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    Bernard Lonergan:

    una guida verso il dono

    Michael Paul Gallagher

    lonergan
    Se Bernard Lonergan resta un gigante in gran parte sconosciuto della teologia del XX secolo, la ragione non è difficile da trovare. La sua opera, tutta dedicata ai fondamenti della teologia e della filosofia, non è mai arrivata al grande pubblico, e anche tra i teologi di professione non sono pochi quelli che ancora oggi hanno scarsa confidenza con i suoi scritti. Molti altri, tuttavia, considerano questo gesuita canadese un genio e pensano che finirà con l'essere riconosciuto tale. In questo libro, riprenderemo alcuni aspetti del suo lavoro, cercando, come negli altri capitoli, di mettere in evidenza quello che egli ha da dire sui nostri attuali percorsi di fede.
    Lonergan ha descritto se stesso come un pensatore prudente, in disaccordo con chiunque butterebbe il bambino con l'acqua sporca. Anch'egli si rese conto, per gradi e dolorosamente, che la fede religiosa si appoggiava sulle sabbie mobili e che la teologia come si insegnava un tempo era ormai del tutto inadeguata, avendo vissuto fuori dalla storia in un regno di verità immutabili mentre un mondo completamente nuovo nasceva e si affermava. A suo avviso quella che bisognava affrontare era una «crisi non della fede ma della cultura» (C, p. 244). Sul piano intellettuale, andavano ripensati i vecchi criteri di verità; sul piano sociale, un nuovo stile di vita stava sradicando le persone dalle religioni cui appartenevano. Alla crisi della cultura egli pensò di rispondere con un esame attento dei fondamenti, sia, in generale, quelli del sapere, sia, in particolare, quelli della fede.

    Nuovi fondamenti

    Intorno al 1965, dopo anni di studio e insegnamento, Lonergan propose una nuova fondazione della teologia che per alcuni fu una completa sorpresa; eppure, a pensarci, la sua idea era del tutto ovvia. Invece di cominciare col ponderare la fede o col fare teologia a partire dalla rivelazione scritta o dai pronunciamenti autorevoli della Chiesa, egli concluse che, specialmente nella nostra cultura di matrice empirista, la teologia dovrebbe basarsi sull'esperienza religiosa dell'essere trasformati dall'amore di Dio.
    Ma andiamo indietro nel tempo almeno quanto basta per capire qualcosa della sua teoria sul modo in cui giungiamo alla verità. Nel 1929, quando era uno studente ventiquattrenne di filosofia in Inghilterra, Lonergan si imbatté nella Grammatica dell'assenso di Newman e la lesse sei volte. Il giovane canadese era già consapevole dei problemi suscitati dalla scienza moderna e del fatto che il pensiero cattolico tradizionale non era in grado di raccogliere la sfida. Tra tutti gli importanti teologi del XX secolo, lui era il solo con un approccio scientifico al problema, per cui le sue domande giovanili erano formulate da un diverso punto di vista. Come possiamo giustificare i giudizi di verità in campi come la fede, che non sono soltanto empirici? Come possiamo andare oltre la tipica immagine moderna del reale come qualcosa che è «già-fuori-là-ora» (already-out-there-now) e può essere verificato esaminandolo con attenzione? Se un simile quadro concettuale fosse il solo metodo accettabile, la fede sarebbe davvero nei guai.
    L'incontro iniziale con Newman indirizzò Lonergan a un viaggio di esplorazione che sarebbe durato per il resto della vita. In particolare, egli rimase affascinato dalle analisi introspettive del grande cardinale. Come si è spiegato nel primo capitolo, questi affermava che, come difesa della fede cristiana, la strategia neutrale delle 'prove' era votata alla sconfitta. Il ricercatore deve porre attenzione alle operazioni interiori implicate nell'arrivare alla verità e sentirsi perso-nalmente coinvolto nella ricerca. Perciò Lonergan, all'inizio sotto l'influsso di Newman, poi sotto quello di san Tommaso, sviluppò un'impostazione che per certi versi coincide con quella di Karl Rahner. Entrambi hanno ricollocato l'esperienza religiosa dentro il campo della teologia ed entrambi sono spesso considerati esponenti della scuola del 'tomismo trascendentale', ma l'analisi che Lonergan fa del processo della fede è più precisa e definita; più 'anglosassone', si potrebbe dire.

    La scala della conoscenza

    La sua prima regola era semplicemente «porre attenzione», nel senso di diventare consapevoli delle dinamiche della conoscenza e della scelta. Si ha esperienza di qualcosa. Ci si interroga su quel qualcosa. Si riflette su ciò che l'intuito ci suggerisce. Si esprime un giudizio di verità. Si cerca di trarne delle conseguenze. Cosa fare a quel punto? Come scegliere la via giusta? Armato di questi interrogativi apparentemente semplici, Lonergan tornò alla filosofia per ricostruire le basi della verità religiosa e spianare la strada al suo successivo lavoro sul metodo in teologia. Il risultato fu il ponderoso volume intitolato Insight: uno studio del comprendere umano.
    E un po' rischioso offrire una sintesi così breve delle principali preoccupazioni di Lonergan. Alcuni potrebbero trovare che suoni tutto fin troppo semplice e ovvio, altri che si tratti di mera teoria. Lonergan ha sempre sfidato i suoi studenti e i suoi lettori a impegnarsi in quella che chiamava «auto-appropriazione». Limitarsi a leggere Insight sarebbe inutile se il lettore non verificasse continuamente la «struttura cognitiva» della sua esperienza e riflessione. Quello che conta è «la scoperta di se stessi in se stessi» (M, p. 260) e il cambiamento della propria comprensione del conoscere. Di più, Lonergan si proponeva anche di liberarci da certi presupposti prevalenti della cultura contemporanea che parificano la conoscenza alla verificazione esteriore. Finché questa è il nostro modo principale di conoscere, Dio è fuori dalla mappa. Non ci sono dati di origine esteriore su Dio. Tuttavia, l'insieme della nostra conoscenza ci porta oltre il mondo dei sensi.
    Secondo Lonergan, la scienza stessa va dai dati alla verificazione attraverso ipotesi. La verificazione, però, non è compiuta solo con gli occhi, ma attraverso la capacità umana di giudizio (che Newman chiamava «senso illativo»). Tutto il sapere umano percorre questo sentiero: dall'esperienza, attraverso l'illazione [così viene tradotto in italiano il lonerghiano insight, Ndfi, al giudizio e poi, passando per un giudizio di verità, alla possibilità di decisioni morali ed esistenziali. Questa mappa della conoscenza umana diventò fondamentale per Lonergan e rappresentò il suo principale contributo all'epistemologia o filosofia della conoscenza. Se sant'Ignazio offrì 'esercizi spirituali' con cui aiutare le persone a mettere a fuoco la propria vita e trovare Dio nella preghiera, in Insight Lonergan ha offerto 'esercizi intellettuali' con cui aiutare le persone a riconoscere le tappe essenziali del loro processo conoscitivo e diventare così più sicure della propria capacità di arrivare alla verità – compresa, naturalmente, la verità della fede.

    Impedimenti alla libertà

    La fede, però, non è una verità ordinaria. Riconoscere Dio non è lo stesso che verificare un esperimento, ci richiede livelli di noi stessi che oltrepassano la dimensione strettamente razionale. La questione di Dio, giunse a capire Lonergan, può essere affrontata nel modo migliore sul piano della nostra libertà. Ma siamo davvero liberi? Egli ha speso pagine eloquenti sui diversi blocchi o modi di «deformazione» (bias) che possono renderci gravemente non liberi. «Può esserci un amore per le tenebre» che finisce in una «nebbia di oscurità [.. .] di dubbio e razionalizzazione, di insicurezza e inquietudine» (I, pp. 214215). I presupposti del senso comune possono imprigionarci in spazi angusti. Certe domande possono essere evitate per
    pigrizia o fatte passare per assurde. Quando un'intera cultura mette i paraocchi alle persone, i desideri più profondi sono soffocati da una pletora di distrazioni superficiali. In questo modo la parabola del seminatore trova una versione attuale nella complessità degli stili di vita odierni.
    Lonergan esamina tre tipi di deformazione che possono ostruire la strada verso la fede. La prima, da lui chiamata «deformazione individuale», è la costante tendenza a mettere il proprio sé al centro di tutto e a comportarsi di conseguenza. «Con sorprendente modestia», scrive non senza ironia, «uno non si avventura a sollevare le domande ulteriori pertinenti»; e perfino se è vagamente consapevole di ingannarsi da sé, l'egoista riesce di solito a soffocare l'inquietudine della coscienza (I, p. 245). Un simile impedimento alla crescita degli interrogativi personali rende impreparati alla fede. L'autotrascendenza è bloccata quando si vive nella «noncuranza egoistica degli altri» (M, p. 53).
    Una seconda categoria, la «deformazione di gruppo», è connessa con l'appartenenza a un'area della società o del mondo. La mia visione della vita può essere distorta dalla prospettiva della mia cerchia, o subcultura, o parte del mondo. 'Noi' siamo sempre nel giusto e gli estranei sono visti con sospetto. Come direbbe René Girard, ci nutriamo di ostilità e costruiamo per noi stessi un'identità negativa. Nelle parole di Lonergan, «i gruppi ostili non scordano facilmente i torti, né mettono da parte i risentimenti, né superano le paure e i sospetti» (M, p. 53). Di conseguenza la deformazione di gruppo porta a «una macchia cieca per le intellezioni che rivelano che il suo benessere è eccessivo» (I, p. 248). Un insieme così chiuso di atteggiamenti può paralizzare la capacità di cambiamento sociale, compresa quella fonte di trasformazione che è la fede religiosa.
    La terza deformazione consiste nella preferenza per un miope pragmatismo di cui fa le spese, almeno a volte, l'andare alla radice delle cose. È fin troppo facile chiudersi in routines quotidiane attente solo alle questioni pratiche e ignorare gli orizzonti più ampi. Per usare le parole di Lonergan,

    «il senso comune si considera onnicompetente [...] di solito è ignaro di quanto nonsenso comune si mescoli nelle convinzioni e negli slogans ai quali è attaccato» (M, p. 53). Una simile ristrettezza mentale camuffata da senso comune può reprimere ogni domanda su Dio. Se è reale solo quello che può essere gestito a breve termine, Dio non può che sembrare irreale. L'«eros», ovvero il movimento ascendente del desiderio di ogni essere umano, può essere «mutilato» se non trova modo di dare corso ai propri «slanci». Così, tutte e tre le forme di deformazione possono soffocare l'«orientamento spontaneo verso il divino» (M, p. 103).

    Lonergan, che mostrò sempre un vivo interesse per la storia sociale ed economica, formulò una cupa diagnosi della situazione del mondo moderno urgentemente bisognoso di fede e redenzione. A suo parere l'esito della deformazione è il compromesso, cumulativo ma inconscio, sul piano sia individuale sia culturale. Se non riconosciuto, esso produce impotenza e ideologia e può perfino «minacciare di distruzione la civiltà» (M, p. 40). Quando si verifica una fuga comune dalla conoscenza, il ristagno prende il sopravvento e la situazione volge verso la crisi e, a volte, verso la tragedia della guerra. La libertà di immaginare la vita in modo diverso scompare insieme alla libertà spirituale di credere che Dio possa essere entrato nel caos della storia umana.

    La trasformazione dell'essere innamorati

    Contro queste deformazioni, Lonergan pensava la fede in termini di un risanante mutamento di orizzonte. Proprio come abbiamo la necessità di liberare noi stessi da una concezione miope della verità (il mito del «già-fuori-là-ora» come criterio della realtà), così abbiamo la necessità di rivedere i percorsi verso l'autenticità umana, dei quali la fede religiosa è (come si vedrà) il coronamento. Se la deformazione, nella sua triplice forma, può produrre una pericolosa inautenticità, come si manifesterà invece l'autenticità?
    Sarà un maturare dell'autotrascendenza attraverso la fedeltà all'«eros dello spirito umano» (M, p. 13). Ciò comporta il «diventare persone» (M, p. 104), affrontando i molti nostri interrogativi e cercando risposte. Questo processo non è un mero esercizio intellettuale perché ci conduce fino al regno della libertà, attraverso una scelta fondamentale riguardo agli scopi delle nostre esistenze. Lonergan parla spesso dell'alternativa tra il vivere a caso e l'impegnarsi sui valori. Chi vive a caso si accontenta di seguire la corrente senza mettersi davvero al timone della sua esistenza, «soddisfatto di pensare e dire ciò che pensano e dicono tutti gli altri» ( C, p. 224). Al contrario, si arriva alla libertà autentica attraverso un momento esistenziale, rendendosi conto che sta a ciascuno decidere cosa fare di se stesso. Ciascuno ha la responsabilità della qualità della propria vita. Il vivere diventa allora un vivere «a occhi aperti», sebbene «ciò che è stato raggiunto sia sempre precario: può sfuggirci, cadere, frantumarsi»; ciò nonostante, una persona può emergere non solo dal vivere a caso all'essere padrona di sé, ma anche dal mondo infantile dell'immediatezza a «un mondo mediato dal significato» ( C, pp. 224-225). Qui i nostri orizzonti si espandono grazie a comuni tradizioni di valore, memoria, cultura, Chiesa. In effetti Lonergan (come Charles Taylor) ribadisce che «l'individuo non è il dato primordiale. A essere primordiale è la comunità» (PGT, p. 211). È quindi entro una tradizione o una cultura che si realizzano ambedue le transizioni dalla passività alla coscienza matura e dall'immediatezza di un sapere quasi-animale al più vasto mondo del significato. In questo modo diventiamo pronti per il dono della rivelazione divina, che è in effetti «l'ingresso di Dio stesso nel mondo umano mediato dal significato» (2C, p. 260).
    Fin qui il nostro viaggio verso l'autenticità è stato descritto in termini di una conquista umana di autotrascendenza. Il culmine dell'avventura non è ancora stato menzionato: all'apice della nostra libertà, un'altra realtà entra in scena. Questa realtà è l'amore. Per Lonergan l'innamoramento è l'evento che introduce una persona nel nuovo stato dell'«essere innamorati», un nuovo orizzonte che «assume il controllo» dell'intera vita individuale (M, p. 105). L'esperienza dell'amore assorbe le energie di una persona; è il contrario del vivere come capita. «Quando ci innamoriamo la vita ricomincia. Un nuovo principio assume il controllo e, finché lo conserva, siamo sollevati al di sopra di noi stessi» (3C, p. 175). Naturalmente l'amore può assumere forme diverse. C'è l'amore dell'intimità tra le persone, ma c'è anche un «innamorarsi di Dio» che può essere «un'esperienza non meno piena, predominante, travolgente e durevole dell'amore umano» ( C, p. 231).
    E significativo che Lonergan esplori la potenza trasformatrice dell'amore prima di cominciare a riflettere sulla natura della fede. In particolare, egli presta una speciale attenzione all' «esperienza religiosa» dell'«innamorarsi di Dio». Questa è per lui la suprema realizzazione della nostra capacità di autotrascendenza, qualcosa che «si inserisce alla sommità dell'anima» (M, p. 107). Se fin qui la nostra crescita come persone è stata il frutto della fedeltà alle nostre domande e alla nostra coscienza, ora il programma passa dalla conquista dell'autenticità alla sorpresa di un dono che cambia ogni cosa. Questa nuova condizione di essere «innamorati di Dio» non è mai il prodotto della nostra intelligenza o della nostra libertà; «al contrario, smantella e abolisce l'orizzonte entro il quale finora si verificava la nostra conoscenza e la nostra scelta, e stabilisce un nuovo orizzonte nel quale l'amore di Dio trasvalora i nostri valori e gli occhi di questo amore trasformano la nostra conoscenza» (M, p. 106). Alla fine, questo amore che trasforma è qualcosa che riceviamo, non qualcosa che produciamo.

    La fede in quanto amore-conoscenza

    In questo modo, Lonergan cerca di tradurre la tradizionale teologia della grazia nel linguaggio dell'esperienza religiosa. Come si è accennato in precedenza, una svolta decisiva del suo pensiero avvenne intorno al 1965 con l'intuizione che un nuovo
    fondamento della teologia può consistere nella «trasformazione radicale» che è «fondamentale per il vivere religioso» (2C, p. 65). Le teologie passate rimanevano astratte e statiche e facevano poca attenzione a questo vero e proprio nocciolo dell'intera religione. Una teologia all'altezza dell'oggi dovrebbe dare il posto d'onore al «processo in divenire» della «religione viva», perché la religione è «conversione nel suo prepararsi, nel suo awenire, nei suoi sviluppi, nelle sue conseguenze e, ahimé, nella sua incompiutezza, nei suoi fallimenti, nelle sue avarie, nella sua disintegrazione» (2C, pp. 66-67). L'autenticità (o inautenticità) della religione dipende dal restare (o non restare) in relazione con il dono dell'amore di Dio che ci turba e ci libera.
    Come ha luogo quel dono? Lonergan non perdeva occasione di rinviare al suo passo preferito di san Paolo: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Questo riversare da parte dello Spirito è universale, una corrente nascosta, per così dire, dentro ogni cuore umano. Ma l'amore di Dio per noi può restare non corrisposto. Questa «parola interiore» può restare un'«esperienza immediata del mistero dell'amore» (M, p. 113), reale ma non riconosciuta. Questo orientamento al mistero deve diventare concreto nel mondo del significato, e ciò accade soprattutto per mezzo di Gesù Cristo. Lonergan porta l'esempio di un uomo e di una donna che si amano ma ancora non se lo sono detti esplicitamente. «Il loro stesso silenzio significa che il loro amore non è ancora arrivato alla dedizione e al dono di sé» (M, p. 113). Una nuova fase della loro relazione viene raggiunta quando essi rivelano il loro sentimento in modo reciproco ed esplicito. Allo stesso modo una situazione radicalmente nuova arriva con la Parola della rivelazione.

    Una conversione degli affetti

    Alla luce di tutto ciò, Lonergan offre la sua concisa e indimenticabile definizione della fede come «la conoscenza nata dall'amore religioso» (M, 115). Qui egli esprime in un linguaggio più attuale e più personale un'intuizione decisiva di Tommaso d'Aquino, che aveva parlato della fede come di un atto dell'intelletto dominato dalla volontà. Spingendosi più lontano, Lonergan colloca questo riconoscimento al culmine di una lunga avventura umana di autotrascendimento, in cui l'onere del conquistare lascia il posto alla sorpresa del ricevere, e, come già visto, alla sorpresa totalizzante di essere amati da Dio. Fede è sapere questo con la mente e col cuore.
    Lentamente, Lonergan è arrivato a concepire la «conversione degli affetti» come centrale per la fede (3C, p. 179). Attraverso una trasformazione dei nostri sentimenti, non solo delle nostre idee, giungiamo ad abbracciare l'amore in quanto dono divino, pervenendo così all'essere innamorati. «Dato che la fede dà più verità di quanta l'intelletto ne comprenda [.. .] la sensibilità dell'uomo ha bisogno di simboli che sblocchino il suo trasformante dinamismo» (I, p. 744). Per il cristiano, l'immagine che tocca i cuori e rivela la durevole fonte dell'amore è semplicemente la persona di Cristo. «Il cristianesimo implica non solo il dono interiore dell'essere innamorati di Dio, ma anche l'espressione esteriore dell'amore divino in Gesù Cristo che muore e risorge» (PGT, p. 170).
    Da questo punto di vista, tutto il nostro decidere può avere un diverso fondamento e un diverso tono. «Il desiderio diventa gioia quando la conversione religiosa trasforma il soggetto esistenziale in un soggetto innamorato, in un soggetto preso, dominato, posseduto da un amore totale e quindi di un altro mondo» (M, p. 242). Lonergan, tuttavia, vuole descrivere dove si colloca la fede in una mappa della nostra liberazione umana nel contesto culturale odierno, e mette in luce come il movimento verso l'alto della nostra autotrascendenza sia coronato e abbracciato dal movimento trasformante verso il basso del dono divino. Entrando in questo orizzonte di fede possiamo rileggere il viaggio umano verso l'alto e accorgerci che era già stato modellato dall'arte silenziosa dello Spirito per prepararci alla Parola che è Cristo.
    In uno dei suoi momenti più eloquenti, Lonergan evoca l'esperienza religiosa dell'amore con queste parole:
    È come se una sala fosse riempita di musica benché nessuno ne conosca esattamente la fonte. C'è nel mondo, per così dire, un campo carico di amore e di senso; qua e là esso raggiunge un'intensità sorprendente; ma è sempre discreto, nascosto, sempre invitante ciascuno di noi ad associarvisi. E dobbiamo associarci se vogliamo percepirlo, poiché la nostra percezione di esso avviene attraverso il nostro amore (M, p. 290).
    La musica, come il fluire dell'amore divino, è dappertutto, con livelli variabili di presenza avvertita. A volte travolgente, a volte apparentemente timida, essa ci circonda invitandoci a partecipare all'armonia. La fede è la nostra percezione di questa sinfonia dell'amore divino, una percezione possibile solo se ci immergiamo nel flusso della musica.


    RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ALLE OPERE DI BERNARD LONERGAN

    C = Collections, eds. F. Crowe - R. Doran, Toronto 1988.
    2C = A Second Collection, eds. W. Ryan - B. Tyrrell, London 1988. 3C= A Third Collection, ed. F. Crowe, London 1985.
    I = Insights: A Study of Human Understanding, eds. E Crowe - R. Doran, Toronto 1992.
    M = Method in Theology, London 1972.
    PGT = Philosophy of God and Theology, in Philosophical and Theological Papers 1965-1980, eds. R. Croken - R. Duran, Toronto 2004.
    [Alcune delle opere qui sopra indicate sono contenute, insieme ad altre, in Opera omnia di Bernard J.F. Lonergan, Roma 1993-, Nc17].


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