essi hanno in comune l'impulso a ripensare e ripresentare la fede in modi capaci di raggiungere l'uomo di oggi.
    Fino a che punto un libro può aiutare le persone nella loro ricerca? La lettura è spesso solitaria, ma i lettori di queste pagine sono invitati a farne un uso consapevole: un atteggiamento troppo intellettuale non raggiunge il nocciolo della fede, che è amore offerto e accettato. E un sì in risposta a un altro sì, in cui l'eterno sì di Dio viene prima e prima ci raggiunge, e il nostro più incerto sì è una risposta e viene dopo. Perciò ho tentato di scrivere con riverenza, sperando di essere letto in uno spirito di apertura all'immaginazione di Dio. Perché alla fine è di questo che stiamo parlando: dell'invito che Dio ci rivolge a immaginare le nostre vite come fondate su un amore che supera ogni immaginazione.
    Quasi mezzo secolo fa, il Concilio Vaticano II ha prodotto la prima seria trattazione dell'ateismo nella storia della Chiesa. Dopo un intenso dibattito, il Concilio ha optato per un'impostazione radicata nel dialogo e nell'interrogazione di sé, abbandonando la precedente tendenza a considerare l'ateismo nient'altro che un pericoloso errore filosofico o un sistema politico ingiusto. Le parole di apertura delle sezioni dedicate all'incredulità non hanno perso la loro attualità: per tre volte menzionano l'amore per poi introdurre il fenomeno dell'ateismo come incapacità di riconoscere la rivelazione biblica dell'amore di Dio. L'ateismo è così considerato non il rifiuto teorico di un Dio remoto, ma un problema esistenziale alla cui radice c'è una relazione non realizzata, un invito non accettato.
    Una parafrasi semplificata di Gaudium et Spes 19 potrebbe suonare così: «La più alta meta dell'uomo è l'incontro con Dio. Nasciamo dall'amore, siamo tenuti in vita dall'amore e la pienezza della vita arriva quando riconosciamo questo amore e lo accogliamo liberamente. Ma oggi, purtroppo, molti non sono in grado di sentire e capire questo richiamo interiore. Ecco perché l'ateismo è diventato uno dei più seri problemi del nostro tempo».
    E nel suggestivo discorso conclusivo del Concilio, papa Paolo VI mise in risalto il nuovo 'tono' riguardo alla fede e alla mancanza di fede:

    L'umanesimo laico profano alla fine è apparso nella [sua] terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio [...]. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. L'antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso [...] . Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell'uomo (Ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II, Allocuzione di Sua Santità Paolo VI, martedì 7 dicembre 1965).

    I dieci autori che incontriamo in queste pagine esplorano la questione della fede esattamente in questo spirito di dialogo e simpatia (anche quelli che sono vissuti prima del Concilio). Essi sanno bene che le impostazioni dottrinali o astratte possono non arrivare agli uomini e alle donne della nostra epoca. Si sono resi conto che molte persone (compresi loro stessi, in certi casi) finiscono in una dolorosa confusione circa gli scopi ultimi, la vita della Chiesa e la possibilità di Dio. La sfida di una cultura frammentata li ha spinti a cercare di dare alla fede un senso adatto a nuove condizioni di vita. Quella stessa sfida è all'origine del mio tentativo di tradurre il pensiero di questi giganti, nella speranza di aiutare le persone a scoprire o riscoprire l'aspirazione a una fede che può cambiare tutto.

    (Da MAPPE DELLA FEDE, Vita & Pensiero 2011, pp. 7-14)


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