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    Il giorno del Signore

    Enzo Bianchi 

     

    LA TESTIMONIANZA BIBLICA E PATRISTICA SULLA DOMENICA 

    Il primo capitolo del libro dell’Apocalisse presenta la grandiosa visione del Cristo risorto e glorioso, visione che Giovanni ha avuto sull’isola di Patmos dove dimorava da prigioniero perseguitato a causa della Parola di Dio e della testimonianza da lui data a Gesù (Ap 1,9-20). E questa visione del Cristo vincitore della morte, dice Giovanni, è avvenuta “nel giorno del Signore” (en tê kyriakê heméra: Ap 1,10). Siamo alla fine del I secolo, la chiesa nata dalla morte e resurrezione di Gesù è ormai presente sotto la forma di piccole ma vivaci comunità in quasi tutto il Mediterraneo e i cristiani ormai distinguono un giorno tra i sette della settimana e lo chiamano “giorno del Signore”. Tra le tante realtà che condividono con gli altri uomini, i cristiani ne distinguono alcune che dicono proprie del Signore, appartenenti al Signore: sono innanzitutto un pasto, una cena, che Paolo chiama “cena del Signore” (kyriakòn deîpnon: 1Cor 11,20); un giorno della settimana, come nel nostro brano dell’Apocalisse; e più tardi essi designeranno anche il luogo della celebrazione eucaristica come “luogo del Signore” (tò kyriakòn). In concreto il giorno del Signore è il giorno del Kýrios (greco), il giorno del Dominus (latino), dunque il giorno domenicale: ecco da dove deriva il nome “domenica”. È il giorno che celebra il Cristo risorto e vivente, il Cristo Signore presente nell’assemblea riunita per l’ascolto della Parola e la cena eucaristica: per questo al centro della visione-audizione di Giovanni sta il Cristo risorto, colui che dice “Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente: Io ero morto ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi” (Ap 1,17-18), colui che è presente in mezzo all’assemblea come è presente, in mezzo a noi, nelle nostre assemblee eucaristiche. È importante questa annotazione di Giovanni sul giorno del Signore perché ci testimonia una prassi ormai consolidata: c’è un giorno che la chiesa chiama giorno del Signore, distinguendolo dagli altri giorni, e in cui fa memoria soprattutto della resurrezione di Cristo. Ma da dove nasce questa consuetudine? Perché la domenica?[1]

    Innanzitutto si deve ricordare che nell’AT si parla di terzo giorno come del giorno in cui Dio si mostra e si manifesta. Quando Dio volle concludere l’alleanza con il suo popolo e manifestarsi, lo fece “il terzo giorno” dall’arrivo al Sinai: in quel terzo giorno ci fu la manifestazione del Dio vivente, il dono della sua Parola attraverso la Legge, la conclusione dell’Alleanza (Es 19,16). Ma si parla anche di giorno del Signore come giorno atteso e invocato, come giorno in cui Dio si sarebbe manifestato nella sua gloria, imponendosi come unico Dio vivente nella storia degli uomini. Ebbene, queste parole, “terzo giorno” e “giorno del Signore”, furono ricordate dagli Apostoli e dalla Chiesa nascente per rileggere l’evento da cui scaturiva la loro fede. Infatti, proprio all’alba del terzo giorno dopo la morte di Gesù vi era stata da parte delle donne discepole la scoperta della tomba vuota. Era il giorno dopo il sabato, dicono concordemente gli evangeli, cioè l’alba del primo giorno della settimana dei giudei e quel giorno, Dio si è mostrato, si è manifestato con potenza risuscitando da morte Gesù! Quel giorno nacque la fede pasquale in Gesù Signore vivente. E siccome quel giorno, secondo il IV vangelo, Gesù venne e stette in mezzo ai suoi discepoli (Gv 20,19), e così fece pure otto giorni dopo (Gv 20,26), sempre dunque il primo giorno dopo il sabato, ecco allora profilarsi anche il giorno del Signore come giorno della Parusia, della Venuta-Presenza del Vivente Risorto.

    Agli inizi degli anni 50 Paolo ricorderà ai cristiani di Corinto la fede della Chiesa: “Gesù Cristo è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture” (1Cor 15,3-4), come ancora oggi noi diciamo nel Credo. Ecco dunque l’orizzonte della domenica: per fare memoria della resurrezione di Gesù, per confessarlo come presenza vivente in mezzo alla sua chiesa, per confermare l’attesa della venuta nella gloria di Gesù, Figlio dell’Uomo, i cristiani si radunano in quel giorno, primo dopo il sabato, e lo chiamano “giorno del Signore”. Questa operazione dovette essere dolorosa e non facile, perché i cristiani, discepoli del Signore, erano ebrei, dunque fedeli al sabato in obbedienza alla Legge. Certamente gli Apostoli hanno continuato a santificare il sabato andando al Tempio o alla Sinagoga per ascoltare la parola di Dio, hanno continuato a vivere il riposo e la gioia dello stare insieme tra fratelli, ma hanno anche cominciato a sentire il bisogno di avere spazi e tempi diversi per esprimere la loro fede e trovarsi insieme intorno al Cristo risorto. Forse a noi non è possibile cogliere la storia della domenica e dei suoi inizi in modo pieno e con assoluta certezza su tutti i dettagli, tuttavia negli scritti del NT ci sono alcune testimonianze preziose.

    Negli Atti degli Apostoli (20,7-12) Luca testimonia:

    “Nel primo giorno della settimana, essendoci radunati per spezzare il pane, Paolo, dovendo partire il giorno dopo, si intrattenne con i discepoli e prolungò il discorso fino a mezzanotte. Nella sala superiore dove eravamo radunati c’erano molte lampade accese. Un giovinetto di nome Eutico, postosi a sedere sulla finestra, fu preso da forte sonnolenza mentre Paolo tirava in lungo il suo discorso e, sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e fu raccolto morto. Paolo allora, sceso a basso e gettatosi su di lui, lo abbracciò dicendo: “Non turbatevi: l’anima sua è ancora in lui”. Quindi, risalito, spezzò il pane, ne mangiò e dopo aver parlato ancora fino all’alba partì. Intanto ricondussero il giovinetto vivo e tutti ne furono molto consolati”.

    Dunque a Troade, nel 57-58, è testimoniato il radunarsi dei cristiani “il primo giorno della settimana” per ascoltare l’Apostolo e per la frazione del pane.

    Paolo poi, nella prima lettera ai Corinti, chiede che nel primo giorno della settimana i cristiani compiano un gesto di condivisione, di carità, destinando i risparmi personali ai poveri della chiesa. Anche questa annotazione è significativa, quasi una profezia della domenica come giorno della comunione concreta dei beni nella carità fraterna (1Cor 16,1-2).

    I cristiani hanno sì assunto il ritmo settimanale ebraico, ma poiché la resurrezione di Gesù, le sue apparizioni e la discesa dello Spirito santo sulla chiesa erano tutte avvenute, secondo i testi del NT, il primo giorno della settimana, allora essi hanno attribuito un’importanza centrale a questo giorno che è diventato per loro il giorno del Signore. È in questo giorno che essi celebrano la Pasqua cristiana nella consapevolezza di farlo fino alla venuta nella gloria del Signore Gesù (1Cor 11,26).

    Ma le prime comunità cristiane, approfondendo la loro fede, crescendo nella conoscenza del mistero cristiano e soprattutto vivendo il giorno del Signore, sono giunte a elaborare una teologia della domenica che possiamo gustare almeno un poco attraverso i nomi dati a questo giorno.

    1. a)La domenica è definita innanzitutto giorno della resurrezione di Gesù Cristo, dunque festa! Sì, festa dei cristiani perché la loro fede canta che la morte è stata vinta per sempre e che Dio ha aperto a tutti il Regno donando la vita eterna. È talmente forte la coscienza della festività di questo giorno che Tertulliano testimonia che di domenica è proibito inginocchiarsi per pregare, e questo per significare la libertà e la dignità di figli di Dio dei cristiani, e per simbolizzare (con la loro posizione eretta durante la liturgia) la loro situazione di con-risorti con Cristo. Inoltre, sempre Tertulliano attesta che in giorno domenicale è proibito ai cristiani un atteggiamento che comporti ansia, preoccupazione, tristezza. È così sentito come giorno di festa che Tertulliano, ma più tardi anche i Concili, scrive: “Digiunare o adorare Dio in ginocchio nel giorno di domenica noi cristiani lo riteniamo un’empietà” (De corona III,4).
    2. b)La domenica è anche chiamata giorno del Signore: il Risorto è vivente e, se è risorto, ecco che presto viene alla sua chiesa. Egli è dunque anche il Veniente, Colui che viene nella celebrazione eucaristica quando i cristiani invocano “Marána tha”, “Vieni Signore!” (1Cor 16,22; Didaché X,6), e Colui che verrà a fare la sua parusia nel “giorno” che Dio solo conosce. La chiesa radunata in quel giorno per la frazione del pane, l’eucaristia, fa memoria della venuta del Signore nella gloria e rinnova questa speranza mediante l’attesa nella preghiera e nella comunione. Ignazio di Antiochia si domanda: “Chi sono i cristiani?” E risponde: “Quelli che vivono secondo il giorno del Signore” (Ai Magnesii IX,1). E vivere il giorno del Signore significa sottomettersi alla signoria di Cristo, aspettare il giorno del giudizio e della gloria.
    3. c)La domenica è poi chiamata primo giorno della settimana. Questo in origine era semplicemente il nome del giorno che succedeva al sabato, ultimo giorno della settimana, secondo gli Ebrei: jom rishon, “primo giorno”. Per i cristiani però questa definizione si arricchisce del rimando al primo giorno della creazione (Gen 1,3-5), giorno di creazione della luce, che divenne tipologico del giorno in cui Gesù Cristo, luce del mondo (Gv 8,12), vinse la tenebra della morte del peccato e dando inizio alla nuova creazione. La domenica è il memoriale della seconda creazione, dicono Atanasio, Eusebio di Alessandria, Leone Magno; è il giorno in cui il cristiano ricorda e celebra che lui è “una nuova creatura” in Cristo (cf. 2Cor 5,17).
    4. d)Infine la domenica è stata chiamata anche ottavo giorno. È vero che la domenica è il primo giorno dopo il sabato, l’inizio della settimana, ma essa venne sentita anche come un prolungamento del sabato, un ottavo giorno della settimana. Espressione evidentemente paradossale, ma che vuole indicare profonde verità: quel primo giorno dopo il sabato che già nel vangelo secondo Luca (cap. 24) sembra un giorno lunghissimo, senza fine, in cui avvengono le apparizioni del Risorto alle donne, ai discepoli di Emmaus, agli Undici che si trovano a Gerusalemme, e l’ascensione di Gesù, può essere letto come ottavo giorno, figura dell’eternità, del giorno dopo i giorni. Come ottavo giorno, la domenica è dunque memoria escatologica, pungolo escatologico per la chiesa. Anche la forma ottagonale dei battisteri ricopriva questa valenza escatologica: in essi, infatti, si celebrava il sacramento della chiamata alla vita eterna: inchoatio vitae aeternae.

    Questa è la riflessione dei cristiani dei primi secoli sulla domenica: si tratta di un messaggio ricco e denso che parla della nostra identità di cristiani. Ma come vivere oggi la domenica?

     

    VIVERE OGGI LA DOMENICA 

    Certamente il tema della domenica è capitale per il futuro della fede cristiana e dunque della chiesa, perché senza domenica non c’è possibilità di vivere l’ecclesia, la chiesa, e senza chiesa la fede diventa ideologia, venerabile memoria storica della vicenda di Gesù, ingrediente fra i tanti dell’identità culturale. Per questo i vescovi italiani nel 1984 hanno emanato un sapiente documento dedicato alla domenica, e Giovanni Paolo II vi ha consacrato la lettera apostolica Dies Domini. Più recentemente i vescovi italiani, negli Orientamenti pastorali per il prossimo decennio, nella consapevolezza che la fede è vissuta incarnata da uomini e donne legati tra loro dalle categorie spaziali e temporali, hanno posto tra le priorità pastorali la parrocchia (spazio) e la domenica (tempo).[2] Senza domenica non esiste la parrocchia e senza parrocchia non c’è domenica. Non si dimentichi che le due realtà spaziale e temporale sono sempre apparse essenziali al popolo di Dio nell’antica Alleanza, nel Nuovo Testamento e nella vita della chiesa: sempre i cristiani, per essere tali, devono radunarsi un certo giorno pántes homoû epì tò autò, “tutti insieme nello stesso luogo” (At 2,1).

    Quali sono dunque le indicazioni che scaturiscono come prioritarie e urgenti dalla convinzione che sulla domenica si gioca il futuro della fede e della chiesa?

    1. Innanzitutto la domenica è il giorno dell’assemblea in cui i cristiani si radunano e si riconoscono ecclesia, chiesa. Se è vero che già al tempo degli Apostoli vi erano cristiani che non frequentavano le riunioni e per questo la lettera agli Ebrei deve ammonirli (Eb 10,25: “Non disertate le vostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare…”), oggi la partecipazione all’assemblea domenicale si è fatta più ristretta. I cristiani sono diventati minoranza nella società, ma tra di loro si è anche affievolita la consapevolezza del significato della domenica e della partecipazione all’assemblea domenicale. Ma oggi è venuto il tempo di riproporre la domenica: non bisogna più rassegnarsi all’affievolimento e perfino alla perdita del senso pasquale di questo giorno, ma bisogna proporre con intelligenza e coraggio ai cristiani di vivere la domenica da cristiani. “Con intelligenza”: cioè senza coltivare il sogno illusorio di un ritorno alle condizioni di una società che non c’è più e chiedendosi quale fosse il grado di consapevolezza e di partecipazione in coloro che, in numero decisamente maggiore, frequentavano la messa domenicale in altre epoche. Vi era sì il senso del precetto, ma c’era poi la qualità della consapevolezza che c’è oggi? La domenica va riproposta perché torni ad essere ciò che i cristiani hanno detto e sperimentato, e questo va fatto anche con coraggio chiedendo una pratica profetica di questo giorno: in un mondo diviso, frammentario, traversata da divisioni, da misconoscimento dell’altro, i cristiani fanno anzitutto un gesto forte ed elementare: si ritrovano nello stesso giorno (la domenica) e nello stesso luogo (l’assemblea parrocchiale) per stare insieme, per riconoscersi fratelli, appartenenti allo stesso corpo che è il corpo di Cristo, per confessare l’unica paternità di Dio. Sì, c’è un miracolo che avviene ogni domenica e noi, che siamo in ricerca di miracoli straordinari, non ce ne accorgiamo. È il miracolo di gente che sta insieme, si riconosce, dice la volontà di riconciliarsi. Sì, anche l’umile ma seria assemblea di uno dei più piccoli e sperduti paesi, di fatto è un’anti-Babele. Questo “miracolo semplice” dice che è possibile riconciliarsi e incontrarsi malgrado le differenze! È un annuncio che è possibile vivere insieme, spezzare l’isolamento, dire di no all’aggressività che esclude, rifiutare l’anonimato. Se i fedeli vivono ciò che celebrano, la loro pratica domenicale è veramente profetica. Il giorno del Signore è dunque giorno in cui l’assemblea cristiana risponde alla parola di Dio che la convoca: così essa si manifesta come chiesa. È impressionante l’esortazione rivolta al vescovo contenuta nella Didascalia Apostolorum: “Vescovo, quando insegni, ordina e persuadi il popolo a essere fedele nel radunarsi in assemblea, a non mancare mai, a convenire sempre per non restringere la chiesa e diminuire il corpo di Cristo sottraendosi all’assemblea… Poiché siete membra di Cristo… non private il Salvatore delle sue membra, non lacerate e non disperdete il suo corpo non partecipando all’assemblea” (II,59,1-3).

    Sì, la chiesa è il corpo reale di Cristo e se non c’è partecipazione all’assemblea nel giorno del Signore, c’è menomazione, lacerazione del corpo di Cristo! Non è davvero un problema di precetto!

    b) La domenica è poi il giorno dell’Eucaristia. Se la domenica è giorno dell’assemblea per fare memoria della resurrezione di Gesù, vivere la comunione con lui, proclamare l’attesa della sua venuta, allora essa è il giorno dell’Eucaristia. Non c’è domenica senza assemblea, non c’è domenica senza Eucaristia. Domenica ed Eucaristia si implicano l’una con l’altra e si appartengono reciprocamente perché l’Eucaristia trova il suo momento appropriato e primordiale nella domenica e la domenica trae il suo significato dell’Eucaristia. Siccome è la Pasqua il contenuto fondamentale della domenica, allora l’Eucaristia, sacramento pasquale, è essenziale per fare della domenica il giorno del Signore. È proprio in questo giorno santo e festoso che si dispiega nella sua pienezza la pericoresi tra chiesa ed Eucaristia per cui mentre la chiesa fa l’Eucaristia, è l’Eucaristia che fa la chiesa, la plasma, la edifica. Secondo la testimonianza dei vangeli, Gesù risorto si è reso presente in mezzo ai suoi discepoli spiegando le Scritture e spezzando il pane, mangiando e bevendo con essi, fornendo quindi il fondamento della celebrazione eucaristica settimanale domenicale. E l’Eucaristia è quel rendere grazie che la chiesa compie accogliendo il dono della Parola del Signore e del Corpo e Sangue del Signore. Un cristiano che nel giorno della domenica non partecipi alla tavola del Signore, tavola della Parola e del Pane, si separa dal Signore, dice Giovanni Crisostomo. La chiesa non esiste senza l’Eucaristia e il mondo senza Eucaristia non riceve le energie di trasfigurazione e di salvezza che si sprigionano da questo sacramento. Ma noi abbiamo ancora questa consapevolezza? Nei primi secoli del cristianesimo era talmente sentita l’importanza dell’Eucaristia domenicale che non si esitava ad affrontare il rischio del martirio pur di partecipare alla cena del Signore. Negli Atti dei Martiri è riferito che durante la persecuzione ad opera dell’imperatore romano Diocleziano (304 d. C.) furono arrestati alcuni cristiani perché sorpresi alla celebrazione eucaristica. Portati davanti al proconsole, sono interrogati e tra loro è interrogato Emerito nella cui casa era stata celebrata l’Eucaristia: ““Nella tua casa sono state tenute riunioni contro il decreto degli imperatori?” “Sì - risponde Emerito – in casa mia abbiamo celebrato l’Eucaristia”. “Perché hai permesso agli altri di entrare: tu dovevi impedirlo!” Ed Emerito: “Noi cristiani non possiamo esistere senza l’Eucaristia domenicale (sine dominico non possumus)!”” (Acta Saturnini, Dativi, et aliorum plurimorum martyrum in Africa IX). È l’identità cristiana che è implicata nella celebrazione eucaristica domenicale! Non si può essere cristiani senza l’Eucaristia domenicale, dirà anche un altro martire, Felice, vittima della stessa persecuzione.

    c) La domenica è anche giorno del riposo, della gioia, della comunione. Dall’assemblea eucaristica il grande dono che si riverbera sulla vita cristiana è quello della pace, dello shalom, della vita piena, gioiosa. Nell’incontro con il Signore risorto la comunità cristiana vive una grande gioia, quella provata dai discepoli quando Gesù venne e si mostrò vivente in mezzo a loro, e riceve la pace dal Risorto. La pace è infatti il dono fatto dal Risorto ai discepoli: “Pace a voi!” (Gv 20,19.26). Pietro di Alessandria così si esprime all’inizio del 300: “Noi celebriamo la domenica come giorno di gioia a causa di Colui che è risorto!” (Ep. Can. XV). E nella Didascalia Apostolorum così si esortano i cristiani: “Nel giorno della domenica siate nella gioia in ogni momento: commette peccato chi si rattrista nel giorno del Signore” (V,20,11). Questa gioia la si deve vivere dunque soprattutto riposando perché il riposo è segno grande di libertà: il riposo permette di fermarsi, consente l’esercizio del pensare, di assumere consapevolezza e responsabilità, di praticare uno sguardo intelligente su di sé e sugli altri. Così si confessa che si crede nel Dio che è veramente Padre di tutti, si crede nel Dio Signore del mondo e della storia  e ci si sottrae all’alienazione di chi pensa di essere il padrone della vita e della vicenda umana. Gioia, riposo e comunione, incontro con i fratelli nella condivisione dell’Eucaristia, ma anche dei beni spirituali e materiali. Non c’è festa senza incontro e accoglienza, non c’è festa senza condivisione, non c’è festa senza estensione del dono e senza gratuità. 

    Sì, la domenica è davvero il nostro giorno, è giorno del Signore e giorno dell’uomo: il viverla è condizione essenziale per essere cristiani, ma è anche un servizio per tutta l’umanità perché memoria profetica che è possibile l’incontro tra gli uomini segnati da differenze e diversità e che è possibile lottare contro Babele, che la condivisione è possibile e che la gratuità è feconda. Se noi custodiremo la domenica, la domenica ci custodirà. 



    [1] Cf. E. Bianchi, Giorno del Signore, giorno dell’uomo. Per un rinnovamento della domenica, Piemme, Casale Monferrato 1994.

    [2] Conferenza Episcopale Italiana, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del 2000, nn. 47-49. 


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