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    Al proprio posto

    Commento alle Letture della domenica XXII C

    Enzo Bianchi

    peccatrice perdona

     

    Un giorno di sabato, mentre Gesù è a pranzo presso un capo dei farisei, «osservando come gli invitati scelgono i primi posti, dice loro una parabola…». Gesù osserva attentamente gli eventi quotidiani in cui è immerso, traendone preziosi insegnamenti: la sua sapienza, oltre che dalla relazione di fede con il Padre, nasce dalla sua adesione alla realtà; anzi, egli è capace di narrare l’agire di Dio proprio a partire dagli avvenimenti più ordinari, compresi dal suo cuore che sa ascoltare (cf. 1 Re 3,9).

    In questo caso Gesù narra una parabola con cui mette in guardia dal protagonismo di chi cerca i primi posti nei banchetti, rischiando di essere retrocesso all’ultimo posto dal padrone di casa, qualora arrivi un ospite più ragguardevole di lui (cf. Pr 25,6-7). Gesù conosce la smania umana di primeggiare, quella di chi «ama i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti» (Lc 20,46), spesso semplicemente per apparire potente agli occhi altrui. Per questo ammonisce a non presumere di sé, ma a saper restare con obbedienza al proprio posto, quello che Dio assegna a ciascuno di noi. E nel caso si debba scegliere un posto, Gesù chiede di optare per l’ultimo, come ha fatto lui stesso, il Maestro «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), il quale «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, anzi alla morte di croce» (Fil 2,8): per questo Dio lo ha esaltato, richiamandolo dalla morte alla vita eterna (cf. Fil 2,9-11).

    Di seguito Gesù pronuncia un detto divenuto celebre: «Chi si esalta sarà umiliato; chi si umilia sarà esaltato». Di fronte a Dio ogni uomo è posto nella giusta collocazione, e la mano del Signore compie l’esaltazione degli umili e l’abbassamento dei superbi (cf. 1Pt 5,5-6), come canta il Magnificat (cf. Lc 1,46-55). Occorre però ricordare che la cosiddetta «umiltà» è una virtù difficilissima da vivere, sulla quale sarebbe meglio tacere, perché si rischia di ingenerare atteggiamenti perversi, alla ricerca di meriti speciali, finendo per incoraggiare proprio quei comportamenti contestati da Gesù. Meglio sarebbe parlare di «umiliazione», perché solo accogliendo le umiliazioni che ci vengono da noi stessi, dagli altri e da Dio potremo scoprire la nostra radicale povertà e accedere all’umiltà: solo chi accetta le umiliazioni e le assume nella fede è davvero umile!

     


    T e r z a
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