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    Partito di là,

    andò nella sua patria

    Raniero Cantalamessa

    Quando ormai era diventato popolare e famoso per i suoi miracoli e il suo insegnamento, Gesù tornò, un giorno, al suo villaggio di origine, Nazaret, e, come al solito, si mise a insegnare nella sinagoga. Ma questa volta, niente entusiasmi, nessun “osanna!”. Anziché ascoltare quello che diceva e giudicarlo in base ad esso, la gente si mise a fare delle considerazioni estranee: “Dove ha attinto questa sapienza? Lui non ha studiato; lo conosciamo bene; è il carpentiere, il figlio Maria!”. “E si scandalizzavano di lui”, cioè trovavano un ostacolo a credergli nel fatto che lo conoscevano bene.
    Gesù commentò amaramente: “Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Questa frase è divenuta proverbiale nella forma abbreviata: Nemo propheta in patria, nessuno è profeta nella sua patria. Questa però è solo una curiosità. Il brano evangelico ci lancia anche un implicito avvertimento che possiamo riassumere così: attenti a non commettere lo stesso errore dei nazaretani! In un certo senso, Gesù torna nella sua patria, ogni volta che il suo Vangelo viene annunciato nei paesi che furono, un tempo, la culla del cristianesimo.
    La nostra Italia, e in genere l’Europa, sono, per il cristianesimo, quello che era Nazaret per Gesù: “il luogo dove è stato allevato”. (Il cristianesimo è nato in Asia, ma è cresciuto in Europa, un po’ come Gesù era nato a Betlemme, ma fu allevato a Nazaret!). Esse corrono oggi lo stesso rischio dei nazaretani: non riconoscere Gesù. La carta costituzionale della nuova Europa unita non è il solo posto da cui egli viene oggi “scacciato”…
    L’episodio evangelico ci insegna una cosa importante. Gesù ci lascia liberi; propone, non impone i suoi doni. Quel giorno, davanti al rifiuto dei suoi compaesani, Gesù non si abbandonò a minacce e invettive. Non disse sdegnato, come si racconta che Publio Scipione l’Africano disse lasciando Roma: “Ingrata patria, non avrai le mie ossa!”. Semplicemente se ne andò altrove. Una volta non fu accolto in un certo villaggio; i discepoli indignati gli proposero di far scendere su di esso fuoco dal cielo, ma Gesù si voltò e li rimproverò (cfr. Lc 9, 54).
    Così fa anche oggi. “Dio è timido”. Ha molto più rispetto della nostra libertà di quanta ne abbiamo noi stessi, gli uni di quella degli altri. Questo crea una grande responsabilità. Sant’Agostino diceva: “Ho paura di Gesù che passa” (Timeo Jesum transeuntem). Potrebbe infatti passare senza che io me ne accorga, passare senza che io sia pronto ad accoglierlo.
    Il suo passaggio è sempre un passaggio di grazia. Marco dice sinteticamente che, arrivato a Nazaret in giorno di sabato, Gesù “incominciò a insegnare nella sinagoga”. Ma il Vangelo di Luca specifica anche cosa insegnò e cosa disse quel sabato. Disse di essere venuto “per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Luca 4, 18-19).
    Quello che Gesù proclamava nella sinagoga di Nazaret era dunque il primo giubileo cristiano della storia, il primo grande “anno di grazia”, di cui tutti i giubilei e gli “anni santi” non sono che una commemorazione.


    T e r z a
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