Chi non digiuna
per il povero
inganna Dio
Ci sono alcuni paesaggi che ci siamo abituati a vedere. Il grande rischio dell’abitudine è l’indifferenza: niente più ci stupisce, ci scuote, ci rallegra, ci colpisce, ci mette in discussione. Qualcosa di simile può capitare con il triste paesaggio che, con sempre maggiore evidenza, si affaccia sulle nostre strade. Ci stiamo abituando a vedere uomini e donne di tutte le età che mendicano o che rovistano nella spazzatura; tanti anziani che dormono agli angoli delle strade o sulle soglie dei negozi; tanti ragazzi che, nelle notti d’inverno, stanno sdraiati sulle griglie delle prese d’aria del metrò, per ricevere un po’ di calore. L’abitudine porta all’indifferenza: non ci interessano le loro vite, le loro storie, i loro bisogni né il loro futuro. Quante volte, incrociando i loro sguardi imploranti, abbiamo abbassato i nostri e abbiamo tirato dritto.
È, tuttavia, il paesaggio che ci circonda e noi, che lo vogliamo o no, ne facciamo parte. A risvegliare e riscattare dal male dell’indifferenza questo cuore abituato, viene il suono del corno, che il profeta esorta a far risuonare (cfr. Gioele, 2, 12-18) dando inizio al tempo di Quaresima. E la parola di Dio, il quale ama in modo incommensurabile tutti i suoi figli, ci dice con tenerezza: «Ritornate a me con tutto il cuore».
Questo è il desiderio di Dio: che noi, che a volte siamo e viviamo lontani da lui, ritorniamo, non per obbligo, non di malavoglia, non per paura... ma con «tutto il cuore».
Questa è la cosa essenziale del tempo che oggi comincia: accettare l’invito a entrare sempre più nell’intimità del Signore. È una parola d’amore per noi uomini che tendiamo sempre a porre l’accento sugli «adempimenti». Per questo Dio continua a dirci: «Laceratevi il cuore e non le vesti». I nostri gesti, le nostre mortificazioni, i nostri sacrifici hanno valore soltanto se procedono dal cuore, se esprimono un amore. Uno dei pilastri del nostro cammino di preparazione quaresimale è il digiuno; ma esso deve partire dall’amore e portarci a un amore più grande. Il digiuno che Dio vuole consiste sempre nel «dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senzatetto, vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti» (Isaia, 58, 7).
Digiunare a partire dalla solidarietà. Oggi si può digiunare solo lavorando affinché altri non restino senza mangiare. Oggi si può celebrare il digiuno soltanto assumendo il dolore e l’impotenza di milioni di affamati. Chi non digiuna per il povero inganna Dio. Digiunare è amare. Il nostro digiuno volontario deve aiutare a impedire i digiuni obbligati dei poveri. Digiuniamo perché nessuno debba d i g i u n a re . Questo Mercoledì delle Ceneri iniziamo ancora una volta, come Chiesa di Buenos Aires, il “gesto solidale della Quaresima”. E desideriamo che sia la risposta di una comunità di discepoli che si preparano a seguire un cammino di conversione per “fare digiuno” davvero.
Un digiuno che sia segno di solidarietà con tutti quelli che digiunano involontariamente, un segno di giustizia in un mondo crudele dove ad alcuni si dilata lo stomaco perché hanno mangiato in eccesso e ad altri si gonfia l’addome perché non mangiano; un digiuno che non è un’imposizione, ma il bisogno di manifestare la gratitudine per l’amore donato di Gesù che ci ha dato la vita e continua a darcela.
© Osservatore Romano - 1 marzo 2014