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    “Il pane che noi spezziamo”

    Goffredo Boselli


     

    Un noto liturgista francese, Claude Duchesneau, immagina che un giorno si decida di dare alla messa un nuovo nome e, per questo, si fa un sondaggio tra i cristiani all'uscita dalle chiese una domenica mattina: «Signore... Signora... siete battezzati? — Sì! — Quale nuovo nome dareste alla messa?». Con tutta probabilità verrebbero proposti nomi come "eucaristia", "celebrazione eucaristica", "santo sacrificio", "cena del Signore", ma — conclude Duchesneau — non è sicuro che "frazione del pane" uscirebbe una sola volta.
    E tuttavia, tra i tanti segni eucaristici che la tradizione della Chiesa ha trasmesso lungo i secoli, la frazione del pane è l'unico gesto eucaristico compiuto da Gesù con le sue mani. "Frazione del pane" è il nome più antico dell'eucaristia: più volte attestato nel Nuovo Testamento, come nell'epoca apostolica e nella Didaché. E ancora fino al II secolo denominava l'intero pasto eucaristico. Per questo, lo spezzare il pane è il gesto originario e primario dell'eucaristia, al punto da poter dire che esso costituisce l'essenza gestuale dell'eucaristia, come il pane ne è la sostanza materiale.
    L'eucaristia è tanto la realtà del pane quanto il gesto di spezzarlo e condividerlo: non si dà mai l'una senza l'altro. L'eucaristia non è semplicemente pane, ma un pane spezzato e condiviso. Lo stesso vale per il vino.
    Eppure, che ne è oggi di quel gesto che guarì dall'oscurità di mente i discepoli di Emmaus e consentì loro di riconoscere Gesù risorto? Come spiegare la straordinaria pregnanza di significato che il Nuovo Testamento riconosce a questo gesto e il suo essere ignorato dai credenti nelle nostre liturgie? Per quale ragione così presto, nella storia del cristianesimo, la fractio panis ha smesso di dare il nome all'eucaristia e di essere il gesto centrale nella celebrazione? Il gesto di spezzare il pane alla tavola per condividerlo con i presenti non l'ha inventato Gesù, ma appartiene alla ritualità ebraica. Così lo descrive Joachim Jeremias in Le parole dell'Ultima cena: «A ogni pasto, preso in comunione, la comunità di tavola è costituita attraverso il rito della frazione del pane. [...] Quando il padre di famiglia pronuncia la benedizione sul pane — benedizione che ogni commensale fa sua attraverso l'Amen! — che spezza e di cui offre a ciascuno un pezzo da mangiare, significa che attraverso la manducazione ciascuno dei commensali partecipa alla benedizione della tavola; l'Amen pronunciato in comunione e la manducazione comune del pane della benedizione univa i commensali in una stessa comunità di tavola».
    A tavola con i discepoli, alla vigilia della sua passione, Gesù segue il rituale ebraico e spezzando il pane per condividerlo con i commensali fa suo il significato del rito. Ma, al tempo stesso, lo arricchisce ulteriormente: «Prese un pane e dopo aver reso grazie lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me"» (1Cor 11,23-24). In quel gesto Gesù vede racchiuso il senso dell'intera sua vita e della sua imminente morte. Da quando Gesù l'ha compiuto nell'Ultima cena, la frazione del pane non è solo il rito ebraico della condivisione con i commensali, ma è anche il gesto attraverso il quale fare memoria del sacrificio di comunione di Cristo che, stipulando la Nuova alleanza nel suo corpo messo a morte e nel suo sangue versato, crea la comunione della sua comunità e fa di essa un unico corpo, il suo corpo. È dall'Ultima cena che la frazione del pane diventa un rito eucaristico. E da allora i discepoli di Cristo spezzano il pane per fare memoria di lui. Nel giorno del Signore si identificano, si riconoscono e si confessano "riuniti per spezzare il pane" (At 20,7).
    Nel gesto eucaristico di spezzare il pane vi è una dimensione sacrificale alla quale la tradizione liturgica, soprattutto orientale, ha poi accostato e sovrapposto la figura dell'Agnello pasquale, che è sempre "l'Agnello sgozzato" (Ap 5,6). Nella liturgia bizantina al pane destinato all'eucaristia è dato il nome di "Agnello", così come nel rito simbolico della frazione il pane è chiamato "Agnello immolato". Nella liturgia siriaca di san Giacomo la formula che accompagna la frazione del pane recita: «Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, che è immolato per la salvezza del mondo». Non a caso fu un papa di origine siriaca, Sergio I (+ 701), a introdurre alla fine del VII secolo nella liturgia romana la triplice litania Agnus Dei come canto proprio della fractio panis.
    Così, anche in Occidente al simbolismo paolino della frazione come partecipazione all'unico pane per formare un solo corpo, subentrò l'interpretazione sacrificale dell'Agnello pasquale sgozzato.

    L'ostia è un pane vero ma non è un pane reale

    Da qui si comprende la ragione per la quale la frazione del pane è uno dei pochi riti di cui l'Ordinamento generale del Messale romano avverte la necessità di chiarire il significato: «Il gesto della frazione del pane, compiuto da Cristo nell'Ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l'azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione dall'unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo» (n. 83). È il significato del gesto che l'apostolo Paolo trasmette alla comunità cristiana di Corinto, dove l'espressione "spezzare il pane" designa l'eucaristia: «Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'e un solo pane, noi pur essendo molti siamo un solo corpo, dato che tutti partecipiamo a un solo pane» (1Cor 10,16-17).
    Se questa è l'importanza della frazione del pane, ancora più evidente si fa la distanza tra il suo significato e la prassi liturgica attuale nella quale questo gesto è colto come uno dei tanti riti riservati al presbitero e che passano inosservati. Del resto, nell'immaginario cattolico il gesto eucaristico per antonomasia è l'elevazione dell'ostia al momento della consacrazione, conseguenza rituale di una teologia eucaristica che dal medioevo ha enfatizzato oltre misura la presenza reale a scapito di altre verità fondamentali del mistero eucaristico. La prima condizione grazie alla quale il gesto eucaristico della frazione del pane potrà tornare alle sue origini e diventare eloquente agli occhi dei credenti è che il pane da spezzare ritrovi la realtà della sua forma. Certo il pane eucaristico è da sempre e ancora oggi pane vero, ma il suo aspetto attuale non ha nulla a che fare con il pane.
    Riconosciamolo: l'ostia è un pane vero, ma non è un pane reale! Fino a quando il pane per l'eucaristia manterrà la forma dell'ostia anche la frazione non potrà spigionare tutta la sua intensità e forza, e così raggiungere la piena efficacia espressiva.
    La nostra liturgia avrà un futuro se non si accontenterà del rinnovamento dei segni realizzato dalla riforma conciliare, ma proseguirà con convinzione e audacia nella ricerca di una maggiore verità dei segni liturgici. Inculturare oggi in Occidente il linguaggio cristiano e in esso quello liturgico, significa renderlo eloquente per i credenti secolarizzati, ossia disincantati e per questo desiderosi, anche nella liturgia, di autenticità, semplicità, eloquenza, poeticità. Diversamente, crescerà la disaffezione alla liturgia. La frazione del pane è il punto di partenza per rinnovare il simbolismo eucaristico e la sua ritualità. Oggi c'è grande desiderio di riti che significhino, che siano gesti e parole che abbiano il sapore del Vangelo. Il rinnovamento della Chiesa non avverrà senza un rinnovamento della prassi eucaristica.


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