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    Annuncio

    e obbedienza

    della fede

    IV Domenica di Avvento A

    Luciano Manicardi

     giuseppeangelo

    L’annuncio della venuta del Signore, che domina l’Avvento, diviene, nella quarta domenica, annuncio dell’incarnazione, della sua venuta nella carne: evento annunciato nella profezia isaiana della nascita di un bambino, un discendente regale (I lettura), manifestato dall’annuncio angelico a Giuseppe della nascita di un figlio da Maria per opera dello Spirito santo (vangelo), proclamato dalla confessione di fede che contiene l’annuncio del Figlio nato dalla stirpe di David secondo la carne e costituito Figlio di Dio secondo lo Spirito mediante la resurrezione (II lettura). Questo annuncio chiede fede e obbedienza: se Acaz, con la sua disobbedienza, mostra la sua incredulità (I lettura), Giuseppe crede all’angelo e gli obbedisce (vangelo); ciò che Dio ha compiuto in Gesù Cristo e che l’Apostolo annuncia agli uomini è volto a ottenere “l’obbedienza della fede” da parte delle genti, ovvero, la fede che si esprime come obbedienza e l’obbedienza che è fondata sulla fede (II lettura). Vi è un intrinseco rapporto tra fede e obbedienza: la fede consiste nell’obbedire e l’obbedienza consiste nel credere.

    Il testo matteano, quello della cosiddetta “annunciazione a Giuseppe”, pone in rilievo la figura di Giuseppe quale uomo di fede e di silenzio. Il silenzio di Giuseppe è segno di forza, di lavoro interiore, di dominio di sé e delle situazioni, di fede. Ed è un silenzio che trova luce nel buio in cui Giuseppe è sprofondato. La gravidanza di Maria mette in crisi la storia che egli stava progettando con lei, eppure il testo biblico suggerisce che non vi è situazione umana, per quanto lacerante o dolorosa o contraddicente, che non possa essere vissuta con umanità e con santità. Se la reazione normale sarebbe stata quella di ripudiare la donna, “Giuseppe, che era giusto, decise di licenziarla in segreto” (Mt 1,19). Invece di ripudiare Maria, abbandonandola al generale disprezzo e compromettendola pubblicamente, Giuseppe sceglie un’altra soluzione, sceglie una via giusta e umana, giusta perché umana. La giustizia di Giuseppe è nel suo essere umano. “Il giusto dev’essere umano” (Oportet iustum esse et humanum: Sap 12,19). Solo questa giustizia, infatti, onora l’immagine di Dio che è nell’uomo, nel creditore come nel debitore, nel santo come nel peccatore. La giustizia umana di Giuseppe guarda alla persona di Maria e non la sacrifica a un’interpretazione letterale delle leggi in cui della persona si vede solo il peccato, la mancanza, l’errore.
    Vi è qui una parola forte che mette in guardia i cristiani dal rischio di inumanità che i rapporti intra-ecclesiali possono sempre conoscere: quando il volto di una persona è cancellato dal suo ruolo, quando i singoli sono sacrificati alle leggi ecclesiastiche, quando le relazioni sono spersonalizzate e funzionali, quando la persona diviene mezzo e non fine. La chiesa “esperta di umanità” (Paolo VI) non può che essere umana, non può che dar prova di questa esperienza con una concreta e quotidiana pratica di umanità. L’annuncio dell’incarnazione diviene anche, per la chiesa, esortazione a essere umana.

    Proprio su questa umanità si innesta la fede che va oltre la giustizia umana e realizza il volere di Dio portando Giuseppe a prendere con sé Maria come sua sposa. Così, lo scandalo diviene rivelazione: l’evento di contraddizione diviene occasione di obbedienza a Dio e di realizzazione della sua opera di salvezza. Non solo Giuseppe non rifiuta, non ripudia, non condanna, ma accoglie, prende con sé, com-prende.

    Questo cammino interiore che conduce Giuseppe all’obbedienza della fede avviene tramite la sua riflessione, il suo pensare (Mt 1,20) e tramite l’accoglienza della Parola del Signore, condensata nella citazione scritturistica di Is 7,14 (Mt 1,22). Il sogno, in effetti, nel mondo biblico è mezzo di rivelazione in quanto veicolo di una Parola di Dio. L’elemento decisivo nel sogno non è la visione, ma la parola: “In sogno io parlo a lui”, dice Dio di Mosè (Nm 12,6). All’epoca di Gesù, il sogno era chiamato “piccola profezia”: al cuore della notte e del sonno simbolo della morte, il sogno sorge come una piccola luce che può rischiarare la vita.


    T e r z a
    p a g i n A


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