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    Commento alle Lettura domenica III di quaresima

    Luciano Manicardi

    samaritana01

    Dopo la sintetica visione della storia di salvezza attraverso la memoria di Adamo e di Abramo nelle prime letture delle prime due domeniche di Quaresima del ciclo “A”, le tre domeniche successive, con le immagini rispettivamente dell’acqua, della luce e della vita, presentano una tematica sacramentale legata all’iniziazione cristiana.

    Il dono dell’acqua nel deserto che placa la sete del popolo durante il cammino esodico è segno della sollecitudine di Dio (I lettura); nel vangelo la simbolica dell’acqua evoca l’azione dello Spirito e della Parola, cioè “il dono di Dio” (Gv 4,10) che apre la donna ad accogliere il dono della fede; il dono dello Spirito è segno dell’amore divino versato nel cuore dell’uomo (II lettura).

    Il vangelo interpella il credente sulla sete, suldesiderio che lo abita. E suggerisce che la nostra sete profonda è sete di incontro e di relazione. L’incontro tra Gesù e la samaritana inizia dall’atto con cui Gesù osa il suo bisogno di fronte a lei: “Dammi da bere” (Gv 4,7). L’incontro necessita del coraggio di chi si fa mendicante presentandosi all’altro nella propria povertà. La donna cerca di attingere acqua e Gesù le chiede di dargli da bere. Interrogando la domanda che Gesù le rivolge, la donna stessa giungerà a domandare: “Signore, dammi di quest’acqua” (Gv 4,15). Questa povertà condivisa diviene la base dell’incontro in verità. E ciò che disseta appare proprio l’incontro: in effetti, secondo il racconto, la donna non attingerà dal pozzo e Gesù non berrà l’acqua.

    L’incontro prende l’avvio da una pessima base di partenza: l’inimicizia categoriale. Di fronte, inizialmente, non vi sono due volti, due nomi, due biografie, due sofferenze, ma due categorie: un giudeo e una samaritana (“Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”: Gv 4,9). Il coraggio del dialogo, dell’interporre una parola tra sé e la donna, consente l’inizio del cammino che condurrà all’incontro e che guiderà la donna alla fede. Lo stupore della donna (“Come mai?”: Gv 4,9) è il primissimo segno di un cammino della donna verso Gesù, ma che sarà anche verso se stessa, sarà cammino interiore, sarà coraggio di affrontare la propria verità profonda.

    “Se tu conoscessi chi è colui che ti dice…” (Gv 4,10). Nessuno è solo appartenenza etnica o professione religiosa. Dalla polarità aggressiva e ostile “noi” – “voi” (cf. Gv 4,20), occorre passare al coinvolgente “io” – “tu”. Gesù arriverà a dirsi e a darsi con le parole: “Sono io, che tiparlo” (Gv 4,26). Gesù vince quelle barriere identitarie che gli uomini erigono e che, quando si sedimentano, diventano, da un lato, una seconda pelle, una sorta di identità aggiunta e, dall’altro, la lente (deformante) con cui guardiamo gli altri oggettivandoli nelle nostre definizioni e imprigionandoli nelle nostre categorie. L’identità non è un dato fisso, ma avviene e diviene nell’incontro con l’altro.

    Momento importante nell’itinerario dell’incontro è quello in cui Gesù invita la donna a passare dalla domanda che lui le ha posto alla domanda che lui stesso è (cf. Gv 4,10). Il vero dialogo non impone, ma suscita e accresce l’interesse reciproco. E si nutre di domande sempre nuove piuttosto che di risposte nette e definitive.

    Il testo presenta una pedagogia verso la fede in cui la donna riconosce Gesù come profeta (v. 19) e Messia (vv. 25-26.29) e quindi diventa apostola, annunciatrice di Gesù salvatore del mondo (vv. 28-30.39-42). La donna diviene credente ed evangelizzatrice. Ma il cammino del riconoscimento di Gesù quale Signore implica un contemporaneo cammino di conoscenza di sé in cui anche gli aspetti moralmente più problematici, quelli che normalmente una persona ha difficoltà a confessare a se stessa, sono riconosciuti. Solo così l’incontro avviene nella verità. Culmine di questo incontro nella verità è il momento in cui la donna riceve da Gesù il racconto di tutto ciò che lei ha fatto (v. 29). Il racconto che lei nascondeva per vergogna a se stessa, le è ora fatto da un altro che la accoglie e non la giudica, e così la conduce ad accettarsi e a conoscersi davanti a Gesù.


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