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    Parole per il futuro

    Rivista on line "Doppiozero"

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    Inizia un nuovo speciale:
    Parole per il futuro. Abbiamo chiesto ai nostri collaboratori di scegliere un concetto, un'idea, e di pensarlo in relazione al futuro: dove stiamo andando? Un dizionario per orientarci: "Non è questione di tornare al passato; piuttosto, si tratta di permettere al passato, ancora una volta, di trovare la sua strada nel futuro. Perché la vita sulla terra vada avanti e prosperi abbiamo bisogno di imparare a frequentare il mondo con attenzione, rispondendogli con sensibilità e giudizio" (Tim Ingold, Corrispondenze).


    1. Bontà

    Annalisa Ambrosio

    Ci pareva bello che la prima parola di questa nostra mappa per il futuro fosse proprio "bontà": "riprendiamoci la bontà. Questa è una proposta per il futuro: riprendiamoci la bontà, che al momento sembra rientrare tra le categorie più antiquate e inservibili che ci siano in circolazione. È difficile capire quando sia accaduto esattamente che la bontà ha perso del tutto il suo mordente".

    2. Corpo
    Francesca Serra

    I nostri corpi non arriveranno nel futuro. È l’unica cosa certa che sappiamo: questo momentaneo aggregato di cellule che rappresenta il nostro corpo ha una durata limitata nel tempo e un giorno si disgregherà. Il corpo ha sempre un presente, che lo rende vivo in quest’attimo. Ha sempre anche un passato, che lo segna e modella. Ma non un futuro: il futuro appartiene soltanto alla nostra mente, che può proiettarsi in avanti e cercare di immaginarselo. Non appartiene viceversa all’involucro che la contiene, sospeso tra la memoria della sua forma passata e la sua unica consistenza possibile: quella presente.

    3. Incontro
    Pino Donghi

    Dopodomani potremmo riflettere compiaciuti sulla mossa imprevedibile che tentammo: mettere il pubblico insieme ai relatori, i padri ad ascoltare i figli, superare in qualche modo le divisioni, tentare, provarci, sperimentare, mescolare le carte, far trovare quelli che non si cercavano più, leggere con sufficiente attenzione, pari a quella dispiegata per essere letti, lasciarsi contaminare.

    4. Buio
    Francesco Rigotti

    Il buio è un’idea, un concetto, un’astrazione? No, il buio è soprattutto una cosa, un fatto, una realtà tangibile. Ma come talvolta succede, è anche un’idea, un concetto, un’astrazione, una metafora. Come tale, non gode di grande prestigio. Come cosa, forse ancor meno. Cercheremo dunque di spiegare perché il buio sia come concetto sia come cosa è importante per il futuro, come lo è per il presente e lo fu per il passato. E per farlo guarderemo sia alla sua dimensione reale sia a quella metaforico-simbolica.

    5. Domani
    Enrico Palandri

    Quando siamo nel tempo e le cose avvengono con una progressione che sembra allineare i momenti gli uni dopo gli altri, desideriamo il domani. Se siamo innamorati, o in un gruppo che si eccita per un progetto che condivide, o in viaggio, e vogliamo vedere luoghi diversi.
    Viceversa, se a scuola temiamo un compito in classe o un’interrogazione, o in qualche modo di avvicinarci a una resa dei conti in cui saremo insufficienti, del domani abbiamo paura e ci ritiriamo dal futuro come da un pericolo.

    6. Vulnerabilità
    Ugo Morelli

    Sono vulnerabili i fili che ci legano alla vita, e in questo sta la loro forza.
    Sono fluttuanti, sono ambigui quei fili. Come tutto quello che è vitale e che nella vita conta
    ... 
    In quanto dipendenti e vulnerabili, e perché tali, continueremo a divenire noi stessi finché saremo vivi, cercando la nostra autonomia.

    7. Silenzio
    Giampiero Comolli

    Dove stiamo andando? Dove si nasconde il futuro che ci aspetta? Quali che siano i nostri tentativi di rispondere a una simile domanda, la risposta ultima rimane sempre avvolta nel silenzio, perché il futuro è per definizione insondabile, inafferrabile. Si preannuncia attraverso indizi, tendenze che delineano scenari possibili, ma quel che poi avverrà davvero noi non lo possiamo mai sapere in anticipo. Il futuro si avvicina sempre, incombe sempre, ma incombendo tace.

    8. Abitare
    Paolo Perulli

    Abiteremo la Terra nel futuro? e come, se le risorse naturali saranno state esaurite e il cambiamento climatico l’avrà resa inabitabile per noi umani? È il tema della miglior fantascienza distopica del XX secolo, da Dick a Lem, immortalata nei film-culto di Ridley Scott e di Andrej Tarkovskij, Blade Runner e Solaris. In quest’ultimo capolavoro soprattutto, il tema dell’abitare è pensato come interiorità, come stare a casa nel mondo.

    9. Ridere
    Luisa Bertolini


    «L’umorismo è assolutamente indispensabile nel XXI secolo, il quale sarà umoristico o non sarà affatto»: così terminava la Storia del riso e della derisione di Georges Minois, pubblicata in Francia nel 2000 (trad. it. di Manuela Carbone, Edizioni Dedalo, Bari 2004). Siamo già a quasi un quarto del secolo, rifiuti e inquinamento non hanno fatto che crescere e noi non ci siamo adattati, come prevedeva lo storico del riso, anzi, ci siamo ammalati e non abbiamo riso. Ché poi, comico, umorismo e ridere non sono esattamente la stessa cosa, visto che televisione, facebook e instagram sono pieni di risate di falsa complicità che ci ricordano puntualmente che non c’è nulla da prendere sul serio: è un riso convenzionale, un riso senza gioia, un riso svilito, trasformato in merce.

    10. Respiro
    Maurizio Ciampa

    Un verso di Ferdinando Pessoa, da “La mietitrice” del 1914:
    “Ciò che in me sente sta pensando”.
    Una sola riga, precisa come un’incisione. E ha la forza di portare alla luce il sentire, spesso considerato una conoscenza di basso rango, una non-conoscenza confinata nel sottoscala del pensiero, dove si affastellano, in massa informe, il tremore, lo sgomento, il batticuore ansioso, e altre vibrazioni d’anima, granelli dispersi di esperienze ritenute spurie, ma che risuonano dappertutto nella diffusa combustione dei cuori.

    11. Visioni
    Maurizio Corrado

    Da qualche tempo sono affascinato dalle esalazioni della parola visioni, al plurale perché a volte al singolare si combina con quanto emanano fissazione, ortodossia, costrizione, trasformando ciò che può essere un profumo in mefitici miasmi. Parlandone qui la userò anche al singolare, sempre considerando che è nella pluralità che esprime la sua capacità di incidere positivamente sul reale. E siamo subito alla contrapposizione più comune: visione/reale, dove, avvicinata a quello che potrebbe essere visto come il suo nemico naturale, emana immaginazione, progetto, utopia.

    12. Ibrido
    Nicole Ianigro

    L’incontro sarà, ormai lo sappiamo, ibrido. Tutti insieme nella stessa stanza; qualcuno, distanziato, sarà seduto sulle sedie; altri ci osserveranno dall’alto, da uno schermo che noi vediamo senza essere visti. Il reale e il virtuale si specchiano uno nell’altro: il futuro è già qui tra noi. Le ricerche digitali in corso scommettono sulla possibilità di trasformare l’immagine bidimensionale di ogni individuo in un ologramma che renda rappresentabile la nostra corporeità: per muoversi insieme, per potersi toccare senza essere nel medesimo luogo fisico. Come accadeva nello spazio virtuale del metaverso, termine coniato nel 1992 dallo scrittore di fantascienza Neal Stephenson nel suo romanzo Snow Crash. Un’ambientazione divisa e doppia condensata in una parola sola: ibrido.

    13. Avvenire
    Gianluca Solla

    Spesso l’architettura è stata qualcosa come un’immagine realizzata del futuro. Non solo ha mostrato il destino da cui ci si supponeva attesi, ma ha anche inteso realizzare questo destino avveniristico nel presente delle sue costruzioni. È forse questo il motivo per cui i giornali hanno recentemente dato grande risonanza al fatto che a breve la Nakagin Capsule Tower – un edificio composto da due torri nell’esclusivo quartiere di Ginza a Tokyo, non lontano dalla stazione di Shinbashi – verrà smontata. La torre è costituita da moduli che ricordano delle lavatrici ammassate le une sulle altre. Sono capsule ovvero mini-appartamenti dalle dimensioni ridottissime di meno di dieci metri quadrati. Un tempo struttura d'avanguardia architettonica, capace di comporre la tradizione del futon con la tecnologia più innovativa di quei primi anni ’70, quando fu costruita, la Nakagin Capsule Tower si trova oggi in uno stato di forte degrado che ha condotto al suo abbandono.

    14. Desiderio
    Gabriella Caramore

    Desiderio: la materia più oscura dell’umano, sfuggente, non catalogabile, colorato di mille mutevoli tonalità. Il desiderio sembrerebbe essere il nucleo più segreto, insondabile, ingovernabile della natura umana. Perché allora pensare al “desiderio” come parola, e dunque esperienza, per aprire un varco ai nostri pensieri sul futuro? Potrà mai una dimensione magmatica come quella del desiderio diventare una delle pietre su cui poggiare per costruire futuro? Forse sì, proprio perché la sua irregolarità e prepotenza è l’essenza stessa del vivente.

    15. Teatro
    Massimo Marino

    Più che una parola per il futuro “teatro” sembra un ricordo vecchio, polveroso, inadatto a tempi veloci, smart, connessi. Nonostante qualcuno lo voglia digitalizzare, il teatro si basa ancora sullo scandalo della presenza dei corpi, di quell’organo che connette interno ed esterno che è la voce, profonda e estroflessa, e sulla evidenza e sui misteri della parola, che dovrebbe sintetizzare vita, concezioni, miti, apparizioni in un tempo estremamente breve. Si basa sulla concentrazione di un macrocosmo in un microcosmo, nella coagulazione di elementi che dovrebbero così rimettersi in movimento e far risplendere qualcosa d’altro dal già noto.

    16. Abito
    Antonella Giannone

    Gli abiti sopravvivono alla nostra finitezza. Hanno un passato, un presente, e, a differenza dei nostri corpi, anche un futuro. Saranno infatti loro, insieme ad altre cose, a raccontare di noi a qualcuno quando non ci saremo più. A trattenere tracce dei nostri corpi, dei nostri gesti, dei movimenti e delle azioni che hanno rivestito, protetto e qualche volta ostacolato. Molti di noi conservano gli abiti appartenuti a chi non c’è più come reliquie, feticci o semplicemente come oggetti cari, da annusare e far rivivere di tanto in tanto, da spiegare e ripiegare, perché il futuro degli abiti è spesso nelle pieghe.

    17. Entusiasmo
    Daniela Gross

    Con Rosa ancora ci si scrive. Da quando parla inglese ha smesso di pulire case. Lavora in una mensa, corre la maratona e sogna un lavoro d’ufficio. Se qualcuno può farcela è lei, ha una volontà di ferro. Ci siamo incontrate in un’aula di periferia, le pareti macchiate di umido e il ruggito dell’autostrada in sottofondo – un corso d’inglese per stranieri. Ed è stato lì che per la prima volta ho assaggiato il sapore che ormai associo all’America: un mix di ottimismo, fantasia e voglia di futuro.

    18. Caos
    Romano Màdera

    Quando le parole vengono usate spesso e per parlare di dimensioni molto diverse tra loro potremmo dire che “c’è qualcosa nell’aria”. E l’aria appartiene alla stessa famiglia di parole dello “spirito”. Forse quindi la ricorrenza di certi termini ci può dire qualcosa dello “spirito del tempo”. Credo che l’uso della parola “caos”, così frequente sui giornali e nei mezzi di comunicazione in genere da qualche anno a questa parte, possa suggerirci qualcosa a proposito dello spirito del nostro tempo.

    19. Coraggio
    Laura Pigozzi

    Per quanto ho potuto mi sono tenuta alla larga dalle relazioni di potere, in primo luogo per la loro stupidità. Ma ogni tanto, mio malgrado, mi è capitato di inciamparci e di accorgermi di quanto, paradossalmente, il potere si nutra di… pavidità. Il piccolo potente, soprattutto quando il suo regno è infimo e periferico, è spesso pavido, altrimenti non avrebbe bisogno di adepti, paggetti, maschere, scuse, manovre e bugie per esercitarlo. (E non parlo degli ovvi e doverosi compromessi e negoziazioni che fanno parte del vivere politico e che hanno una loro etica.) Il pavido potente – il potente perché pavido – non guarda negli occhi, sfugge e manda avanti i sottoposti, cercando di agganciare la parte dipendente che ognuno ha. E se questa è molto estesa, la pavida impresa riesce. 
    Il dis-incontro col potere pavido e arrogante perlopiù fa perdere tempo, rallenta i passaggi innovativi di tutti. E ostacola il coraggio. 

    20. Normalessere
    Nicole Janigro

    Uno, due, tre, quattro: fino a trenta, fino a cinquanta. E daccapo. Quando sta male Alice conta. Le palline di vetro del lampadario sospeso sopra il suo letto, le scanalature dell’armadio, le piastrelle del bagno e, una volta fuori casa, le persone sull’autobus e quelle in fila per il pane. Ripetere mentalmente la serie dei numeri ha l’effetto di un calmante: è un compito da eseguire quando dobbiamo far riposare la testa. Che così si sente più libera di pensare ad altro. A lei non era mai capitato, il cambio della sua postura era fluido, leggeva in solitudine, socializzava quando era in compagnia, adesso c’è qualcosa che non funziona, il meccanismo di autoregolazione sembra inceppato. In casa non si concentra e soffre di claustrofobia, quando esce non ci trova più gusto, le sembra che al mondo non ci sia più nulla da mordere. Il fuori è uno scenario di cartapesta.


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