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    Eucaristia pane

    del cammino

    Le Confraternite: luogo vivo della tradizione del Mistero Eucaristico*

    Giuseppe Ruta

     

     

    XXV Congresso Eucaristico Nazionale - Ancona 3-11 settembre 2011

    Jesi, 8 settembre 2011 

     

    «Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» (J. Ratzinger[1]). 

    Quando ci si sforza di guardare ad una società e in particolare ad una comunità o ad un gruppo, in modo trasparente e autentico, senza sconti o riduzionismi, si cerca di coglierne l’intera portata, evidenziando onestamente risorse e limiti. Senza esagerare ed evitando eccessi, si tenta di individuarne l’identità e lo sviluppo, ritardi e spinte in avanti, la trama della tradizione e i germi del futuro già seminati nel presente. La posizione dell’osservatore non è mai asfittica e di pura costatazione. Si parte sempre da un interesse, da una precomprensione o da un pregiudizio e si tende verso una visione il più possibile intelligente e cordiale, evitando perlopiù freddezze e surriscaldamenti di sorta.

    Quando Gesù di Nazareth, Maestro e Signore, guardava le folle, le fazioni religiose e i partiti politici del suo tempo, i discepoli, i dodici e i singoli con cui entrava in contatto, ne rilevava realisticamente la posizione ma non si fermava ad essa; con le sue parole, con i suoi gesti, con il fascino della sua persona, con il suo mistero di donazione e di servizio, indicava ed apriva il varco verso un nuovo modo di pensare, di volere, di decidersi, di agire, di avere, di vivere e di essere. Detto in breve: Gesù “educava” (cfr. EVBV 16-19).

    Quando Paolo di Tarso, apostolo di Cristo per vocazione, osservava e seguiva pastoralmente le comunità da lui fondate o a lui affidate, cercava di rilevarne i dinamismi più profondi. Non si limitava alla superficie e alle apparenze. Dal suo epistolario, affiorano, a distanza di tempo, non solo orientamenti e direttive, ma un’attenta analisi dei problemi e delle potenzialità presenti in una determinata comunità cristiana. Emblematica è la situazione dei cristiani di Corinto, sospesa tra grandi risorse di ministeri e di carismi ed evidenti divisioni e perfino scandali. Così, anche l’apostolo delle genti “educava”, sulle orme di Colui che prima aveva perseguitato e, dopo l’«innaturale» chiamata («come un aborto»: 1 Cor 15,8), seguiva e annunciava con passione[2].

    La tradizione cristiana conserva lungo i secoli, una schiera innumerevole di educatori (cfr. EVBV 34) che hanno colto dall’ambiente in cui vivevano alcune istanze, condizioni ed esigenze, ed hanno elaborato dei piani e delle strategie d’intervento alla luce del Vangelo per ovviare a determinati disagi sociali e rischi educativi, promuovendo forme aggregative fraterne e solidali, formando persone integralmente adulte e mature. Le Confraternite partecipano di questo ricco patrimonio della Tradizione ecclesiale (cfr. EdE 61) e crediamo che, anche oggi, continuino a svolgere un compito educativo importante, anzi necessario, per una nuova pastorale ed una nuova educazione[3].

    In quest’ottica evangelica ed educativo-pastorale, vogliamo osservare la nostra realtà di appartenenza, senza chiudere gli occhi di fronte ad evidenti limiti, ma non mancando di scorgere risorse palesi e potenzialità “sottocenere” che possono rilanciare l’identità e la missione educativa della Chiesa, non precludendo il passo alla profezia del futuro.

    Siamo, infatti, consapevoli che: 

    «Ogni Chiesa particolare – e in essa ogni forma aggregativa che vi appartiene - dispone di un potenziale educativo straordinario, grazie alla sua capillare presenza nel territorio. In quanto luogo d’incontro con il Signore Gesù e di comunione tra fratelli, la comunità cristiana alimenta un’autentica relazione con Dio; favorisce la formazione della coscienza adulta; propone esperienze di libera e cordiale appartenenza, di servizio e di promozione sociale, di aggregazione e di festa» (EVBV 39). 

    A partire da questa considerazione dei nostri Vescovi per il decennio che viviamo come tempo di grazia, è possibile per le Confraternite, e la vita associativa ecclesiale in genere, svolgere una verifica serena e seria sul proprio vissuto (cfr. MND 13; SCar 18; RSV 3, 25; EVBV 52-55) per vagliare fino a che punto esse sono luogo vivo della tradizione del Mistero Eucaristico. Gli attuali Orientamenti pastorali 2010-2020 e la celebrazione del XXV Congresso Eucaristico Nazionale possono essere di grande aiuto in tal senso. Altrimenti sarà un’occasione perduta che forse non si ripresenterà più in futuro, nonostante che l’Eucaristia mantenga tutta la sua validità tematica ed esperienziale. Nel mistero dell’Eucaristia si coagulano, infatti, tutti i valori educativi in quell’armonia, pienamente riuscita nel Cristo e in via di realizzazione nella Chiesa, di tutto ciò che è genuinamente umano e di tutto ciò che è essenzialmente divino[4]..

    1. Per un collaudo sereno e serio del proprio vissuto 

    Nel 2004, in occasione dell’Anno dell’Eucaristia, la Congregazione per il Culto divino e i Sacramenti, offrì ad Associazioni, Movimenti e Confraternite i suggerimenti e le proposte seguenti (14.10.2004):

    «Lo spirito di comunione, fraternità, condivisione che motiva l’iscrizione a un’associazione è naturalmente legato al mistero eucaristico. Esistono confraternite e associazioni esplicitamente intitolate all’Eucaristia, al Santissimo Sacramento, alla devozione eucaristica. L’inserimento di associazioni, gruppi e movimenti nella Chiesa, alla cui edificazione e vitalità contribuiscono, secondo i loro carismi, si manifesta con il normale ritrovarsi nelle Messe domenicali della parrocchia (cfr. MND, 23; DD, 36).

    L’Anno dell’Eucaristia:

    • è un appello a riflettere, verificare, interiorizzare, aggiornare eventualmente gli Statuti tradizionali;
    • è un’occasione per un approfondimento catechetico-mistagogico dell’Eucaristia;
    • è uno stimolo a dedicare più tempo all’adorazione eucaristica, coinvolgendo anche altre persone in una sorta di “apostolato” eucaristico;
    • è un invito a coniugare preghiera e impegno di carità». 

    Il prisma presentato dalla Congregazione è analogo, se non proprio identico, a quello a cui fanno riferimento i nostri Vescovi per l’attuale decennio: 

    «Nelle diocesi e nelle parrocchie sono attive tante aggregazioni ecclesiali: associazioni e movimenti, gruppi e confraternite. Si tratta di esperienze significative per l’azione educativa, che richiedono di essere sostenute e coordinate. In esse i fedeli di ogni età e condizione sperimentano la ricchezza di autentiche relazioni fraterne; si formano all’ascolto della Parola e al discernimento comunitario; maturano la capacità di testimoniare con efficacia il Vangelo nella società» (EVBV 43). 

    Se si volesse racchiudere in un’espressione stringata questo prisma di aspetti essenziali, si potrebbe dire che le Confraternite sono (e sono chiamate ad esserlo sempre di più) «luogo» vivo della tradizione del Mistero Eucaristico. E, parafrasando Tertulliano, sono caldamente invitate a «diventare ciò che sono»..

    2. Le Confraternite «luogo» vivo… 

    Comunemente, quando si dice, “luogo” si fa riferimento ad un ambito fisico, materiale o ideale, sovente concepito in modo statico e freddo; un topos, una porzione di spazio, ben delimitato oppure indefinito. Ma è anche vero che il termine può indicare, in senso traslato, “dove” si sviluppa un pensiero o un’azione, per cui sia nelle scienze sociali, sia in filosofia, sia in teologia si parla di “locus/loci” per indicare gli scenari vivi dentro cui prendono forma contenuti mentali, strutture culturali, dinamiche socio-politiche o avvengono azioni e gesta storiche. La dinamica dell’Incarnazione è l’esempio più grande di vitalizzazione del “luogo”: il Verbo di Dio, eterno e prima del tempo, che neppure i cieli dei cieli possono contenere[5], divenendo uomo ha scelto di circoscriversi in un determinato tempo e in determinato spazio, facendo del mondo il “luogo storico” dell’incontro tra Dio e l’uomo. Da quel momento quella terra diventa “terra santa”, non per esclusione, ma per includere in questo raggio di santificazione ogni ambito spazio-temporale in cui avviene il contatto tra Colui che convoca hic et nunc e quei «due o tre riuniti nel suo nome» (cfr. Mt 18,20), minimo numerico indispensabile, perché il prodigio dell’incontro e dell’alleanza possa avverarsi e rinnovarsi. Da quel momento ogni spazio cosmico diventa spazio interpersonale, umano e divino, il creato partecipa al destino dei figli di Dio (cfr. Rm 8,22), la creazione diventa redenzione (cfr. EdE 8; SCar 71). La Chiesa diventa «una realtà molto viva» (RSV 2). L’Eucaristia che i cristiani celebrano costituisce l’esperienza più eminente di questa fusione cosmica e antropologica (cfr. SCar 92).

    Le aggregazioni e le confraternite, in quanto espressioni ecclesiali, sono “luogo”[6] in quanto spazio interpersonale, tessuto di rapporti, intreccio di comunione, missione e servizio; in esse vige un’originale vitalità della fede cristiana con delle costanti che le accomunano e delle variabili che le distinguono l’una dall’altra, caratterizzandole “originalmente”. Quando si dice “luogo vitale” non si intende primariamente mettere in evidenza il fattore quantitativo o di sopravvivenza numerica (come ad es. dei membri o l’inserimento di nuovi adepti…), ma soprattutto la qualità della vita, la possibilità concreta della salvezza che ivi si realizza, il benessere che vige nelle relazioni e nelle azioni, la capacità di generare e di trasmettere vitalmente agli altri, specialmente alle nuove generazioni, l’esperienza di fede ecclesiale che caratterizza tutte e ciascuna.

    Sul versante “qualitativo”, sui processi di trasmissione e sull’educazione alla vita buona del Vangelo, intendiamo porre l’accento, evidenziandone la dimensione eucaristica..

    3. … della tradizione del Mistero Eucaristico 

    Tutte le Confraternite, e non solo quelle esplicitamente intitolate all’Eucaristia o al SS. Sacramento, hanno un legame con il Mistero Eucaristico o sono chiamate a riscoprirlo sempre di più. Esse sono “luogo vivo di una tradizione” o meglio “della tradizione” eucaristica. Non è necessario dimostrare come e in che senso l’Eucaristia sia il nucleo più intimo e segreto della Traditio ecclesiae, «la radice e il segreto della vita spirituale dei fedeli» (MND 5), oltre a costituirne la fonte, il centro e il culmine (cfr. LG 11, 26; CD 30; SC 10; MND 3, 17, 21; EdE 3, 21, 31, 34; SCar 2, 6, 17, 84; RSV 5). Ma in riferimento alla vita associativa delle Confraternite ciò va messo in luce e non considerato scontato.

    Nell’atmosfera culturale odierna che oscilla continuamente tra modernità e postmodernità, la parola “tradizione” è certamente tra le più bollate e messe sotto accusa. In quest’ottica le Confraternite potrebbero essere liquidate come delle entità datate, da archiviare, che hanno fatto il loro tempo e completato il loro corso. Pur recependo le istanze critiche, legittime e corrette, della cultura vigente, non è produttivo, culturalmente parlando, rimuovere il termine “tradizione” e i suoi derivati, sia perché è alquanto difficile e ostica la sostituzione con altri vocaboli, pena la perdita della pregnanza del suo significato, sia perché costituisce ancora una garanzia, con le dovute distinzioni ed esplicitazioni, per non perdere qualcosa di essenziale che tocca l’identità e la missione della Chiesa, nelle sue varie e molteplici manifestazioni.

    Se la Confraternita è luogo vivo, lo è grazie alla Tradizione viva della Chiesa (cfr. SCar 37). E viceversa: solo una Confraternita viva darà il suo piccolo e prezioso contributo perché la Tradizione cristiana rimanga viva e vitale, pregnante e attuale.

    Vari documenti magisteriali recenti richiamano il binomio traditio-redditio per esprimere il dinamismo delle origini cristiane e della storia della Chiesa che consiste in uno scambio, nel ricevere e nel dare, in un accogliere e in un restituire (cfr. OIC 1, 2, 3), fino a raggiungere una totale e radicale trasformazione, secondo l’espressione agostiniana: «voi stessi siete quel che avete ricevuto» (Sermo 227,1: PL 38,1099; cfr. SCar 36). Questo movimento non permette alla tradizione di cristallizzarsi e di stagnarsi, ma di consegnarsi continuamente secondo i tempi storici e le condizioni umane relative a persone, gruppi e comunità; nello stesso tempo, consente al singolo e alla collettività, di accogliere, custodire, interpretare, ripensare continuamente e riesprimere, in modo fedele e creativo, l’unica e molteplice traditio ecclesiae, evitando derive soggettive, distorsioni interpretative e manifestazioni fuorvianti e bizzarre. Fa parte della tradizione non solo la fedeltà nell’accoglienza e nella custodia, ma anche la riconsegna ad altri, alle nuove generazioni senza alterarne i significati essenziali e, nello stesso tempo, non rinunciando a quelle forme nuove e creative di trasmissione che rendono il Mistero umanamente visibile, udibile, tangibile, pur rimanendo divinamente insondabile[7].

    In questo flusso intergenerazionale, tipico della tradizione millenaria della Chiesa e dell’esperienza plurisecolare delle Confraternite, alcuni punti nevralgici possono essere colti, otto binomi di “verbi all’infinito”, tenendo conto dello sviluppo celebrativo dell’Eucaristia, per educare alla vita buona del Vangelo, utili per la verifica del proprio vissuto quotidiano e festivo, della testimonianza da rendere, dei valori da vivere e da trasmettere agli altri (cfr. MND 25). Secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia i cristiani sono per definizione coloro che vivono «secondo la domenica» (cfr. SCar 72, 95; RSV 7). L’espressione, nonostante nell’attuale contingenza si costati un’evidente smentita, va tenacemente ripresa, riconsiderata e rivissuta, pena la perdita dell’identità cristiana. In tal senso, l’esperienza dei martiri di Abitine è quanto mai singolare ed emblematica (cfr. DD 46; SCar 95). 

    3.1. Convocare – Convivere 

    L’iniziativa di Dio trova nell’azione del “convocare” il suo primo e originario movimento (cfr. NMI 36), provocando nell’uomo «stupore» e «meraviglia» (cfr. EdE 5-6, 48; SCar 1, 41). Come dal caos primordiale è stato tratto il cosmo, il Padre, in un mondo disgregato (EdE 24), raduna e unifica nel Cristo, suo Figlio, la Chiesa, come opera primigenia di aggregazione e di intesa, frutto dell’effusione dello Spirito, il quale nei solchi del tempo provoca una continua e rinnovata Pentecoste. Stare insieme, formare comunità, costituisce il desiderio più profondo dell’umanità e il superamento di ogni forma di disgregazione e dispersione. Innanzitutto, coincide con lo scopo primigenio del progetto di Dio (cfr. Gen 2,18-24; Mc 10,7) che è una «bellezza» che «ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce» (SCar 35, cfr. 96-97).

    La Confraternita è una risonanza e una manifestazione della Chiesa in questo intento di Dio di aggregare e di raccogliere in unità. L’Eucaristia inizia dal movimento che porta i singoli chiamati a convergere nell’unità, a formare «un cuor solo e un’anima sola» (At 4,32) ed esorcizzare continuamente ogni forma “diabolica” che separa anziché unire. 

    3.2. Riconciliarsi – Comprendersi e comprendere 

    Quel Dio, che ama riunire i figli dispersi, guarda con realismo le situazioni e le vicissitudini umane; per questo, chiama di continuo alla conversione e riconcilia a sé i convocati. Quest’esperienza di misericordia e di perdono è innanzitutto un’offerta di Dio, grazie al quale è possibile essere riconciliati, ricevere e dare il perdono agli altri. In questa atmosfera è possibile, anche umanamente parlando, accettarsi per quello che si è, essere capiti e compresi, riuscire a capire gli altri, in particolare cogliere nella verità e nella carità le debolezze e le fragilità, ma senza stagnazioni e rassegnazioni. Si fa così insieme esperienza di rinnovare continuamente la fiducia, attraverso una sapiente «pedagogia della conversione» (cfr. SCar 21), a partire da Dio che «si getta dietro le spalle tutti i peccati» (cfr. Is 38,17) e invita a guardare avanti.

    La Confraternita, in quanto spazio umano segnato dalla fragilità, dal limite e dal peccato e piccola porzione della Chiesa semper reformanda, è chiamata alla continua riconciliazione. La conversione continua a Dio e la riconciliazione permanente con i fratelli porta a non chiudere mai il cerchio delle relazioni, ma a mantenerlo aperto, senza preclusioni e chiusure irrimediabili. Affiora , così, l’immagine della Chiesa non come “societas perfecta”, ma popolo in cammino verso la riconciliazione più piena. 

    3.3. Rivelarsi – Comunicare 

    Differentemente dagli idoli, che sono ciechi, muti e sordi (cfr. Sal 135,16-17), il Dio dell’Antica e della Nuova Alleanza è un Dio che parla, un Dio in ascolto, un Dio che «s’intrattiene a parlare con gli uomini come con amici» (DV 2). La trama dialogica propria della liturgia della Parola non è una parentesi rituale per la comunità ecclesiale e per il singolo credente. Costituisce una costante, una dimensione che pervade la storia e l’esistenza, uno stile fatto di ascolto e di risposta, di gioia nel potersi rivolgere a Dio e di poter essere ascoltati e, più profondamente, di poter accogliere il Dio che parla e di poter esercitare interamente la propria responsabilità, in quanto – letteralmente – capacità di dare una risposta consapevole e libera. In quest’ottica dialogica, afferma Benedetto XVI, «il messaggio cristiano non [è] solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (SS 2).

    La Confraternita costituisce il tessuto in cui il dialogo della fede accade e si sviluppa in un intreccio di appelli e di risonanze, di custodia di quanto Dio ha rivelato, e rivela continuamente in una vita segnata dal senso religioso, da parole e segni intimamente connessi (DV 2), di voci e di segni che nascondono e svelano il Mistero di Dio, in un percorso di discernimento tra ciò che è genuino, secondo Dio, e permanente, e ciò che passa, effetto del momento e della contingenza. Una cosa è certa: come per i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24), «una volta che le menti sono illuminate e i cuori riscaldati, i segni “parlano”» (MND 14; SCar 64) e le parole “significano” qualcosa o meglio Qualcuno di profondamente vero, buono e bello. Una grande opportunità si apre dinanzi: «creare nelle comunità cristiane luoghi in cui i laici possano prendere la parola, comunicare la loro esperienza di vita, le loro domande, le loro scoperte, i loro pensieri sull’essere cristiani nel mondo» (RSV 26), e nello stesso tempo, «far nascere e sostenere percorsi che riavvicinino le persone alla fede, promuovendo luoghi di incontro con quanti sono in ricerca della verità e con chi pur essendo battezzato, sente il desiderio di scegliere di nuovo il Vangelo come orientamento di fondo della propria esistenza» (RSV 9). 

    3.4. Anamnesi – Rivivere 

    Analogamente alla “naturalezza” dell’incarnazione, i segni del pane e del vino nella loro estrema semplicità ed essenzialità, raccolgono le energie del cosmo e la capacità dell’elaborazione e della trasformazione dell’uomo. Inoltre, esprimono nella fusione dell’unità la molteplicità delle individualità umane e delle differenti energie del cosmo. Avviene soprattutto l’«admirabile commercium» - il meraviglioso scambio - tra la povertà dell’uomo e la grandezza di Dio, tra ciò che è stato donato all’uomo e il dono di sé da parte di Dio[8]. In questo gesto semplice e dalle infinite proporzioni, si realizza la salvezza, si concentra il flusso della storia della salvezza, attraverso l’anamnesi – il memoriale: non un mero ricordo o una commemorazione, ma la grazia di rivivere la Pasqua del Signore Gesù. Così, quanto è antico diventa attuale e quanto si attua diventa perennemente nuovo e anticipazione del futuro.

    La Confraternite si sente parte e prende parte a questa azione corale della Chiesa in cui Dio si autoimplica interamente con la sua misericordia e la sua fedeltà e l’umanità è sollecitata ad un coinvolgimento totale, senza tralasciare nulla di sé, di quanto sia autentico e profondamente umano. Annunciando e proclamando la Pasqua del Signore Gesù, in attesa della sua venuta, la Comunità che celebra, trae forza dal passato, nel presente, per il futuro. 

    3.5. Rappacificarsi – Scambiarsi il segno della pace 

    Celebrando la nuova ed eterna alleanza, il «sacramento della pace» (SCar 49), la Chiesa entra in un nuovo ordine di esistenza, in un processo “esodale” che lascia ogni forma di schiavitù e approda alla condizione pasquale della libertà e dello “shalom”[9]. Il nuovo regime di vita è segnato da un nuovo rapporto con Dio appellato “Padre”, con il Figlio riconosciuto “Signore” e con lo Spirito invocato come “datore di vita”, “luce e forza”. Il peccato è rimesso e tolto. E sebbene perduri la condizione incline alla fragilità e al male, il Risorto si ripresenta ai “suoi” rimettendo i peccati e donando la pace. I discepoli amati e redenti da Lui, non solo ricevono la pace ma la rendono agli altri, perfino ai nemici.

    La Confraternita, in quanto spazio di riconciliazione e di pace, è chiamata ad essere il luogo dove si esperimentano ritualmente e vitalmente questi valori. Come si è ricevuto il dono dello “shalom” dal Risorto, è possibile quando si incontra l’altro, il fratello, dire “pace a te” e darla effettivamente agli altri; quando si entra nella propria e nell’altrui abitazione dire: «pace a questa casa!». In un mondo lacerato da odio e da discordie, ogni cellula ecclesiale può risplendere come segno profetico di unità e di pace (cfr. Messale Romano, Preghiera eucaristica Vd). 

    3.6. Ricevere e dare – Entrare in comunione 

    Mangiare lo stesso pane e bere allo stesso calice è partecipare al destino di Gesù Cristo e  alla comunione ecclesiale: inscindibilmente. Non ci può essere comunione con Cristo, senza essere in comunione con la Chiesa e viceversa. Anche in questo momento - il momento della comunione – non c’è spazio per l’intimismo e l’autoreferenzialità: ricevere Gesù nel segno del pane e del vino non significa registrare un beneficio strettamente e unicamente individuale, bensì partecipare alla Pasqua del Signore ed entrare in comunione con i fratelli e le sorelle che mi stanno accanto, senza eccezioni e senza riduzioni. Si è chiamati a ricevere e dare comunione, ad essere uomini e donne di comunione. Questa realtà così forte e alta – talora avvertita come umanamente irraggiungibile – non è frutto di nessuna convenzione umana né di forze psicologiche, ma è grazia di Colui che è stato riconosciuto allo spezzare del pane e dello Spirito che promana dal suo consegnarsi totalmente al Padre per la salvezza dell’umanità. «Il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell’Eucaristia: in essa l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi» (DCE 14; cfr. SCar 15).

    La Confraternita, se è opera di fede e non frutto di convenzioni e calcoli umani, diventa spazio di comunione a partire dal Mistero eucaristico che rende uno, i molti, che unifica menti e cuori, senza massificazioni e mortificazioni. Riflesso eccelso della SS. Trinità[10], il Mistero eucaristico è armonia della diversità, è sinfonia della comunione. Da questa unica fonte scaturisce la vita buona del Vangelo, che in null’altro consiste se non nell’accogliere con gratuità gli altri e nel darsi con generosità agli altri, nel nome di Cristo, per – con – in Lui. 

    3.7. Carità e diakonia – Condividere 

    Una Chiesa che si fermasse al rito e non coinvolgesse la vita, che celebrasse la comunione e non divenisse «serva dell’umanità» (cfr. GS 1) verrebbe meno alla sua identità più profonda, non sarebbe e non rimarrebbe fedele al suo Maestro e Signore. Deporre le vesti e indossare il grembiule è quanto il quarto evangelista riporta nella descrizione dell’ultima cena (cfr. Gv 13), durante la quale, quasi in dissolvenza, l’istituzione dell’eucaristia e il gesto della lavanda dei piedi si sovrappongono fino a confondersi (cfr. MND 28). Se il Mistero eucaristico è il culmine della vita cristiana, ne costituisce anche la fonte per una vita segnata dalla carità e dalla diakonia. Non un cerchio che si chiude in se stesso in un compiacimento narcisistico e ripetitivo, cedendo alla routine, ma un’orbita che si apre continuamente verso le più grandi proporzioni ed esigenti intensità del dono di sé.

    La Confraternita, per sua identità e la finalità che la caratterizza, è aperta al servizio dei poveri e degli ultimi, traendo forza dall’Eucaristia da cui tanto riceve e per cui diviene disposta a dare. La testimonianza del condividere è una nota essenziale e imprescindibile dello statuto esistenziale di ogni forma associativa ecclesiale, come anche la «sollecitudine per i poveri» costituisce «il criterio in base al quale sarà comprovata l’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche» (MND 28; SCar 90-91); non fanno eccezione le Confraternite, idealmente e storicamente. 

    3.8. Missione e testimonianza – Trasformare il mondo 

    Ad immagine del Signore Gesù, mandato dal Padre, la Chiesa è essenzialmente missionaria mandata alle genti, per testimoniare il Dio presente e operante nella storia degli uomini e nella vita di ciascuno. Questa testimonianza non avviene a prescindere dal mondo, ma nel mondo, secondo le condizioni che sono di questo mondo. È vero che - secondo la dinamica giovannea dell’essere “nel” ma non “del” mondo (cfr. Gv 17,11-18) – la lieta notizia e la novità di vita non è estraibile dalle condizioni intramondane, ma è altrettanto vero che il mondo con le sue forme di vita e di cultura non costituisce un vaso da riempire di Vangelo e di Eucaristia, ma uno spazio di interlocuzione evangelica e comunionale. Se la Chiesa e i cristiani sono portatori di novità, è altrettanto vero che essi sono promotori delle culture nella loro genialità, nelle loro risorse e prospettive. Quanto avviene nella trasformazione eucaristica (il pane e il vino diventano Cristo) è quanto deve avvenire nei solchi della storia e negli orizzonti delle culture, senza negazioni e senza menomazioni.

    A partire dall’esemplarità eucaristica, ogni Confraternita, lungi dal compiacersi, contemplando se stessa, è chiamata ad essere ponte della Chiesa nella Società per trasformare e migliorare il mondo. Fuggendo da campanilismi e trionfalismi, il mondo associativo ecclesiale, con la discrezione evangelica del sale, del lievito e della luce (cfr. Mt 5,13-16; 13,33), può offrire il suo contributo per la crescita dell’umanità. Non si tratta di concepire grandi progetti o dar vita a speciose realizzazioni; tante volte – è l’esperienza ce lo insegna – sono i piccoli passi, le piccole cose, i gesti semplici, alla maniera eucaristica, che come una goccia – impercettibile ai più - eleva il livello dell’oceano. Siamo consapevoli e convinti che «un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata» (DCE 14)..

    4. Conclusione 

    È difficile prevedere la risonanza di questa mia traccia di riflessione. Ad alcuni potrà sembrare generica, ad altri utile per qualche spunto, ad altri ripetitiva ed inutile. Lo sforzo è stato quello di non perdere il contatto con la realtà, ma nello stesso tempo di provare a volare in alto non solo per avere una visione d’insieme e qualche particolare in più, ma anche invitare al coraggio ad osare di più per svelare «il volto maturo del laicato che vive nelle nostre Chiese» (RSV 26).

    A costo di essere tacciato di poca originalità e di ricorrere ad un “luogo comune”, desidero, quasi come una consegna, affidarvi il ricordo evangelico lucano (cfr. Lc 5,4) e l’invito, tra i più ricordati, del Beato Giovanni Paolo II, «Duc in altum» (NMI 1), nella consapevolezza che: 

    «Dovunque noi prestiamo l’opera nostra [...] - non importa quale sia la nostra occupazione -, l’Eucaristia è una sfida alla nostra vita quotidiana»[11]. 

    A Maria «donna eucaristica» (cfr. EdE 53-58; MND 10) affidiamo questo nostro desiderio ed auspicio e chiediamo di accompagnare il nostro processo di formazione e di verifica. 

     

    Sigle e documenti magisteriali 

    CD = Concilio Ecumenico Vaticano II, Christus Dominus. Decreto sull'ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa (28 ottobre 1965), in EV vol. 1, nn. 573-701.

    DCE = Benedetto XVI, Deus caritas est. Lettera enciclica sull’amore cristiano, 25 dicembre 2005, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006.

    DD = Giovanni Paolo II, Dies Domini. Lettera apostolica sulla santificazione della domenica, 31 maggio 1998, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.

    DV = Concilio Ecumenico Vaticano II, Dei Verbum. Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione (18 novembre 1965), in EV vol. 1, nn. 493-523.

    EdE = Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia. Lettera enciclica sull’eucaristia nel suo rapporto con la Chiesa, 17 aprile 2003, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003.

    EVBV = Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Elle Di Ci, Leumann – Torino 2010,.

    GS = Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et Spes. Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965), in EV vol. 1, nn. 1319-1644.

    LG = Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium. Costituzione dogmatica sulla Chiesa (21 novembre 1964), in EV vol. 1, nn. 284-445.

    MND = Giovanni Paolo II, Mane nobiscum, Domine. Lettera apostolica per l’anno dell’Eucaristia, 7 ottobre 2004, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.

    NMI = Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte. Lettera apostolica all’episcopato, al clero e ai fedeli al termine del grande Giubileo dell’anno duemila, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2000.

    OIC 1 = Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti per il catecumenato degli adulti (1997).

    OIC 2 = Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni (1999).

    OIC 3 = Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta (2003).

    RSV = Conferenza Episcopale Italiana, «Rigenerati per una speranza viva» (1Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo. Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il IV Convegno Ecclesiale Nazionale, 29 giugno 2007, Paoline, Milano 2007.

    SC = Concilio Ecumenico Vaticano II, Sacrosanctum Concilium. Costituzione sulla Sacra Liturgia (4 dicembre 1963), in EV vol. 1, nn. 1-244.

    SCar = Benedetto XVI, Sacramentum caritatis. Esortazione apostolica post-sinodale sull’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, 22 febbraio 2007, Libreria Editrice Vaticana 2007.

    SS = Benedetto XVI, Spe salvi. Lettera enciclica sulla speranza cristiana, 30 novembre 2007, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007.



    * Per le sigle dei documenti citati nel testo, si rinvia alla fine del presente contributo di riflessione.

    [1] L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Siena 2005, p. 64.

    [2] Cfr. G. Ruta, Kerigma e catechesi in Paolo. Alla ricerca del nucleo centrale e del paradigma originario,  in “Itinerarium” 17(2009) 43, pp. 77-96.

    [3] In questo ambito, si potrebbero portare vari esempi desunti dalla storia. Ci si limita ad uno. L’attuale tradizione associativa salesiana che si richiama alle Compagnie (tra cui quella del SS. Sacramento) volute e praticate da Don Bosco nel suo Oratorio traggono spunto dalle Confraternite presenti a Chieri, in Piemonte, e ivi fiorenti ai tempi della sua fanciullezza e adolescenza. Di qualcuna di esse faceva parte mamma Margherita (Occhiena). Il Santo dei giovani ritradusse per i giovani che frequentavano il suo ambiente educativo quell’esperienza aggregativa popolare.

    [4] Oltre agli espliciti riferimenti magisteriali sull’Eucaristia, si tiene presente la letteratura teologica sull’argomento, in particolare N. Conte, Il pane della vita e il calice della salvezza. Teologia e pastorale dell’Eucaristia, Coop.S.Tom. - Elle Di Ci, Messina Leumann (TO) 2006, cfr. altri riferimenti bibliografici alle pp. 345-349; R. Falsini, Celebrare e vivere il mistero eucaristico, EDB, Bologna 2009.

    [5] L’espressione è patristica: cfr: G. Gharib, Testi mariani del Primo Millennio. Padri e altri autori greci, Città Nuova, Roma 1988, pp. 603, 798.

    [6] La riflessione pastorale e catechetica, dagli anni ’80 in poi, specie in Francia, ha designato con questo termine il campo di interazione, la trama di relazioni interpersonali (forse più per motivi antropologici che teologici). Lieu catéchétique (luogo catechistico), ad esempio, nel lessico francese, sta ad indicare: «uno spazio di relazione, uno spazio di simpatia e di mutuo riconoscimento incondizionato tra due [o più] persone che si aiutano in qualche modo a vicenda a (meglio) conoscere la fede della Chiesa, a porle interrogativi e ad appropriarsela (più) liberamente e perso­nalmente, facendo così del legame che li unisce un luogo ec­clesiale (sempre più) in divenire, un luogo di passaggio (permanente) alla vita della fede nel mondo, nella Chiesa»: A. Fossion, La catéchèse dans le champ de la communication, Èditions du Cerf, Paris 1990, p. 343. Le parentesi tonde nel testo sono dell'autore ed «indicano un processo più avanzato nella fede. Senza queste parentesi, la definizione riguarda gli inizi della fede» (Ibidem, p. 343). Cfr. C. Cesbron, Les lieux catéchétiques, in "Catéchèse" 21(1981) 85, pp.9-19; G. Vogeleisen, Lieu catéchétique, in J. Gevaert (ed.), Dizionario di catechetica, Elle Di Ci, Leumann - Torino 1986, pp.382-383.

    [7] Cfr. Benedetto XVI, Il Dio vicino. L’Eucaristia cuore della vita cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008.

    [8] Messale Romano, Super oblatae, XX settimana per annum. Cfr. H.U. Von Balthasar, Eucaristia dono d’amore, Nova Millenium, Roma 2010.

    [9] Cfr. A. Scola, Eucaristia incontro di libertà, Cantagalli, Siena 2005.

    [10] «Non è senza una felice intuizione che la celebre icona della Trinità di Rublëv pone in modo significativo l’Eucaristia al centro della vita trinitaria» (MND 11).

    [11] Giovanni Paolo II, Omelia a Phoenix Park di Dublino, 29 settembre 1979, n. 5b, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1980, vol. II/2 (1979), p. 417.


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