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    Il gesto estremo

    Commento alle letture della domenica XXXIV C

    Enzo Bianchi

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    Nell’ultima domenica dell’anno liturgico celebriamo la festa di Gesù Cristo re dell’universo: ma qual è la vera regalità di Gesù? Quella di chi ama, perdona, cerca la comunione con gli uomini suoi fratelli fino alla fine. È la regalità di un Messia che «regna dal legno», come amavano dire i padri della chiesa: solo sulla croce, infatti, viene posta sul suo capo l’iscrizione: «Questi è il re dei Giudei».
    Gesù è appena stato ingiustamente crocifisso: lui, il Giusto (cf. Lc 23,47) – «colpevole» di aver narrato con la sua vita il volto di un Dio che è il Padre prodigo d’amore verso i peccatori (cf. Lc 15,11-32) e di aver reso Dio buona notizia per tutti gli uomini – è appeso a una croce in mezzo a due malfattori. Eppure, in questa situazione così ignominiosa Gesù non minaccia, non risponde con l’odio all’odio che gli viene scaricato addosso, ma ha la forza di pronunciare una parola inaudita: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno»…
    Ma nemmeno questo suo gesto estremo e unilaterale, nemmeno questo suo modo scandaloso di mostrare come Dio regna su di lui vengono compresi. Se è vero che il popolo «contempla» Gesù in croce – questa è infatti l’unica autentica contemplazione cristiana (cf. Lc 23,48)! –, «lo scandalo della croce» (Gal 5,11) suscita però ulteriore derisione e disprezzo: i capi religiosi di Israele e i romani scherniscono Gesù. Di più, essi lo provocano, mettendo in discussione la sua stessa vocazione: «Se tu sei il re dei Giudei, il Messia di Dio, salva te stesso scendendo dalla croce!». Gesù è tentato come lo era stato all’inizio del suo ministero pubblico per opera di Satana: «Se tu sei il Figlio di Dio…» (Lc 4,3.9).
    Ma ancora una volta Gesù rinuncia a vivere per se stesso, a chiedere a Dio di intervenire con il miracolo straordinario che costringerebbe gli uomini a seguirlo come un potente di questo mondo. Egli accetta di perdere la propria vita, sceglie di compiere fedelmente la volontà di Dio, continuando a comportarsi fino alla morte in obbedienza a Dio: non che il Padre volesse vederlo patire sulla croce, ma Gesù comprende che l’obbedienza alla volontà di Dio, volontà che chiede di vivere l’amore fino all’estremo, esige una vita di giustizia e di amore anche a costo della morte violenta. Sì, Gesù rinuncia a salvare se stesso, ed è solo grazie a questo suo comportamento che egli ha l’autorevolezza per affermare: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per me, la salverà» (Lc 9,24)…
    Anche uno dei due malfattori insulta Gesù, vedendo frustrate le proprie pretese: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». L’altro invece, il cosiddetto «buon ladrone», mostra di aver compreso quale sia la signoria di Gesù: opera la correzione fraterna, rimproverando l’altro condannato; ammette il male che ha commesso e ne accetta le conseguenze; riconosce l’innocenza di Gesù e si rivolge a lui con la preghiera, confessandone la regalità escatologica: «Gesù, ricordati di me, quando verrai nel tuo Regno». Egli è l’immagine dei credenti e della chiesa che, nella storia, sono chiamati a testimoniare la regalità di Cristo condividendo le sofferenze del Crocifisso, invocando la venuta del Regno, e attendendo il Veniente nella gloria.
    A lui Gesù rivolge la parola che tutti noi vorremmo sentire nel nostro ultimo giorno: «Oggi sarai con me nel paradiso». Sì, questa è una promessa riservata a tutta l’umanità, anche ai malvagi e ai peccatori: dipende da ciascuno di noi accoglierla, accettando di perdere la nostra vita per Gesù Cristo, il Messia che regna dalla croce, cioè di amare lui al di sopra di ogni nostro amore e di spendere


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