Cristo ci ha cercato
sulla terra,
noi dobbiamo cercarlo
in cielo
Quando ritroviamo le cose perdute, proviamo sempre un nuovo e immenso gaudio;ed è gioia più grande per noi ritrovare ciò che avevamo smarrito che non aver mai perduto quanto era ben conservato. Ma questa parabola parla più della divina misericordia che del nostro procedere umano. Abbandonare le cose grandi, amare le piccole, è proprio della potenza divina e non della cupidigia umana: poiché Dio dà l'esistenza alle cose che non sono e va in cerca delle cose perdute,senza abbandonare quelle che ha lasciato; e ritrova le perdute senza perdere quelle che erano custodite. Non è un pastore terreno, ma celeste, e questa parabola non presenta vicende umane, ma adombra misteri divini; ciò appare dallo stesso numero che cita quando dice: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una...» (Lc 15,4).
Vedete che questo pastore ora si è addolorato per la perdita di una sola pecora come se tutto il gregge si fosse sviato e così, lasciate le novantanove pecore, una sola insegue, una sola ricerca, per ritrovare tutte in quell'unica e redimere tutte in quella sola. Ma ormai è tempo che spieghiamo il senso recondito della divina parabola.
Quell'uomo che aveva cento pecore è Cristo, il pastore buono, il pio pastore che in Adamo, come in un'unica pecora, aveva compreso tutto il gregge del genere umano, e l'aveva collocato tra i prati del paradiso nei pascoli della vita; ma quella dimenticò la voce del pastore e prestò fede agli ululati dei lupi; perdette così gli ovili della salvezza e fu tutta ferita da piaghe mortali. Venendo Cristo a cercarla in terra, la trovò nel seno di un campo verginale. Venne nella carne della sua nascita, e innalzandola sulla croce la prese sulle spalle della sua passione; e pieno di gioia per il gaudio della risurrezione, ascendendo al cielo la trasportò fino alla sua dimora. E chiamò gli amici e i vicini (cfr. Lc 15,6), cioè gli angeli, e disse loro: «Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta» (Lc 15,6).
Gli angeli si congratulano e gioiscono con Cristo per il ritorno della pecora del Signore, né si sdegnano vedendola presiedere dal trono della maestà; poiché l'invidia era già stata bandita dal cielo insieme col diavolo, a causa dell'Agnello che ha cancellato il peccato del mondo, né il peccato dell'invidia poteva più penetrare nei superni tabernacoli. Fratelli, cerchiamo in cielo colui che ci ha cercato sulla terra; egli ci innalzò fino alla gloria della sua divinità, e noi portiamolo nel nostro corpo con tutta santità: «Glorificate dunque e portate Dio nel vostro corpo» (1 Cor 6,20 Volg.) dice l'Apostolo. Porta Dio nel suo corpo chi non porta nessun peccato nelle opere della sua carne.
Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo.