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     La Domenica

    giorno della festa

    L’Eucaristia illumina la vita dell’uomo

    Giuseppe Betori

     

    «Questo io ricordo

    e il mio cuore si strugge:

    avanzavo tra la folla,

    la precedevo fino alla casa di Dio,

    fra canti di gioia e di lode

    di una moltitudine in festa» (Sal 42,5).

    Le parole del salmo ci aiutano a entrare nel tema della riflessione. Ci propongono l’immagine di un cammino in cui la festa, da una parte, è la meta verso cui ci si rivolge e, dall’altra, è la forma stessa del cammino. La meta illumina il tragitto: si cammina verso la festa e si cammina in festa.

    Un cammino, inoltre, che non si fa da soli, ma insieme: parte di una folla, di una moltitudine, di un popolo. Non però come masse anonime, trascinati da un contesto che non chiede scelte, anzi oscura le motivazioni, i ricordi, le memorie che danno fondamento ai progetti. Ci è invece richiesto di precedere, di uscire dai sentieri consueti, di farsi guida e orientamento l’uno all’altro.

    Questa immagine, che unisce l’incontro dei fratelli e la responsabilità personale, la consapevolezza del cammino e la speranza del futuro, ci introduce alla ricerca sul senso della domenica come giorno della festa.

    Ma, da subito, dobbiamo prendere atto che oggi è tutt’altro che scontato che la festa sia questo camminare insieme nella gioia verso il Signore e che, soprattutto, i più ritengano possibile viverla così.

     

    1. La cultura contemporanea e la festa come risorsa di significato

    1.1. La festa dà senso e tracciato all’“esodo” dell’umanità.

    Il nostro tempo ci appare come un “esodo”. Da quale Egitto si stia uscendo è stato largamente analizzato, dando luogo a svariate letture. Alcuni ne hanno riassunto il percorso nella cifra del “secolo breve”, in cui si sono consumati i sogni – o forse, in modo più pertinente, i deliri – di quei progetti storici che le ideologie avevano proposto all’uomo moderno: storie di una salvezza secolarizzata, e quindi alla portata dell’autonomia di un uomo che ha pagato la propria presunta maturità con l’amputazione delle proprie radici, con la negazione dei padri e del Padre.

    Oggi l’umanità sembra liberata dalla schiavitù di costruire mattoni per una città che si presentava con le fattezze di una nuova Babele e, in ogni caso, era un compito senza esito. Ora, però, siamo dentro un deserto, di cui è difficile individuare i contorni e le piste. Privi di riferimenti, è impossibile per noi fare progetti lunghi, perché l’orizzonte è contratto nel frammento di un attimo: una visione fugace, che subito scolora e si nega, come un miraggio. Camminare nel deserto non è facile; nascono dubbi sulla direzione da assumere, sul perché del cammino.

    È allora importante ricordare che l’esodo di Israele attraverso il deserto aveva all’origine una festa: la notte della prima pasqua, celebrata nella provvisorietà di chi già si sente proiettato oltre, con i fianchi cinti, il bastone in mano, la gioia dell’agnello condiviso. Una festa vissuta nel segno dell’essenzialità di un pane azzimo e sapendo di dover pagare il prezzo delle erbe amare della sofferenza; una festa non per questo meno gioiosa e carica di vita e di speranza. La parola di Mosè aveva poi indicato nel concatenarsi delle feste un tracciato sicuro con cui dare ordine alle tappe del viaggio. I quarant’anni del deserto, esitanti nei contorni spaziali, contraddittori quanto alla linearità del tragitto, trovano la loro logica nel tempo che lo scandisce. Così, anche oggi, possiamo pensare che soltanto il recupero della festa potrà dare fondamento di significato al cammino e tracce sicure, che segnino il percorso di tutto il tempo, feriale e festivo, della storia delle persone e dell’umanità. La festa è una risorsa di senso per il tempo.

    1.2. Sfuggire al relativismo orientandoci verso la meta

    Nell’omelia di inaugurazione del suo ministero petrino, il Santo Padre Benedetto XVI ci ha ricordato come la «santa inquietudine di Cristo» deve animarci nel trarre gli uomini dai deserti in cui si disperdono: deserti esteriori che si moltiplicano sempre di più, perché sempre più ampi si fanno i deserti interiori, da ultimo «lo svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo». Dal deserto si esce tappa dopo tappa, ridando qualità al tempo, perché solo un tempo “qualificato” ci può far uscire dalle spire senza fine del relativismo e indicarci la meta.

    Il ritorno al paganesimo, che è tratto non secondario della cultura dominante in Occidente, spinge verso una concezione ciclica del tempo che appartiene al pensiero antico. In essa l’uomo, schiavo della natura, si fa adoratore delle sue stagioni e scandisce la propria vita secondo i suoi ritmi. Ponendo un “in principio” – quello della creazione, che demolisce ogni scenario mitologico – e indicando un “eschaton” – quello del compimento definitivo, verso cui chiede di indirizzare la speranza –, la rivelazione ebraico-cristiana ha fatto uscire l’uomo dalla ripetitività omologante dei giorni tutti eguali, donandogli una dignità assoluta e un significato ultimo.

    Non a caso le offese alla dignità dell’uomo, alla sua identità personale dall’inizio alla fine della sua esistenza temporale, si moltiplicano in questi nostri giorni in cui la rottura operata dall’ebraismo e dal cristianesimo – radici sostanziali della nostra civiltà –, viene dimenticata o perfino rinnegata. Ciò accade in particolare rifiutando plausibilità alle domande circa l’origine e la fine dell’uomo e del mondo, circa la causa e il fine dell’esistenza. Dentro questa concezione pervertita del tempo sta una delle cause del relativismo che avvelena la nostra cultura. Se nulla è dato per sempre, perché il tempo si riavvolge senza fine su se stesso, allora nulla può essere considerato definitivamente vero e buono.

    1.3. Oltre la concezione ludica e sociale della festa

    Per dare qualità al tempo non basta dire che l’uomo deve poter periodicamente uscire dalle costrizioni della necessità e nella festa fare esperienza di gratuità, ovvero deve avere modo di venir fuori dalla solitudine e creare occasioni di aggregazione con gli altri. Tali aspirazioni vivono certamente all’interno della festa, ma da sole non bastano per darle un senso compiuto. Soprattutto rischiano di condurla a esiti insoddisfacenti.

    Vale per la dimensione ludica e gratuita della festa, che da sola però non può darsi un fondamento etico che vinca sulla diffusa cultura funzionale e utilitaristica. Esprime una nostalgia del tempo perduto, ma è incapace di misurarsi con i problemi del tempo presente, governato dalle esigenze della produzione e dell’accumulo. Può dar vita a un tempo separato, ma preda anch’esso delle logiche del consumo tipiche del tempo feriale.

    Anche la spinta al convergere sociale non basta da sola a dare ragioni di festa: si annega nell’anonimato delle folle, che non è meno arido della solitudine; ovvero si tenta inutilmente di rimotivare l’incontro tra conosciuti che non hanno più nulla da dirsi. Legami socialmente significativi si tessono solo su una meta comune da raggiungere.

    La festa ha a che fare con il bisogno di riappropriarsi del senso del tutto. Ma questo, nella prospettiva cristiana, non è una semplice congerie di valori, più o meno armonicamente collegati. Il senso, se vuole essere realtà umanamente significativa e afferrabile, non può essere un’idea, ma una persona e il nostro incontro con lui. Per noi cristiani ha un nome: Gesù Cristo. La tipicità della festa cristiana sta nel suo fondamento cristologico. I cristiani, parlando di festa, non parlano dunque di una qualsiasi festa, bensì della domenica, la festa di Gesù il Risorto, la festa dell’Eucaristia.

     

    2. La domenica “festa della luce”, giorno che illumina i giorni dell’uomo

    2.1. Gesù risorto, radice della festa, annuncio del mistero dell’amore

             «All’alba del primo giorno della settimana», le donne che si recano al sepolcro ascoltano questo annuncio: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto» (Mt 28,1.5-6).

             «Davvero il Signore è risorto!» (Lc 24,34). Questo evento ha donato al tempo umano una nuova direzione di senso, perché ha manifestato al mondo, una volta per tutte, la verità di Dio: «Dio è amore» (1Gv 4,8). Il Padre, nel suo amore infinito, ha liberato il Figlio dalle catene della morte e gli ha dato una vita nuova: a lui e, in lui, per tutti. La misericordia del Padre riversata sull’umanità è fondamento di una speranza senza limiti per il mondo e per tutti gli uomini: il male non prevarrà, perché nulla potrà separare l’uomo dall’amore di Dio. La vittoria di Cristo sulla morte è totale.

    «Non abbiate paura, voi!» (Mt 28,5). Non è più il tempo della paura, ma del coraggio, fino alla testimonianza estrema del dono della vita, come è accaduto per i martiri di Abitene. «Sine dominico non possumus»; «Senza la domenica non possiamo vivere». Sembra uno slogan, in realtà è la proclamazione della fede cristiana, colta nella sua specificità: nel gesto eucaristico di Gesù, celebrato di domenica in domenica, la Chiesa confessa il mistero stesso dell’amore senza misura del Dio amante della vita; annuncia il segreto e il futuro dell’umanità, l’unica via di vera umanizzazione per gli abitanti della città terrena.

    2.2. Dalla luce di Cristo la speranza di un mondo nuovo

    All’inizio della Veglia pasquale si compie un gesto che riassume tutta la nostra speranza nel Dio della vita: nel buio della notte avanza la luce del Crocifisso risorto, il cero appena acceso al fuoco nuovo dello Spirito. La luce rimanda alla prima opera del Creatore e dice che la luce nuova del Risorto è l’opera definitiva del Padre, la nuova umanità: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo... A quanti l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,9.12).

    Dal fulgore di questa “luce nuova” i credenti attingono la luce necessaria per il cammino della vita, perché le tenebre del peccato vengano dissipate. Chi si lascia illuminare da Cristo può “vedere e credere” che al di fuori di lui, Gesù di Nazaret, il Verbo incarnato, non c’è salvezza, non si dà una vita degna dell’uomo. Il Padre, risuscitando il Crocifisso nella forza dello Spirito, ha decretato, una volta per tutte e per tutti, che il cammino aperto e tracciato dal suo Unigenito è l’unica via praticabile perché questo mondo sia salvato.

    Nel dono totale del Figlio crocifisso tutto rinasce, tutto rifiorisce. Nella sua luce amica possiamo riconoscerci e accoglierci gli uni gli altri senza più timore, grazie alla consolante verità di essere tutti figli dell’unico Padre che perdona, tutti lavati e rigenerati dal sangue di Cristo, tutti fratelli per la forza dello Spirito sgorgato dal costato del Crocifisso.

    2.3. La festa, segno della novità di vita che ci è donata

    Ogni domenica risuona l’annuncio pasquale della notte santa. È un appello alla libertà e alla responsabilità. Ci invita a non arrenderci alla prepotenza del male in noi e nel mondo; ci induce a resistere alla tentazione di pensare che tutto sia vecchio e caduco; ci chiede di non disperare di fronte a oneste iniziative naufragate sui lidi delle buone intenzioni o contrastate da eventi negativi; ci libera dalla tristezza e dallo sconforto che grava su tante nostre vicende personali e collettive. Il Padre, che dà vita al Risorto ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5).

    È una festa di luce il giorno del Signore, che sorge sulle tenebre dei cuori degli uomini. È il giorno fatto dal Signore per i suoi figli, l’ottavo che viene dall’Eterno e che è promessa per l’eternità, ma ha già posto radice nel tempo e brilla nel mattino della storia. È una festa di luce che promana dall’amore senza misura di Colui che ha dato se stesso “per noi” (cfr Gal 2,20), chiamandoci ad amare nella misura del suo gesto estremo e supremo.

    Questa luce del giorno nuovo e senza più tramonto si è già insediata nei giorni dell’uomo. Per questo facciamo festa. L’abito della festa in giorno di domenica intendeva esprimere la “diversità” dell’ottavo giorno, quasi memoria di un segno esteriore già simbolicamente indossato nel giorno pasquale del battesimo: «Vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27).

    Questa luce ci rivela la comune identità di figli dell’unico Padre e ci fa scoprire fratelli. La domenica è anche il giorno della gioia dell’incontro e della solidarietà, giorno di festa della fraternità scaturita dal comune Pane eucaristico spezzato per la vita del mondo e mangiato in comunione di spirito, che apre alla condivisione dei beni.

    È festa che coinvolge tutto il creato, di cui l’uomo è custode, mentre attende e anela la trasfigurazione anticipata negli stessi elementi materiali dell’Eucaristia. Rigenerato a diventare stabile dimora dell’amore, il creato non è più e solo il campo da cui con fatica trarre dei frutti, ma già il giardino del dialogo con Dio e con i fratelli.

     

    3. La festa cristiana: dare senso al tempo nel segno della gratuità

    3.1 La festa, trasfigurazione del tempo mediante l’amore

    Il bisogno della festa è radicato nel cuore dell’uomo. Anche quando la cultura si secolarizza, non si spegne il desiderio della festa. A volte anzi ne acuisce il bisogno, per rompere gli stretti orizzonti che gravano su una vita senza trascendenza. Si cerca perciò sempre più tempo libero, a contrastare il tempo del lavoro percepito come schiavitù. Ma la ricerca frenetica di forme di svago non riesce a riempirlo e il tempo libero alla fine resta vuoto, perché si è persa la radice della vera novità. Si moltiplicano anche le occasioni di festa nella vita privata; la società crea feste su misura per i suoi consumi, sfruttando i sentimenti più cari; si importano feste da altre culture, creando bisogni inesistenti su un’assenza di fondamento culturale. Ma non si risponde così alla richiesta di senso che è racchiusa nella festa.

    La festa è spesso una ipertrofia del quotidiano e non invece la sua trasfigurazione. In essa si portano all’esasperazione la forme contraddittorie dell’esistenza contemporanea, invece di denunciarle e liberarsene. Di qui il carattere prevalentemente esibizionistico, edonistico, egocentrico delle feste: chiedere all’altro di partecipare alla propria gioia è quasi sempre in funzione dell’“io”. Tutto il contrario della vera festa, quella del Risorto, che nella oblazione di sé ha trovato l’esperienza gioiosa, per lui e per i suoi discepoli, della vita nuova.

    La proposta cristiana della festa domenicale, che trae significato dal gesto eucaristico di Gesù, porta a verità il desiderio umano di un tempo diverso rispetto a quello feriale: indirizza alla gratuità dei rapporti, all’apertura di orizzonti nuovi di conoscenza e di bellezza, all’incontro con gli altri nel leale confronto del gioco, alla presa in cura amorevole dell’altro. Il tempo tende così al suo vero senso, quello che soltanto l’amore vissuto, dato e ricevuto, può offrire.

    Dio stesso fa festa con gli uomini e gli uomini si aprono alla festa vera, nel giorno del Signore. In esso emerge come il chrònos, l’estensione del tempo a nostra disposizione, può trasformarsi nel momento giusto e favorevole, nel kairòs della salvezza. L’irruzione della luce del Risorto trasforma il tempo profano in tempo consacrato, in un oggi salvifico, in un tempo favorevole per ricominciare a essere uomini. Così la festa realizza quella rottura del tempo quotidiano che è la sua stessa aspirazione: si esce dalla prigionia della ripetitività per attingere l’eternità. Non c’è festa senza trascendenza, senza autotrascendimento di sé verso l’altro nell’amore vero.

    3.2. La gratuità e il dono del tempo

    Nel segno della gratuità che sboccia dall’Eucaristia tutto l’umano, personale e sociale, si fa presenza del divino: «Dov’è carità e amore lì c’è Dio». La domenica, giorno eucaristico, è giorno del dono. Questo esige dai cristiani di essere testimoni di gratuità nel tempo. L’ottimizzazione del tempo, nella nostra epoca segnata della frenesia, sottrae tempo proprio a quei gesti che lo dilatano e lo trasformano in tempo di condivisione e di socializzazione, di incontro e di comunicazione, di accompagnamento e di educazione, di segni di bellezza; tempo di opere di misericordia corporale e spirituale.

    Solo la gratuità che scaturisce dall’amore ci fa scoprire la falsità del “non ho tempo” che invece affiora continuamente sulle nostre labbra. Ecco, invece, il senso della festa cristiana: non aver paura di dare il nostro tempo a Cristo e ai fratelli!

    Occorre aprire a Cristo il nostro tempo, perché egli lo possa illuminare e indirizzare. Egli conosce il segreto del tempo e il segreto dell’eterno, e ci consegna il “suo giorno” come un dono sempre nuovo del suo amore. Occorre aprire ai fratelli il nostro tempo, perché si possa entrare in quella sincronia non solo del tempo ma anche dei sentimenti e dei progetti da cui scaturisce il mondo rinnovato dal vangelo. Contro la sindrome collettiva della mancanza di tempo, i cristiani “hanno tempo”, affermano il primato del tempo qualitativo sul tempo quantitativo e soddisfano, per sé e per gli altri, la ricerca di dare insieme senso alla vita.

    3.3. Dalla domenica una festa che trasforma la vita

    Insieme, dunque, ma non a prezzo dell’identità personale e culturale. In società sempre più multietniche e multireligiose, dentro un’accelerazione continua delle trasformazioni sociali, si fa più urgente per i cristiani la sfida dell’identità. Essa emerge anche dal confronto con quelle spinte culturali della nostra società che “tollerano” i cristiani, purché onorino la fede nel chiuso delle cattedrali e delle sagrestie. Nel mondo del relativismo etico, i segni cristiani vengono non raramente estromessi dalla sfera pubblica. Ne è vittima la stessa domenica, insidiata dagli interessi del produrre e del consumare. Salvare la domenica, e con essa il riposo domenicale ­– fatte salve le giuste esigenze del vivere sociale ­–, non è un privilegio per i cristiani, ma difesa dell’uomo da minacciose schiavitù e promozione di una socialità condivisa per tutti.

    Accade anche, però, che l’esperienza cristiana della santificazione della domenica venga spinta dai cristiani stessi nell’intimismo religioso, non incida più di tanto sull’ethos collettivo, perdendo progressivamente la sua carica liberante e redentiva del tempo umano. Quali gesti di luce offriamo agli amici dei giorni feriali perché essi possano quantomeno “dubitare” che ci sia un Dio capace di centuplicare la gioia dell’esistenza e di illuminare il senso, anche tragico e sofferto, della vita? La credibilità della nostra testimonianza si lega alla consapevolezza che il Crocifisso risorto è il Figlio di Dio fatto uomo ed è un Dio per gli uomini, «egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura» (Eb 2,16).

    La festa cristiana che trae ragione dalla domenica come giorno del Signore e dell’Eucaristia, si oppone alla concezione della festa come evasione dal tempo. La domenica non rompe il tempo ordinario per immettere “altro” rispetto alla vita quotidiana. La festa cristiana si costituisce al contrario nella correlazione con il tempo ordinario, come ambito nel quale risplende la verità di questo e se ne attinge il fondamento. La domenica, in tal senso, è il “primo giorno” della settimana: se il sabato ebraico compiva la creazione, celebrando il riposo dopo la fatica delle opere con cui si collabora ad essa, la domenica cristiana è radice contemplativa di una operosità che riconosce la signoria del Risorto sulla nuova creazione. Ma la domenica è anche “ottavo giorno”, che orienta l’intero tempo verso il suo esito definitivo, il giorno senza fine, verso cui come pellegrini quotidianamente camminiamo. Noi non facciamo festa per dimenticarci della storia, ma per riappropriarci della sua radice e del suo compimento. Per questo la festa cristiana ha da dire molto a tutti gli ambiti della vita.

     

    4. Rieducare la vita a partire dalla domenica, festa dell’uomo

    «Non è stata la Chiesa a scegliere questo giorno, ma il Risorto. Essa non può né manipolarlo né modificarlo; solo accoglierlo con gratitudine, facendo della domenica il segno della sua fedeltà al Signore» (Consiglio Episcopale Permanente, Lettera in preparazione al 24° Congresso Eucaristico Nazionale, 3). L’accoglienza grata del giorno del Signore comporta un lasciarci educare al senso del tempo da valorizzare evangelicamente. Alcuni aspetti di questa rieducazione alla festa domenicale mi sembrano essenziali per ridare spessore umano e cristiano alla nostra festa e quindi alla nostra vita.

    4.1. Unità della persona e sua interiorità.

    La domenica è tempo di rivelazione dell’amore di Dio, che va accolta e fatta sedimentare dentro di noi, perché dia frutti nei giorni feriali. Abbiamo bisogno di ridare spessore spirituale alla nostra vita e solo una crescita di interiorità potrà garantirlo. A una cultura che connette la festa alla distrazione, dobbiamo opporre una visione coerente della persona umana che nella festa non perde se stessa, ma si ritrova nella sua unità, là dove l’uomo riconosce se stesso perché illuminato dall’ospite del suo cuore, lo Spirito di Dio. Non più pressati dal fare quotidiano, la festa offre lo spazio per porre a se stessi gli interrogativi profondi e ricercare le risposte più vere.

    Si aprono qui le strade per un recupero di ambiti di preghiera, che vanno oltre la celebrazione comunitaria dell’Eucaristia, come pure di meditazione. Non c’è un confine tra la parola di Dio e le parole degli uomini in questo spazio di crescita nella consapevolezza di sé: non si escludono reciprocamente, si tratta solo di porre la parola divina come discernimento di ogni parola dell’uomo.

    Le forme che può assumere questa via contemplativa possono essere molte. Tra esse vanno specialmente menzionate la frequentazione della cultura letteraria, l’apprezzamento del bello, nelle sue forme naturali e artistiche, ricercate anche attraverso un intelligente turismo, la valorizzazione della musica e di altre forme di espressione artistica e di intrattenimento. In esse si prolunga anche il cammino educativo che la scuola ha seminato nei giorni feriali: l’accostamento gratuito alle fonti della cultura ne fa apprezzare meglio il rapporto con la crescita della persona.

    Il processo di cui stiamo parlando non riguarda soltanto la mente dell’uomo. Proprio l’obiettivo di radicarsi in una più consapevole identità, richiede di ripensare la persona umana come unità di corpo e spirito. L’apprezzamento del proprio corpo, l’espressione delle sue funzioni e potenzialità nel gioco e nell’esercizio sportivo non sono altro rispetto all’edificazione di sé che va cercata nella festa.

    4.2. Senso nuovo di fraternità

    Il dono gratuito che la domenica veicola nel suo significato cristologico si esprime poi nel superamento dell’individualismo e nell’apertura alle esigenze della comunione con gli altri.

    L’esigenza dello stare insieme connota con evidenza anche le odierne forme secolari della festa: dagli stadi di calcio ai grandi concerti rock, dalle sagre popolari alle discoteche. Nel tempo della festa l’uomo si avverte come sciolto dai nodi che gli impediscono di essere parte viva e attiva di una storia condivisa, realizzata da trame di legami umani concretizzati in scambi di memorie, segni di solidarietà e di comunicazione con l’altro. Ma tutto questo non basta a fare della festa il germe di un superamento dell’estraneità che vada al di là di quel convenire momentaneo. Spesso si tratta di conquistare altri alle ragioni della propria festa o di nascondersi con gli altri in un soggetto collettivo che assorbe le nostre pulsioni. Da queste feste si esce soli come prima.

    L’incontro nella festa vissuta nella prospettiva del Risorto ha un altro volto: nasce dal dono di sé e si compie nel generare spazi di vita per tutti. La ricerca delle relazioni non è comandata dalla simpatia o dalla vicinanza, ma al contrario è indirizzata verso chi è più distante e più isolato, con uno slancio della carità che punta a superare ogni barriera. La festa diventa spazio di pace, di perdono, di ricostruzione di rapporti interrotti, di esercizio concreto della misericordia. Il riposo dal lavoro si traduce in una libertà in cui diventa più facile fruire del creato senza esserne soggiogati e aprirsi a relazioni umane fraterne non sottoposte a logiche produttive e commerciali. In questa ottica vanno vissute le varie forme di volontariato caritativo che la festa domenicale suggerisce, favorisce e prolunga nei giorni feriali.

    Il primo gesto di carità verso l’altro è assumerlo come persona, interlocutore di un dialogo. Se ne avvantaggiano anzitutto le famiglie e la loro coesione. Ma la prospettiva si allarga a far entrare nel campo dei propri interessi anche l’altro, la terza persona, allungando i rapporti della nostra prossimità anche ai lontani, agli anonimi, perfino ai contrari. Gli ambiti della cultura, della comunicazione, dell’educazione, dell’animazione, dello sport, del turismo, del tempo libero sono tutti interessati da questa dinamica.

    La comunione infine si esprime anche come presenza positiva nel tessuto della società. Il significato della festa domenicale lievita anche nella società e nella politica, poiché alla scuola dell’Eucaristia si promuove una cultura del dialogo che crea corresponsabilità nei riguardi della cosa pubblica. E chi impara a “rendere grazie” come Gesù, può far solo del bene al mondo, in uno spendersi per gli altri da cui scaturiscono contributi risolutivi ai tanti problemi sociali e globali che affliggono oggigiorno le società, i popoli.

    4.3. Sete di trascendenza

    La dimensione escatologica della domenica cristiana invoca infine una liberazione dalla precarietà della storia e una apertura verso la definitività di una pienezza che è oggetto del desiderio ultimo dell’uomo e, già da qui, orientamento per i suoi giorni. «Il Sabato ci interessiamo con cura speciale dei semi di eternità piantati nella nostra anima», ha scritto A.J. Heschel. Se questo vale per il sabato, il dono che Dio fece al suo popolo, vale ancor più per la domenica, il dono che il Risorto ha fatto a noi, comunicandoci non solo la capacità di fare memoria dell’azione di Dio verso il mondo, ma anche la forza di rinnovare questo mondo nell’amore.

    Se nei giorni feriali la relazione dell’uomo con Dio si può offuscare dietro l’affollarsi delle cose, nella festa non ci è dato di barare: quando Dio è assente, lo spazio della festa diventa vuoto e luogo di rivalità umane. La festa vissuta nella prospettiva dell’Eterno spoglia invece l’uomo del suo efficientismo e del sentirsi padrone delle cose e degli altri, e lo apre alla gratitudine verso Dio e quindi, in lui, verso i fratelli.

    L’apertura al mistero di Dio non ci aliena da questo mondo. Aprirsi a Dio e alla contemplazione di lui significa anche entrare nel mistero del suo disegno sul mondo, illuminando il lavoro e il suo significato. Proprio alla luce di Dio il lavoro smette i panni dell’opera obbligata per la sussistenza dell’uomo e diventa partecipazione a rendere il creato una casa degna del Creatore e delle sue creature; non uno spazio messo semplicemente a nostra disposizione, ma un progetto di cui farsi partecipi e responsabili.

    È solo dalla radice dell’apertura a Dio che la festa può essere ricondotta alla sua origine pacificante, offrendo il motivo profondamente umano della festa: la vita liberata dal dominio della solitudine mortale, dell’odio, dello sfruttamento e dell’umiliazione della dignità della persona umana. La cura di Dio redime l’umano nell’uomo.

    «Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente… e vidi» (Ap 1,10.12). Nell’Apocalisse, Giovanni colloca nel giorno di domenica la rivelazione che gli viene comunicata. Il giorno della festa è per lui tempo di verità sulla storia dell’uomo, capacità di scorgere in essa il disegno di Dio e di sorreggere il cammino dei credenti fino al ritorno del Signore Gesù, lui che è «l’Alfa e l’Omèga, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine» (Ap 22,13). Ogni domenica, mentre lo riconosciamo nostro unico Signore nel dono che egli ci fa di se stesso, ci è data la facoltà di attingere anche noi la verità sulla nostra vita di uomini e donne del nostro tempo, così che ogni desiderio del nostro cuore possa riassumersi nell’invocazione che è il senso di tutto: «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20).

     


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