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    Per una letteratura

    d'ispirazione cristiana

    Ferdinando Castelli

     

     

    Per impostare bene l'argomento - per una letteratura d'ispirazione cristiana - prendiamo le mosse da tre moderni autori classici.

    Nel dramma Spettri di Henrik Ibsen il giovane Osvaldo è minato da un male oscuro che lo porta al delirio e al desiderio della morte. Deve scontare i vizi del padre e le menzogne della madre. Il male lo coglie in maniera violenta al sorgere del sole. Immobile, le spalle contro la luce, la voce sorda e atona, invoca: «Il sole... il sole...». E si immerge in un torpore di morte.

    In Lazzaro Luigi Pirandello mette in scena la piccola Lia, incapace di reggersi sulle gambe. Condannata all'immobilità? Per tutta la vita terrena, sì. Ma nell'aldilà avrà le ali e potrà volare. Quando si viene a sapere che l'aldilà non esiste, la bambina precipita in una sorda disperazione. «Le mie alucce! Le alucce d'angeletta... Dovevo averle in cambio dei piedi che mi sono mancati per camminare sulla terra... Addio voli lassù!...». Senza la speranza dell'aldilà (che per Pirandello è illusione) non si può vivere. Lucio, fratello di Lia, per ridare alla sorellina la speranza (l'illusione) dell'aldilà, riveste la tonaca di prete, che aveva abbandonato, e si immola, come Cristo che è morto per darci la speranza (l'illusione) dell'aldilà.

    In un racconto Franz Kafka così fa dire a un personaggio: «Per fortuna scorsi un agente nelle vicinanze. Corsi da Lui e, col fiato in gola, gli domandai la strada. Mi disse sorridendo: - È da me che vuoi sapere la strada? - Sì - gli dissi - perché da solo non la posso trovare. - Rinuncia, rinuncia, - disse voltandosi d'un tratto, come quelli che vogliono ridere da soli».

    I tre episodi ci fanno comprendere il significato di fondo della letteratura. Non è un gioco, un divertimento o un'evasione; è un'interrogazione sull'uomo: sul suo destino, sul suo confrontarsi con la vita e con la morte, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla coscienza, su Dio e sulla storia: Reagendo ad una concezione prettamente formale della letteratura, il nostro tempo ne sottolinea il suo valore di rivelazione e di profezia. La letteratura «è una strada, e forse la strada più completa per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra coscienza», afferma Carlo Bo (Letteratura come vita, Milano Rizzoli, 1994); «È un'esplorazione dell'abisso: quello dell'autore e anche il nostro» incalza p. André Blanchet (La littérature et le spirituel, Paris, Aubier, 11). La scrittrice statunitense Flannery O'Connor sostiene che «compito della narrativa è incarnare il mistero attraverso le maniere (i generi letterari, lo stile), il mistero della nostra posizione terrena e le maniere che sono quelle convenzioni che, nelle mani dell'artista, rivelano quel mistero» (Nel territorio del diavolo, Milano, Theoria, 1993, 85).

    Con la magia della parola, delle immagini e dei simboli, facendo leva sulle potenze dell'anima, soprattutto del sentimento e dell'immaginazione, la letteratura fissa lo sguardo sull'uomo nel tentativo di comprenderne la struttura, i fremiti, le nostalgie, le esigenze, la storia. Insomma il mistero. Quali sono le sue esigenze più avvertite? Negli Spettri Ibsen risponde: il sole (la verità, la luce, la vita); inLazzaro Pirandello indica la speranza nell'aldilà (nel quale si realizzino i nostri desideri fondamentali); Kafka parla di strada (dove andiamo? Quale direzione dobbiamo prendere?). Ma il sole, invocato da Osvaldo, si spegne nella sua follia; la speranza della piccola Lia è soltanto illusione; la strada che cerca Kafka o non esiste o è introvabile.

    La lettera mette a nudo gli abissi che abitano l'uomo, ma quasi mai getta in essi una luce che ne rileva il senso. Descrive, mostra, analizza, non spiega. Come potrebbe, dal momento che «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo?» (Gaudium et Spes, n.22).

    A questo punto si presenta il problema di una letteratura d'ispirazione cristiana. Impostiamolo chiaramente. Ambito della letteratura non è certamente il dogma o la fede, ma la vita nella sua espressione più vasta; la vita, cioè, con le sue ambiguità, miserie, oscurità, conquiste, capacità, esperienze. Ora lo scrittore non è una macchina che scrive, è una persona che ritrae il dramma dell'esistenza. Da lui si richiede onestà e fedeltà nel ritrarre questo dramma , non che cessi di essere una persona che pensa con la sua testa. Non deve alterare o violentare la realtà, ma può interpretarla, giudicarla. Se è cristiano, la sua fede e la morale evangelica gli offriranno gli archetipi per interpretare e giudicare, quanto possibile, il dramma umano.

    «Uno scrittore che faccia professione di cattolicesimo - scriveva Giovanni Cristini - a me pare il più qualificato ad affrontare l'inferno dell'esistenza e l'inferno della scrittura. E proprio per il fatto che egli sa che la vita è altrove è meglio attrezzato a cogliere con lacerante partecipazione il dramma del limite, della finitudine, della precarietà, insomma il dramma del male metafisico (la creaturalità dell'essere) e del peccato originale, in cui si radicano tutti i modi e le forme possibili dell'esistenza e della coscienza; modi e forme che lo scrittore ripercorre nel suo fervido immaginario, alla caccia di quella conoscenza del bene e del male che è la conoscenza stessa dell'uomo e del suo destino»(Il ragguaglio librario, 1992, 7/8).

    Per inoltrarsi nel mistero dell'uomo e sforzarsi di comprenderlo, Julien Green, scrittore dichiaratamente cattolico, si fa guidare dalla verità contenuta nella seguente espressione: tout ce qui est vrai est ailleurs. Pertanto egli rifiuta la verité de roman (la piatta realtà che inganna e seduce), la verité conventionelle (che elude i veri problemi e aliena la mente) e opta per la réalité de visionche può essere raggiunta soltanto dallo «sguardo di uno che sa»: sa che la storia è governata da Dio-Amore, sa anche dell'esistenza di una realtà misteriosa, nascosta nel nostro io profondo, generata dalla notte, sa che l'uomo è il campo di battaglia di due forze nemiche che si disputano la sua anima; sa che nel regno del male c'è schiavitù e disperazione; sa che il peccato è come una diga che si squarcia e devasta; sa che «il paese d'altrove ossessionerà sempre l'umanità»; sa che Dio, per entrare nel nostro cuore, lo spezza, sa che il «cristiano ha bisogno di Dio come il pesce ha bisogno dell'acqua». Tante altre cose sa, rivelategli dallo Spirito che abita in lui.

    Grazie a questa ricchezza di conoscenze, lo scrittore è in grado di proiettare sulla realtà che descrive una luce penetrante che giustifica il mistero dell'uomo. Si pensi alle opere di Dostoevskij, Léon Bloy, Charles Péguy, Graham Greene, Flannery O'Connor, Georges Bernanos, Paul Claudel, Mario Pomilio, Julien Green. Per costoro non esistono due mondi, il naturale e il soprannaturale investe tutta la realtà, la spiega anche, quando possibile. Riescono anche a presentare il mistero attraverso il sociale, la Grazia attraverso la natura, la Presenza attraverso le brutture.

    Qualche semplificazione? La protagonista del Lino della Veronica di Gertrud von Le Fort vive arroccata nell'odio e nel rifiuto di tutto. Lo squallore della sua vita è impressionante. Come è successo? La cattolica von Le Fort risponde, ma sottovoce, mentre accompagna il suo lettore per le bolge dell'inferno che gli mostra: quando si rifiuta Dio e al suo posto si mettono le creature, ci si condanna all'inferno.

    In Groviglio di vipere François Mauriac descrive l'inferno che è la vita di un vecchio avvocato. Perché, un inferno? Perché nulla -onori, ricchezza, piaceri - lo soddisfa? Il vecchio non lo sa, e si dispera; il cattolico Mauriac lo sa: perché l'uomo è creato per l'amore (soprattutto per l'Amore) senza cui la vita è squallore. Questa verità Mauriac non l'afferma, la fa scaturire dalla presentazione di un uomo che ha tutto ma non l'amore (l'Amore).

    Di una letteratura d'ispirazione cristiana oggi c'è un grande bisogno. Nella Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente il Santo Padre parla di «strade sbagliate» sulle quali l'uomo «tende ad inoltrarsi sempre più». E aggiunge: «Satana lo ha ingannato persuadendolo di essere egli stesso dio e di poter conoscere, come Dio, il bene e il male»(n.7). Su queste strade i valori cristiani sono scomparsi.

    Crediamo che la magia dell'arte possa scuotere quest'uomo. Quando poi tale magia è ammantata di luce cristiana può succedere che le «strade sbagliate» si trasformino in «strade di salvezza». È un traguardo esaltante e urgente.

    Perché si abbia una letteratura d'ispirazione cristiana sono necessari quattro elementi: che lo scrittore conosca bene il suo mestiere: comunicare emozioni, raggiungere profondità dell'anima e farne sentire i fremiti; che viva la sua fede dal di dentro, come parte del suo essere; che si cali nella storia di oggi, e la descriva così com'è, senza però dimenticare la dimensione religiosa dell'uomo; che abbia l'arte e il coraggio della provocazione.

    «La provocazione cristiana - affermava Mario Pomilio in un convegno su "La provocazione cristiana e lo scrittore" (1975) - è nel portare la letteratura sulla spirale verticale, come espressioni di valori, di inquietudini, d'interrogazioni esistenziali, in una ricerca autentica di finalità: cioè di affermazione di principi e di proposte sul destino dell'uomo, sotto il segno della speranza e della rinata fiducia nella Parola, in un mondo dilacerato da opposti dogmatismi avvilenti e disperanti».

    Alla vigilia del Giubileo questo dell'umile e grande Pomilio è un testo che gli scrittori d'ispirazione cristiana devono accogliere con intelligenza d'amore. Con la magia della parola, delle immagini e dei simboli, facendo leva sulle potenze dell'anima, soprattutto del sentimento e dell'immaginazione.


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