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    20 passi

    verso il XXI secolo

    Migrare dal Novecento, abitare il presente, servire il futuro

     


    Le parole-chiave – immaginate metaforicamente come passi di un cammino che ci introduce nel XXI secolo – sono state selezionate prendendo in considerazione soprattutto l’attuale fotogramma delle ACLI nel loro sostanziale impegno associativo.
    Come si può vedere, troviamo anzitutto le tre classiche fedeltà (lavoro, democrazia, Chiesa), mentre la quarta fedeltà (futuro) è collocata alla fine dei molteplici “passi”, quasi a coronamento dell’intero percorso.
    La successione delle altre parole-chiave ha un andamento non vincolante ma motivato da ragionevoli connessioni di ordine tematico e dalla convinzione che alla fine, ciò che più conta, non è quel che viene prima o dopo, ma la circolarità delle parti, la loro concatenazione e, in definitiva, il rapporto di incrocio reciproco e di interdipendenza di ognuna delle parole con tutte le altre.
    Ciascuna parola-chiave è analiticamente approfondita da una scheda.

    1) LAVORO
    L’attenzione ai lavoratori rimane un tratto identitario della nostra associazione. Stiamo passando dalla società fordista alla società elettronica. Viviamo una metamorfosi del lavoro: i luoghi, i tempi e i ritmi del lavoro non sono più chiaramente identificabili come lo erano nel Novecento configurando una flessibilità che rischia di convertirsi in precarietà, per non dire di nuove forme di schiavitù che si riaffacciano nel mondo, giustificando la necessità di una coalizione mondiale per il lavoro dignitoso. Anche i soggetti che lavorano si moltiplicano: al tradizionale lavoratore capofamiglia si aggiungono sempre di più nel mercato del lavoro le donne e gli immigrati. Nelle trasformazioni noi riaffermiamo la centralità della persona e ci impegniamo a promuovere, nella nostra società già ampiamente individualizzata, forme di socialità e di aggregazione tra i lavoratori affinché possano evitare condizioni di solitudine e di isolamento. Siamo per una politica del lavoro che dia valore alla vita dell’uomo e della donna puntando alla conciliazione dei tempi, alla socialità, all’occupabilità, alla qualità, alla sicurezza e alla tutela di ogni lavoratore e lavoratrice.

    2) DEMOCRAZIA
    Tra le classiche fedeltà delle ACLI c’è sempre stata, fin dalle origini, quella alla democrazia.
    Ciò che oggi in varie forme nella società viene messo in discussione non è tanto il valore in sé della democrazia quanto le forme della partecipazione dei cittadini alla vita democratica, il modello di rappresentanza, il sistema dei partiti e i meccanismi elettorali.
    La distanza tra istituzioni e cittadini è così grave che non è certo soffiando sul fuoco dell’antipolitica che si potrà invertire la rotta. Soltanto con una buona politica ovvero ripartendo dal basso, dalla società civile e dalle comunità è possibile aprire una nuova stagione democratica. Per questo le ACLI promuovono la partecipazione e l’impegno degli associati e dei dirigenti nella vita pubblica e nelle istituzioni.
    Anche a livello internazionale la democrazia per uscire dal Novecento ed entrare nel XXI secolo ha bisogno di andare oltre i vecchi principi dell’indipendenza e della sovranità degli Stati nazionali per dare sostanza istituzionale al multilateralismo come politica dell’interdipendenza e alla governance globale.

    3) CHIESA
    Essere cristiani del Terzo Millennio richiede la forza e il coraggio di prendere il largo discernendo i “segni dei tempi”. Siamo testimoni dell’Amore di Dio in Gesù risorto. Annunciamo il Vangelo fino ai confini del mondo per raggiungere l’uomo e la donna nella loro concreta condizione. Come laici associati e impegnati sentiamo di appartenere e vogliamo partecipare attivamente alla vita della comunità ecclesiale contribuendo con la nostra esperienza del mondo ad approfondire l'intelligenza della questione sociale.
    In questo orizzonte ecclesiale, le ACLI vogliono proseguire il percorso di dialogo, confronto e discernimento comunitario con le altre realtà associative di impegno laicale.
    Il pluralismo e la specificità dei carismi di queste realtà ha costituito e costituisce una ricchezza di doni al servizio della Chiesa.

    4) CATTOLICESIMO DEMOCRATICO
    Maturato lungo il Novecento, il cattolicesimo democratico si presenta come una delle tradizioni culturali e politiche ancora vitali all’inizio del XXI secolo.
    Esso esprime non solo quella cultura della prossimità, della premura per l’altro, specie se debole o escluso, che era ed è tipico del cattolicesimo sociale, attento in particolare alla carità, ma soprattutto è impegnato a tradurre le istanze della giustizia sociale nelle decisioni e nelle istituzioni della politica.
    Quando nell’enciclica “Deus caritas est” di Benedetto XVI si invitano i cattolici a “non restare ai margini della lotta per la giustizia”, troviamo la conferma del ruolo dei cattolici democratici anche per il presente momento storico che vede il nostro Paese impegnato in una faticosa ricerca di nuove forme di partecipazione e di assetto democratico.

    5) WELFARE
    Il mutato contesto economico e le mutate esigenze delle persone esigono di passare da un welfare centralizzato e statale ad un welfare mix terreno di confronto tra diversi attori. Non ci convince un welfare delle opportunità con una forma minima di diritti per tutti e la libertà individuale di accesso alle variegate offerte del mercato.
    Sosteniamo un welfare pensato non solo come costo economico ma quale cifra dell’abitare civile in una società.
    Siamo per un welfare corresponsabile e promotore di sviluppo in quanto promuove le persone e non gli individui, che garantisca ad ognuno uguali possibilità di perseguire liberamente i propri scopi, che accanto ai principi di uguaglianza, garantiti dallo Stato, e di libertà, promossi dal mercato, valorizzi il principio di fraternità, promovendo il capitale sociale capace di fermentare legami solidali e cittadinanza attiva, in modo da rendere protagonisti e responsabili le persone e le loro famiglie.
    Promuoviamo un welfare locale al servizio dei più deboli: anziani, immigrati, bambini e minori, famiglie monoparentali e a basso reddito...

    6) FAMIGLIA
    La famiglia, attraversata negli ultimi decenni da trasformazioni profonde, rimane un orizzonte primario e fondamentale di crescita umana, di educazione alla relazionalità e alla socialità, di incontro delle differenze, di genere e di generazione.
    Oggi più che mai bisogna riconoscere e promuovere il valore della comunità familiare, luogo di legami e di progettualità, indispensabile ad una società solidale e coesa, come affermato dallo stesso dettato costituzionale. Si deve ripartire dall’alleanza tra uomo e donna, aperta alla generatività, rispettosa del loro cammino storico e della loro originaria dignità personale, si deve dare nuovo slancio al dialogo e alla solidarietà intergenerazionale.
    La famiglia come bene di tutti deve infine trovare nel campo politico e istituzionale il terreno concreto dove avverare le affermazioni di principio. La soggettività politica della famiglia è per noi il passaggio obbligato per politiche familiari integrate, di promozione, tutela e accompagnamento per tutto l’arco della sua vita.

    7) VITA
    I progressi della tecnoscienza applicati alla genetica hanno radicalmente trasformato il nostro rapporto con la vita. Da fenomeno naturale è diventato oggetto passibile di manipolazioni, dal nascere al morire. Tra le sfide inedite del nuovo millennio dunque quella delle bio-tecnologie fa appello alle nostre scelte più radicali, facendo apparire nel nostro vocabolario il binomio bio-etica e bio-politica e chiamandoci a nuove responsabilità non solo come singoli ma anche come cittadini.
    Noi riteniamo che sulla soglia del post-umano vada riaffermato con forza il valore di una scienza realmente al servizio dell’essere umano, l’indisponibilità della vita alle manipolazioni genetiche, la cultura del limite come criterio di valutazione e di scelta in ogni questione che coinvolga la vita .
    Affermiamo inoltre una concezione della vita relazionale e non riduttivisticamente biologica, capace di traghettare nel nuovo secolo i valori più autentici della dignità della persona e di un umanesimo integrale.

    8) FELICITÀ
    Vecchio quanto l’uomo, il desiderio di felicità in questi due ultimi secoli ha incrociato il mito del progresso e l’ottimismo della modernità. Il desiderio è diventato un diritto, la “pubblica felicità” un obiettivo dichiarato della politica.
    Tramontata l’utopia, la felicità – almeno nel mondo occidentale – ha prima ricondotto le sue istanze all’interno del ben-essere collettivo e poi, circoscritto il suo perimetro all’individualismo radicale, si è ridotta all’euforia dei consumi e si è misurata con la quantità dei beni posseduti.
    Entrando nel nuovo secolo, vogliamo affermare che la felicità è un bene relazionale. Nasce e si alimenta dalle relazioni buone. Una vita relazionale ricca, aperta agli altri, capace di tessere nella quotidianità trame di rapporti positivi e generosi, è quella che si chiama vita buona e dunque vita felice.

    9) SOBRIETÀ
    Il Novecento lascia al mondo occidentale una società dell’opulenza, del narcisismo, dei consumi, imperniata sul binomio: produrre per consumare. Le nostre scelte, le abitudini, i costumi, i giudizi, il nostro stesso tempo sono condizionati dal criterio dell’usa e getta. Questa logica pervade le esperienze di vita, le idee, le relazioni rendendole sempre più parziali e frammentate.
    La sobrietà ha la forza di scardinare questo contesto. Guardare all’essenziale non comporta la riduzione delle proprie aspirazioni, ma la selezione di ciò che veramente conta.
    Ci impegniamo a passare ad uno stile di vita sobrio per recuperare il senso della misura, dell’equilibrio e della giustizia. La sobrietà diventa la virtù di sintesi nella quale si unificano le idee e le azioni e le strategie di vita delle persone.

    10) BENE COMUNE
    La categoria di bene comune è tra i pilastri essenziali che reggono l’architettura della dottrina sociale della Chiesa.
    Già Tommaso d’Aquino affermava che il bene comune esprime allo stesso tempo il bene di “ciascuno” e il bene di “tutti”. In questa prospettiva antropologica che è propria del personalismo comunitario si può comprendere correttamente il bene comune, il quale non potrà essere confuso né con l’interesse generale, né con il bene totale (come somma delle parti), né infine con il bene pubblico (che si contrappone a quello privato).
    Al n.26 della Gaudium et spes si legge che il «bene comune è l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente». Riprendendo questa definizione il Compendio suggerisce di allargare i confini del bene comune collegandolo con il processo di interdipendenza tra i popoli e con le legittime aspirazioni dell’intera famiglia umana. Questo significa che in una prospettiva di futuro è da riscrivere la mappa del bene comune tenendo conto degli orizzonti globali della democrazia economica e delle istituzioni politiche.

    11) EDUCAZIONE
    Più che dare “forma” (formare) o imprimere un “segno” (in-segnare) oggi l’educazione ha il compito di aiutare la persona ad orientarsi senza perdersi nella complessità e nella società dell’incertezza.
    In un tempo di svolta antropologica, che trova i suoi poli estremi nel relativismo e nel fondamentalismo, l’azione educativa è da ripensare come dinamica relazionale e come accompagnamento narrativo e competente perché il sistema della trasmissione generazionale dei saperi e dei valori si è interrotto.
    In questo senso le tradizionali agenzie educative sono diventate più deboli: la scuola come l’associazionismo, la famiglia come la parrocchia.
    Separare l’educazione dall’istruzione – come si è tentato di fare negli ultimi decenni - non è né realistico né opportuno dal momento che sembra indispensabile l’acquisizione di nuovi alfabeti e nuovi saperi per essere cittadini consapevoli in una società complessa e per valorizzare i talenti e la creatività. In sintesi è necessaria una pedagogia del cambiamento che veda l’azione corresponsabile di diversi soggetti, dalle istituzioni alla scuola, dalla famiglia alla società civile.

    12) PACE
    La cultura della pace che abbiamo conosciuto in particolare negli ultimi quarant’anni del Novecento, ha oggi bisogno di nuovi innesti, in particolare quello di un’assunzione integrale della nonviolenza come valore e come metodo, per poter incidere con più efficacia a livello culturale e politico nell’attuale scenario caratterizzato dal terrorismo fondamentalista, dall’unilateralismo, dalle guerre preventive, dall’ingiustizia sociale ed economica e dal degrado ambientale come esito del rapporto aggressivo e rapace dell’uomo con la natura. Non a caso tra i conflitti che si prevedono in futuro figurano sia le guerre per l’identità, sia le guerre per l’acqua.
    Sempre di più, nel nostro tempo, la pace è chiamata a misurarsi con le nuove sfide dovute allo “scontro di civiltà” e alla necessità di oltrepassare la visione dell’unilateralismo, per sostenere una grammatica del con-vivere e del cooperare, una politica interdipendente e multilaterale che abbia alla base una cultura della pace fondata sulla giustizia, sul rispetto dei diritti umani e sulla sobrietà.

    13) ECOLOGIA
    La pressione del progresso novecentesco ha portato allo sfruttamento dell’ambiente, al sovraccarico del Pianeta, allo sperpero delle risorse naturali, ad inquietanti mutamenti climatici. L’ecologia reclama la cultura del limite. Abbiamo il compito di passare dalla pretesa di possedere la Terra, alla cultura dell’abitare la Terra.
    Ci sono nuovi diritti da riconoscere e garantire perché tutti gli uomini possano vivere in un mondo bello e buono: l’accesso all’acqua potabile, la disponibilità di aria salubre, la garanzia di alimenti genuini. Occorre investire in buone pratiche che vadano dall’utilizzo dei mezzi pubblici alla raccolta differenziata dei rifiuti, dall’investimento in fonti energetiche alternative alla tutela della biodiversità.

    14) ECONOMIA
    Nel passaggio dalle economie nazionali all’economia globale il commercio di beni e servizi, la finanza e le imprese si muovono in uno spazio-mondo. Tutti gli attori economici sono più legati tra loro e allo stesso tempo meno vincolati alle regole locali. Vogliamo un’economia sostenibile che indirizzi la ricerca del profitto alla crescita della persona e delle comunità e non allo sperpero o all’accumulo, che privilegi la cooperazione e la solidarietà rispetto all’individualismo competitivo.
    Vogliamo operare per democratizzare l’economia attraverso la trasparenza delle politiche di impresa, la tracciabilità dei prodotti, il rispetto delle regole, la responsabilità sociale e ambientale di impresa, e attraverso la promozione e la tutela del cittadino lavoratore – consumatore – risparmiatore, sostenuto dalla società civile organizzata. Vogliamo garantire il suo protagonismo civico, la sua partecipazione alle strategie aziendali, le sue scelte di spesa, di investimento e di risparmio.

    15) ETICA PUBBLICA
    In questo passaggio di secolo il campo dell’etica pubblica e i criteri della laicità sono diventati più vasti e più complessi. Gli elementi nuovi di cui occorre tenere conto sono l’avvento di un clima culturale post-secolare segnato da un “ritorno della religione” come bisogno diffuso, il pluralismo delle culture e delle religioni nella società globale, la necessità di un ethos pubblico condiviso a fronte di sfide inedite e decisive per il futuro dell’umanità.
    Noi riteniamo indispensabile un più avanzato statuto di laicità che, superati antichi steccati ideologici e vecchie contrapposizioni, riconosca la rilevanza pubblica delle religioni e assicuri uno spazio di espressione e di confronto, rispettoso e orientato alla condivisione.
    Andando oltre la neutralità e la tolleranza, proponiamo una laicità concertante che chiami ogni risorsa del pensiero, della fede e della ragionevolezza ad individuare i valori essenziali dell’umana convivenza.

    16) MIGRAZIONI
    Nell’attuale contesto socio-culturale il fenomeno delle migrazioni e della mobilità umana è una delle res novae più significative.
    Le migrazioni che interessano oggi l’Italia sono diverse dal passato sia perché a causa della spinta poderosa esercitata dalla globalizzazione hanno ormai assunto una configurazione strutturale, sia perché sempre più spesso si caratterizzano anche come esodo dei cervelli o migrazioni “intellettuali” che si aggiungono ai rifugiati, ai profughi di guerra e ambientali.
    Le vecchie e nuove forme di migrazione chiedono di ridefinire non solo il diritto di cittadinanza ma anche le politiche del welfare, della sicurezza e del lavoro, oltre agli stessi tradizionali concetti di cultura, identità, laicità, integrazione, in una prospettiva più aperta, dinamica e interculturale, capace cioè, di andare oltre gli attuali modelli di multiculturalismo.

    17) RETE
    Se la mobilità caratterizza la nostra epoca, la Rete con le sue connessioni e i suoi nodi ne condiziona i flussi. Sono le innovazioni tecnologiche e le potenzialità strategiche dei nodi, che tracciano i possibili percorsi. I canali di comunicazione sono moltiplicati e a vari livelli: da Internet e dai telefonini satellitari, ai più tradizionali oleodotti o acquedotti. Coloro che sono in grado di generare, elaborare, applicare e gestire queste connessioni, sono le nuove élites globali, i nuovi detentori del potere, perché rendono accessibili o meno i luoghi (città, regioni e interi Paesi), perché determinano nuove forme dell’inclusione e dell’esclusione nel mondo globale (per persone, aziende, comunità e popolazioni).
    Le persone e le comunità non possono essere lasciate sole di fronte ai canali reali e virtuali di collegamento. Per questo servono luoghi e strumenti di governo e di partecipazione per la costruzione di una società a rete globale autenticamente libera e democratica.

    18) EUROPA
    Dopo aver raggiunto lo storico traguardo della moneta unica, l’Unione europea ha oggi bisogno di darsi un nuovo progetto che sia ideale e politico al tempo stesso. Un progetto che vada oltre l’allargamento a nuovi stati membri e che segni il rilancio del testo costituzionale.
    L’accordo sostanziale (con l’eccezione della Polonia) che è stato recentemente raggiunto tra i paesi dell’Unione sul tema della moratoria universale sulla pena capitale sta a dimostrare quanto sia necessario un più marcato ruolo politico dell’Europa a livello mondiale.
    Per le ACLI diventa prioritario, accanto all’impegno ormai annoso nella zona dei Balcani, sostenere una politica europea del Mediterraneo che sia in grado di governare con più efficacia una serie di problemi come i flussi migratori dall’area nord-africana, la presenza dell’Islam nei paesi europei, la questione controversa dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea.

    19) MONDO
    La presenza delle ACLI nel mondo – in seguito all’emigrazione di tanti italiani - è oggi radicata e consistente, mentre continua a crescere in diverse forme la promozione della giustizia e la cooperazione con i vari partners di altri continenti, in particolare con America Latina e Africa.
    Molteplici sono oggi i progetti che le ACLI realizzano in varie parti del mondo, ma quale che sia il progetto o il Paese dove esse operano, la loro azione è sempre ispirata all’unità della famiglia umana e al paradigma della fraternità universale, valorizzando le varie forme di dialogo tra le culture e le religioni, e rifiutando ogni discriminazione fondata sulla razza, il sesso, la cultura o la religione come contraria ai diritti umani.
    Compito delle ACLI oggi nel mondo è anche quello di contribuire a preparare le istituzioni politiche che sono ancora assenti nel campo internazionale, sia a livello simbolico (come la giornata dell’Interdipendenza) sia a livello dei movimenti globali di base (Forum sociale mondiale) sia infine al livello delle inedite forme istituzionali (si pensi alla proposta dell’ONU2 come seconda Camera della società civile da affiancare a quella dell’ONU degli stati e dei governi).

    20) FUTURO
    Usciti dalle ideologie e disillusi dalle utopie della modernità, siamo spinti a vivere realisticamente nel presente, evitando sia le ingannevoli insidie di una fine della storia, sia la rassegnata accettazione degli eventi come fatale prodotto del destino. Immerse nelle attuali trasformazioni le ACLI sono impegnate a leggere i segni dei tempi per accogliere nella speranza le sorprese e le strade inedite della storia. Siamo chiamati, come ci ha esortato nella sua udienza Benedetto XVI, ad essere fedeli al futuro, anche rintracciando le radici e i semi di novità nei fermenti sociali, ricostruendo nei territori che abitiamo luoghi di fiducia affinché le persone trovino nella presenza delle ACLI un tessuto di socialità e di solidarietà fecondo per la loro vita e per la crescita di buone relazioni con gli altri.

     

    SCHEDE DI APPROFONDIMENTO

    1) LAVORO

    a) Dimensione culturale

    Il lavoro si muove con la società e cambia con essa. I cambiamenti sono numerosi: dalla rigidità della società fordista alla flessibilità della società elettronica, dalla produzione centralizzata e gestita dall’alto alla sua frammentazione e de-localizzazione, dalla programmazione dei prodotti su scala all’attesa degli ordini di consumo. L’azienda non condiziona più il mercato, ma lo rincorre.

    Il lavoro novecentesco per la stragrande maggioranza delle persone, divideva e scandiva a ritmo regolare i tempi di vita quotidiani (orario d’entrata e di uscita, pausa pranzo, ferie, turni) e quelli di lungo periodo (assunzione, avanzamento di carriera, pensione). Allo stesso tempo, il lavoro era condizionato dai territori che abitava: la città e la campagna, il centro e la periferia; era delimitato ad un luogo preciso: i campi, le fabbriche, i palazzi dell’amministrazione pubblica, i grattacieli dei grandi affari. Inoltre, il lavoro identificava la persona: le tute blu, i colletti bianchi… portando con sé una crescita di relazioni tra “uguali”, la solidarietà di classe e con essa la conflittualità tra le “classi”. Infine, il lavoro era fortemente maschile. L’uomo portava a “casa il pane”. Le donne, quando lavoravano, erano marginalizzate in segmenti particolari.

    La globalizzazione, l’innovazione tecnologica, i flussi migratori, la riorganizzazione dei modi di produrre ridisegnano il lavoro. Alcuni tratti sono rimasti, ma se ne sono affiancati di nuovi. Non sono scomparse le fabbriche, ma “esternalizzano” distribuendo per il mondo le loro “linee di produzione”, fioriscono nuovi luoghi dai call center ai centri commerciali. Inoltre il lavoro è più femminile e, con i flussi migratori, multietnico. Le relazioni tra le persone diventano più complesse: generi e religioni, culture e abitudini abitano e pluralizzano i luoghi del lavoro. I rapporti di lavoro si sono, inoltre, individualizzati: ai dipendenti a tempo indeterminato si affiancano molteplici forme contrattuali. Si richiede spesso una fedeltà aziendale che esige una “connessione full time”, così i tempi si mischiano in una società aperta 24 ore su 24. Diventano più labili i tempi e, di conseguenza, i confini tra vita lavorativa e vita sociale e familiare. Cambiando i confini spaziali e temporali entra in discussione il senso del lavoro. A problemi già gravi ora se ne aggiungono altri: alla disoccupazione si aggiunge la precarietà, all’alienazione l’ansia da prestazione, al caporalato il mobbing, alla scansione rigida dei tempi la confusione tra vita e lavoro.

    b) Dimensione associativa

    La fedeltà al lavoro è uno dei tratti peculiari della nostra associazione. Le ACLI nascono, infatti, come patto associativo tra lavoratori cristiani che vogliono testimoniare la loro fede nel mondo del lavoro e dare concretezza alla solidarietà, in modo che “sia assicurato secondo giustizia il riconoscimento dei diritti e la soddisfazione delle esigenze materiali e spirituali dei lavoratori (primo Statuto, 1945).

    Nei nostri 60 anni di storia abbiamo imparato a distinguere le priorità, mettendo al centro la persona che lavora, prima dell’impresa e del mercato. Ci sentiamo chiamati oggi a costruire, assieme agli altri soggetti sociali, una politica del lavoro che parta dalla valorizzazione della vita dell’uomo e della donna, e che favorisca un lavoro promotore di bene comune.

    Vogliamo, quindi, orientare i nostri interventi affinché tutelino tutte le forme di lavoro, in particolare quelle atipiche, partendo da una riforma organica degli ammortizzatori sociali perché si difendano le persone dalla precarietà e, allo stesso tempo, si combattano le varie forme di illegalità che sono il primo attentato alla sicurezza dei lavoratori.

    Inoltre pensiamo sia indispensabile bilanciare i tempi di lavoro con le altre dimensioni della vita, affermando la promozione di una flessibilità sostenibile, perché all’interno di ogni azienda, attraverso la negoziazione, possano essere sfruttate le nuove opportunità: orari elastici, telelavoro; perché si migliorino le forme di congedo per lo studio e per la cura familiare (pratica ancora troppo femminilizzata).

    Occorre proporre iniziative e avviare processi per migliorare l’occupabilità dei lavoratori e lavoratrici offrendo sia possibilità di una formazione costante e un suo riconoscimento, sia forme di accompagnamento e tutoraggio nei periodi di inserimento lavorativo;

    Infine promuoviamo un “umanesimo del lavoro”, che recuperi la solidarietà attraverso nuove forme associative o nuovi esempi di mutualità, attraverso il sostegno alla cooperazione internazionale fino ad arrivare alla costruzione di una coalizione globale del mondo del lavoro. Siamo convinti che, per questo, serva un’etica del lavoro orientata al bene comune. Lavorare acquista il suo significato più profondo, quando si interroga sulle conseguenze dei risultati prodotti, quando verifica se il frutto del nostro lavoro distrugge e consuma o promuove e cura le persone, le società, l’ambiente.

    2) DEMOCRAZIA

    a) Dimensione culturale

    La politica italiana vive oramai una fase di stallo della classe dirigente, incapace di rigenerarsi, ma anche difficoltà nel darsi gambe e valori culturali che ispirino l’azione. Il nostro Paese non vive tanto un’emergenza democratica, ma piuttosto un’insofferenza diffusa e motivata verso il sistema di rappresentanza dei cittadini nelle Istituzioni. Il problema della rappresentanza nel nostro Paese (a cui è strettamente legato il tema della partecipazione dei cittadini alla vita democratica) non è tanto, come spesso si vuol far credere, quello di sostituire il ceto dirigente ma di garantire dal basso il rinnovamento del sistema politico. A questo bisogna affiancare una seria azione che faccia sì che coloro che gestiscono la cosa pubblica (in senso lato intendendo Amministratori pubblici, Presidenti di Associazioni, Dirigenti politici dei partiti, ecc.), possano essere all’altezza del compito sia sul piano delle competenze, sia sul piano culturale e valoriale.

    La necessità, quindi, di riformare la politica nel suo complesso sistema di ramificazioni che interseca le Istituzioni, i Partiti, i corpi intermedi in generale, ma anche tutte le strutture di governo che compongono a vario titolo la classe dirigente del nostro Paese, (ordini professionali, enti pubblici, società a partecipazione pubblica, ecc.), va legata ad almeno due ordini di questioni che interessano anche il contributo che la nostra associazione può dare.

    b) Dimensione associativa

    La prima è la “revisione” della cosiddetta “questione generazionale”, ripresa in modo ricorrente attraverso la formula per cui la presenza dei giovani implica “novità” (e quindi innesca processi di riforma) nei luoghi che questi abitano e governano; da qui la necessità del cosiddetto ricambio generazionale.

    Ma una vera riforma della politica, più che del ricambio necessita della ri-generazione, che implica la necessità di costruire il nuovo, quel nuovo che crea naturalmente spazio ai giovani. In questo modo si afferma la logica per cui le generazioni debbono cooperare tra di loro nella costruzione di luoghi democratici capaci di auto-rinnovarsi, unica via per evitare la stagnazione in cui si annida molto spesso la degenerazione del sistema (comprese le illegalità). Analogo rilievo va fatto rispetto alla questione annosa della maggiore presenza delle donne nei luoghi della politica. Anche in questo caso, superata una politica di puro rivendicazionismo, si tratta di innovare stili, tempi e codici della politica rendendoli più accoglienti per il genere femminile, e in ultima analisi più compatibili con le esigenze della vita relazionale e quotidiana.

    La seconda attiene all’urgenza di formare (e prima educare) la classe dirigente del nostro Paese. Se è vero infatti che l’azione politica deve essere animata da competenze e valori forti, l’unica chance perché ciò avvenga è attivare (e forse riscoprire) la nostra vocazione alla formazione/educazione socio-politica dei cittadini, come strumento per rigenerare il territorio. Formare alla politica oggi vuol dire proprio questo: non solo quadri ma anche cittadini attivi che aiutino la nostra società a “traslocare” dall’attuale modello di democrazia consensuale approdando a quella deliberativa dove senza una società civile organizzata e formata, il modello non è nemmeno configurabile.

    3) CHIESA

    a) Dimensione culturale

    Dal concilio Vaticano II abbiamo accolto e imparato a stare in relazione con il mondo. Il mondo, come ci ha insegnato la Gaudium et Spes, non è solo scenario di azione umana, ma spazio di costruzione dell’esperienza e dell’identità cristiana (cantiere sempre aperto, di una vita nello Spirito in divenire). Abbiamo imparato a leggere il mondo sotto la categoria della storia e della cultura, vista quale medium per la comprensione piena dello stesso vangelo; il mondo come luogo dell’azione dello Spirito di Dio, che travalica i confini della chiesa terrena, che dimora nelle coscienze, innerva i processi collettivi (segni dei tempi), che abita ogni relazione umana di unità, interdipendenza, riconciliazione. L’evento conciliare ha ridato così nuovo spessore comunitario a una spiritualità individualistica, autocentrata sulla salvezza della propria anima, per farci scoprire la dimensione ecclesiale della fede ricevuta, professata, vissuta. Ma oggi nuovi scenari di spiritualità in rapporto ai processi sociali interessano il nostro tempo e trovano nelle nostre città il loro condensarsi ed emergere. Nuovi luoghi interpellano la speranza e l’annuncio cristiano. Nuovi spazi e nuovi tempi domandano di riconsiderare le forme della vita cristiana, individuando però quegli elementi permanenti e fondanti. Chiedono pure di saper cogliere i rischi impliciti in alcune forme oggi particolarmente diffuse di esperienza spirituale (in particolare quelle che considerano il luogo semplice scenario per l’esperienza spirituale individuale e quelle che praticano il religioso quale fuga dalla complessità) e mostrando le coordinate di una nuova spiritualità per l’oggi di uomini e donne credenti necessariamente post-moderni. È quanto in maniera instancabile ci hanno insegnato a perseguire i due grandi pontefici del secolo appena trascorso: Paolo VI e Giovanni Paolo II. E come ci ha ricordato anche il recente appuntamento ecclesiale di Verona, ai laici è consegnato il compito, dentro le sfide odierne, di essere i “primi evangelizzatori”, dentro la rete relazionale della vita, negli incontri immediati, a tu per tu. Più i linguaggi della fede saranno i linguaggi della convivenza umana e dei processi interpretativi “comuni” dell’esistenza, più tale proposta avrà la forza di penetrazione tipica del piccolo seme evangelico. Inoltre l’odierno magistero di Benedetto XVI ci ricorda che la vita ecclesiale nasce e vive della comunicazione della fede e nella fede, mediante quei processi formativi che sanno porre al centro la Scrittura e il segno sacramentale, come anche l’assunzione di responsabilità in ordine all’annuncio di fede e alla costruzione della chiesa, che divengono il segnale della maturità cristiana.

    b) Dimensione associativa

    Il Congresso si rivela un tempo opportuno per interrogarci sulle cose nuove che interpellano oggi la nostra Associazione, un tempo a volte difficile, che percepiamo come un impegnativo passaggio. Ma avvertiamo pure, per la futura vitalità delle ACLI, l’esigenza di un maggior dinamismo della nostra associazione e la necessità di realizzare percorsi coerenti, fedeli e servitori al futuro che ci viene incontro. In tale prospettiva è la stessa dottrina sociale della Chiesa che domanda questo servizio. Non possiamo attardarci a categorie concettuali legate ancora a una riflessione novecentesca. Questo domanderà di fare riferimento costante e diretto al patrimonio biblico, alla Parola di Dio - come ci invitano a fare i nostri pastori - unico modo con cui poter essere veramente innovativi e profetici, per essere quella comunità alternativa in grado di non soccombere al conformismo. Per noi aclisti si tratterà di valorizzare la nostra identità di laici impegnati nel sociale, rendendo feconda la categoria della speranza, la parola chiave di Verona, che è stata consegnata alle nostre chiese radicate nei territori, allenandoci a una lettura ordinaria e paziente dei segni dei tempi. Non potranno mancare i momenti nei quali sentirci protagonisti di un unico cammino, nei quali condividere e lasciarci guidare dal dono della Parola, affidata a tutti noi, mediante la quale generare relazioni ed esperienze di vita che siano veramente fraterne. Solo da una fraternità vissuta potremo delineare il compito di laici cristiani, quello di far riflettere la luce di Cristo dentro l’epoca storica che viene e che verrà, impegno che ci pone in dialogo con tutte le realtà associative ecclesiali e con tutti gli uomini di retta coscienza. Certo talvolta non manca un senso di smarrimento diffuso, in un tempo di profonde trasformazioni, di transizione interminabile, che si ripercuote anche sulle decisioni personali, associative e non ultime sulle nostre chiese. Da qui il bisogno di una spiritualità robusta che sappia accompagnare anche il passaggio odierno. Si tratta di passare da una spiritualità centrata su di noi a una spiritualità centrata sul cercare Dio in compagnia di coloro che sono ritenuti deboli. Dentro i nostri territori, riscopriremo i luoghi della fede “comune” costituiti dalle nostre parrocchie e singole realtà diocesane, articolazioni del vasto popolo di Dio. Diventino i luoghi di condivisione della fede e di consenso, luoghi della vita piena di significato, nella memoria del Risorto e nell’anticipazione del Regno che viene.

    4) CATTOLICESIMO DEMOCRATICO

    a) Dimensione culturale

    Alla soglia del XXI secolo ci vogliamo interrogare sul patrimonio ideale e culturale del cattolicesimo democratico.

    Non è un interrogativo storiografico o accademico, ma la rivisitazione di una tradizione che è essenziale per la nostra associazione e, riteniamo, per la vita democratica del nostro Paese.

    Nel solco di questa tradizione noi ci collochiamo avendone interpretato nel tempo la ricchezza e la fecondità, anzitutto in una linea di impegno nel sociale che non si è però mai sottratta al compito arduo di misurarsi con le grandi questioni politiche e democratiche che hanno segnato la storia italiana e aclista della seconda metà del Novecento.

    Siamo in una fase difficile della nostra storia, in un cruciale passaggio della democrazia, delle sue forme di rappresentanza, della sua dimensione partitica. Riteniamo questa crisi anzitutto il frutto di un logoramento delle culture politiche di riferimento, dunque pensiamo che la terapia debba aver a che fare con la natura di questa malattia e ricostituire un pensiero politico indebolito dal tramonto delle ideologie.

    Il cattolicesimo democratico appare in questo panorama una tradizione viva e vitale, non un residuo del passato. La forza del suo pensiero critico che ha animato e felicemente “condizionato” i momenti più travagliati della vita italiana, ci appare più che mai necessaria . Quella critica infatti non è mai uscita dall’alveo della democrazia e si è costantemente coniugata con una cultura di governo, con un senso alto e rigoroso delle istituzioni.

    È un merito che il cattolicesimo democratico può vantare: mai un astratto e astorico moralismo lo ha animato, ma sempre un’istanza etica che non si è sottratta alla fatica di una fondazione ragionevole della democrazia, nella compagnia degli uomini di buona volontà.

    Nel ritenere questa tradizione più vasta e profonda delle stesse forme politiche a cui ha dato luogo, ivi compresa la Democrazia cristiana,vogliamo rivendicarne le grandi potenzialità per rigenerare la politica tout-court, anche in tempi di mutamenti impetuosi e imprevedibili, insieme alla sua collocazione coerente in un quadro politico pur perturbato e alla limpida riconoscibilità delle sue radici ideali.

    b) Dimensione associativa

    Nel contesto sopra delineato, emerge chiaramente per la nostra associazione la necessità di testimoniare anzitutto al suo interno la validità di queste convinzioni. Lo studio, la ricerca ma anche le concrete pratiche associative ci devono spingere ad essere all’altezza della tradizione che custodiamo.

    La pluralità delle ACLI può mostrare nel concreto dell’azione sociale – soprattutto a partire dai territori- quanto possiamo fare per moltiplicare i luoghi dell’impegno e della coerenza.

    Il cattolicesimo democratico non è per noi un sistema di idee cristallizzato nella storia, ma un dinamismo fedele alle sue radici, attento alle nuove sfide della vita di questo Paese, nel passaggio d’epoca che ci è dato attraversare.

    Nella maturazione di processi storici che chiedono discernimento e passione, le ACLI possono guardare al patrimonio ideale, culturale e spirituale del cattolicesimo democratico come ad una riserva di senso per un impegno sociale e per una vocazione politica che non smarriscono la rotta, anche in tempi controversi e difficili.

    5) WELFARE

    a) Dimensione culturale

    Lo stato sociale non costituisce uno dei tanti problemi che le nostre società devono affrontare, ma quello che interroga più in profondità il senso complessivo della nostra convivenza.

    Oggi, infatti, al di là della potente retorica dell’uguaglianza, il mondo globalizzato deve fare i conti con un fenomeno inedito: una prosperità senza precedenti e una miseria degradante. Chiamare dunque per nome le caratteristiche e i contenuti dell’uguaglianza costituisce il primo obiettivo per non rimanere disancorati dalla realtà, per permettere a chi è più svantaggiato di acquisire il controllo del proprio sviluppo, di godere di pari opportunità e di vivere in un ambiente più sicuro. Tra “uguaglianza omologante” e “libertà liberista” il principio di equità diventa il banco di prova per un welfare giusto nella considerazione che non c’è sviluppo per tutti e per ciascuno senza equità nelle condizioni di partenza e nelle pari opportunità.

    In questa logica parliamo di un welfare corresponsabile e promotore di sviluppo umano: si tratta di favorire e ri-generare processi di partecipazione delle persone nelle scelte delle politiche locali, di costruire significati condivisi su ciò che è disagio e benessere, bene-stare e qualità del vivere, di sviluppare un senso di responsabilità sociale condivisa per promuovere cittadinanza attiva e solidale. Il benessere, infatti, non si riduce alla crescita economica o al mero possesso di ricchezze materiali ma consiste – come sostiene il Premio Nobel Amartya Sen - nella più ampia possibilità di ogni persona di perseguire liberamente i propri scopi e obiettivi, di realizzare il proprio progetto di vita, essendo nelle condizioni di farlo, perché ne ha le possibilità e perché può e deve assumersi la responsabilità di scegliere tra opzioni diverse. Solo questa nuova antropologia dello sviluppo consente di giudicare una società sulla base delle libertà sostanziali di cui godono i suoi componenti aldilà degli approcci tradizionali basati su utilità e reddito, esprimendo una visione molto vicina a quel concetto di bene comune che per le ACLI ha sempre avuto un ruolo centrale nella proposta di welfare.

    Un welfare municipale e comunitario permane come architrave delle nostre comunità se è legato alla sua capacità di partecipare attivamente allo sviluppo del Paese, liberandosi dal pregiudizio di essere solo un costo sociale e una zavorra da abbandonare. Un welfare dunque pensato non solo come costo economico ma quale cifra dell’abitare civile in una società. Un welfare pro-motore di sviluppo è quello capace di stabilire legami con e fra i cittadini (anziani, giovani, famiglie, adolescenti, immigrati…) sia per consentire loro di affrontare situazioni di disagio o di vulnerabilità sociale (mancanza di formazione, lavoro, casa, sicurezza) accedendo ai servizi offerti, sia per garantire ad ognuno il pieno coinvolgimento nella progettazione e realizzazione degli interventi previsti dalla rete dei servizi istituzionali, profit e non profit.

    Prendiamo atto che, di questi tempi, alle antiche povertà, che sono tornate ad essere presenti anche in Italia si aggiungono le nuove. Oggi la povertà comprende non solo la mancanza di guadagni e di risorse finanziarie ma anche la difficoltà di accesso alla formazione, all’occupazione, alle agevolazioni creditizie, alla casa, al sistema sanitario, ai servizi e alle infrastrutture.

    b) Dimensione associativa

    Le ACLI fin dalle origini hanno avuto a cuore la promozione e la tutela dei diritti delle persone, con una precisa scelta di campo: dalla parte dei più deboli.

    Siamo convinti che dire welfare pro-motore di sviluppo significa anche avere il coraggio di: sostenere ed investire sul protagonismo dei giovani, i cui percorsi lavorativi sono sempre più flessibili, compositi, incerti; promuovere la famiglia con politiche attive che ne riconoscano la soggettività sociale e il sostanziale e quotidiano contributo offerto per la “tenuta di uno stato sociale” che sempre più segna il passo; investire nella cura del capitale umano potenziando ricerca e solida formazione, strade maestre per ridare al paese nuova linfa e competitività; qualificare la presenza sui territori di sistemi integrati di servizi e interventi sociali e socio-sanitari per evitare l’incapacità di assicurare a tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di residenza, uguali prestazioni e standard essenziali nell’attuazione dei diritti sociali.

    I risultati di tali investimenti, soprattutto se processi riformatori procedessero insieme in settori contigui (ammortizzatori sociali, investimenti lavorativi, progetti di formazione, piano casa, progetti di sostegno a famigli e minori, fondo per la non autosufficienza, politiche promozionali per anziani) assicurerebbero a molte persone e alle loro famiglie condizioni di vita più eque e contribuirebbero a quella coesione sociale sempre più considerata requisito cruciale anche per lo sviluppo economico.

    6) FAMIGLIA

    a) Dimensione culturale

    Interessata da profondi mutamenti, socio-economici e culturali che negli ultimi decenni hanno trasformato la società, la famiglia ha continuato ad assolvere la sua funzione storica, sociale e biologica.

    Sul piano immateriale e simbolico, la famiglia esercita tuttora, malgrado le tensioni cui è sottoposta, un’attrazione data dall’essere realtà fondata sull’amore e l’intimità; quella realtà, cioè - come sostenevano i teorici del dono - formata in origine da due estranei, che si accordano spontaneamente per creare quello che sarà il luogo meno estraneo di tutti. Sul piano materiale, deve adattare costantemente i mezzi di cui dispone, tradizionali e innovativi, ad un contesto sempre più incerto per poter garantire ai suoi membri stabilità e sicurezza.

    Sul piano culturale si evidenzia in primis la necessità di rifondare il patto, l’alleanza tra l’uomo e la donna. Un’alleanza basata sul reciproco rispetto e sul reciproco riconoscimento, che ponga al centro la qualità della relazione, che conduca ad una maggiore simmetria dei ruoli e alla realizzazione di una reale cultura della parità, fondata sulla fattiva condivisione e collaborazione tra uomini e donne, e atta a porre fine alla sottovalutazione del ruolo sociale di queste ultime, valorizzando di conseguenza il contributo di tutti i cittadini nell’arena pubblica. Un’alleanza che sia poi in grado di trasferirsi dalla coppia a tutta la famiglia, trasformandola in una comunità, contraddistinta dall’appartenenza comune e dalla solidarietà (che contrasta la deriva individualista e predispone all’interesse per il bene comune).

    Lo scambio e il confronto intergenerazionale garantisce altresì la crescita di ciascun componente, in un processo di apprendimento continuo che valorizza in maniera congiunta le trame narrative di genitori e figli, che permette ai secondi di raccogliere il testimone adattando tradizione ed innovazione, come è nella loro natura di agenti di cambiamento e di struttura connettiva tra passato e futuro.

    Anche sul piano socio-politico, nell’affrontare le nuove sfide la famiglia non può essere lasciata sola. È impensabile che la famiglia italiana continui a presidiare tutti gli spazi lasciati vacanti dalle istituzioni, come storicamente ha fatto, fungendo da ammortizzatore sociale e da succedaneo del welfare state. Se la politica si ponesse nell’ottica di come venire incontro a queste (ed altre) necessità reali attraverso politiche integrate e di sistema, centrate sulla soggettività politica della famiglia, recupererebbe quella credibilità che sembra aver smarrito per la sua lontananza dalle istanze concrete dei cittadini.

    b) Dimensione associativa

    Le associazioni in questo percorso possono fare molto, sia pianificando, gestendo e controllando i servizi per le famiglie, sia svolgendo una funzione di socializzazione della famiglia. Le ACLI, in questo senso, vogliono fare la propria parte, adoperandosi per pensare alla famiglia quale essa è nel tempo presente, con le sue reali difficoltà e potenzialità. L’intento è quello di assumere la famiglia come fulcro e come perno: così le ACLI intendono considerare questo bene comune nel nuovo secolo. Occorre declinare la predilezione speciale dell’associazione verso la famiglia, ponendo attenzione alle sue reali e quotidiane necessità e, nel contempo, coinvolgendola nella vita sociale, quale soggetto attivo e propositivo. In questa direzione si pone l’ipotesi di mettere la famiglia al centro della vita di circoli a questo dedicati.

    In tal modo si consente alla famiglia di essere vitale e dinamica, di realizzare l’incontro tra i generi e le generazioni, e di riconoscere, nella stessa esperienza di vita, anche famiglie di altre culture, allargando il cerchio della solidarietà primaria al più vasto contesto sociale.

    7) VITA

    a) Dimensione culturale

    I confini naturali della vita, dalla nascita alla morte, sono diventati mobili.

    Il progresso delle biotecnologie, infatti, ha esteso il campo delle possibilità di intervento sulla vita – umana, e non solo – esponendola alla manipolabilità, come non era mai accaduto in epoche precedenti.

    È una sfida inedita alla quale non siamo preparati, come singoli e come società.

    Si tratta di una questione che interpella le coscienze, chiama in causa il futuro stesso dell’essere umano.

    Quale modello di uomo prefiguriamo per il nostro futuro?

    Si affacciano quesiti ai quali non possiamo sottrarci.

    Tra i cosiddetti “temi eticamente sensibili” questo che riguarda il rapporto tra scienza e tecnologia, da una parte, etica e politica, dall’altra, è certamente il più decisivo.

    Fatti di cronaca quotidiana ci parlano di avanzamenti impetuosi della bio-genetica ma anche di vicende umane cariche di significato, ai confini tra la vita e la morte.

    Occorre ridurre il “gap” tra possibilità della scienza applicata alla vita e strumenti di valutazione etica, a partire dal criterio fermo di una scienza che sia veramente al servizio dell’essere umano.

    Quella che chiamiamo “cultura del limite” fa appello a questo criterio, che non si pone contro la scienza e i suoi progressi, ma vuole coniugare la libertà della ricerca con il primato della dignità e indisponibilità della vita umana.

    b) Dimensione associativa

    In questo ambito, le ACLI sono chiamate ad un inedito impegno di formazione e pedagogia sociale.

    Il nostro pensiero “popolare”, legato alla quotidianità e alla concretezza dei bisogni, può essere di grande aiuto nel discernimento e nella ragionevolezza delle decisioni da prendere attorno a questi problemi.

    La visione antropologica cristiana ci dà riferimenti essenziali per orientarci con fiducia, e sempre ispirati dalla passione per l’uomo, motivando alla radice la nostra azione in favore di una “vita buona”.

    Il nostro pensiero e la nostra azione sociale, infatti, nascono e si sviluppano a partire da una visione relazionale della vita, da un’idea integrale e integrata di essere umano. Pensiamo che riaffermare la dignità di questa vita di fronte al riduzionismo biologico faccia parte del nostro impegno di laici cristiani che operano nel sociale, come pure riteniamo che faccia parte integrante di questo impegno anche il rifiuto della pena di morte.

    La nostra piena credibilità in questo campo nasce in sintesi dalla visione ampia e non ideologica della problematica attorno alla vita. Oltre a difenderne il valore intangibile dall’uso improprio delle biotecnologie, con altrettanta fermezza ci battiamo per quelle dimensioni che assicurano concretamente la dignità del vivere, ovvero la giustizia, la pace, la solidarietà.

    8) FELICITÀ

    a) Dimensione culturale

    Gli uomini e le donne del Novecento hanno dedicato gran parte delle loro energie a realizzare concretamente il desiderio della felicità, personale e collettiva, soprattutto in quella parte del mondo che ha risolto il problema della semplice sopravvivenza.

    Scesa dai cieli dell’impossibilità e dell’utopia, la felicità è diventata una meta che si poteva facilmente raggiungere. La modernità ci ha dato questa prospettiva e ci abbiamo creduto.

    Il passaggio alla sfera dei diritti è stato inevitabile, perché come sappiamo bene il bisogno di essere felici è insopprimibile, quasi un istinto legato a quello della conservazione della nostra specie.

    Altrettanto naturale allora la discesa in campo della politica e dei suoi strumenti a garantire il raggiungimento della felicità pubblica, promettendo almeno la rimozione degli ostacoli più vistosi.

    Se pensiamo in questa chiave alla storia del secolo passato, ci spieghiamo i suoi più luminosi ideali (la lotta contro le malattie, la povertà, l’ingiustizia) ma anche la pretesa di realizzare “il paradiso in terra” che ha secolarizzato – per dire così - l’idea cristiana di salvezza, con esiti drammatici.

    Nella metà del secolo è nato in questa parte del mondo un obiettivo di felicità forse più modesto, ma altrettanto vincolante per il nostro orizzonte di senso moderno: il ben-essere, che essendo offerto a tutti è diventato il cuore delle politiche del welfare state.

    Ci hanno pensato negli ultimi decenni i grandi mutamenti dell’economia, il peso crescente del mercato, la scarsità delle risorse, l’aumento dei bisogni indotto dalla società dei consumi a ridisegnare i confini e le possibilità del welfare novecentesco. È storia, anzi cronaca dei nostri giorni.

    Il passaggio al nuovo secolo in questo campo più che mai assume le dimensioni di una rivoluzione culturale, un cambiamento di mentalità. Non si tratta di rinunciare al desiderio di felicità (che sarebbe del resto impossibile e neppure augurabile) ma di lasciarci alle spalle la “pretesa” di una felicità che sempre più ha finito per rifugiarsi nella quantità delle cose possedute, nell’euforia dei consumi, in un individualismo radicale e, nel suo fondo, distruttivo. Degli equilibri ambientali ma anche della trama delle relazioni e dei legami di solidarietà.

    b) Dimensione associativa

    Nel nostro DNA associativo è scritto che un’altra felicità è possibile. È quella che nasce dallo stare insieme agli altri, dal significato e dalla ricchezza della vita relazionale.

    Le stesse pratiche associative- dalla vita dei circoli all’operato dei servizi e delle imprese- dicono meglio di qualunque discorso che le ACLI propongono e incarnano nella quotidianità una felicità intesa come bene relazionale.

    La propongono nelle loro forme aggregative, nell’impegno sociale e nel radicamento territoriale, nella proposta educativa e nella responsabilità laicale.

    Una felicità che è generativa di relazioni buone anche nell’economia, perché vuole fare i conti con la sostenibilità e compatibilità dei desideri di tutti e di ciascuno, perché mette l’accento sulla qualità dei legami più che sulla quantità dei beni. Una felicità che supera i confini troppo stretti dell’individuo e si richiama alla persona, nella sua interezza e nella sua giusta aspirazione ad una vita buona.

    Vogliamo infine richiamare che è nella compagnia degli uomini e delle donne del nostro tempo che pensiamo di cercare e di custodire ma soprattutto di testimoniare quanto è veramente necessario, sul piano materiale e spirituale, alla comprensione della vita come dono e offerta di senso.

    9) SOBRIETÀ

    a) Dimensione culturale

    Il Novecento è stato il secolo in cui il movimento operaio ha lottato per superare l’alienazione del lavoro di milioni di uomini e donne impegnati a produrre beni e merci, spesso in condizione di pesante sfruttamento. Oggi, nel secolo che si è appena annunciato, ci troviamo a dover aggiungere a questa una nuova sfida: vincere l’alienazione da consumo.

    Nei popoli e nei paesi più ricchi - che sono, cioè, nelle condizioni di consumare beni in quantità e in forme differenti – questa alienazione dà corpo ad una dimensione dell’esteriorità e dell’effimero che rischia di diventare criterio di valore. Ma è una alienazione  ancor  più presente in persone e in intere popolazioni alle quali non è consentito l’accesso ai beni di consumo. Proprio in questi casi rischia di assumere le forme invasive del desiderio, capaci di scatenare pulsioni e reazioni, individuali o collettive, di violenza, di rivalsa, di trasgressione. In entrambi i casi il rischio è di veder sovvertita la gerarchia di ciò che conta davvero nell’esistenza umana e di confondere l’essere con l’avere.

    È difficile spiegare a chi non ha nulla che migliorare le proprie condizioni di vita non coincide immediatamente con l’avere di più, con l’aumento progressivo e indefinito del consumo; ma noi, che abitiamo nella parte più ricca del pianeta, sappiamo che proprio la competitività esasperata per raggiungere stili di vita  basati sull’accumulo e sulla valorizzazione esagerata del significato dei beni materiali, delle merci, si trasforma in disagio ulteriore, in nevrosi, in infelicità personale e collettiva, in comportamenti illegali e violenti. Sappiamo anche che le risorse naturali sono limitate e che quindi non si può immaginare un sistema votato ad una crescita infinita.

    Sta allora prima di tutto a noi la responsabilità di costruire e diffondere vita buona: ricercare nuovi stili di vita, ma anche modi differenti di produrre, di commercializzare, di consumare, nei quali alla logica neoliberista e dominante del mercato, si contrappone quella della collaborazione, dell’economia solidale e dello sviluppo comunitario. Al centro di questa visione della società ancora una volta  troviamo non l’individuo isolato come monade solitaria ma quei “luoghi relazionali” (come la famiglia, la vita associativa, la comunità locale...) che contribuiscono allo sviluppo integrale e alla felicità delle persone. Questi luoghi, per mantenersi vitali, richiedono un investimento permanente e congiunto da parte di tutti i soggetti coinvolti: investimento affettivo e simbolico, ma anche materiale, di tempo, di risorse, di “beni relazionali” che, per quanto possibile, siano coerenti ed efficaci rispetto agli obiettivi che si intende raggiungere.

    b) Dimensione associativa

    Da qualche tempo si sta diffondendo tra le persone, tra le famiglie, un nuovo modo di porsi, anche di fronte alle scelte tipiche d’economia quotidiana, non solo improntato al risparmio ma anche ad una modificazione dei propri consumi secondo i principi di giustizia. Queste scelte si basano su criteri riconducibili all’eticità (rispetto dei lavoratori di tutto il mondo, difesa dei diritti dei minori e dei più deboli), alla difesa dell’ambiente e della propria salute (prodotti biologici, ecologici, provenienti da produzioni locali) e al sostegno delle economie solidali (commercio equo, cooperative sociali, cooperative di consumo, acquisto di prodotti o servizi che devolvono parte del prezzo ad iniziative sociali o prodotti su terre e beni confiscati alla criminalità organizzata). 

    Anche le ACLI hanno iniziato a ricercare forme per rendere concrete queste scelte e trasformarle pratica organizzativa quotidiana non solo di singoli associati, ma delle proprie strutture.

    Per questo intendiamo incoraggiare - a partire dalla valorizzazione delle reti del consorzio Fairtrade-Transfair Italia e di Libera, di cui le ACLI sono co-fondatrici – la promozione e la diffusione di prodotti “etici” in tutta la rete associativa e la moltiplicazione di nuovi punti vendita accanto o nelle nostre strutture.

    Queste azioni concrete saranno comunque accompagnate ad iniziative di educazione al consumo responsabile, da condurre nei percorsi di educazione a nuovi stili di vita (v. scheda pace), anche attraverso la diffusione dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) e la partecipazione ai Distretti di Economia Solidale (DES).

    10) BENE COMUNE

    a) Dimensione culturale

    Confermando il testo conciliare, nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa si afferma che: «il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è, e rimane, comune perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro» (n.164).

    Ecco perché il compito storico che i cattolici impegnati nel sociale devono sentire prima di ogni altra cosa è aiutare la politica italiana - uomini, partiti, istituzioni – a riscoprire il vero senso del bene comune e a non confonderlo né con il bene totale, né con il bene pubblico, né con l’interesse generale. Infatti, mentre il bene “totale” è una somma di beni individuali, il bene comune è piuttosto il prodotto o la moltiplicazione degli stessi. Il che significa che il bene comune è qualcosa di indivisibile, perché solamente assieme è possibile conseguirlo, esattamente come accade in un prodotto di fattori: l’annullamento di anche uno solo di questi, azzera l’intero risultato.

    Essendo comune, questo bene non riguarda la persona presa nella sua singolarità, ma in quanto relazione con gli altri. Questo dice la profonda differenza rispetto al bene totale: in quest’ultimo non entrano le relazioni tra le persone e, di conseguenza, neppure entrano i beni relazionali, la cui rilevanza ai fini del progresso civile e morale delle nostre società è un fatto ampiamente acquisito.

    Se poi si continua a confondere il bene comune con l’interesse generale ciò è dovuto alla svolta individualista che da tempo si è verificato nella cultura occidentale e alla diffusione del pluralismo che ha frammentato la stessa idea di bene e di interesse.

    b) Dimensione associativa

    Consapevoli delle molteplici dimensioni del bene comune a livello etico e antropologico, come anche a livello sociale ed economico, e infine a livello ecologico e politico, il ruolo che i cristiani devono sentire come proprio è quello di favorire la cultura del dialogo, il metodo della cooperazione, la strategia dell’inclusione affinché nessuno venga escluso, valorizzando prima di tutto una sostanziale convergenza sull’uomo nella prospettiva dell’umanesimo integrale e del personalismo comunitario. Così facendo il principio-guida del bene comune diventa la medicina più efficace per contrastare l’ondata crescente dell’antipolitica e il suo pericolo per la democrazia.

    Per il conseguimento del bene comune è richiesto ai cattolici un profondo spirito di laicità e un grande senso di equilibrio che consenta loro di non escludersi da soli, abbandonando la politica e preferendo di lavorare in campo sociale. Soprattutto è necessario che i cattolici siano presenti e attivi nella vita politica – quali che possano essere le difficoltà, le delusioni e gli insuccessi – affinché non venga a mancare l’apporto dei valori cristiani, che sono anche i più alti valori umani, per la “ri-costruzione” morale e civile del nostro Paese.

    11) EDUCAZIONE

    a) Dimensione culturale

    Guardando al Novecento sotto il profilo dell’educazione e della formazione, bisogna prendere atto che al tramonto delle ideologie si è affiancata una crisi del sistema educativo che ha riguardato ideali, modelli, agenzie. Semplificando, possiamo affermare che nel secolo scorso si sono contrapposti da una parte sistemi educativi costruiti sulla trasmissione di valori da una generazione alla successiva e sulla proposta di modelli da imitare, dall’altra progetti educativi che hanno assunto e assolutizzato la visione maieutica del far emergere ciò che ciascuno è e ha dentro.

    Nel nostro tempo l’educazione rappresenta uno dei cantieri dove più intenso appare il confronto e il ripensamento. Educare è innanzitutto guardare alla persona integralmente, non per analizzarla (neppure analizzarne le potenzialità), ma per concepire insieme ad essa un percorso.

    Educare è stabilire una relazione educante, ovvero orientata al futuro, senza ripiegamenti sul “si dovrebbe”, ma centrata sul possibile, sul dialogo tra i valori, gli ideali e l’umile, feriale lavoro di chi in questo mondo e in questa società vuole starci e portare semi di cambiamento. Nella relazione educativa, in un rapporto di reciprocità, generazioni diverse si incontrano e possono rideclinare insieme le risposte alle grandi domande di senso sulla persona umana, la vita, la società.

    Educare è corresponsabilità di famiglie, scuola, istituzioni, chiese, realtà aggregative… Vanno oggi assolutamente abbattuti gli steccati di diffidenza, se non di conflitto, tra i soggetti che debbono promuovere l’educazione per costruire il futuro del Paese.

    b) Dimensione associativa

    Anche nella nostra associazione si sono registrati, inevitabilmente, una crisi ed un superamento dei tradizionali modelli educativi e formativi. Tuttavia mai si è cessato di investire sulla formazione, con particolare riferimento ai gruppi dirigenti.

    Le ACLI vogliono essere anche oggi una comunità educante, una comunità di adulti in cammino, che invita a condividere un percorso, a “stare” nella città degli uomini in maniera responsabile, partecipe, vitalizzante, ma anche critica.

    Sono condivise nel nostro movimento la consapevolezza di dover potenziare la proposta formativa aclista e la determinazione ad articolarla a livello territoriale (soprattutto regionale) perché possa essere meglio contestualizzata e più vicina. Lavoriamo ad una formazione di sistema, che veda le persone protagoniste nella costruzione di processi di apprendimento ancorati ad orientamenti culturali consistenti e ad una spiritualità profonda; una formazione che tenga insieme dimensioni cognitive ed emotive, ideali e professionali, organizzative e sociali.

    La formazione sarà momento educativo anche nel senso di consentire una narrazione condivisa della memoria associativa, perché gli aclisti abbiano consapevolezza della grande storia a cui appartengono e sappiano rileggerla in modo sapienziale; sarà occasione per stare dentro, consapevolmente, alla complessità della società attuale, con un compito di discernimento, elaborazione e proposta; sarà luogo di costruzione del cambiamento, a partire da sé, di prefigurazione del futuro, di assunzione competente della responsabilità, accogliendo le contraddizioni del reale e facendosi promotori di una vera progettualità sociale.

    Con rinnovato slancio, consapevoli che in questo esercitano un prezioso servizio alla società civile e alla chiesa, le ACLI saranno promotrici di formazione socio-politica nelle loro comunità.

    12) PACE

    a) Dimensione culturale

    Il nuovo millennio si apre con la dichiarazione dei grandi della terra sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che promettono – entro il 2015 – di dimezzare la povertà nel mondo. Ma l’anno successivo la tragedia delle Twin Towers apre un inedito “scontro di civiltà” all’interno del quale l’unica risposta al terrorismo di matrice islamica sembra diventare l’unilateralismo degli interventi militari in Medio Oriente condotti in nome della democrazia occidentale. A fronte del rischio che proprio le peggiori condizioni di povertà - accanto all’ingordigia dei paesi ricchi - divengano luoghi di coltura dei fondamentalismi più radicali, è il momento in cui, a livello internazionale, il movimento per la pace si salda con quello per la giustizia globale. La prevenzione dei conflitti diventa la risposta e la priorità che emerge dalla società civile mondiale e la speranza e l’impegno di un  movimento che supera le frontiere degli stati nazione, si rivolge verso un’altra globalizzazione, solidale e giusta, verso la costruzione di “un altro mondo possibile”,  perché siano rispettati “tutti i diritti umani per tutti”.

    Porre al centro la relazione, dunque, diviene  – a livello globale -  responsabilità della politica e delle istituzioni nazionali e internazionali, ma – a livello locale – è responsabilità di ciascuno di noi, a partire dalle scelte e dai comportamenti quotidiani.

    Proprio a partire da queste scelte culturali di fondo occorre approfondire e attualizzare la proposta della nonviolenza favorendo, da un lato, conoscenze e culture di dialogo, dall’altro riscoprendo la cultura dell’alleanza con gli uomini e le donne, ma anche con la natura e con tutto il creato. 

    b) Dimensione associativa

    Proprio la pace e la scelta della nonviolenza è una delle costanti della nostra storia associativa, fin dal nostro stesso nascere, ancora nel vivo del 2° conflitto mondiale.

    A più di 60 anni dalla nostra fondazione, attingere nuovamente a queste radici significa – per noi delle ACLI - rilanciare un percorso di formazione ed azione sociale rivolto all’insieme della nostra base sociale, rialimentando di contenuti nuovi una proposta che è parte stessa del nostro DNA associativo.

    Si indicano qui alcune piste prioritarie di lavoro sulle quali far convergere l’impegno dell’associazione.

    In primo luogo è importante alimentare il nostro lavoro quotidiano diffondendo  percorsi di educazione alla pace, alla giustizia, alla legalità, alla sobrietà, alla non violenza rivolti soprattutto alle nuove generazioni, che leghino il mondo della scuola ai contesti sociali e associativi nei quali i giovani, ma anche gli adulti sono inseriti.

    In questi percorsi si porrà particolare attenzione – ed è la seconda indicazione – ad alimentare la cultura della “salvaguardia del creato” e della cura dell’ambiente che ci circonda come pratica di nonviolenza e di pace (lotta allo spreco di risorse naturali, ricerca di nuove fonti energetiche, cura del proprio ambiente di vita,…).

    Intendiamo proporre poi un modo concreto per incarnare la dimensione culturale dell’interdipendenza, legando sempre di più la dimensione locale con quella globale attraverso proposte di gemellaggi tra le nostre comunità e comunità di altri paesi (prima di tutto quelli nei quali siamo impegnati con iniziative di cooperazione allo sviluppo), attraverso il sostegno e la diffusione del commercio equo e solidale.

    Da ultimo, ma non certo per importanza, le ACLI continueranno ad agire il loro ruolo nella costruzione di politiche di pace nei confronti delle istituzioni nazionali ed internazionali anche attraverso il lavoro interassociativo. 

    13) ECOLOGIA

    a) Dimensione culturale

    Il periodo storico che viviamo è fortemente caratterizzato dalla richiesta di conciliare economia ed ecologia, ambiente e scienza, risorse naturali e innovazioni tecnologiche. L’epoca del progresso e dello sviluppo economico è stata accompagnata dalla pretesa da parte dell’uomo di poter disporre a proprio piacimento, sia della vita della flora e della fauna sia di tutto l’ecosistema. Siamo ormai da tempo in ricerca di un equilibrio spezzato: l’inquinamento ambientale, il surriscaldamento del Pianeta, lo sperpero delle risorse naturali, la distruzione della biodiversità aprono le porte all’introduzione della cultura del limite, perché si possa recuperare lo stretto legame tra le società, il sistema economico, gli stili di via che pratichiamo e la natura di cui siamo parte e in cui viviamo.

    Passare dalla pretesa di possedere la Terra alla responsabilità dell’abitare la Terra è il compito che abbiamo di fronte. Acquisire questa consapevolezza non significa soltanto produrre di meno, quanto produrre diversamente: meno prodotti superflui più prodotti fondamentali; meno consumi privati più consumi pubblici; meno energia da combustibili fossili più energia da risorse rinnovabili; meno prodotti usa e getta più prodotti duraturi; meno spreco più recupero e qualità della vita. La custodia e la cura del creato diventano punti essenziali per una politica attiva del futuro, che si percepisca responsabile dell’eredità che consegneremo alle generazioni future. Nel riconoscimento di una cittadinanza sempre più planetaria emerge l’esigenza di riconoscere e garantire i diritti ecologici, perché tutti gli uomini possano vivere in un mondo bello e buono: l’accesso all’acqua potabile, la disponibilità di aria salubre, la garanzia di alimenti genuini.

    b) Dimensione associativa

    Affrontare l’interazione tra locale e globale, proporre un’economia sostenibile, impegnarci ad edificare città abitabili sono sfide urgenti. Per questo le ACLI sostengono azioni capaci di costruire una “eco-economia”. L’associazione sostiene iniziative dirette alla tutela della bio-diversità, all’investimento in energie alternative ad iniziare dall’eolico, dal solare fino ad arrivare ai bio-combustibili. Le ACLI si propongono di sensibilizzare e promuovere cittadinanza attiva su alcune grandi questioni ambientali, perché ad ogni persona possano essere garantiti alcuni diritti a partire dall’accesso alle risorse naturali indispensabili alla vita fin ad arrivare alle informazioni sulla genuinità degli alimenti. Inoltre l’associazione si impegna in iniziative formative e informative rivolte alla condivisione di comportamenti eco-responsabili che vanno dalla raccolta differenziata all’utilizzo dei mezzi pubblici, dalla scelta di prodotti biologici alle pratiche di riduzione dei consumi.

    14) ECONOMIA

    a) Dimensione culturale

    La fine del Novecento ha traghettato l’economia in una dimensione globale. Si passa da un motore della produzione confinato dentro gli Stati nazionali ad uno allargato agli orizzonti mondiali. Le innovazioni scientifiche ed i progressi delle tecnologie dell’informazione sono le nuove risorse fondamentali per l’economia e rendono possibili i flussi di persone, di beni, di servizi e di capitali. I mercati finanziari e di conseguenza quelli “reali” stringono assieme i vari attori economici in uno spazio internazionale, svincolandoli dalle regole locali. Sembra così delinearsi una globalizzazione ad arcipelago che delinea due livelli. Il primo è rappresentato da una serie di aggregazioni regionali, che cercano tra loro una complementarietà economica, formando delle isole come “Cindia”, l’Unione Europea, Il NAFTA (la lega nordamericana che coinvolge Canada, USA e Messico), il MERCOSUR (che unisce alcuni Paesi dell’America Latina). La seconda consiste in un insieme di istituzioni, di regole, di flussi economici che conferiscono unitarietà all’economia del pianeta. Questo sistema unitario e competitivo porta con sé l’esclusione e lo sfruttamento dei più deboli. Le popolazioni meno organizzate, i Paesi con minori risorse naturali, scientifiche e tecnologiche e i territori meno collegati rimangono ai margini. Inoltre assistiamo ad una finanziarizzazione dell’economia, dove non è tanto riconosciuto il valore del prodotto o del servizio offerto quanto quello dei titoli di una impresa. Questa immaterializzazione rischia di esporre in maniera sempre più fragile il lavoro alla volubilità delle borse. È urgente rendere sostenibile l’economia, in modo che il profitto non sia teso solo al consumo o all’arricchimento, ma sia indirizzato alla crescita della persona e delle comunità e quindi indirizzato al bene comune. Infatti, l’emergenza della povertà e della fame denuncia con crescente evidenza che la logica del profitto, se prevalente, incrementa la divaricazione tra ricchi e poveri e un rovinoso sfruttamento del pianeta. Come ha evidenziato anche Benedetto XVI il profitto e la distribuzione dei beni non sono in contraddizione “purché il loro rapporto sia bene ordinato”. Per questo è importante proporre una logica della condivisione e della solidarietà per correggere la rotta e orientarla verso uno sviluppo equo e sostenibile. “Si tratta dunque di operare una conversione dei beni economici”.

    b) Dimensione associativa

    Le ACLI sono impegnate in prima persona per democratizzare l’economia, come realtà del no profit. Vogliamo sostenere e migliorare le reti di economia solidale che crescono e si sviluppano nel mondo. La nostra vocazione sociale ci chiede di censire, innovare e diffondere comportamenti, regole, modalità di azione comuni, che possano determinare precise scelte compatibili con la responsabilità sociale. Appare opportuno creare una rete di imprese responsabili che sui territori siano in grado di immaginare, progettare e sviluppare percorsi di crescita economica, ma anche sociale e relazionale. Inoltre diventa importante sostenere e proporre buone pratiche che coinvolgano il cittadino nelle sue dimensioni di lavoratore, consumatore, risparmiatore e investitore: da una parte favorendo il consumo critico, il commercio equo e solidale, i gruppi di acquisto; dall’atra parte sostenendo l’imprenditività della persona, come percorso e strumento per la sua crescita umana e professionale e incentivando la promozione di partecipazione alle strategie aziendali nelle forme organizzate di rappresentanza.

    Infine, perché sia possibile continuare a promuovere la globalizzazione della solidarietà, le ACLI rinnovano il proprio costante impegno in iniziative significative, anche curando le reti tra le organizzazioni della società civile, dalla cooperazione internazionale al microcredito, da banca e finanza etica alle campagne per la conversione delle spese militari in aiuti alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo.

    15) ETICA PUBBLICA

    a) Dimensione culturale

    È la complessità stessa della società in cui viviamo a reclamare con inedita urgenza un’etica pubblica condivisa.

    Nuove sfide e nuovi scenari ci obbligano a ricercare, con pazienza e coraggio, riferimenti e valori comuni, per dare coesione e concordia ad una società sempre più frammentata, incerta e talvolta confusa, nelle idee e nei costumi.

    Il Novecento ci ha lasciato insieme alla fine delle ideologie anche il disincanto diffuso, la difficoltà di trovare almeno un terreno condiviso di confronto.

    L’individualismo radicale sembra l’unica e superstite “ideologia”, l’unica risposta al pluralismo incomponibile dei bisogni.

    “Etica pubblica” significa tessuto di valori su cui ricostruire la trama di relazioni sociali dotate di significato..

    Significa trovare, anzitutto, un alfabeto sociale comune almeno per nominare i problemi, per delimitare l’area del confronto.

    Bisogna uscire dalla “babele” della reciproca sordità, dell’equivalenza indifferenziata delle opinioni che è l’esito degenere del pluralismo.

    Un ethos pubblico condiviso non può neppure essere costruito “al ribasso”, magra come base di una democrazia senza valori, solamente procedurale.

    Esso può nascere dalla fiducia e dalla passione del confronto, da una rigenerazione profonda delle ragioni dello stare insieme.

    b) Dimensione associativa

    La mission delle ACLI è, fin dalle origini, legata allo spazio pubblico, cioè comune e condiviso, della vita sociale.

    Siamo nati su questa difficile frontiera, agli avamposti della socialità, per costruire legami e ponti là dove si ro.mpono o interrompono.

    L’impegno per un’etica pubblica significa per noi, anche all’inizio di questo XXI secolo, testimoniare che essa è possibile attraverso pratiche sociali solidaristiche e comunitarie.

    Non c’è agire comune se non c’è un’idea condivisa di bene comune.

    L’azione sociale aclista, pur privilegiando il fare quotidiano e feriale, non si è mai ridotto ad un attivismo senza principi ispiratori e senza finalità.

    La laicità è per noi anzitutto questo: la trasparenza dei valori di riferimento e l’apertura al dialogo, nel quale dare conto di quei valori, vivendoli e testimoniandoli,

    16) MIGRAZIONI

    a) Dimensione culturale

    Migrare è un’esperienza appartiene alla condizione umana. Le migrazioni sono uno dei segni che caratterizzano la nostra storia recente. Vari sono i motivi per cui si emigra da un luogo all’altro, ma sempre per cercare migliori condizioni di vita. Esse variano da una maggiore opportunità professionale a motivi economici (spesso è il mercato che lo determina), dalla speranza di dare maggiore opportunità alla propria esistenza alla ricerca di luoghi più sicuri, da una ricerca di asilo all’esigenza di ricongiungersi con i familiari. Migrare non è mai facile, è una decisione sempre grave e difficile.

    In questo imponente fenomeno di mobilità umana, oggi, sono implicati milioni di persone, ognuna portatrice e interprete di una cultura, di una religione, di una tradizione. Ognuna con un bagaglio esperienziale da riadattare in nuovi mondi culturali e in nuovi contesti di vita.

    La migrazione, e la mobilità umana in genere, stanno determinando dovunque, non sempre in maniera serena, valutazioni di carattere culturale, politico, sociale, economico e religioso.

    Una delle problematiche più rilevanti che nascono dai processi migratori è quella relativa alla cittadinanza: la cittadinanza sia come nozione che indica un rapporto tra diritti e doveri, sia come relazione di appartenenza con una comunità politica. Oggi questa seconda indicazione viene messa in discussione proprio dalla presenza di migranti e delle loro famiglie, che trovano in determinati territori il luogo in cui stabilirsi e progettare il proprio futuro. Appartenere a una comunità politica significa infatti avere la possibilità di partecipare anche alle scelte politiche di quella particolare comunità. È una domanda di inclusione sociale e di condivisione (sia pure parziale) della responsabilità nella gestione della cosa pubblica. Sui modelli di accoglienza e di integrazione il dibattito è ancora aperto un po’ ovunque nel mondo, in Europa e nel nostro Paese.

    b) Dimensione associativa

    Consapevoli di aver conosciuto direttamente l’esperienza del migrare, come storia di sofferenza ma anche di nuove opportunità, le ACLI leggono gli attuali flussi migratori come segno dei tempi che esige impegno sociale e responsabilità politica.

    È questa la ragione per cui ci sentiamo vicini alle persone che migrano, sia agli italiani che vanno negli altri paesi del mondo sia agli immigrati che da altre nazioni vengono in Italia.

    Compito della nostra associazione è tutelare i diritti di cittadinanza del migrante: il lavoro, la salute, l’istruzione, la previdenza, la libertà religiosa, la libertà di associazione, la partecipazione politica (anche attraverso il voto), ecc.

    Una particolare attenzione le ACLI hanno sempre avuto per la famiglia migrante e così dovrà essere ancora di più in futuro. In particolare, bisognerà farsi carico del problema delle “seconde generazioni”, battendosi per i loro diritti anche “formativi”, e per il loro inserimento nel mondo del lavoro.

    Le ACLI appoggiano tutte quelle iniziative che mirano a favorire l’integrazione e la coesione sociale valorizzando la diversità come ricchezza e risorsa, avendo fiducia nella cultura del convivere, nella pluralità delle identità e nella prospettiva della interculturalità come scelta alternativa ad ogni modello di multiculturalismo.

    17) RETE

    a) Dimensione culturale

    Il Novecento si è chiuso con una sorta di sbornia tecnologica e digitale. Ci siamo riempiti di apparati e congegni “a portata di dito”, continuamente aggiornabili e sostituibili, in un’enorme rete globale di relazioni e informazioni, che ci mette in comunicazione multimediale con gli altri e con il mondo. O, almeno, promette di farlo.

    In particolare, siamo usciti dal Novecento con una certa diffusa convinzione che uno di questi strumenti, Internet, la Rete delle reti, avrebbe “salvato il mondo” o almeno lo avrebbe reso davvero più piccolo e più democratico. Un ottimismo in parte mal riposto. Perché Internet è, sì, una grande piattaforma di opportunità, ma anche una rete che nasconde tra le sue maglie e i suoi nodi diverse insidie. Nel frattempo, rispetto alla sua versione originale, oggi il World Wide Web (le famose tre “w” degli indirizzi internet) si è evoluto: si parla ormai da qualche anno di Web 2.0, per intendere che Internet è passato ad una versione aggiornata, la seconda appunto, rispetto ai primordi. Se prima Internet era essenzialmente un gran mare di contenuti lasciati lì a galleggiare a disposizione della grande platea degli utenti connessi, da istituzioni, imprese e soggetti organizzati, oggi sono sempre più i singoli utenti i primi produttori, nonché validatori, dei contenuti diffusi in rete, che si fanno anche più specializzati e personalizzati. Il dizionario del Web 2.0 – ormai divenuti di uso comune termini come e-mail o chat – è fatto di parole come blog (i diffusissimi diari personali in rete, considerati sempre più come fonti di informazione accreditate), wiki (dal nome dell’enciclopedia libera e aperta, Wikipedia), widget (piccoli programmi che personalizzano i siti con servizi e gadget di varia natura) e di progetti dal successo travolgente come YouTube (il portale in cui chiunque può inserire i propri video) e Second Life (un vero mondo virtuale e parallelo).

    Internet promette, insomma, di esser una rete per antonomasia in cui, per la gioia dei suoi teorici, non esiste un vero centro e in cui ogni nodo sembra avere la stessa importanza degli altri. Però, è una rete in cui è facile smarrirsi o impigliarsi. Accanto all’elevato coefficiente democratico, si pone infatti il grave problema della credibilità e della certezza delle informazioni così diffusamente prodotte e condivise; oppure quello del controllo o delle limitazioni della funzionalità della rete (vedi i casi recenti Cina/Google e Yahoo, o l’oscuramento deciso dal regime in Birmania).

    b) Dimensione associativa

    Le ACLI non possono assistere da spettatrici, o solo da consumatrici, a queste evoluzioni, pur tenendo conto delle proprie risorse e delle proprie specifiche responsabilità.

    In un contesto globale che tende a mettersi sempre di più “in rete”, sarà strategico impegno delle ACLI sviluppare e sperimentare la rete dentro il proprio tessuto associativo, così diffuso a livello territoriale, come contributo alla propria crescita e a quella della società civile. Da una parte, nel proseguire e portare a compimento il potenziamento e la semplificazione della “rete ACLI”, guardando all’ottimizzazione del rapporto tra la dimensione verticale dell’associazione (centro/sedi locali) e quella orizzontale (associazioni specifiche, servizi, imprese sociali etc). Dall’altra, compiendo un investimento di riforma e semplificazione organizzativa e comunicativa che permetta a tutti di meglio individuare, usufruire e valorizzare, anche verso l’esterno, le risorse presenti nella “rete ACLI”: competenze, informazioni, azioni e relazioni.

    Inoltre, in una società dove il controllo delle reti e la gestione e la produzione delle informazioni sarà sempre più uno strumento politico ed economico strategico, potrà essere compito delle ACLI quello di sviluppare percorsi di formazione, interna ed esterna, che offrano gli strumenti per decriptare e interpretare le reti globale e le informazioni circolanti, nonché quello di sperimentare e proporre azioni e buone pratiche di rete che ne valorizzino le potenzialità, a servizio della difesa dei diritti dei lavoratori/cittadini globali e della democrazia.

    18) EUROPA

    a) Dimensione culturale

    All’indomani dello straordinario processo di riunificazione dell’Europa, avvenuto simbolicamente nel 2004, con l’allargamento dell’Unione Europea, che oggi conta 27 Stati membri per un totale di 500 milioni di persone, rappresentando l’area economica attualmente più ricca e con il maggiore volume di commerci mondiali, l’Europa si trova oggi a fare i conti con la paura e il dubbio. Le difficoltà del contesto internazionale attuale, l’invecchiamento demografico e la crescita dell’individualismo e degli egoismi nazionali rendono più fragile e incerta questa costruzione.

    Nell’agenda politica non si percepisce più una coscienza condivisa e diffusa dell’ampiezza del progetto politico realizzato, basato sulla forza inclusiva e pacificatrice del diritto, che ha definitivamente sostituito il diritto della forza. La pace come fine, la libertà come principio fondativo e la solidarietà di fatto come metodo hanno realizzato la riconciliazione dopo secoli di guerre e devastazioni, hanno permesso la ricostruzione, garantito l’indipendenza e la democrazia, consentito una espansione mai vista prima del progresso e del benessere, permettendo il consolidarsi della democrazia.

    Tuttavia clamorosamente fallito il processo di ratifica del nuovo Trattato di Roma, firmato da tutti i capi di Stato e di governo nell’ottobre del 2004 e già ratificato da 18 Stati membri, in Europa non è ancora sciolto il nodo di fondo che ne accompagna la costruzione istituzionale da oltre un ventennio. Resta la pervasiva ambiguità circa la reale possibilità di convergenza dei 27 sul processo di integrazione politica basato sull’ampliamento degli spazi di cittadinanza e di democrazia partecipativa o su un processo di solo consolidamento e rafforzamento di un’area di libero scambio, basata sui due istituti del Mercato e della Moneta unica, ormai acquisiti.

    L’Europa si trova oggi a dover infatti far fronte ad alcune grandi sfide, per le quali necessità di progetto e di visione, ma anche di istituzioni e politiche comuni forti e che abbandonino rapidamente le logiche del “cortotermismo” e del particolarismo degli interessi settoriali.

    Esse sono:

    - L’invecchiamento demografico senza precedenti, che suscita urgenze sia sul fronte delle politiche di sostegno alla natalità e alla famiglia sia delle politiche attive della terza età e di rafforzamento dei sistemi di protezione e coesione sociale.

    - La necessaria revisione del modello sociale europeo, che deve fare oggi i conti con la ricerca di nuove modalità di garantire l’equilibrio tra bilanci pubblici, crescita economica e un livello elevato di impieghi e di protezione sociale, facendosi carico sia delle tensioni provocate dagli scenari economici internazionali sia del perdurare e in alcuni casi dall’aggravarsi delle sacche di povertà e di esclusione sociale.

    - La questione dell’energia, che è oggi il maggiore fattore destabilizzante delle economie e delle tensioni internazionali, ma anche un punto evidente di convergenza di interesse di tutte le parti in causa, sia che si parli di sicurezza degli approvvigionamenti, di contenimento dei prezzi e di diminuzione dell’impatto ambientale.

    - Il cambiamento climatico, che viene ormai percepito dalla maggioranza dei cittadini come un fattore di rischio assai elevato per l’immediato futuro e vede concentrarsi interesse e azione politica quale mai prima d’ora, finendo con il chiamare drasticamente in causa sia il nostro modello di crescita economica, sia il nostro modello di vita individualista, troppo incentrato sui consumi.

    - I movimenti migratori e più in generale della mobilità umana, legati sia alle sperequazioni dei livelli di vita esistenti all’interno dell’Unione, che nelle sue immediate vicinanze, sia alla forte domanda di manodopera in molti settori delle nostre economie, sollecitano nuove politiche di integrazione ma anche la delicata questione del rapporto con l’islam.

    - Lo sviluppo di un nuovo partenariato con l’Africa, oggi sempre più obiettivo di nuove attenzioni neocoloniali da parte della Cina e di nuove preoccupazioni strategiche da parte degli Stati Uniti e dunque principale area di possibile e forte destabilizzazione nei pressi dell’Europa.

    Si tratta di sfide al futuro, che guardano tutte al domani, a ciò che lasceremo ai nostri figli, piuttosto che a ciò che difendiamo oggi per noi. Esse sono già parte della agenda politica europea, devono venire percepite come tali dall’insieme dell’opinione pubblica, attraverso scelte concrete e conseguenti delle forze politiche e delle principali forze sociali dei nostri paesi.

    b) Dimensione associativa

    Non si può che ripartire dai valori e dalla coscienza di un progetto comune per un avanzamento complessivo di civiltà, per permetterci di approfondire la nostra comunità di destino e far così fronte alle nostre responsabilità mondiali.

    Nel maggio del 2007, ai delegati di tutte le Chiese europee riunite a Roma il per il 50° dei Trattati, Benedetto XVI ebbe a dire: Non stancatevi e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l'aiuto di Dio la nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca di ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo".

    Le ACLI sono da molto tempo attive e mobilitate sul fronte della costruzione europea. Negli ultimi anni in particolare – con i Congressi di Bruxelles e di Torino – la dimensione europea è diventata sempre più importante per molti ambiti della nostra azione sociale e politica, sia nelle diverse iniziative promosse all’interno del nostro sistema aclista a livello nazionale e territoriale, sia nel lavoro realizzato all’interno delle diverse reti istituzionali, civile ed ecclesiali in Europa.

    Ai soggetti sociali – e tra questi le ACLI - tocca un compito non secondario, prima di tutto di natura educativa (il senso di un progetto di lungo termine) ma anche di natura istituzionale, contribuendo a rilanciare e consolidare la democrazia in Europa, rafforzando il processo di infrastrutturazione civile della partecipazione democratica, facendosi carico di mettere l’Europa tra le priorità delle rispettive agende interne delle singole organizzazioni e delle diverse reti e strutture nazionali.

    19) MONDO

    a) Dimensione culturale

    Benché da molti decenni si sia affermata l’idea del mondo come villaggio globale sono ancora in molti oggi a fare fatica nel conciliare il radicamento nel proprio luogo con la coscienza planetaria.

    In un mondo che grazie alla globalizzazione e al sistema dell’informazione appare sempre più “stretto”, ognuno ha l’impressione di sentirsi più vicino anche all’uomo più lontano del pianeta.

    Dal sentimento della distanza geografica stiamo passando ad un nuovo sentimento di interdipendenza che esige un alto grado di responsabilità se non vogliamo si tramuti in rifiuto del “diverso”, soprattutto se co-abita nel nostro stesso territorio.

    L’interdipendenza planetaria è infatti ben lontana dall’essere vissuta come categoria etica e ancora di più dal diventare una nuova concezione della governance e della sovranità in politica.

    Ciò che nel mondo attuale appare del tutto anacronistico è la persistente centralità di istituzioni politiche fondate ancora sul vecchio sistema degli stati nazionali dove il principio di sovranità e di indipendenza continuano a dominare impedendo sia alle organizzazioni economico-finanziarie (Banca mondiale, FMI...) che all’organizzazione delle nazioni unite di poter fare avanzamento di natura politica e istituzionale in una prospettiva di democrazia trans-nazionale.

    Sbloccare L’architettura politica post-bellica che anche dopo 1989 è rimasta paradossalmente inalterata è il primo obiettivo da conseguire in direzione di un nuovo ordine internazionale democratico. Non è più possibile infatti affrontare problemi urgenti e globali come l’ecologia, le migrazioni, i diritti umani, il terrorismo, la guerra, la fame, l’aids... con politiche locali o nazionali.

    b) Dimensione associativa

    Da quando sono nate, le ACLI hanno avuto una vocazione internazionale che si è presto concretizzata in presenze tangibili per la difesa dei diritti a fianco dei connazionali all’estero. Ciò che in passato era l’internazionalismo dei lavoratori e del sindacato ha avuto certamente i suoi riflessi sull’internazionalità delle ACLI.

    Tale internazionalità si avvale oggi del principio di inter-dipendenza e di uno sguardo cosmopolita per promuovere una nuova cittadinanza transnazionale e planetaria. Per questo anche in seno alle ACLI bisognerà sviluppare ancora di più le quattro linee sulle quali la FAI in questi anni si è impegnata: la linea culturale, la linea dei servizi, la linea associativa e la linea formativa.

    Anche per il futuro bisognerà sempre incamminarsi lungo tre direttrici:

    - la prima direttrice è quella associativa che favorisce lo sviluppo degli strumenti organizzativi e delle risorse interne alle ACLI in ogni parte del mondo al fine di conseguire obiettivi di solidarietà, di cooperazione, di integrazione a partire dai più poveri ed emarginati;

    - la seconda direttrice è quella di promuovere la rete della società civile globale sulle tematiche della pace, dell’ambiente e dello sviluppo, favorendo il perseguimento di obiettivi costruttivi e propositivi rispetto a quelli di radicale antagonismo e opposizione;

    - una terza direttrice è quella creativa che fa leva sull’immaginazione delle istituzioni di democrazia internazionale da porre in essere se vogliamo che un mondo “altro” diventi credibile anche sul piano delle nuove strutture necessarie alla governance globale.

    20) FUTURO

    a) Dimensione culturale

    L’innovazione nasce anzitutto dal coraggio di guardare avanti, di cambiare, di mettersi in gioco, di osare. Coraggio e non temerarietà, scongiurata quest’ultima proprio dall’eredità della tradizione che orienta l’azione e previene rispetto ai fallimenti della storia, perché non si ripetano. Un movimento fedele al futuro e fedele a se stesso, non può allora fare a meno di incardinarsi nella tradizione in relazione con l’innovazione. Per essere fedeli al futuro, è importante approfondire il rapporto tra innovazione e tradizione. La tradizione si consolida a partire da un’innovazione passata andata a buon fine, giudicata valida dalla storia e così degna di essere conservata, ricordata e trasmessa alle nuove generazioni.

    Per fare ciò il movimento oltre a salvaguardare la storia, deve prima di tutto e continuamente ri-pensarsi dinamico e al passo con i tempi, attento a non arrestare il meccanismo che lo rigenera al pari di un essere umano che vede le sue cellule rigenerarsi, pena l’incorrere nella più drammatica de-generazione.

    b) Dimensione associativa

    Essere fedeli al futuro reinterpretando le tre storiche fedeltà al lavoro, alla democrazia, alla Chiesa, leggendo i segni dei tempi e imprimendo dinamismo alla tradizione aclista, come ci ha esortato Benedetto XVI nell’Udienza del 27 gennaio 2006, vuol dire per le ACLI interrogarsi e riflettere su almeno due versanti.

    Il primo versante è quello dei soggetti giovani che attiene al cosiddetto ringiovanimento del movimento. Al Congresso di Bruxelles (2000) si disse di volere “ ACLI più giovani”; nella COP di Roma (2002) si è sottoscritto un patto intergenerazionale tra giovani e adulti dove è scritto di “impegnarsi insieme a mettersi in gioco, a essere disponibili a passare il testimone perché altri possano assumere ruoli ed impegni”; nella mozione finale della COP di Bari (2006) si afferma l’impegno di “riconoscere la necessità e il valore del dialogo intergenerazionale come elemento costitutivo dei legami associativi e sociali nonché della capacità di guardare al futuro”, promovendo “la presenza attiva e responsabile dei giovani nel sistema quale risorsa di competenza, passione e innovazione associativa”. Così negli anni si trasforma la prospettiva in cui affrontare il problema/risorsa giovani, fino a sancire nell’Agorà di GA di Pesaro del 2007, che i giovani vanno visti come risorsa per l’innovazione, che si avvicinano, crescono e arricchiscono il movimento solo se questo è capace di dinamismo e prolifico di novità. Insomma non bastano più ACLI giovani con un movimento giovanile vitale, ma servono ACLI accoglienti verso i giovani, nell’ottica più piena della corresponsabilità intergenerazionale nella costruzione del futuro associativo.

    Il secondo versante è la sperimentazione delle forme aggregative e di una progettualità sociale che nasca dal rinnovamento del pensiero come sorgente della proposta culturale.

    È necessario, infine, investire nel futuro attraverso la formazione intesa come accompagnamento.

    (Congress Nazionale: Le Acli nel XXI secolo)


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