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    Ateismo, passato e futuro

    Paolo Ricca *

     

    Gli storici delle culture e in particolare gli etnologi, cioè gli studiosi delle culture dei popoli cosiddetti primitivi, sostengono, sulla base dei loro studi, due tesi opposte:
    secondo alcuni l’uomo iniziale era perfettamente ateo, non possedeva cioè alcuna idea di un qualsiasi mondo divino; secondo altri, invece, l’uomo primitivo, in base all’esperienza del sogno, dell’estasi, della capacità immaginativa e della stessa morte, sarebbe stato fin dall’inizio indotto a concepire l’esistenza di una realtà superiore alla condizione umana, di un “altro mondo”, che non essendo a sua disposizione, avrebbe considerato divino. Questa religione originaria avrebbe addirittura assunto, presso certi popoli come i pigmei, i connotati di un monoteismo.

    Ateismo e rivelazione
    Le due posizioni - il rifiuto di credere nell’esistenza di un Dio, e quindi la convinzione di essere a-tei, cioè senza Dio perché Dio non c’è, e invece la convinzione opposta che Dio esiste e addirittura parla, o ha parlato, si è rivelato, cioè è uscito dal suo mistero, e può essere conosciuto e incontrato - queste due posizioni si sono perpetuate in forme e misure diverse, ma senza che una delle due venisse mai meno, lungo tutto il cammino della storia umana e sono oggi entrambe ben rappresentate a tutti i livelli.

    Religioni e ateismo
    Da un lato abbiamo l’imponente fenomeno delle religioni, che contrariamente alle previsioni e attese di molti, e malgrado la secolarizzazione galoppante in Occidente, non sembrano affatto vivere il loro crepuscolo. Il grido di Nietzsche: “Dio è morto! E noi lo abbiamo ucciso” - un grido che in lui esprime non solo liberazione e vittoria, ma anche inquietudine e sgomento - ha indubbiamente una sua forza retorica, ma la verità che proclama è più apparente che reale. Dio non è morto, ma è!
    D’altro lato però abbiamo il fenomeno, non altrettanto vistoso perché non organizzato né istituzionalizzato (come in genere lo sono le religioni), ma comunque assolutamente rilevante soprattutto in Occidente, ma anche altrove, dell’ateismo in tutte le sue forme che, semplificando molto il quadro, possiamo ricondurre a due principali.

    Forme di ateismo
    La prima è l’ateismo cosiddetto pratico, che è quello di tutti coloro che vivono, pensano e agiscono “come se Dio non ci fosse”, prescindendo cioè da lui nella loro esistenza quotidiana, tanto nelle loro relazioni con gli altri, quanto nella loro vita più personale e intima: nella loro interiorità, Dio non c’è (o non si chiama così). Questo ateismo pratico non è frutto di una scelta precisa, non è voluto o programmato, è semplicemente un dato di fatto, una condizione nella quale uno si trova.
    La seconda forma di ateismo è il cosiddetto ateismo teorico, quello cioè che teorizza l’inesistenza o l’inconsistenza di Dio, che non sarebbe altro che un fantasma celeste creato dall’uomo, proiezione dei suoi desideri o delle sue frustrazioni. Questo tipo di ateismo, detto anche sistematico (perché eretto a sistema) o scientifico (perché assunto come verità dimostrabile scientificamente) è in realtà una creazione piuttosto recente (grosso modo dalla metà del 16. secolo in avanti), che coincide con la nascita e lo sviluppo della modernità e alla quale ha sicuramente contribuito in modo determinante lo sviluppo della scienza e della tecnica, che hanno dato vita a una visione del mondo nella quale Dio non era più necessario. Cartesio confessava (in privato): “Non ho bisogno della ipotesi Dio”. Ma nel Settecento e Ottocento europeo, com’è noto, Dio venne messo al bando da molti pensatori influenti non già perché superfluo, ma perché considerato nocivo, come una droga che aliena la gente dal mondo reale, o una sanguisuga celeste che assorbe e vanifica le migliori energie dell’uomo e lo pasce di illusioni e di rappresentazioni infantili che ne fanno un eterno fanciullo e gli impediscono di diventare adulto.
    Il Novecento è stato teatro di immani tragedie, tutte costruite dall’uomo, ma è Dio che, stranamente, ne è stato incolpato con l’accusa di essere stato “assente”: non poco ateismo (o quanto meno agnosticismo) s’è nutrito e si nutre di questa ipotetica “assenza di Dio” dovuta alla sua probabile inesistenza.

    Da Roma e Atene a oggi
    Giova ricordare che l’antichità classica greca e romana conosceva già l’ateismo. Democrito, nato intorno al 460 a. C., sosteneva che la realtà prima e ultima non è Dio, ma l’atomo e che gli dèi, fatti anch’essi di atomi, altro non sono che la proiezione di impressioni prodotte sull’animo umano da fenomeni naturali.
    Poco più tardi Protagora confessa, a proposito degli dèi, di non saperne nulla: l’argomento è troppo oscuro e la vita è troppo breve per esplorarlo! E il grande Socrate, com’è noto, fu accusato di ateismo e di empietà tanto da meritare la morte, in quanto non riconosceva gli dèi che la città riconosce e ne introduceva di nuovi.
    Anche la Bibbia parla dello “stolto, che dice nel suo cuore: non c’è Dio” (Salmo 14,1), ma questo “ateo” è in realtà l’uomo iniquo e corrotto che nega Dio solo per fare impunemente il male. Il suo non è ateismo teorico, ma pratico.
    Oggi, invece è, per così dire, tornato di moda l’ateismo teorico, con una serie di nuovi atei militanti come Richard Dawkins (L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondatori 2007) e Christopher Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, Einaudi 2007), i quali predicano l’ateismo con zelo missionario, convinti come sono che Dio e la religione facciano molto male alla salute dell’umanità.

    Ragioni dell’ateismo
    C’è l’ateismo perché Dio non è ovvio. E non lo è perché, essendo “Spirito” (come Gesù dice alla Samaritana), è invisibile, ma anche perché è “nascosto” (“In verità, tu sei un Dio che ti nascondi”, Isaia 45,15), “ha dichiarato che abiterebbe nell’oscurità” (1 Re 8,12), o, come dice ancora Gesù, “è nel segreto”. Non c’è nessuna evidenza di Dio nel mondo e nella vita. Ci sono tanti segni e tracce di lui, ma per vederle occorre uno sguardo particolare, che è quello della fede. Molti vedono cose meravigliose, ma il loro stupore non diventa fede. E comunque ci sono molte contraddizioni: ogni argomento a favore dell’esistenza di Dio può essere capovolto nel suo contrario.
    Ci sono ragioni per credere, ma altrettante per non credere. La partita tra fede e ateismo non si risolve sul piano della razionalità. La fede stessa non è frutto di una decisione umana e non ha in sé la chiave della sua spiegazione. Come non è ovvio Dio, così non è ovvia la fede. L’ateismo, in fondo, è abbastanza ovvio, tanto da essere quasi banale. Siccome Dio è nascosto, non può essere dimostrato, può solo essere testimoniato, con la vita più che con le parole. Senonché Dio ha molti cattivi testimoni, e pochi buoni: questa è la seconda ragione dell’ateismo. Nel nome di Dio molti diventano fanatici, settari, intolleranti, violenti e persino omicidi, come un tempo gli inquisitori e oggi i kamikaze (ma non solo loro). C’è un “Dio” che è tutto fuorché Dio - il “Dio” della Guerra, della Patria, della Civiltà, della Prosperità, e così via, rispetto al quale si può solo essere radicalmente atei. C’è un “Dio” che produce una religione alienata e alienante, fatta di ignoranza, superstizione e in cultura, di oscurantismo e del peggior tipo di conservatorismo: anche qui, rispetto a un simile “Dio” l’ateismo è d’obbligo. C’è poi un “Dio” che produce una “fede” nella quale c’è molta autosufficienza, arroganza, presunzione, prepotenza, autoritarismo, amore del potere e del comando. Anche nei confronti di questo “Dio”-Padrone, l’ateismo è meglio della “fede”. Insomma, Dio è in minoranza nel grande pantheon degli dèi che il nostro cuore infermo, fucina di idoli, continuamente crea. Sì, Dio è solo, là fuori porta, inchiodato a una croce. Beato chi non si sarà scandalizzato di lui!

    Futuro dell’ateismo
    Che l’ateismo abbia o meno un futuro dipende in parte dalla chiesa, e precisamente dalla qualità della sua testimonianza. Se questa sarà scadente, l’ateismo ne sarà rafforzato. L’incredulità del mondo rispecchia l’incredulità della chiesa. Se la chiesa crede poco (ricordiamo quante volte Gesù chiama i discepoli “gente di poca fede”, Matteo 8,26; 6,30; 16,8) o male, il mondo si sentirà autorizzato a non credere per niente. La croce di Cristo è il cuore della fede cristiana, e questa croce, come sappiamo, è “scandalo per i Giudei [cioè per i religiosi] e pazzia per i Greci [cioè per i laici]” (1 Corinzi 1,23). Cristo con la sua croce resta perciò “segno di contraddizione” (Luca 2,34) per tutti e per sempre. In queste condizioni è difficile che l’ateismo non abbia futuro. Chi non ricorda la domanda inquietante di Gesù: “Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà egli la fede sulla terra?” (Luca 18,8).

    Che fare?
    Non c’è altro da fare che quello che faceva il Salmista: umilmente e tenacemente, con semplicità di cuore e trasparenza di vita, “annunzierò il tuo nome ai miei fratelli” (Salmo 22, 22). Sappiamo quanto del nome di Dio si sia abusato, quanto esso sia stato, anche per colpa nostra, compromesso. Ma come ha scritto Martin Buber in una splendida pagina del suo Eclissi di Dio: “Non possiamo lavare di tutte le macchie la parola “Dio”, e nemmeno lasciarla integra; possiamo però sollevarla da terra e, macchiata e lacera com’è, innalzarla sopra un’ora di grande dolore”.

    * Paolo Ricca, professore emerito della Facoltà valdese di teologia di Roma.


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