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    Il percorso

    della dottrina sociale

    Da Leone XIII all'epoca del Concilio

    Baudoin Roger *

     

    Religione del Dio incarnato, il cristianesimo è l'opposto di ogni dualismo che separa le realtà spirituali da quelle del mondo. Così, fin dalle origini, i cristiani si interrogano sulle implicazioni e le esigenze concrete della loro fede, anche a livello sociale. Nel secolo XIX i profondi sconvolgimenti che attraversano l'Europa rilanciano questa riflessione, che il magistero articola attraverso i testi nei quali si enuncia la dottrina sociale della Chiesa.

     

    Leone XIII: le encicliche politiche e la Rerum novarum

    Eletto papa nel 1878, Leone XIII eredita una Chiesa scossa dalla presa di Roma (1870): privata del potere temporale, si trova in un nuovo rapporto con gli Stati. Pur restando in un quadro di relazioni gerarchiche tra la sfera religiosa e quella politica, legato al primato dello spirituale sul temporale, Leone XIII sviluppa intuizioni estremamente acute e parzialmente in tensione con il suo quadro di pensiero. Egli riconosce il posto della libertà nell'atto di fede e quindi la necessità per lo Stato di tollerare culti diversi dalla «vera religione» (cfr Immortale Dei, 1885); riconosce la libertà dell'uomo come fondamento della sua dignità; articola la relazione tra la libertà e la verità che la ragione discerne, senza però accettare l'errore in nome della libertà: «La verità e l'onestà hanno il diritto di essere propagate [...]; le false opinioni [...], nonché i vizi [...], devono essere giustamente e severamente repressi dall'autorità pubblica» (Libertas, 1888); infine, sottolinea l'autorità propria della dottrina cristiana: «Messa in luce, essa ha di per se stessa sufficiente forza per trionfare dell'errore» (Sapientiae christianae, 1890, n. 22). Si trovano in questi testi le espressioni embrionali di riflessioni fondamentali sulla relazione tra la libertà e la verità e sul posto della Chiesa nel mondo di fronte ai poteri politici. Non avendo più una presa diretta sulla società e sul potere politico, il Papa esercita dunque il suo potere proponendo la sua riflessione agli uomini che la accoglieranno riconoscendone la verità.

    Nel 1891 Leone XIII pubblica l'enciclica Rerum novarum, profondamente preoccupato dalle tensioni che la società europea sta attraversando. La rivoluzione industriale ha fatto emergere una nuova classe sociale che vive del lavoro salariato. La legislazione sociale appena agli inizi, il divieto di dar vita ad associazioni sindacali e un liberalismo teorico che concepisce l'economia come retta da leggi proprie, si traducono in una drammatica situazione di miseria degli operai. D'altra parte le idee socialiste si sviluppano rapidamente e mettono in discussione la proprietà privata.

    Nell'enciclica Leone XIII denuncia le idee "socialiste" e giustifica il diritto di proprietà privata pur ordinando l'uso dei beni posseduti al bene comune: affrancando l'uomo dalla precarietà, il diritto di proprietà è la condizione di una libertà reale. Il papa denuncia anche gli eccessi del liberalismo e legittima l'intervento dello Stato nell'economia. Difende il giusto salario, il diritto di costituire associazioni professionali, la necessità di adattare le condizioni di lavoro dei ragazzi e delle donne, il riposo domenicale: tutti punti che sono ripresi dalla legislazione sociale che in quell'epoca va prendendo forma. Fondamentalmente, l'intento di Leone XIII è ridestare le coscienze dei suoi contemporanei e aprire la via a un ordine sociale che superi l'opposizione tra le classi e consenta di fondare la società nella concordia e nell'armonia.

    Questa enciclica mette in evidenza le questioni etiche inerenti all'ordine economico e stabilisce la legittimità della Chiesa a pronunciarsi sulle questioni sociali. Colloca la Chiesa in una posizione critica tanto verso il socialismo collettivista quanto verso il liberalismo individuali-stico, posizione che resterà una costante di tutta la dottrina sociale della Chiesa. Concretamente stimola il cattolicesimo sociale: sviluppo di un sindacalismo cristiano, creazione delle Settimane sociali in Francia (1904), in Spagna (1906), in Italia (1907), in Canada (1920). La Rerum novarum costituisce un riferimento per i successori di Leone XIII che ne attualizzeranno la riflessione in occasione degli anniversari della sua pubblicazione.

     

    Pio XI e la Quadragesimo anno

    Nel 1931, in occasione del quarantesimo anniversario della Rerum novarum, Pio XI pubblica una seconda enciclica sulle medesime questioni: la Quadragesimo anno. Approfondisce le riflessioni di Leone XIII in un contesto di crisi economica mondiale e dopo una guerra che ha mostrato l'ambivalenza dei progressi tecnici. Fondandosi sui lavori del gesuita tedesco Oswald von Nell-Breuning, il papa analizza i meccanismi dell'economia e le istituzioni della società per mettere in evidenza le cause di situazioni che a volte denuncia con estremo rigore.

    Come Leone XIII, egli rigetta al tempo stesso il socialismo e il liberalismo. Malgrado la distinzione che opera tra il comunismo e il socialismo, specialmente quello riformista, Pio XI condanna entrambi come contrari alla verità cristiana a motivo del loro materialismo e del primato da essi attribuito al sociale sull'individuo.

    Se il papa non ritiene il capitalismo cattivo in se stesso, il liberalismo è oggetto di una critica estremamente severa, specialmente perché la «scienza economica individualistica» sopprime «il carattere sociale e morale dell'economia» (QA, n. 88). Il diritto di proprietà viene riconosciuto come legittimo, ma non è un assoluto e l'ampiezza delle disuguaglianze fa dubitare che «un così forte e ingiusto divario nella distribuzione dei beni temporali possa davvero corrispondere ai disegni del sapientissimo Creatore» (QA, n. 5). La concentrazione del potere economico e la sua influenza sulla sfera politica mettono in discussione la libera concorrenza, che «si è da se stessa distrutta; alla libertà del mercato è subentrata la egemonia economica» (QA, n. 109).

    Quanto alla finanza, ne è riconosciuta l'importanza, mentre vengono vigorosamente denunciate la concentrazione del potere nelle mani di azionisti e finanzieri e gli effetti nefasti della speculazione sull'economia. Pio XI richiede un intervento dello Stato, pur fissando come quadro per la sua azione il principio di sussidiarietà. Cerca di superare l'opposizione tra capitale e lavoro, aprendo la via a idee che molto più tardi verranno denominate azionariato operaio, cogestione, partecipazione.

    Mentre Leone XIII manteneva una posizione prudente, esortando alla concordia e sollecitando la carità per soccorrere i più svantaggiati, Pio XI formula una critica argomentata delle istituzioni, invocandone la trasformazione in nome della giustizia: carità e giustizia sono entrambe necessarie.

     

    Di fronte ai totalitarismi

    Alla fine del suo pontificato Pio XI ritorna sulle questioni politiche condannando le ideologie comunista e nazista (Divini Redemptoris e Mit brennender Sorge, encicliche pubblicate ad alcuni giorni di intervallo nel marzo 1937). La sua riflessione viene prolungata da Pio XII, specialmente nei radiomessaggi degli anni 1941-1944, segnando l'inizio di una evoluzione della posizione della Chiesa sulla questione dei diritti dell'uomo.

    La Chiesa si era opposta ai diritti dell'uomo affermati dalla Rivoluzione francese, in quanto facevano riferimento a un individuo autonomo, affrancato da ogni dipendenza religiosa. Questa autonomia assoluta dell'uomo porta in sé i germi del totalitarismo: nessuna norma limita le pretese della sfera politica. Così, le ideologie comunista e nazista hanno condotto a forme politiche totalitarie, in cui la società esercita un primato assoluto sugli uomini che la compongono.

    La Chiesa non è in grado di limitare gli eccessi del potere politico facendo riferimento alla sua sola autorità o a quella di Dio, perché non sono riconosciute. Essa è perciò condotta a indicare il fondamento di tale limitazione nella persona umana, nella sua dignità, e di conseguenza in una giusta comprensione del bene comune che costituisce il fine dello Stato. La persona umana possiede una dignità e dei diritti inviolabili, che ogni uomo può riconoscere e che la Chiesa associa alla sua natura creata da Dio. Lo Stato non ha il compito di assicurare il bene delle persone, ma soltanto il bene comune, e cioè «quelle esterne condizioni, le quali sono necessarie all'insieme dei cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa» (Radiomessaggio natalizio 1942, n. 9).

    Pio XII afferma così il primato della persona sulla società, norma che si impone a ogni regime politico e preserva la sfera personale dalle invadenze dello Stato: la perfezione di ciascuno dipende dalla libertà personale; la persona è posta al centro delle istituzioni, delle quali costituisce il fine. Questa affermazione diventerà una costante importante della dottrina sociale della Chiesa.

    *****

    In questa prima fase del suo sviluppo, la dottrina sociale appare come una riflessione critica sulle istituzioni economiche, politiche e sociali. I papi sviluppano le loro analisi alla luce della Rivelazione, nel quadro di uno schema gerarchico in cui la Chiesa occupa il vertice, in virtù della verità di cui è testimone. Il loro intento è di precisare come questa luce illumina le realtà sociali per determinare i principi di un ordine sociale giusto e conforme al Vangelo. La loro analisi apre alla comprensione dell'ordine sociale e contribuisce in misura significativa alle trasformazioni sociali dell'epoca.

    Questa maniera di articolare la riflessione procedendo dall'alto verso il basso andrà evolvendo a vantaggio di un approccio più induttivo. A partire da Giovanni XXIII e dal concilio Vaticano II, invece di illuminare l'ordine sociale alla luce della Rivelazione, la riflessione si sviluppa maggiormente a partire dalla realtà sociale per coglierne le sfide e la valenza spirituale. In questo senso, la dottrina sociale della Chiesa non è più semplicemente sociale, diventa molto più "teologica".

     

    Giovanni XXIII

    La novità che il Concilio, fin dalla sua indizione (1959), porta nella Chiesa, incorporando i fermenti di rinnovamento già presenti, investe anche la dottrina sociale. L'attenzione alle implicazioni e alle esigenze della fede, anche in campo sociale, resta viva, mentre cambia il metodo con cui la riflessione procede, diventando molto più "teologica": anche nella realtà sociale la comunità dei credenti punta a discernere i «segni dei tempi», per coglierne le sfide e la valenza spirituale.

    Giovanni XXIII articola la sua riflessione sociale attorno alla persona e all'unità tra la dimensione temporale e quella spirituale. Questa antropologia personalista e teologica verrà precisata dai Padri del Concilio nella Gaudium et spes (1965) e andrà a costituire un fondamento del discorso sociale della Chiesa.

    Il carattere precursore delle idee di Giovanni XXIII appare in molti campi. Egli parla dello sviluppo integrale della persona e della necessità di tenere in considerazione la dimensione spirituale dell'uomo per fondare «un ordine temporale solido e fecondo» (n. 202), come sottolinea nell'ultima parte della sua prima enciclica sociale, la Mater et magistra (1961), intitolata «Ricomposizione dei rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia e nell'amore». Questo sviluppo passa anche attraverso il lavoro e le imprese, che devono tendere a diventare «comunità di persone» (n. 78), anche con «l'esercizio della responsabilità da parte dei lavoratori negli organismi produttivi» (n. 80).

    Nell'altra fondamentale enciclica, dedicata al tema della pace (Pacem in terris, 1963), Giovanni XXIII interpreta la società come realtà di "ordine morale", che «trova il suo oggettivo fondamento nel vero Dio, trascendente e personale» (n. 20). Il pontefice afferma i diritti dell'uomo in stretta connessione con i suoi doveri, ma ribadisce come, al di là dei diritti e dei doveri, l'ordine della società poggi in definitiva su quattro pilastri: la verità, la giustizia, l'amore e la libertà. Gli uomini sono chiamati a impegnarsi concretamente per soddisfare le esigenze della giustizia e del bene comune. Ai cristiani ricorda che l'impegno nel campo socioeconomico non è contrario alla perfezione cristiana, anzi è uno dei luoghi della sua verifica e del suo compimento. Infine, nell'ultimo capitolo, Giovanni XXIII prende in considerazione i nuovi orizzonti del mondo, parlando di bene comune universale e di una autorità mondiale che egli chiama gli uomini a sviluppare. Questa intuizione sosterrà tutta la successiva riflessione della dottrina sociale sulla globalizzazione, fino a essere riproposta da Benedetto XVI nel n. 67 della Caritas in ventate.

     

    Il Concilio Vaticano ll

    La costituzione pastorale Gaudium et spes presenta lo sguardo della Chiesa sul mondo, esplicitando l'antropologia teologica delineata da Giovanni XXIII. Questo sguardo illuminato dalla Rivelazione impegna a scoprire la profondità spirituale delle realtà del mondo.

    Condividendo le angosce e le speranze degli uomini, i Padri conciliari mobilitano le risorse della ragione e della teologia per trattare della persona, della società e dell'attività umana. La loro antropologia è al tempo stesso personalista, in quanto sottolinea l'importanza delle relazioni nella costituzione della persona, e teologica, nel senso che mette al centro la dimensione spirituale inerente all'uomo. È proprio alla luce della Rivelazione che si scopre la verità dell'uomo: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo» (n. 22). Il termine "integrale" esprime l'unità delle dimensioni temporale e spirituale; così i Padri parlano di vocazione integrale dell'uomo, di sviluppo integrale (cfr n. 59), di cultura integrale, di produzione al servizio dell'uomo tutto intero, di bene completo dell'uomo; su questa base affermano con forza la necessità di un impegno temporale: «La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo. [...] Non si crei perciò un'opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall'altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna» (n. 43).

    Questa antropologia apre a una riflessione sulla comunità umana, che comporta una dimensione teologica, essa pure illuminata dalla Rivelazione: i Padri notano «una certa similitudine tra l'unione delle persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità» (n. 24). Questa comunità che si apre alla comunione si realizza attraverso l'attività dell'uomo, essa pure considerata sotto l'aspetto spirituale che le è immanente. Così, «il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo o dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più pressante» (n. 34). L'uomo è con-creatore della creazione che Dio gli affida: ha la responsabilità di costruire questo mondo perché vi si realizzi la fraternità universale, in vista dello stabilirsi del Regno di Dio. L'autonomia di cui l'uomo dispone nel vivere questa vocazione è la fonte dell'ambivalenza del progresso, che «può servire alla vera felicità degli uomini» o diventare «strumento di peccato» (n. 37). Per questo tutte le attività umane «devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo» (ivi).

    La dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, sempre del 1965, completa la riflessione sulla dignità e i diritti dell'uomo, trattandone per ciò che attiene il campo della religione. La prima parte si colloca sul piano giuridico e civile, e afferma il diritto alla libertà religiosa, a livello sia privato sia pubblico. L'assenza di coercizione in materia religiosa si impone agli Stati e alle Chiese. Nella seconda parte, i Padri si collocano sul piano teologico per mostrare che la libertà, anche nell'errore, deve essere rispettata. Come Cristo stesso ha fatto, la Chiesa nella sua missione rispetta la dignità e la libertà della persona umana.

     

    Paolo VI

    Con la Populorum progressio (1967), che Benedetto XVI definirà come «la Rerum novarum dell'epoca contemporanea» (Caritas in ventate, n. 8), Paolo VI apre un nuovo capitolo della dottrina sociale: nella linea aperta da Giovanni XXIII, allarga la riflessione agli orizzonti del mondo e analizza, sulla base dei lavori dell'economista domenicano francese Louis-Joseph Lebret (1897-1966), le cause del sottosviluppo e la natura di uno sviluppo pienamente umano.

    L'indipendenza a cui molti Paesi sono giunti in seguito alla decolonizzazione ha modificato il contesto generale delle loro relazioni con i Paesi industrializzati, ma resta limitata da una situazione economica molto spesso precaria: aumenta il divario con i Paesi sviluppati e si ampliano le sacche di povertà assoluta. Paolo VI attira l'attenzione del mondo su una situazione che ritiene tanto inaccettabile quanto pericolosa. Sottolineando che «la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale» (n. 3), spiega come povertà e sottosviluppo siano conseguenza non solo di cause naturali, ma anche di ingiustizie che devono essere «combattute e vinte» e invita le nazioni a «trasformazioni audaci» e a «riforme urgenti» (n. 32), nel quadro di un appello a «un'azione concertata per lo sviluppo integrale dell'uomo e lo sviluppo solidale dell'umanità» (n. 5).

    Perciò l'enciclica mette in guardia contro una concezione puramente economica dello sviluppo: per essere autentico, questo «deve essere integrale» (n. 14; cfr riquadro qui sopra). Lo sviluppo mira a una piena maturazione umana, che comporta per ognuno, oltre ad adeguate condizioni materiali di vita, «una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione» (n. 6), ed essere messo in condizione di «divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo progresso morale, dellosvolgimento pieno del suo destino spirituale» (n. 34). Lo sviluppo di ogni uomo suppone inoltre che si viva concretamente una reale solidarietà tra i popoli (cfr n. 44).

    Lo stimolo della Populorum progressio viene ripreso dalla II Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano, riunitasi a Medellín (Colombia) nel 1968. I riferimenti di Paolo VI all'oppressione, alla liberazione dalla servitù, e gli appelli a combattere le ingiustizie, sottolineati dai vescovi sudamericani, alimentano lo sviluppo della teologia della liberazione. Un gran numero di cristiani si impegna quindi in movimenti a forte connotazione politica, a volte marxista, miranti alla liberazione dall'oppressione sul piano storico. Questo induce Paolo VI a precisare il suo pensiero pubblicando la lettera apostolica Octogesima adveniens (1971), in cui mette in guardia contro le ideologie, specialmente il marxismo, e afferma che la condizione di una vera liberazione è la libertà interiore (cfr n. 45).

    Questa prospettiva più nettamente teologica viene sviluppata nella esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (1975), ove si presenta la liberazione nell'accezione teologica di salvezza operata da Cristo che libera l'uomo dal peccato. Se, in nome della evangelizzazione, la Chiesa deve impegnarsi per la liberazione sui piani economico e politico, tale impegno deve rimanere ordinato alla salvezza in Gesù Cristo: quindi animato dalla «giustizia nella carità» (n. 35), concepito come cooperazione all'opera salvifica di Dio e finalizzato al Regno di Dio. L'azione della Chiesa mira innanzitutto alla «conversione del cuore e della mente», che è la condizione e il mezzo principale per «edificare strutture più umane, più giuste, più rispettose dei diritti della persona, meno oppressive e meno coercitive» (n. 36).

    Il pensiero di Paolo VI inserisce le considerazioni sulla situazione storica in una prospettiva spirituale, che ne costituisce il fondamento e il fine. È l'espressione concreta dell'orientamento esposto nella Gaudium et spes: l'associazione intima tra la dimensione antropologica e quella teologica. Su questa linea la dottrina sociale riprenderà il proprio percorso, presentandosi non come un insieme di prescrizioni, ma come una delle forme dell'annuncio del Vangelo da parte della Chiesa.

    * Docente di Morale sociale nel Collège des Bernardins di Parigi

     

    BIBLIOGRAFIA

    DR = Pio XI, enciclica Divini Redemptoris, 1937.

    RN = Leone XIII, enciclica Rerum novarum, 1891.

    QA = Pio XI, enciclica Quadragesimo anno, 1931.

    Leone XIII, enciclica Immortale Dei, 1885.

    Leone XIII, enciclica Libertas, 1888.          

    -, enciclica Sapientiae christianae, 1890.      

    Pio XI, enciclica Mit brennender Sorge, 1937.

    Pio XII, radiomessaggio natalizio 1942.

    DE DINECHIN 0., «I segni dei tempi», in Aggiornamenti Sociali, 6 (2012) 539-543.

    FOGLIZZP P., «Nuovi orizzonti per la finanza internazionale: Le proposte del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace», in Aggiornamenti Sociali, 2 (2012) 117-125.

    PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE (2011), Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un'autorità pubblica a competenza universale.

    REINA M., «Il Concilio Vaticano II e la dottrina sociale», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2013) 248-252.

    ROGER B., «II percorso della dottrina sociale (I): da Leone XIII a Pio XII», in Aggiornamenti Sociali, 11 (2013) 786-789

    CV = BENEDETTO XVI, lettera enciclica Caritas in ventate, 2009.

    DH = CONCILIO VATICANO Il, dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1965. EV = PAOLO VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 1975.

    GS = CONCILIO VATICANO costituzione pastorale Gaudium et spes, 1965.

    MM = GIOVANNI XXIII, enciclica Mater et magistra, 1961.

    OA = PAOLO VI, lettera apostolica Octogesima adveniens, 1971.

    PP = PAOLO VI, enciclica Populorum progressio, 1967.

    PT = GIOVANNI XXII, lettera enciclica Pacem in terris, 1963.

     

    (Aggiornamenti sociali 11 e 12 /2013, pp. 786-789 e 864-868)


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