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    Del modo di amare

    lavandapiedi

     

    «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34). Ma come può parlare di un comandamento nuovo, dirà qualcuno, se già per mezzo di Mose aveva ordinato agli antichi: «Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente (Dt 6,5) e il prossimo tuo come te stesso»? (Lv 19,18; cfr Mc 12,30-31).

    Ecco, dopo aver messo l'amore verso Dio al primo posto, ha aggiunto l'amore scambievole degli uni verso gli altri, unendo insieme il primo e il secondo,come a dirci che non c'è un vero amore di Dio, se a questo non fa seguito l'amore che si deve al prossimo. Tutti infatti siamo fratelli. Onde Giovanni che lo sapeva benissimo e così insegnava agli altri, dice con grande sapienza: «Chi ama Dio, ami anche il suo fratello» (1 Gv 4,21).

    Perchè dunque Cristo chiama nuovo quel comandamento già stabilito nelle leggi antiche? Ma considera con quale garanzia lo usa e vedi quel che aggiunge. Non si accontenta di dire: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13,34); ma per mostrare la novità del discorso, cioè che il suo amore ha qualcosa di più grande e più eccellente di quello richiesto per il prossimo dall'Antico Testamento, aggiunge subito: «come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Dobbiamo scrutare il senso di queste parole e chiederci in che modo Cristo ci ha amati. Solo allora potremo facilmente valutare che cosa ci sia di nuovo e di differente nel comandamento che ci vien dato ora. Gesù dunque, «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,6-8). Insomma, «da ricco che era si è fatto povero», come attesta ancora una volta san Paolo (2 Cor 8,9).

    Riconosci la novità del suo amore verso di noi? La legge comandava di amare il fratello come se stesso. Ma il Signore nostro Gesù Cristo ci ha amati più di se stesso. Se non ci avesse amati così, non sarebbe sceso dalla natura di Dio e dalla sua uguaglianza col Padre fino alla nostra miseria, non avrebbe sopportato per noi una morte così crudele, gli schiaffi dei giudei, le beffe e le ingiurie; in una parola, tutto quello che ha sofferto e che non si finirebbe di enumerare. Se non ci avesse amati più di se stesso, non avrebbe voluto neanche diventare povero, da ricco che era. Inaudita, dunque e nuova è la misura di questo amore. In conseguenza, egli comanda che anche noi ci disponiamo a non preferire nulla all'amore dei fratelli; né la gloria, né le ricchezze, e a non esitare, qualora sia richiesto, di andare persino incontro alla morte, per salvare il prossimo. Questo hanno fatto anche i beati discepoli del nostro Salvatore e quelli che hanno seguito le loro orme, anteponendo la salvezza degli altri alla propria vita; non hanno schivato nessuna fatica e non hanno rifiutato di subire i più gravi mali pur di salvare le anime che si perdevano. Per cui Paolo dice: «Ogni giorno io affronto la morte» (1 Cor 15,31). E ancora: «Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?» (2 Cor 11,29).

    Il Salvatore ci ha comandato di coltivare questo amore,superiore a quello secondo la legge, come radice della più perfetta pietà verso Dio, poiché sapeva che non possiamo piacere a Dio e conseguire i sublimi e perfetti beni,se non seguendo la bellezza di quell'amore che egli stesso ha diffuso nei nostri cuori.

    Dal «Commento sull’evangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo. 


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