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    L’anno liturgico:

    attuazione dell’opera

    della salvezza

     

    Dobbiamo penetrare il senso della definizione della liturgia presente nella costituzione dogmatica sulla Liturgia del Concilio Vaticano II. Facciamo un primo passo: “La liturgia, specialmente nel divino sacrificio dell'eucaristia, (è l’insieme dei riti), mediante i quali, “si attua l'opera della nostra redenzione” (S 2).

    L’opera della salvezza

    Questa è l’affermazione chiave che esige un’esplicitazione più articolata. Lo facciamo attraverso cinque affermazioni che vanno colte nella loro unitarietà: 

    a) l’amore divino si è fatto presenza-azione nella storia di un popolo del vicino oriente, nell’arco di due millenni, da Abramo capostipite di questo popolo a Gesù. Egli ne è un singolare rappresentante. Il suo messaggio e la sua sorte hanno un carattere singolare di ricapitolazione e di trasfigurazione del “genius loci”, del genio della sua vicenda religioso-spirituale. Lo è al punto che un piccolo gruppo di suoi seguaci ha reso possibile, nell’arco di un tempo relativamente breve, un fenomeno inatteso e sorprendente di superamento dei modelli religiosi diffusi e di universalizzazione della visione ebraico-cristiana; 

    b) in questo periodo bimillenario questo popolo ha vissuto una serie eventi in cui si può rispecchiare ogni persona e ogni comunità umana. Essi abbracciano in modo paradigmatico tutte le situazione che singoli e collettività possono attraversare, nel bene e nel male, a tutti i livelli: militare e politico, economico e sociale, personale e istituzionale. Nulla c’è sotto il sole che non sia stato vissuto in termini di odio e amore, altruismo ed egoismo, pace e guerra, violenza e tradimento, inganno e dolcezza; 

    c) queste vicende sono state al centro delle culture orali in momenti storici diversi di libertà e di schiavitù, di vittorie e di sconfitte, di esaltazione e di tragedie. Ne sono derivati forme e stili narrativi diversi, ad opera di singoli e gruppi. Tutto ciò ha scavato il senso delle stesse esperienze, dando origine a un patrimonio di coscienza collettiva singolare. Come in tutti i popoli del tempo, il principio regolatore e organizzatore di questa visione di sé e della storia, è stato una certa immagine di Dio che lungo i secoli si è venuta precisando con due caratteri basilari: creatore e alleato; creatore, trascendente, ma all’origine (genesi) della creazione; alleato, coinvolto con questo popolo attraverso il singolare dispositivo della “alleanza”, che mette entrambi sullo stesso piano, in un “audace a tu per tu”. Il vissuto del divino attorno a questi due registri simbolici – che uniscono il suo l’essere trascendente e immanente, il suo essere altro/oltre e il suo essere in/al fianco - ha dato origine a codici, regole di convivenza (torah), raccolta di massime esistenziali (scritti); 

    d) un posto singolarissimo lo occupano le tragedie e le umiliazioni collettive. Esse fanno emergere la rappresentazione del futuro come spazio di attese e di compimenti (apocalittica e profezia): la storia non è finita e non è solo memoria e passato, ma anche attesa e utopia. Tutto ciò favorisce la rielaborazione del “minimo” da parte dei soggetti minori e marginali della storia, di quelli che non contano. Si rende così possibile un evento di incalcolabile valore culturale e religioso: Dio non è colui che sta dalla parte dei vincitori e dei grandi, ma dei vinti e dei poveri. Dio non si nutre di vittime: non è la firma e il sigillo posto sotto al massacro dei nemici. La figura di Gesù si situa precisamente su questo filone recente e sarebbe impensabile senza questo retroterra; 

    e) tutto questo fiume narrativo poi diventa opera scritta. Nascono le Scritture, i Testi Sacri. Essi però non perdono la loro relazione vivente con la tradizione orale da cui sono nati e senza la quale non avrebbero mai visto la luce. L’interpretazione degli eventi resta aperta e non termina con la loro Scrittura, anzi la loro stessa origine, esige che ogni lettore e ogni generazione di lettori indaghino se stessi alla luce degli eventi-narrati-nei-testi e indaghi gli eventi narrati nei testi alla luce della-propria-vicenda (principio ermeneutico).

    La liturgia come attualizzazione della salvezza

    Ora siamo in grado di capire il senso della liturgia. Il dono salvifico globale, che si è dispiegato negli eventi della storia bimillenaria a partire da Abramo e culminante in Cristo e nel tempo creativo della prima generazione dei suoi seguaci - anch’esso un tempo tipico e paradigmatico - si applica ad ogni successiva generazione attraverso la liturgia. Essa è quindi un’attività simbolica: rende vicino ciò che è lontano, reale per noi ciò che è ideale. La liturgia è l’insieme dei riti attraverso i quali chi non era presente a quegli eventi viene reso presente, chi non ne ha beneficato allora vi benefica oggi, chi non vi ha assistito allora vi assiste oggi, chi non è stato partecipe allora ne è reso partecipe oggi. La liturgia cristiana è in questo senso un rito singolare perché è tale solo se il rito è un mezzo e un simbolo. La sua pretesa è, a dir poco, sorprendente: intende renderci con-temporanei, attraverso l’intensità ricapitolativa, agli eventi sviluppatesi in un amplissima estensione temporale; intende prolungare l’efficacia degli eventi agendo sulla nostra vita e la nostra storia attraverso la loro riproposizione ritualizzata. Le condizioni perché il rito non sia mera riproduzione formale, lasciando inerte ciò a cui rimanda (ritualismo), sono poste non nel rito in se stesso, ma nel soggetto che celebra il rito. È la sua maturità e competenza, la sua iniziazione ai “santi misteri” che segnano lo spartiacque tra la mera materiale e formale esecuzione delle formule rituali e la loro riproduzione attualizzante. 

    Il senso dell’Anno Liturgico

    Facciamo ora un secondo passo, commentando sempre la stessa citata definizione teologica: “La liturgia contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa”. La liturgia rende possibile che i fedeli di oggi facciano propria la realtà salvifica dispiegatesi nella sequenza degli eventi storici vissuti dal popolo di Israele e ricapitolati nella vicenda di Cristo e nel tempo fondazionale della prima comunità. Allo stesso tempo, essendo la salvezza un dono offerto a qualcuno per tutti, la realtà salvifica di cui la comunità si appropria è in ordine alla diffusione della stessa salvezza. Questo carattere evangelizzatore e missionario della liturgia è meno presente, se non assente, nella nostra esperienza. La liturgia appare questione successiva all’atto di fede e quindi “interna” alla comunità, povera di connessioni con la storia. È proprio il superamento di questa concezione che vorremmo tentare ora di dimostrare attraverso una certa maniera di intendere l’anno liturgico. Risolviamo in tre grossi tempi e momenti lo sviluppo dell’anno liturgico: il tempo dell’Avvento che culmina nel Natale; il tempo della Quaresima che culmina nella Pasque e si corona con la Pentecoste; il tempo della lenta e lunga maturazione nelle cosiddette domeniche per annum. Riprendiamo uno ad uno i tre tempi liturgici. 

    Avvento e Natale

    L’Avvento è il tempo di esordio che culmina nel Natale. Esso parte con la “domanda e l’attesa” di salvezza diffusa nella storia. La Chiesa si dilata oltre se stessa. Essa raggiunge gli estremi confini della terra. Il “pacchetto” di speranze-attese-domande proprio del popolo di Abramo e che l’Avvento commemorizza, si apre e si universalizza, ascoltando i grandi gemiti storici. L’Avvento esiste per attualizzare la mappa delle invocazioni di salvezza proprie del genere umano. Il dinamismo dell’Anno Liturgico dipende dalla capacità di leggere i segni dei tempi e di rendere possibile questa incursione del mondo ferito e umiliato nel cuore della Chiesa. Se essa si sottrae alla storia, chiudendosi in se stessa e ignorando di fatto lo “status del mondo”, ferisce mortalmente la natura della liturgia e il suo carattere missionario. L’inizio dell’anno liturgico è fatto proprio per aggiornare l’orologio ecclesiale e sintonizzarlo con le domande che salgono al cielo dagli inferi della storia. Come l’elaborazione dell’attesa messianica di Israele nasce in presenza dei suoi fallimenti e delle sue umiliazioni, così la ri-elaborazione dell’attesa messianica della Chiesa e delle Chiese dovrebbe ri-nascere e attualizzarsi in presenza dei fallimenti e delle umiliazioni del nostro tempo.

    Entrati come siamo nell’era della mondializzazione, in Avvento si dovrebbe discernere un “oggetto globale di attesa”, per poter avere come Chiesa universale un’unità di attesa e di invocazione, fatta poi propria e inculturata nelle diverse Chiese locali. Non andrebbe dimenticato il vero senso del “raccoglimento” che viene associato spontaneamente alla preghiera e alla liturgia. Si tratta di “raccogliere” i grandi gemiti storici, di rappresentarli, anzi di assumerli come attualizzazione del Natale. La memoria natalizia della venuta del Cristo non ha nulla di nostalgico, di romantico, di devozionale. Indica l’estrema serietà della storia. Ricordiamo il testo antichissimo nella prima a Timoteo: “Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà. Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria” (1 Tim 3,16). Questo mistero con il suo singolare ritmo alternato di movimenti di discesa e di ascesa si attualizza attraverso la dinamica dell’anno liturgico. 

    Quaresima-Pasqua-Pentecoste

    La Quaresima è il tempo duro ed esigente della crisi che culmina nella Pasqua-Pentecoste. Essa parte dall’attualizzazione della “nascita” del Signore, nella celebrazione dell’incarnazione di un “Cristo storico” In lui si fa presente - in forma embrionale - la figura globale del “bene atteso dal mondo”. Fare spazio a questo bene globale, in cui si fa presente il disegno di Dio qui e ora, affermarlo, assumerlo come programma di vita e misura della sua fedeltà creativa rappresenta la croce della Chiesa. Essa deve entrare nel deserto della sua coscienza per misurarsi con questo “veniente”, accoglierlo, discutere il suo stile di vita, mettersi in stato di penitenza e di conversione. Il tempo di Avvento ha aggiornato la figura del bene, con una dilatazione della sua forma e dei suoi contenuti. Sono le omissioni e i ritardi a questo proposito che crocifiggono la vita nel nostro mondo. L’Avvento tenta di accorciare questa distanza/frattura tra il bene comune universale come oggi si presenta urgente e necessario e la figura prevalente e dominante di bene fin qui colto e accolto. Il problema è acuto: possiamo dire che il problema più spinoso dell’umanità sono “i buoni”. Ad essere determinante, per quanto possa apparire contrario, non è l’immancabile presenza del male, quanto l’inadeguatezza della figura del bene: è qui il tragico. Luci e ombre accompagneranno sempre la nostra storia e la stessa esperienza di salvezza che trova proprio nelle ombre e nelle forme del male il suo “luogo natio”, il suo ambiente ottimale. La questione è quale bene qui e ora? Dio ci comunica una luce e una forza che renda il bene capace di tenere testa alla de-creazione e di contrastarne gli effetti malefici e perversi. Per non essere in balia dell’anticreazione, Dio creatore ci ha dotato degli anticorpi e degli antivirus allertati e addestrati a far fronte alla minaccia di desertificazione del mondo che mai perde il suo connotato di bontà radicale. La Quaresima è il tempo della purificazione e della conversione dei credenti e della comunità. È decisivo che là dove avviene il male, il bene accorra e si faccia presente, con la sua forza tranquilla e diffusiva e dichiari così la fine del male, decidendo che i suoi giorni sono contati, anzi sono già finiti. La salvezza non è assenza del peccato, ma è il cappio al suo collo, l’abbraccio che lo soffoca. Il lato scatenante del male, l’esercizio del suo potere diabolico è quando esso riesce a muoversi a tutto campo, senza incontrare “l’altro da sé”. La questione cruciale è far esistere nel territorio del male, nel cuore della sua stessa tana, il suo antagonista che è il bene. Un bene, però, “pasquale”, capace di lottare e di vincere. Spesso il bene è povero di forza redimente, riflesso di una visione più ateistica che teologale, secondo le parole del salmo. Da qui la sua inadeguatezza interna a reggere il confronto con il male.

    La Quaresima è il tempo della revisione di un bene in ritardo, di un frutto ancora prematuro e, quindi, acerbo, un bene troppo piccolo per reggere l’agonia del mondo, in-adatto a entrare in scena come protagonista all’interno dei problemi globali. La Quaresima addestra le nostre dita alla battaglia e ci sprona verso un bene altro, perché solo se altro saremmo condotti altrove, là dove si è oggi localizzato il male. La svolta dell’era unitaria dell’umanità è stata la vittoria pasquale di fronte alla tragedia della seconda guerra. Il sassolino del bene comunitario, del bene in quanto unità, è rotolato sul gigante in preda al suo delirio di onnipotenza omicida. E lo ha abbattuto. Da allora è morto il bene locale e, dalla croce del dolore del mondo, è fiorito e sgorgato - come sangue vivo dal cuore trafitto del Cristo storico - il germe del bene comune universale, il bene globale. La Quaresima che culmina nella Pasqua rende le Chiese soggetto di redenzione, di trasfigurazione, di risurrezione. Se il male ha da tempo riformulato il suo codice come globale e strutturale, muovendosi a tutto campo, le Chiese si devono attrezzare per ostacolarlo e vincerlo. Solo la rifondazione etica del “bene” nella fonte generatrice dell’unità, lo eleva all’altezza della posta in palio, delle sfide storiche. Golia trova il suo Davide. E siamo a Pasqua e al suo coronamento con la Pentecoste. 

    Tempo per annum

    Il Natale preparato dall’Avvento e la Pentecoste preparata dalla Quaresima e dalla Pasqua si espandono poi nell’amplissimo tempo per Annum. L’incontro tra l’intuizione e il concepimento natalizio e il progetto pasquale creano le premesse e le condizioni per il tempo della edificazione responsabile e complementare tra tutti i soggetti di Chiesa e i loro diversi campi di azione nel mondo. Il progetto nato a Betlemme e deciso sul Calvario, si distende nella fatica dei giorni, come tempo ordinato e articolato dell’attuazione e della realizzazione. Si tratta di applicare, approfondire, vivere in tutte le sue componenti e implicazioni la forma di bene globale scoperto e concepito a Natale e progettato a Pasqua.

    Don Gino Moro, fdp

    Presidente Fondazione Mondo Migliore


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