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    «Scandalo» e mistero

    del sacerdozio cattolico

    Ferdinando Castelli

    «Questa pietra di scandalo per tanti spiriti ribelli, il prete, [..] costituisce in mezzo a noi il segno sensibile del Cristo vivo  [....]. Uomini ordinari, simili a tutti gli altri, chiamati a diventare il Cristo quando levano la mano sulla fronte di un peccatore che confessa í suoi falli e domanda perdono, o quando prendono il pane fra le mani "sante e venerabili", o quando alzano il calice della nuova alleanza e ripetono l'azione insondabile del Signore stesso».
    (F. Mauriac)

     

    Nell'ultimo capitolo de Il figlio dell'uomo, Franςois Mauriac parla del «mistero» del sacerdozio cattolico. «Mistero» e «scandalo», perché «uomini ordinari, simili a tutti gli altri, sono chiamati a diventare il Cristo». [1] Dinanzi a questa realtà Mauriac curva il capo, adora e ringrazia Dio per essere il «Dio-con-noi»; altri scrittori restano perplessi per la luce del mistero, troppo intensa; altri infine si arroccano nell'agnosticismo: il mistero non si addice all'uomo, dicono. Così il sacerdote diventa un segno di contraddizione, come Cristo.
    All'interrogativo: com'è visto il sacerdote nella letteratura contemporanea? non è possibile dare una risposta univoca. Ogni scrittore lo vede in una diversa angolatura. Ci sono però sfondi comuni che variano di epoca in epoca. Fino ai primi decenni del Novecento, sotto l'influsso del positivismo, il prete è visto prevalentemente sotto l'aspetto sociale o filantropico: è un «arrivato», soddisfatto e gaudente (Balzac e Flaubert, Zola e Verga); è una persona utile alla società (Hugo); è un individuo assetato di potere e di prestigio (Stendhal).
    Col Novecento si ha un mutamento di sfondi. Alcuni scrittori - soprattutto Georges Bernanos, Mauriac, Graham Greene - con un'audacia degna del loro genio, osservano il prete con occhi nuovi: vogliono scrutarne il mistero, poiché - ne sono convinti - egli è detentore di un mistero, soprannaturale per giunta. Si opera in tal modo un cambio di prospettiva: il prete non interessa tanto come uomo quanto come persona che si differenzia da ogni altra per un carattere sacro straordinario. Occorre fare delle riserve su Il potere e la gloria di G. Greene, ma non si può negare la forte impressione che suscita l'incontro di un prete, alcoolizzato e alla deriva, nel quale abitano il Potere e la Gloria dell'Altissimo. È naturale che la sua presenza inquieti, disturbi, incuriosisca: perché il prete interpella ognuno di noi.
    Studiamone gli aspetti più salienti guidati dagli scrittori del nostro tempo.

    Il sacerdote come sintesi di contrari

    Il sacerdote è una figura in cui confluiscono e cozzano gli elementi più contrastanti: corpo e spirito, forza e debolezza, umanità e divinità, tempo ed eternità. Bernanos soprattutto mette in risalto questo aspetto. In Sotto il sole di Satana [2] l'abbé Donissan è umanamente sprovvisto delle qualità necessarie per essere un buon parroco: rozzo, inesperto, senza una vera dignità, privo di gioia e di misura, tormentato e disperato. Eppure riesce a «dare a piene mani la pace di cui è sprovvisto», a stanare e sfidare il Maligno, a indicare con chiarezza taluni elementi fondamentali per raggiungere la santità. In questo rozzo prete abita la potenza della Grazia e la luce dello Spirito Santo, tanto che l'aristocratico e colto abbé Menou-Ségrais gli confessa: «È lei, a formare me», «lei mi ha rovesciato come un guanto».
    Dove la sintesi dei contrari risulta più insistente, anche se meno marcata, è nel protagonista del Diario di un curato di campagna, l'abbé di Ambricourt. Bernanos qui presenta un prete meno rozzo e contorto di Donissan, ma egualmente debole e disarmato dinanzi alla realtà quotidiana, malato e solo. Avverte l'esigenza di combattere il male che devasta le anime a lui affidate, ma non ne è capace. Si sente un fallito. Eppure in lui alberga una forza misteriosa che l'oltrepassa e lo trasfigura. Alla contessa, murata nell'astio e nel rifiuto, che gli dice: «Questo focolare, Reverendo, è un focolare cristiano», dà una risposta che inchioda al muro: «Cristiano!... Certo, signora, voi vi accogliete Cristo, ma che ne fate? È stato accolto anche in casa di Caifa [...]. Che cosa importano a Dio il prestigio, la dignità, la scienza, se tutto ciò non è ché un sudario di seta su un cadavere putrefatto?». [3] In queste battute Bernanos vuole evidenziare il paradosso del prete, debole e forte nello stesso tempo. Debole nella sua persona, forte per il potere di cui è stato investito.
    La tematica del sacerdote sintesi di contrari è stata recentemente ripresa da Pasquale Maffeo in Prete Salvatico. [4] Un parroco, sospeso a divinis, lascia il paese, di notte, come un appestato. Tutti lo ritengono traditore del suo impegno sacerdotale. In realtà, la sua colpa è di altro genere. Si era reso conto di quanto sia difficile il cammino del prete; sapeva che alcuni «si erano persi. Subissati». Eppure ogni mattina costoro salivano l'altare a consacrare il pane e il vino. Come era possibile? «Fu lì, allora, che mi separai. Dubitai che un uomo fatto prete - chissà perché fatto, per quali gradini salito all'altare - un pover'uomo della terra, dico, con la sua pochezza, coi suoi bassi pensieri, in un rito che la consuetudine affretta e logora, dubitai che pronunciando semplici parole su semplici gesti possa elevarsi fino a creare l'Increato, dare vita a Lui, al solo che nella sua giustizia dona e toglie la vita».5 Dopo anni di smarrimento e di vagabondaggio, vecchio e prossimo alla morte, ritorna al paese distrutto dal terremoto. Qui lo attende la misericordia di Dio e la pace. Ha capito il paradosso del sacerdozio. «Sarà anche uomo, un prete, fino che spira: solo, additato, sospettato, odiato. Deve stare al mondo e tenersi estraneo alle torbide cose e passioni del mondo. Piedi nel fango, spirito nella luce. Deve morire per rinascere. Bruciare tutto, per essere degno (p. 81).
    Maffeo suggerisce che essere prete è arduo, ma esaltante perché permette di agganciare la terra al cielo, la morte alla vita. Se la vita umana è avvolta nel mistero, la vita di un prete è una concentrazione di mistero: mistero divino-umano, che esalta e sgomenta. È possibile viverla soltanto all'ombra della fede. È, questo, il tema di fondo del romanzo.
    Accanto all'abbé Donissan di Bernanos possiamo collocare don Michele Ingabbietta, protagonista del romanzo Perfetta letizia di Pietro Mignosi (1895-1937), [5] tra i più importanti del primo Novecento. In esso l'Autore ha inteso mettere in risalto l'essenza sacerdotale: la spiritualità, la luce interiore della fede e la misteriosa forza che da essa si sprigiona, e ciò nonostante la miseria del fisico. Don Michele è un prete, dimesso, di nessun prestigio sociale. «... si guardò le sue povere dita nodose e brulle, e le palme opache e callose, e le unghie piatte e dure, e si meravigliò che Dio, nella sua infinita misericordia e condiscendenza, potesse servirsi di quelle luride mani per rinnovare il miracolo e mistero dell'Incarnazione». Sì, è un prete apparentemente meschino e di poco conto, ma con la sua pazienza nel sopportare soprusi e ostruzionismi, con la sua bontà e mitezza riesce ad attirare le persone e portarle a Dio. Il suo sacerdozio si diffonde e si afferma in «perfetta letizia» per quanti lo accostano.
    Il romanzo di Mignosi eccede in talune rappresentazioni e può suscitare disappunto per l'insistenza su particolari aspetti, ma s'impone per forza di contenuto e validità letteraria.

    Quello «scandaloso» "potere" del prete che è anche la "gloria" di Dio

    Il potere e la gloria di Grahm Greene [6] è un romanzo sconvolgente. Protagonista è un prete che una serie di vicende ha ridotto a uno straccio. L'azione si svolge nel Messico, al tempo della persecuzione religiosa. Braccato dalla polizia perché prete e perché dedito all'alcool, si sposta da un luogo all'altro, come un cane randagio, nella speranza di salvarsi rifugiandosi all'estero. Impossibile. È l'unico prete rimasto nel Paese; e quando la gente sa della sua presenza, lo assedia per ricevere i sacramenti.
    E lui non può rifiutarsi. È un alcoolizzato, non prega più, ha tradito il celibato, vive nel sacrilegio, col suo esempio rovina le anime. Tutto vero. «Ma era pure da lui che prendevano Dio sulle loro bocche... Senza di lui sarebbe stato come se in tutto quello spazio tra il mare e le montagne Dio avesse cessato di esistere». Il potere, che neanche gli angeli hanno, di consacrare il corpo di Cristo e di perdonare i peccati, in lui era come deposto nella melma. Era come se portasse addosso la sua condanna come si porta la pelle; come se avesse nelle viscere una perla che dà brividi di dolore. Muore per compiere un atto di carità: un meticcio gli fa credere che un moribondo chiede di confessarsi, invece lo consegna alla polizia per guadagnarsi una buona taglia.
    Martire o vittima del peccato? Salvo o dannato? Greene non risponde. Vuole soltanto ricordarci che spesso Dio, per far risplendere maggiormente la sua gloria, sceglie gli strumenti più vili e insignificanti. «[.. .] anche se tutti i preti fossero come me, ubriaconi, avidi, vigliacchi, questo non cambierebbe nulla, perché essi potranno sempre dare Dio agli uomini». La gloria di Dio è appunto questo suo restare tra noi, con la potenza salvifica della sua Grazia, nonostante la nostra miseria.
    A proposito del prete del romanzo, padre Doncoeur, nella rivista Études, scriveva: «Se il sacerdozio vive al centro del cuore di questo disgraziatissimo uomo, se questa sorgente segreta che la sedimentazione di cose morte non ha potuto impedire di zampillare in una sorgente di acqua pura, questa è la prova evidente che Dio, dopo tutto, è più forte della nostra miseria». [7]
    Graham Greene parla di potere e di gloria che conferiscono al sacerdote una nuova dimensione; altri autori parlano semplicemente di una presenza di Cristo nel sacerdote, così viva che basta avvicinarlo perché la Grazia si metta in moto. Tra questi ricordiamo Michel de Saint-Pierre, autore del forte (e discusso) romanzo I nuovi preti. Il seguente brano lo sintetizza: «Non potete immaginare che cosa rappresenta l'incontro con un prete per un non credente. Poco importa quale non credente [...]. Rischia di essere segnato per sempre in un senso o nell'altro [...]. Abbiate dunque l'audacia e la semplicità di dire: Sono un prete. Il Cristo è morto per tutti voi, io non sono che un testimone fra voi e la mia povera figura d'uomo getta un'ombra che ha la forma di una croce. Se direte questo chiaramente, ve lo garantisco, non fallirete le anime». [8]
    Se ogni cristiano è sacramento di Cristo, molto di più lo è il prete perché in lui opera il Redentore. Questa verità spalanca dinanzi ai nostri occhi due abissi: la miseria umana e la misericordia di Dio. Il sacerdozio è come un ponte che congiunge le sponde e trasforma la terra in un tempio. Alcuni narratori intuiscono il mistero di questi due abissi, conseguentemente si accostano al prete con stupore e curiosità, interessati al mistero che fa di lui «un Altro, infinitamente a lui superiore». [9] La presenza di questo «Altro» dà alla narrativa e alla drammaturgia sul sacerdozio un richiamo inconfondibile. I preti di Graham Greene, anche se dediti all'alcool e imbrattati di peccati, sono più veri del vescovo Myriel - mirabile filantropo - presentato da Victor Hugo ne I miserabili.

    «Non sono solo»

    La presenza di Cristo come elemento caratteristico del prete è il leitmotiv di Non sono solo di Luciano Radi. [10] In esso l'autore sviluppa le tematiche del precedente Un grappolo di tonache, focalizzandole su un solo personaggio. Protagonista è un vecchio parroco, anima semplice e profonda riflessa negli occhi chiari. Il placarsi dell'attività pastorale e l'esodo dei giovani dalla campagna lo hanno aiutato «a scendere nelle profondità del suo io, alla ricerca della radice del suo essere». Quali realtà quivi scorge? Dio, innanzi tutto. «Quando scavi per trovare il tuo io, in fondo al pozzo del tuo essere, trovi senza volerlo Dio» (p. 11). Questo incontro gli dà, in un primo momento, la sensazione della vertigine e del buio: «Avevo il brivido di chi precipita nel vuoto, mi sembrava di concludere nel nulla la mia vita di pastore».
    Il brivido dura poco. Al suo posto subentra la gioia della Presenza, l'incalzare della Luce, il dischiudersi dell'Amore. Si opera così una trasfigurazione della realtà: tutto assume dimensione nuova, sapore di eternità, valore di redenzione. In questo sfondo di fede, la vecchiaia del prete conta relativamente. Conta soprattutto la sua capacità di amare e di soffrire per la redenzione della sua gente: e questa si dilata nel restringersi nella sua attività pastorale. «Sono come la fonte che è al centro del paese, corrosa dal tempo, ma ricca di acqua pura per la sorgente lontana che l'alimenta» (p. 14).
    Inutile, il vecchio prete? Se vive con Dio e lo indica agli altri, la sua presenza è una benedizione. Una donna, provata dal dolore, gli ha detto: «Abbiamo bisogno di vedere la vostra fiaccola sopra il moggio, perché ci indichi la strada, nel dolore e nella fatica. Insegnateci a nobilitare il nostro sacrificio agli occhi del Signore perché abbia un senso. Soffrire senza sapere perché, porta fatalmente alla follia» (p. 19).
    Non è importante fare, è importante essere, in quel «paese di vecchi stanchi e malati, di donne devastate dalla fatica e dalla pena per i figli lontani» (p. 13). Essere segni della presenza di Dio tra noi, messaggeri, dunque, di speranza e d'amore. C'è compito più esaltante? Egli intende realizzarlo in pienezza e trasformare la sua vecchiaia in irradiazione di vita.
    Il vecchio parroco ha capito che per essere segni di Dio bisogna essere pieni di Dio, avanzando sulle orme di Cristo, anche verso il Golgota, se questa è la Sua volontà. Ha capito anche che la ricchezza del prete è la sua vita interiore, alimentata di preghiera e di sacrificio. «Allora Tu, infinito, penetri nella mia finitudine e l'unione è così perfetta che tutto il mio essere è in Te. E io sono già in cielo» (p. 97). L'unione trasformante bussa alla porta. «Si rimane prima abbagliati; sembra di essere ciechi, non si vede più nulla, si sente anzi fastidio, angoscia; ma poi la Sua luce e il Suo calore sublimano l'anima, e il corpo docile la segue. Tutto il nostro essere brucia dello stesso Suo fuoco» (p. 91 s.).
    Così Luciano Radi vede il prete: un concentrato di Fuoco, che diffonde Calore.

    Il sacerdozio non elimina l'umanità. La potenzia e l'abbellisce

    Nella prefazione al suo romanzo Il Cardinale H. M. Robinson [11] scrive: «Pur concedendo che l'anima sacerdotale è una soglia invalicabile, ritengo che la vita ecclesiastica offra al romanziere un genuino interesse, anche come campo assai trascurato. Come scrittore, da lungo tempo fui compreso da stupore e riverenza per la funzione sacerdotale. Ne Il Cardinale ho cercato di esprimere questi sentimenti descrivendo un sacerdote tanto dotato come tale quanto umano, nel compimento della sua missione di mediatore consacrato fra Dio e gli uomini».
    Robinson intende ricordarci che il «carattere» sacerdotale non elimina l'aspetto umano, anzi lo esige, lo potenzia, lo illumina. Stephen Fermoyle, protagonista del romanzo, è pienamente prete e pienamente uomo: ciò lo rende autentico e simpatico. Certo è tra le figure di preti più riuscite nella narrativa del nostro tempo. Perché sano e normale, avverte il fascino femminile e il richiamo dell'amore umano. Aveva incontrato la contessa Ghislana Falerni, e ne era rimasto colpito. Quando la rivede, dopo sette anni, la sua bellezza, l'armonia della sua voce, il suo tratto avvincente investono l'animo di lui e tentano d'invadere il santuario del suo sacerdozio. Fermoyle ne è allarmato e risolve di lottare, senza indugi. «A poco a poco l'immagine di Ghislana Falerni svanì, la sua voce divenne più fioca. Come l'onda che lentamente si ritrae dalla spiaggia, si ritrasse dal cuore di Stephen e lo lasciò solo davanti al tabernacolo». La tentazione ritornerà a insidiarlo perché il sacerdozio non preserva dal male, talvolta anzi ne acutizza i richiami, ma la fedeltà alla preghiera e il ricorso ai sacramenti avranno il sopravvento. Il Cardinale è tra i romanzi più riusciti sul sacerdozio cattolico.
    Fermoyle è una personalità completa perché in lui le esigenze del sacerdozio non hanno distrutto ma trasfigurato il richiamo dell'amore di una donna. Trasfigurato, dunque portato in una sfera superiore, dilatato, potenziato. Quando ciò non avviene, e si resta semplicemente rinunciatari, il sacerdozio diventa opaco e l'umanità si decurta. È quanto risulta da varie opere letterarie, per esempio dal romanzo Quell'antico amore di Carlo Laurenzi e dal dramma Incontro al parco delle terme di Diego Fabbri.
    Protagonisti sono due cardinali, vissuti senza amore. Il primo confessa di aver subìto non amato il suo celibato, col passare degli anni. «Quante donne ho ammirato, struggendomi silenzioso per loro; come sono state crude le rinunce; e come grande era l'amore al quale fui chiamato nella purezza, in nome di una Croce lontana. Era stata una scelta, un cuore riarso l'ha ripudiata [ ...]. Gesù era una stella spenta, nella notte del mio cielo. Gesù, capo invisibile della Chiesa che mi ha segnato con il suo marchio sacro». [12] S'incamminerà verso la morte, sì, nella Chiesa, ma senza anima perché senza amore. Quasi da morto.
    Nel dramma di Fabbri [13] sono messi a confronto un ex prete e un cardinale. Il primo ha lasciato il sacerdozio per una crisi di fede: crede nella passione e morte di Gesù, e lo venera come redentore (umano) dell'umanità, ma non nella Chiesa della Risurrezione, opera di Giuda perché fondata sulla ricchezza, sul miracolo e sul potere. Emigrato sotto falso nome, si è battuto in favore dei poveri e degli oppressi, ha trovato la serenità nell'amore di una donna. Il cardinale è stato vittima della lussuria del potere che lo ha reso arido, pragmatico, servo e custode dell'ordine costituito. Senza Dio e senza speranza, perché senza amore. Due esistenze, due scelte di fondo, due destini. Quale il più squallido? Indubbiamente quello del porporato. Senza amore la vita s'inaridisce. Soprattutto quella del prete.

    Si può amare una donna e restare preti?

    È l'interrogativo che Rodolfo Doni si pone in due romanzi, Servo inutile e Altare vuoto. [14] L'autore, cattolico militante, dibatte il problema dall'interno della Chiesa, senza nascondersi la sua gravità ed esprimendo un proprio convincimento. In Servo inutile si narra di Enrico Cini, giovane prete, colto, onesto, generoso. Senza volerlo, s'innamora della nipote adottiva, Claudia, e con lei vive un amore profondo e benefico, che coinvolge anima e corpo e gli permette di scoprire una nuova dimensione della vita. Il conflitto tra la fedeltà all'impegno ministeriale e all'amore per la donna gli si presenta presto in tutta la sua drammaticità. Gli interrogativi incalzano. «Ma perché al sacerdote, cui più che a ogni altro uomo è comandato l'amore, poi è negato questo sentimento umano che è l'amore della donna e dei figli?» (p. 7). Se il prete deve aprirsi agli altri, perché non gli è consentito il matrimonio che è l'apertura più nobilitante e più completa? Perché considerare antitetici l'amore per Cristo e l'amore per Claudia? Può egli, in nome di una legge ecclesiastica, abbandonare la ragazza?
    Altare vuoto riprende e sviluppa la vicenda di Servo inutile. È il resoconto -quasi un coraggioso esame di coscienza - del tormento di un prete che non può celebrare l'Eucaristia perché sposato. «Sì, mi strazia il cuore il pensiero del mio altare vuoto e dei tanti altari vuoti sopra la terra, vuota essa stessa del suo Creatore» (p. 114). Gli eventi - familiari, sociali e ecclesiali (che conferiscono al romanzo spessore narrativo) - determinano in Enrico una grave crisi dalla quale uscirà faticosamente, percorrendo il sentiero della carità che si dona, dell'umiltà che si dimentica, della fede che si abbandona. Resterà accanto a Claudia, ma avrà anche il coraggio di riaccostarsi al suo «altare vuoto», anche senza celebrare l'Eucaristia, e dedicarsi al «servizio umile» di coloro che ha incontrato e poi via via lasciato.
    I temi affrontati da Doni sono molti e incalzanti. Tre soprattutto: il dolore, l'autoritarismo e le chiusure della Chiesa-istituzione, il celibato. Su quest'ultimo, pur muovendosi sul terreno dell'obbedienza al Papa, Doni lascia comprendere che le sue preferenze vanno al celibato opzionale. È convinto che l'amore di una donna, il donarsi totalmente alla sposa e ai figli, e l'esperienza della famiglia sia per il clero un valido aiuto alla maturazione e alla completezza umana.
    «Ci sono alcuni uomini privilegiati, è vero, dotati di un più di amore, che sanno darsi agli altri d'istinto. Sono rari, sono i veri prediletti di Dio, ma ci sono. Dovremmo essere così tutti noi preti. Donarci d'istinto. Ma non siamo così. La solitudine ci inaridisce e inasprisce talora; talora blocca anche la generosità di coloro che vorrebbero darsi al ministero; e allora perché non introdurre il celibato opzionale...?» (p. 85).
    Le pagine sul celibato (cfr soprattutto il cap. IX) sono patetiche, riflettono anche problemi delicati e reali, esprimono posizioni teologico-pastorali di alcune fasce della cristianità. Sono anche teologicamente accettabili? Non sempre e non del tutto. È carente la prospettiva della fede senza la quale il celibato è incomprensibile e le difficoltà contro di esso insolubili. Nel romanzo il sacerdote è visto in una prospettiva giusta ma monca. Se nel sacerdozio si vede soltanto una funzione ecclesiastica o sociale - annunciare la Parola, amministrare i sacramenti, assistere i fedeli - non si può parlare d'intima connessione e convenienza tra sacerdozio e celibato. In questo caso il celibato è un sovrappiù che dev'essere lasciato alla libera scelta di chi vuol tendere alla perfezione evangelica, e non essere imposto. Se, invece, nel sacerdote si vede l'uomo che agisce in persona Christi, consacrato all'amore del Signore e dei fratelli, per i quali deve, in qualche modo, riprodurre il volto e il cuore del Redentore, ed essere quasi un prolungamento della sua umanità, allora si percepisce con chiarezza la «somma convenienza» (come si legge nell'enciclica Sacerdotalis caelibatus di Paolo VI) che sacerdozio e celibato non siano disgiunti. I nostri romanzieri, quando affrontano il problema del celibato, dimostrano carenza d'informazione teologica sulla natura e sulla funzione del sacerdozio. Sulla stessa linea di Rodolfo Doni si colloca Marris West nel romanzo Lazzaro. [15]

    Soprattutto testimoni

    Nel romanzo citato I nuovi preti si riportano le seguenti parole del card. Suhard, scritte sulla parete dove abita l'abbé Le Virioux: «Essere testimone, significa farsi mistero, vivere in maniera tale che la propria vita sarebbe inesplicabile se Dio non esistesse» (p. 137). L'espressione sintetizza un aspetto che la moderna letteratura maggiormente desidera incarnato nel sacerdote del nostro tempo. Sul crollo dei miti e delle ideologie, sulla svalutazione della parola e sul chiacchiericcio dei gazzettieri si avverte il bisogno di persone che parlino con la loro vita. Parlino per affermare la realtà di Dio, la dignità dell'uomo redento da Cristo, l'urgenza del messaggio evangelico.
    L'abbé Forcas, nel romanzo Gli angeli neri di Mauriac, [16] è ritenuto una persona inutile, un isolato; ma il piccolo parroco di un villaggio insignificante delle Lande è così splendente di luce interiore che la sua sola presenza inquieta le anime intorpidite rivi peccato. Ha in grado sommo lo spirito di umiltà, di povertà, di carità e di preghiera. Quando Gabriel Gradère, genio del male, legge le parole, scritte dal prete a ricordo della sua ordinazione («Tu camminerai davanti al Signore per insegnare la salvezza al mio popolo, la remissione dei peccati, la tenerezza della sua misericordia, per portare la luce a coloro che sono nelle tenebre e nell'ombra di morte, per dirigere i nostri passi nella pace») un brivido gli sconvolge l'anima e gli rivela un mondo nuovo. Forcas incarna questo programma. La conversione del peccatore passerà anche attraverso la testimonianza viva del disprezzato abbé.
    Nel romanzo I santi vanno all'inferno Gilbert Cesbron [17] descrive padre Pietro come il testimone vivo dell'amore di Dio nella banlieu parigina dove Cristo non abita più. Non è un rivoluzionario, ma un prete che prende sul serio il comandamento dell'amore, che incarna l'impazienza della Chiesa missionaria, che in nome del suo sacerdozio rifiuta il comfort delle parrocchie tradizionali in favore della grande parrocchia delle displaced persons. Corre dei rischi, sbaglia anche; ma la sua testimonianza rende credibile la Chiesa e apre gli animi all'azione della Grazia.
    La visione del prete-testimone è descritta, tra gli altri, da J. M. Gironella ne I cipressi credono in Dio, [18] da Mario Pomilio in molti episodi de Il quinto evangelio, [19] da Mario Tobino nel romanzo Sulla spiaggia e di là dal male [20] (don Sirio, prete operaio, è totalmente donato agli altri. «Per chiamarlo basta battere alla finestrella. Attende le anime»). Eugenio Ionesco nel libretto d'opera Maximilien Kolbe [21] narra gli ultimi giorni del Martire nel bunker di Auschwitz. Dimentico di tutto, vive solo per gli altri: per consolare, benedire, ascoltare. Rifiuta di spiegare a parole la sua vocazione sacerdotale: la vuole solo incarnare, facendosi dono di amore per tutti. L'ungherese Bela Just nel romanzo La forca e la croce [22] narra di un cappellano dei condannati a morte che non sopporta più di essere solo distributore di «belle parole». Per salvare un giovane condannato lo fa fuggire e prende il suo posto. In Assassinio nella cattedrale di T. S. Eliot l'arcivescovo Beckett afferma con fierezza di voler essere testimone di Cristo, versando il sangue come Lui. Non traditore del / Re. Io sono prete, / Un cristiano, salvato dal sangue di Cristo, / Pronto a soffire col mio sangue. / E questo in segno della Chiesa, sempre, / Il segno del sangue. [23]

    Il sacerdozio tradito

    La letteratura contemporanea rifiuta il prete che non testimonia il Vangelo. Nulla infastidisce quanto il compromesso, l'ipocrisia, il contrabbando della propria identità. Non poche sono le opere che denunciano tale tradimento, in toni spesso violenti e sofferti. Ne ricordiamo alcune.
    In Santa Barbara dei fulmini il brasiliano Jorge Amado  [24] inveisce contro quella parte del clero che «ha per missione di sostenere, come aveva fatto per i secoli, il diritto di proprietà delle classi dominanti» per ingraziarsi il potere. Il protagonista de Il console onorario di Graham Greene  [25] lascia il sacerdozio perché non ha senso - crede - restare prete in una Chiesa che adula i dittatori e che non fa comunione con i miserabili della terra. Anche Bernanos, negli anni Trenta, si è scagliato violentemente contro un clero preoccupato di salvare il capitale e la dittatura invece di annunciare Gesù Cristo. In questa direzione si muove l'opera di Ignazio Silone, del giapponese Shusaku Endo e di Heinrich Böll.
    Egualmente ripugnante è, nel sacerdote, l'ambizione. In Così non sia Gino Montesanto [26] presenta un prete della Curia vaticana, vittima del carrierismo. Al potere e al prestigio don Flavio Ranuzzi subordina tutto fino a perdere ogni senso del dovere e della dignità. Diventa in tal modo una marionetta manovrata dall'ambizione.
    Julien Green è cattolico integrale. In taluni giovani preti vede e denuncia l'insidia del secolarismo. «Un giovane seminarista, al quale domando se legge i mistici, mi risponde senza esitazione: "No, Jean-Jacques Rousseau". Che preti potranno mai essere questi romantici in fermento?»; «In un articolo trovo questa frase: ' Un prete, mostrando a un gruppo di bambine, a cui insegnava il catechismo, fotografie di dive e di carmelitane, spiegava loro che le prime contribuiscono all'avvento del bene e del bene più delle seconde, perse in una sterile contemplazione'. Ho creduto di aver letto male. A volte uno si domanda se non bisognerebbe organizzare delle missioni per convertire una parte del clero». C'è anche chi vorrebbe «sostituire la preghiera con l'azione»; altri «parlano di morale, di energia, di volontà, lasciando da parte il soprannaturale. Studiano i testi evangelici per scoprire come fosse Gesù. La sua divinità interessa meno, interessa poco. Non dico che sia un fenomeno generale; frequente, però, sì». [27] La denuncia di Green è violenta per il pericolo che il secolarismo riduca il cristianesimo a puro umanesimo, sociologismo e filantropia.

    Tra crisi e drammi

    Ben delineata e seducente è la figura di padre Ralph de Bricassart nel romanzo Uccelli di rovo di Colleen McCullough. [28] Aristocratico nel tratto, fisico attraente, abile diplomatico, non sdegnoso della carriera, padre Ralph raggiunge la dignità cardinalizia. Meggie, una bella ragazza che egli ha conosciuto da bambina e aiutato paternamente, s'innamora perdutamente di lui. La scambievole attrattiva dei sensi ha il sopravvento. Hanno un figlio che diventerà un sacerdote esemplare, ma muore tragicamente in seguito a un salvataggio in mare. Una morte per riparare un peccato? La Grazia avrà la meglio. Padre Ralph, che non ha mai rinnegato il suo sacerdozio, troverà il coraggio delle scelte coraggiose. Nel romanzo degna di nota è la figura del card. Verchese-Contini, vero uomo di chiesa, dotato di comprensione e distaccato dai miraggi terreni.
    Nel romanzo di Par Lagerkvist (1891-1974) Pellegrino sul mare [29] si narra di una nave corsara nel cui equipaggio c'è un certo Giovanni. Vive da anni sul mare di cui avverte la sacralità. Chi è? Si viene a sapere che è un prete. Era da poco ordinato quando una donna si confessò da lui e gli confidò che era travolta da una passione colpevole per un amore irraggiungibile. Successe che Giovanni sostituì l'amante irraggiungibile. Scandalo, emarginazione. Lei partì per la Terra Santa e morì durante il viaggio, lui s'imbarcò sulla nave pirata, innamorato del mare "che non si cura di nulla, né del diavolo né di Dio". Il suo sacerdozio? Svanito. Il cuore umano è un mistero, come un mistero è Dio, ineffabile e incomprensibile. E l'uomo per cui la donna ha avuto un amore irraggiungibile? Un sogno, non esiste. In questo mare del nulla naufragano i nostri sogni. L'amore per una donna non appaga l'abbandono del sacerdozio. Svanisce con esso. Il pessimismo luterano investe ogni ideale.
    Manuel Galvez (1882-1962), scrittore argentino, nel romanzo Mercoledì Santo, [30] descrive la giornata di un prete nel confessionale per conoscere l'anima di quest'uomo chiamato da Dio a dispensare la divina misericordia. Padre Eudosio Solanas - questo è il nome del prete - sente la durezza della sua missione, la solitudine gli pesa, la nostalgia di un'altra vita lo incalza. Supera tutto con la preghiera e la penitenza, e si consacra generosamente alla sua missione. «Tutta la sua vita era nel confessionale». Qui si ormeggiava e sanguinava la sua sensibilità. Qui soffriva con gli uomini e per gli uomini. Soffriva per Cristo e con Cristo. Ogni giornata di numerose confessioni rinnovava nella sua carne e nella sua psiche il martirio del Golgota». Sentiva il lezzo del peccato, ma doveva dissimulare il suo ribrezzo.
    La drammaticità della sua missione tocca il culmine quando il demonio si rivela nella confessione di una penitente, che è la stessa donna che un giorno lo ha tentato. La preghiera lo salva. La donna scompare, il demonio, che gli sta davanti, si trasforma in un mostro dalle ali di pipistrello e terrorizza talmente il confessore che emette un grido spezzato e muore. Martire della sua missione.
    Vittima del segreto confessionale è l'abbé Crémieu, tra i protagonisti del romanzo Il volo del calabrone [31] di Maurice Chavardès (1918). In confessione egli viene a sapere che l'assassino della giovane Mathilde Calès non è l'algerino Ahmed, fragile, buono, povero di affetti, emigrato in Francia. Accusato del delitto, umiliato e confuso, ha dichiarato di essere lui l'assassino. E il caso sembra risolto. Solo il prete si batte per dimostrare l'innocenza del giovane. Lo conosce bene, lo ha aiutato a sistemarsi, ma nessuno gli crede. A questo punto accade l'imprevisto. Il dott. Couserans si reca da lui e, in confessione, di chiara di essere lui l'assassino. Chiede l'assoluzione, ma si rifiuta di discolpare Ahmed. L'assoluzione gli è negata, ma il confessore si trova «letteralmente, legato mani e piedi e colpito da mutismo di fronte alla più abominevole delle macchinazioni». Quando gli viene riferito che Ahmed si è impiccato, temendo di non poter resistere alla tentazione di strangolare l'assassino e non volendo tradire il segreto confessionale - contro cui si ribella ma al quale vuole restare fedele - scrive una lunga lettera al suo vescovo, per esporgli la vergognosa storia e per comunicargli l'intenzione di abbandonare il suo ministero, la Francia e i suoi costumi ai quali, ormai, si sente estraneo. Difatti si ritira in un convento tra la Siria e l'Iraq, isolato dal mondo.
    È umanamente accettabile il segreto sacramentale? «Ed io, tra l'agnello promesso al macello e il leone sicuro della propria preda, ero assolutamente impotente, per colpa di un principio desueto che mi chiudeva la bocca! Il ruolo di Pilato: a questo ero condannato». Principio desueto, il sigillo sacramentale? Desueto significa caduto in disuso, non più attuale. Ciò può dirsi di leggi umane, di consuetudini pastorali, di norme canoniche soggette al tempo. Il sigillo sacramentale ha il suo fondamento nel diritto divino, positivo e naturale.
    Nell'amministrazione del sacramento della riconciliazione il sacerdote agisce in nome e per autorità di Dio. Ora il rapporto tra Dio e il peccatore è avvolto in un silenzio che nessuno può violare. Il perdono è azione di Dio, non dell'uomo. Soltanto in questa prospettiva - sacra, sacramentale, misteriosa - il segreto confessionale riceve la sua piena giustificazione; fuori di essa, considerato alla stregua di un segreto umano, può talvolta apparire legge desueta. L'abbé Crémieu non poteva e non doveva servirsi della confessione; neanche per salvare un innocente. Quanto sapeva dalla confessione era sottratto alla sfera umana: come se nulla avesse saputo. Può pertanto capitare che questo segreto comporti il martirio dell'anima e della vita.
    Nel romanzo L'uccello nella cupola di Mario Pomilio (1921-1990) [32] si narra l'avventura di don Giacomo, parroco di un centro cittadino. Dopo un inizio di fervore pastorale, si era trasformato nel pastore di un gregge calmo, abitudinario, addormentato. Una giovane donna lo strappa al grigiore della sua esistenza e lo mette alla «presenza del Peccato, quello che non si lascia definire e non ha confine o riparo, ma che si appropria per intero di una coscienza e la penetra da cima a fondo, il peccato che non permette soste e dà l'angoscia grande, totale». Marta - così si chiama la donna - gli rivela che, a casa sua, un uomo sta morendo; forse lo ha ucciso lei. È il suo amante. Una vita, la loro fondata sul tormento di sentirsi legati l'uno all'altro, senza potersi liberare. «E così l'ho odiato per il pensiero di non sapere come sfuggirgli, e lui pure mi ha odiato, e da allora ho aspettato soltanto che morisse... E lui ora sta per morire, e io ho paura».
    Don Giacomo, presso il moribondo, lo conforta con il sacramento della confessione, e unisce i due in matrimonio. Lui muore in pace; lei si chiude in un atteggiamento di disprezzo e di rifiuto della Grazia, di orgoglio e di disordine morale, di solitudine e di sofferenza. Di chi è la colpa se lei ha rifiutato la Grazia? Non è anche di don Giacomo? Non ha detto una parola buona in favore della donna; ha soltanto esacerbato in lei il sentimento di colpa e le ha spento la fiducia nel perdono divino. Sfinito dal rimorso, per riparare, si reca da Marta. Esasperata dal suo stato miserabile, lei lo afferra di sorpresa e lo bacia sulla bocca. Provi anche lui l'amaro gusto del peccato. Don Giacono, fuggendo, porta con sé non solo la consapevolezza della sua «fiacca carne d'uomo», ma anche il senso del fallimento del suo sacerdozio. Era stato animato da autentico animo pastorale nella visita a Marta oppure era stato mosso da oscuri sentimenti?
    Quando la donna, dopo aver veleggiato nel mare del peccato, delusa e svuotata, torna da don Giacomo in cerca di perdono e di pace, l'assoluzione che lui le impartisce assomiglia più ad una minaccia che ad un perdono.
    Soltanto il suicidio della donna lo risveglia dalla situazione ambigua e lo rimette davanti alla responsabilità di una missione tradita in nome di un sacerdozio privo di carità e di comprensione. Per lui sarebbe abbandonarsi alla disperazione se non accorresse in suo aiuto un vecchio canonico, don Paolo, che lo riconduce alla fiducia nella Grazia quale unica salvezza della fragilità umana. Don Paolo è un vero ministro del perdono di Dio, ricco di sapienza soprannaturale, di paterna comprensione e di serena letizia. Egli mette don Giacomo di fronte al mistero del cuore umano e lo invita a diffidare di certe analisi in cui la realta è inquinata dall'immaginazione; gli addita anche il pericolo di restare vittima dell'ossessione del peccato quando lo si vuole troppo analizzare. Bisogna avere il coraggio d'immergersi nella certezza della provvidenza e della bontà di Dio se si vuole continuare a vivere e a lavorare.
    Monsignor Meredith, protagonista del romanzo L'avvocato del diavolo di Morris West (1916-1999), [33] è inglese, vive a Roma dove lavora presso la Congregazione dei Riti, immerso in pratiche e direttive canoniche. Un carcinoma allo stomaco sconvolge la sua vita. Gli restano pochi mesi di vita e si accorge che si avvia alla morte «a mani vuote». Burocrate, passioni spente, incontri indiretti, sacerdozio vuoto e infecondo. Provvidenzialmente è inviato in Calabria per un'inchiesta sul caso di un uomo morto in concetto di santità. Il contatto con la realtà delle anime e con una popolazione arretrata, sì, ma ricca di valori spirituali e umani ridestano in lui l'anima sacerdotale sopita. Era stato «un prelato rinsecchito e pedante, con il cuore ricoperto da un denso strato di polvere delle biblioteche», si ritrova con l'anima aperta alla preghiera, all'ascolto, alla comprensione, all'apostolato. «Ho ritrovato me stesso come uomo e come prete» confessa. Muore per il rammarico di non aver saputo sottrarre un amico pittore dal suicidio.

    Seminatori di fede e di pace

    Quasi tutta l'opera narrativa di Bruce Marshall (1899-1987), scozzese, convertito dal calvinismo alla Chiesa cattolica, è una galleria policroma, abitata da preti. Il narratore li va a scovare nelle canoniche e nelle sacrestie per conoscerli, scoprire le loro debolezze e anche i loro meriti, e poi concludere che la santità della Chiesa prescinde nella sua essenza dal grado di santità raggiunto dal clero. Per raggiungere tale scopo ricorre a un gustoso umorismo, a volte superficiale e insistito, ma sempre volto alla comprensione e alla scoperta di realtà serie e profonde quali la fede, la Grazia, i sacramenti.
    Molti scrittori hanno sfruttato la confessione per conoscere sia il confessore sia il penitente. Marshall li supera tutti, soprattutto per la bravura e la competenza nel risolvere le varie situazioni e per la finezza psicologica con la quale registra le reazioni del confessore. Di alcuni mette in risalto gli aspetti meno evangelici, di altri (e sono la maggior parte) fa risplendere la paterna comprensione, pazienza e saggezza. Sotto tale aspetto padre Malachia (in Il miracolo di Padre Malachia) e l'abate Gaston (in Ad ogni uomo un soldo) [34] sono esemplari. La narrazione della confessione di Armelle con l'abate Gaston è un esempio di finezza psicologia e pastorale, di umanità e di delicatissimo umorismo. Ad analizzare la sua opera si ha una immagine autentica e suggestiva del prete, visto nella sua dimensione umana e soprannaturale, e si finisce per comprenderlo e amarlo. Si ha anche il convincimento che la Chiesa è sorretta dallo Spirito Santo nonostante i limiti e le miserie del clero.
    Archibald Joseph Cronin (1896-1981) nel romanzo Le chiavi del Regno, [35] ha presentato una figura di prete quanto mai attraente e apostolicamente intrepido. Si chiama Francis Chilsholm. Una sua dichiarazione lo caratterizza: «[...] per tutta la mia vita mi sono rallegrato di sentire attorno a me le sue braccia [della Chiesa]. La Chiesa è la nostra grande madre, che conduce [...] una schiera di pellegrini, attraverso la notte». Ecco la sua anima di prete: amore alla Chiesa che ci porta alla salvezza, ansia di portare alla salvezza tutti, anche i non credenti. Intuendo in lui una particolare vocazione, il suo vescovo lo manda come missionario in Cina. Qui esercita la sua opera evangelizzatrice con generosità e costanza, nonostante le incomprensioni e le difficoltà, anche da parte dei superiori. Il suo vescovo gli aveva detto: «Voi non siete di quei religiosi che si devono ritrovare in tasca le liste dei precetti da seguire. E la cosa che mi piace di più in voi consiste nel non possedere quella briosa sicurezza che nasce dal dogma piuttosto che dalla fede». Qualche sua affermazione teologica lascia perplessi, ma dinanzi al suo ardore missionario e alla sua purezza d'animo si resta ammirati. Sua sola preoccupazione era di aprire le porte del Regno a quanti incontrava: «[...] con tutta l'anima mia desidero operare per Dio. Nella casa di Lui ci sono tante opere da compiere».
    Nel romanzo di Maria Teresa Giuffrè L'occhio sinistro del cielo [36] padre Luigi incontra Milena, una signora stregata dalla luna. L'«occhio sinistro del cielo» la invita a emigrare nel suo regno poiché il suo compito terreno è finito. E poi, perché restare sulla terra quando si è convinti che gli uomini sono «illusorie creature di sogno»? che tutto è inconsistenza e vanità? Così, dopo aver scelto la luna, sceglie la morte. Decide di tornare in Sicilia, luogo delle sue origini, per consegnarsi alla luna nella morte.
    Per caso, in treno, incontra p. Luigi, e subito riconosce in lui una persona che «naviga per mari diversi»; che crede in Dio, anche se «con fatica, zoppicando, cadendo e rialzandosi»; capace di fedeltà alla sua vocazione, ma anche aperto alla comprensione e all'amicizia. Per chi, come lei, considera le persone - anche i figli, anche il marito - come estranei, l'incontro con p. Luigi è una rivelazione. Il prete dimostra d'interessarsi a lei con sentimenti di vero affetto.
    È naturale pertanto che, sul letto di morte, la sola persona che Milena desideri vedere sia lui, il prete che «naviga per mari diversi».
    Fedele al richiamo della luna, raggiunta la casa paterna, si era consegnata alla morte. Ma le pasticche letali, che portava nella borsa, non le erano servite perché la morte aveva preceduto il gesto suicida con sbocchi di sangue, rivelatori di un male insidioso. «Sono stata Beffata», sussurra al p. Luigi. «L'umorismo di Dio è misericordia» ribatte il prete. «La luna - continua lui -incanta e uccide. Milena adora la luna perché sceglie la morte. Ma qualcuno, sì, qualcuno non vuole. Il sole non ti colpirà di giorno, né la luna di notte, il Signore ti guarda da ogni male». L'annunzio di questo Qualcuno, che è misericordia e amore, raggiunge la moribonda come un'ondata di rinascita. I fantasmi lentamente si dileguano, permettendo l'incontro con la Realtà.
    Un altro prete, portatore di pace e di amorevole comprensione, è don Liborio, nel romanzo La puttana del tedesco di Giovanni D'Alessandro (1955). [37] Cinquantenne, ricco di umanità e di buon senso; per la sua dedizione agli altri ricorda fra Cristoforo. Parla da amico, non predica; cerca di convincere, non d'imporre; conosce gli impegni dell'etica cristiana, ma conosce anche la debolezza e la sofferenza dell'anima. Quando su Ada, giovane donna rimasta vedova, si scatenano rancori e invidie per essersi data a un tedesco (siamo verso la fine dell'ultima guerra), l'unico a difenderla è don Liborio. Si è data perché ha amato il tedesco, con amore genuino e generoso. «Possiamo separarli. Possiamo richiamarli alla ragione. Possiamo, con le parole e con i gesti, far finire lo scandalo, la colpa, il peccato e tutto il resto. E poi, quando li avremo allontanati? Saranno in pace loro? Saremo in pace noi?». L'interrogativo di don Liborio resta sospeso. Su tutto egli afferma la comprensione e la carità. Vuole aiutare, non giudicare. Il suo giudizio è netto soltanto contro l'ipocrisia, l'invidia e l'affarismo.
    Prete ricco di umanità e di simpatia è padre Pons nel delizioso romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt II bambino di Noè. [38] Per salvare i ragazzi, vittime della guerra, li accoglie nella Villa Gialla, li istruisce, li nutre, li preserva dalla furia bellica (siamo in Belgio, durante l'invasione nazista, tra il 1942-45), senza badare alla razza o alla religione. Nell'esercizio della carità la sua inventiva è inesauribile; riesce anche a porre in salvo dalla perlustrazione della Gestapo i ragazzi ebrei. Dopo la guerra, l'istituto Yad Vashem di Gerusalemme decise di conferire il titolo di «Giusto delle Nazioni» a quanti avevano salvato gli ebrei in pericolo di vita. Padre Pons fu dichiarato Giusto nel dicembre 1983. Non lo seppe mai, era appena morto. Joseph, ebreo salvato da padre Pons, così scrive: «Probabilmente la sua modestia non avrebbe apprezzato la cerimonia che Rudy e io progettavamo di organizzare per lui; sicuramente avrebbe protestato che non dovevamo ringraziarlo, che non aveva fatto altro che il suo dovere e seguito il suo istinto».
    Nel romanzo Il ragazzo che credeva in Dio di Vito Bruno, [39] don Carmine racconta in prima persona la sua storia. Parroco a Taranto, il suo impegno sacerdotale ha una benefica svolta quando incontra Alena, ragazza montenegrina che gli chiede che senso ha la sua sofferenza di ragazza che per vivere deve prostituirsi. In lui si ridesta il bisogno di accostare i sofferenti, gli sviati e i vinti per dar loro la speranza di un riscatto, ricorrendo a metodi apparentemente non encomiabili.
    Don Antonio, protagonista del romanzo di Domenico Pisano Il mistero del cammeo rosa, [40] è un vecchio prete di un paese che denunzia i segni stanchezza religiosa e materiale decrepitezza della piccola chiesa. Un evento sconvolge don Antonio: in chiesa scorge un uomo, per terra, ferito. È inseguito da alcuni malviventi. «Muoviti, Cristo è ferito», gli dice una voce interiore. Un'energia nuova lo investe. Raccoglie il ferito, lo accoglie in casa, lo cura, lo restituisce alla salute, ne fa un suo collaboratore. Anche il suo sacerdozio acquista vigore ed essenzialità. Ai suoi parrocchiani che vanno in cerca di segni tangibili, don Antonio ricorda l'urgenza della carità e dell'interiorità.

    All'ombra della madre

    Grazia Deledda (1871-1936) e Marino Moretti (1885-1979) hanno tratteggiato le figura del prete all'ombra di sua madre. La madre di Deledda [41] è un romanzo dagli sfondi drammatici, dalle tinte forti, dai toni a volte esasperati. In una notte di vento, Maddalena si accorge che il figlio Paulu, parroco del paese, esce di casa. Va a visitare qualche malato? Lo segue, «e nella casa antica sotto il ciglione non c'era che una donna sana, giovane e sola...». Sconvolta, umiliata e impotente, rientra in casa «come una bestia ferita al suo covo», mentre «il vento fuori strisciava più intenso: il diavolo limava la parrocchia, la chiesa, il mondo tutto dei cristiani». Non si arrende, e riesce a persuadere il figlio della gravità del peccato e a fargli giurare di non più tornare da Agnese, la donna sola. Neanche lei si arrende. Si finge malata per rivedere Paulu. Egli si reca a casa della «malata», ma non cede, deciso a troncare ogni rapporto per sempre, nonostante la minaccia di lei di suscitare uno scandalo in chiesa. Il giorno dopo il parroco sale all'altare, Agnese gli si accosta, ma resta muta, inginocchiata. Paulu è salvo, ma la madre muore nello sforzo di non urlare per l'imminente scoppio dello scandalo (che non ci sarà). Paulu è diventato prete non per vocazione ma per soddisfare sua madre. È moralmente debole, ma aperto agli altri e capace di vera carità.
    Anche La vedova Fioravanti di Marino Moretti (1885-1979) [42] ha per protagonista la madre di un prete. Si chiama Mitelda, vedova di un macellaio, autoritaria e risoluta. Vuole per il figlio, Dorligo, la prestigiosa carriera ecclesiastica, e lui obbedisce. È un buon prete, ma la tentazione è in agguato per la madre e per il figlio. Per lui essa s'incarna in Wanda Buratti, per lei in Bruno Ghetti. Madre e figlio sembrano dominati da uno stesso destino. La madre riuscirà a trattenere il figlio dal cedere alla seduzione della passione, il figlio induce la madre a rinunciare all'amante per il semplice fatto che lui è un prete. Romanzo dignitoso, questo di Marino Moretti, ma debole nella presentazione del sacerdozio.
    La carrellata sulla figura del prete nell'odierna letteratura potrebbe continuare. Prima di arrestarci è doveroso ricordare alcuni autori di prestigio. Luigi Pirandello (1867-1936), nel dramma Lazzaro, vede il sacerdozio in chiave umanitaria. Il protagonista Lucio prima getta via la talare, poi la riprende «per riaccendere nel buio della morte il divino lume della Fede, che è carità per tutti quelli a cui fu negato ogni bene nella vita». Come potrebbe sopportare la vita la sorellina Lia, dalle gambe paralizzate, se non avesse la speranza di un aldilà felice? È un'illusione questo aldilà? Sì, ma non importa. E' un'illusione necessaria per vivere. Sull'esempio di Cristo, Lucio si sacrifica riprendendo la veste talare per consolare Lia e tutti gli infelici della terra con l'illusione della fede nell'aldilà.
    I preti di Ignazio Silone (1900-1978) sono per lo più persone meschine, servili, burocrati. Ci sono anche preti ammirevoli per l'impegno di battersi per la giustizia, altruisti e anticonformisti. L'ideale socialista, a parere di Silone, è l'elemento che caratterizza i veri preti. La dimensione soprannaturale, in questi preti «socialisti»» o non c'è o, se c'è, è secondaria. Albert Camus (1913-1960), nel romanzo La peste, non comprende come il padre Paneloux possa giustificare la sua fede e adorare un Dio dinanzi al problema della sofferenza degli innocenti. In realtà, l'immagine che Camus offre del padre Paneloux è una contraffazione del prete. In lui manca la visione del Crocifisso che assume e trasfigura la sofferenza, e con la sua risurrezione fonda la speranza.
    Di passaggio ricordiamo anche: René Bazin (1853-1932), Jean De La Varende (1887-1959) e Émile Bauman (1868-1941) che hanno presentato il prete nella dignità e bellezza della loro vocazione; Nicola Lisi (1893-1975), nel Diario di un parroco di campagna, offre del prete l'immagine di un poeta, buono e cordiale, ma carente di vigore pastorale e di sodezza teologica; Fulvio Tomizza (1935-1999) in molti suoi romanzi (soprattutto in La miglior vita) racconta con simpatia e stima le vicende dei preti della sua Istria, ricca di passioni e di religiosità; Nino Salvaneschi (1886-1968) sottolinea l'impegno del prete nella lotta contro il male; Goffredo Parise (1929-1986) presenta nel Prete bello la storia di un prete vanesio, avvenente, sportivo, profumato, in un ambiente provinciale, superstizioso e pettegolo. Insomma, la caricatura del prete; Luigi Santucci (1918-1999), nella raccolta di racconti Lo zio prete, in pagine ricche di umorismo e di notazioni profonde, narra la vita dei preti, questi uomini «pazzi» che sono lieti di narrare «una favola di duemila anni fa, sempre quella».
    Tra gli autori che si sono ispirati alla figura del prete, e che abbiano presentato, ne manca uno, tra i più perspicaci e degni di attenzione: Ferruccio Parazzoli. In vari suoi romanzi ha tratteggiato l'opera e la fisionomia del prete, nelle sue varie angolature. Particolarmente notevole è il suo romanzo Per queste strade familiari e feroci (risorgerò) (2004). In pagine vive e vissute, offre una sintesi del suo pensiero sul sacerdozio e un'immagine paradigmatica di un prete dei nostri giorni. 


    NOTE

    1 F. MAURIAC, Il figlio dell'uomo, Editrice Nigrizia, Bologna 1963, 115.
    2 G. BERNANOS, Sotto il sole di Satana, Dall'Oglio, Milano 1929.
    3 G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna, Garzanti, Milano 1987, 154. Il romanzo è del 1936.
    4 P. MAFFEO, Prete Salvatico, Santi Quaranta, Treviso 1989.
    5 P. MIGNOSI, Perfetta letizia, Grazzini, Pistoia 1931.
    6 G. GREENE, Il potere e la gloria, Mondadori, Milano 1961.
    7 P. DONCOEUR, Deux essais sur le sacerdoce, Etudes, Paris janvier 1948.
    8 M. DE SAINT-PIERRE, I nuovi preti, Edizioni del Borghese, Milano 1964, 35.
    9 G. MAURIAC, Giovedì Santo, Morcelliana, Brescia 1950, 39 s.
    10 L. RADI, Non sono solo, Rusconi, Milano 1983. ID., Un grappolo di tonache, Rusconi, Milano 1981.
    11 H. M. ROBINSON, Il Cardinale, Garzanti, Milano 1951.
    12 C. LAURENZI, Quell'antico amore, Rusconi, Milano 1972, 157 s.
    13 D. FABBRI, Incontro al parco delle terme (1978), in D. FABBRI, Tutto il teatro, Rusconi, Milano 1984.
    14 R. DONI, Servo inutile, Rusconi, Milano, 1981. ID., Altare vuoto, Firenze, Valecchi 1989.
    15 M. WEST, Lazzaro, Longanesi, Milano 1990.
    16 F. MAURIAC, Gli angeli neri, Mondadori, Milano 1937.
    17 G. CESBRON, I santi vanno all'inferno, Longanesi, Milano 1953.
    18 J. M. GIRONELLA, I cipressi credono in Dio, Longanesi, Milano 1959.
    19 M. POMILIO, Il quinto evangelio, Rusconi, Milano 1975.
    20 M. TOBINO, Sulla spiaggia e di là dal molo, Mondadori, Milano 1976.
    21 E. IONESCO, Maximilien Kolbe, Guaraldi, Rimini 1992.
    22 P. B. JUST, La forca e la croce, Pia Società San Paolo, Vicenza 1961.
    23 T. S. ELIOT, Opere, Bompiani, Milano 1986, 220.
    24 J. AMADO, Santa Barbara dei fulmini, Garzanti, Milano 1988.
    25 G. GREENE, Il console onorario, Mondadori, Milano 1973.
    26 G. MONTESANTO, Così non sia, Rusconi, Milano 1985.
    27 J. GREEN, Verso l'invisibile, Rusconi, Milano 1975, passim.
    28 COLLEEN MCCULLOUGH, Uccelli di rovo, Bompiani, Milano 1977.
    29 PAR LAGERKVIST, Pellegrino sul mare, Iperborea, Milano 1989.
    30 M. GALVEZ, Mercoledì Santo, Cappelli, Bologna 1960.

    31 M. CHAVARDES, Il volo del calabrone, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1992.
    32 M. POMILIO, L'uccello nella cupola, Bompiani, Milano 1954.
    33 MORRIS WEST, L'avvocato del diavolo, Mondadori, Milano 1961.
    34 BRUCE MARSHALL, Il miracolo di Padre Malachia, Ad ogni uomo un soldo, Longanesi, Milano 1966, 1972.
    35 J. CRONIN, Le chiavi del Regno, Campitelli, Roma 1944.
    36 M.T. GIUFFRÈ, L'occhio sinistro del cielo, Zibaldone, Pordenone 1988.
    37 G. D'ALESSANDRO, La puttana del tedesco, Rizzoli, Milano 2006.
    38 E. E. SCHMITT, Il bambino di Noè, Rizzoli, Milano 2004.
    39 V. BRUNO, Il ragazzo che credeva in Dio, Fazi, Roma 2009.
    40 D. PISANO, Il mistero del cammeo rosa, Guida, Napoli 2005.
    41 G. DELEDDA, La madre, in Romanzi e novelle, Mondadori, Milano 1971.
    42 M. MORETTI, La vedova Fioravanti, Mondadori, Milano 1952.

    (da: All'uscita dal tunnel, LEV 2009, pp. 159-178)


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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