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    Meditazioni per la Settimana Santa (Maria Rattà)

    Una veste nuova


    005 jesus washes feet
    Depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita.

    Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
    Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
    (Gv 13 4-5; 12-15)

    Deporre le vesti, servire, riprendere le vesti.
    Ma in quali vesti il Giovedì Santo ci presenta Gesù?
    Prima di tutto Egli appare come il "capotavola": è lui che ha voluto l'Ultima Cena, è lui che ha indicato ai discepoli come fare per organizzarla, è sempre lui che "dirige" la serata.
    Ma poi Cristo indossa anche l'abito del servo, di colui che si "abbassa" al gesto della lavanda dei piedi, tipico dei servi verso i padroni, delle mogli verso i mariti, dei figli verso i padri. Un gesto che aveva una sua precisa funzione pratica, non simbolica, nel mondo dell'epoca: ripulire i piedi che, percorrendo le polverose strade del tempo, rivestite dei soli sandali, raccoglievano tutta la sporcizia su di essi. Certamente, la "potenza" non materiale del gesto stava nel fatto che esso ribadiva la gerarchia del tempo: a doverlo compiere era chi, socialmente, "rivestiva" una posizione inferiore, e nel caso di Gesù è proprio questo che scandalizza i suoi, di cui Pietro si fa palesemente portavoce.
    Ma la deposizione delle vesti, così volontaria, così spontanea, anche così semplice nella sua stranezza di quel momento, Gesù la compie senza battere ciglio, come qualcosa di "dovuto", ma soprattutto di "sentito". Gesù è colui che volontariamente ha accettato di spogliarsi della condizione divina – lo rimarcherà poi san Paolo – non ritenendo un privilegio l'essere come Dio. Gesù è colui che liberamente ha deciso di assumere la condizione di servo, diventando simile agli uomini... e umiliandosi fino alla morte di Croce.
    Non è solo il gesto dello spezzare il pane e del condividerlo, allora, che rimanda alla Croce. Già la lavanda dei piedi è il simbolo forte di quello che avverrà sul Golgota, quando Gesù verrà spogliato della sua tunica e crocifisso: «Gesù portò la Croce vestito (Mt 27,31; Mc 15,20: «lo vestirono con i suoi indumenti e lo condussero alla crocifissione»). Dopo la crocifissione furono divise le sue vesti. I Romani in ciò si adattarono al senso di pudore dei Giudei. È da concludersi da ciò che anche sulla Croce Gesù portasse un leggero rivestimento. Ma i Padri, attenendosi alla consuetudine romana, ritenevano che Gesù fosse nudo sulla Croce» [1].
    E su quella Croce, rivestito forse solo di un semplice panno, Gesù ripulisce i peccati dell'umanità con il proprio sacrificio, con il sangue, il sudore, il dolore di cui si impregna quel semplice panno che lo riveste.
    A questo punto della storia, agli occhi del mondo, Gesù sembra però essere pienamente rivestito solo della sua umanità: un condannato qualunque, un "pazzo" qualunque che si è creduto Figlio di Dio ed è rimasto sconfitto nel grande gioco della fede e della politica.
    D'altro canto, però, la deposizione delle vesti può far pensare anche a un altro momento, non più doloroso, ma di speranza e di gioia: quello in cui Giovanni e Pietro, il mattino di Pasqua, arrivando di corsa al sepolcro dopo l'annuncio delle donne, troveranno la pietra rotolata e «i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte» (Gv 20, 5-7).
    Gesù ha nuovamente deposto le vesti, ma questa volta per indossare quelle che fin dal principio gli erano consone, quelle che da sempre avevano già rivestito la sua persona divina: Gesù è ora il Risorto, il Figlio di Dio glorificato, l'Uomo-Dio che non conoscerà più la morte. La parabola del Maestro non è terminata con le vesti umane, terrene, indossate sulla Croce. Quello era il momento del servizio, della "lavanda" dei peccati degli uomini. Ora è il momento in cui, finalmente, Gesù riprende le sue vesti, le vesti nuove, candide della risurrezione, per sedere definitivamente a fianco del Padre, laddove la morte non ha più alcun potere.
    Ma questo Gesù, che sarà con noi fino alla fine del mondo, e nell'eternità, ci lascia in consegna il "mistero" del servizio: anche il discepolo è chiamato continuamente a deporre le proprie vesti "gloriose" di figlio di Dio, per rivestire quelle del servo di Dio, perché solo servendo come Gesù, il servo dei servi di Dio, la deposizione delle nostre vesti di egoismo, indifferenza, comodità, ci farà guadagnare una veste migliore, una veste cucita tutta d'un pezzo, intessuta di fili d'oro, incorruttibile. La veste dell'eternità, cucita dall'amore di Dio, Padre buono e misericordioso.

    NOTA

    [1] Urban Holzmeister, Voce «Croce», in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1948-1954, vol. IV, coll. 951-956, in Paulus 2.0


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