La rugiada
María Zambrano
Sembra impossibile che la rugiada svanisca. Ma in realtà, ciò che sembra impossibile, se solo ci soffermiamo un momento a riflettere, è che la rugiada esista. Da dove viene, e perché appare, nelle mattine fresche di certi orti, non di tutti, sulle foglie di piante seminascoste, in angoli protetti dall'urto degli elementi? Acqua e fuoco sono gli elementi che fanno nascere le piante, alcune quasi in assenza di terra come l'orchidea che nasce nell'aria, senza terra ma non senza rugiada, poiché nasce volentieri nei boschi più che nelle serre, da radici che vorrebbero essere uccelli esonerati dalla fatica di volare. E ci sono uccelli che fanno il nido nell'aria, a grandi altezze, invisibili allo sguardo degli uomini. E la rugiada, tu, rugiada, chi o cosa sei? Vieni, tristemente seria, come una pioggia supplementare e mesta di cui sono bisognose le piante della terra, e forse alcune pietre e certe architetture abbarbicate a esse; e vieni persino nelle grotte chiuse, dove con tanta frequenza cresce il fungo velenoso; o magari sei un dono, rugiada, una grazia che non si concede a tutti quelli che ne hanno bisogno. Ma qualsiasi cosa tu sia, sei la pioggia sottile dell'Aurora, e rechi con te qualcosa di unico, che si dà solo in determinati momenti e in luoghi determinati, e solo in certe stagioni dell'anno. Nella notte di San Giovanni l'acqua deve essere consumata nell'istante che precede il sorgere del sole, all'alba, dalla giovane vergine che sente la sua condizione senza eguali minacciata in virtù del suo solo potere: deve essere di una bellezza singolare quel volto di fanciulla lavato al mattino di San Giovanni, anche se di per sé lei non è bella; deve avere una purezza singolare, degna di quel ritornello che si canta: «la mariana de San Juan, cuando el dia alboreaba, bajó la Virgen Maria al pie de una fuente clara» [1]. E il potere del Conte Arnoldo [2] di calmare i venti la mattina di San Giovanni, grazie a una filastrocca che a sentir lui non dice altro che «a chi viene con me». La mattina di San Giovanni ci appare, dunque, come un luogo segnato dall'albeggiare, in virtù della rugiada o di qualche altra cosa emanata comunque dall'Aurora, e che produce una canzone che non può essere insegnata, ma solo, semplicemente, seguita.Ma alla rugiada sono dedicati anche spazi aperti e vuoti, come l'immensa piazza che reca il suo nome, a Lisbona, proprio vicina al mare. Ne avrà bisogno anche il fiume, quando si addentra turbolento, e si tramuta in mare? Forse la rugiada è una pioggia speciale dell'Aurora, indispensabile alla tramutazione? Luogo di tramutazione appaiono anche l'eremo, e tutto il pellegrinaggio, della Vergine del Rocio [3] (alla foce del Guadalquivir). Mentre invece le colonne di Ercole che separano la Penisola Iberica dal continente africano sono segnate dal culto di Ercole, che con fatiche e sforzi senza prospettiva di trasformazione obbediva al nudo mandato di Era, la donna del padre di tutti, Zeus, forse marito per brama di avere un proprio imperlo, e quindi una propria gloria; Ercole, la gloria di Era. In alcuni libri che illustrano le operazioni proprie dell'alchimia – l'arte di tramutare la parte più oscura delle materie della terra nell'oro nascente, estratto da esse – appare anche la raccolta della rugiada: l'uomo e la donna – cosa comune nell'alchimia, perché l'alchimista è sempre monogamo e non viene mai tradito da questa sua donna – stendono teli purissimi nei luoghi indicati per raccogliere la rugiada necessaria all'opera. E F. Nietzsche, un filosofo così aurorale, così figlio dell'Aurora, dichiarò da parte sua che la filosofia è trasformazione. Non possiamo identificare la trasformazione con la tramutazione, perché questa comporta un cambiamento di sostanza, e la trasformazione invece è un cambiamento di essenza, della qualità e della sua relazione, diremmo di funzione. Ma se in Nietzsche il filosofo non c'è tramutazione non è perché lui si sia arrestato al limite, ma perché, non essendo sostanzialista, il suo pensiero non può accogliere propriamente la tramutazione, imbevuto com'è non già delle essenze, ma della quintessenza del filosofare. E questo lo induce al superamento, ad andare oltre ogni morale e qualsiasi concezione antropomorfica. Forse la rugiada proviene da un luogo della vita oltre il sole, oltre quell'astro-re, fonte unica di vita e calore? O ci furono, in altri tempi, altri soli, non questo sole unico, che nella loro fuga, o nella loro estinzione, lasciarono qualcosa che ancora si genera e si diffonde dal vuoto del loro essere? Come fosse una fessura in questo cosmo, che si apre e lascia filtrare un'acqua vivificante, e a volte un raggio, minimo, di una luce più attiva; acqua e raggio che provengono da oltre l'astro del sole. O forse da più lontano ancora, da un luogo impensabile che non appartiene a questo piccolo cosmo che ci alberga nella sua immensità. Perché, pur essendo in apparenza così chiuso, questo cosmo ha le sue fessure, pori aperti, anche se non conosciamo le leggi che li governano. Pori aperti in direzioni diverse, verso distinti regni dell'Universo, senza materia e senza luce alcune, altri, diversamente, con una luce più vivificante e con elementi più operanti, come l'acqua. Come se ci fossero altri astri, altri regni, altri luoghi più vicini a quello che la teologia ha definito come l'essere del corpo glorioso: intelligenza, chiarezza, impassibilità e sottigliezza. La rugiada potrebbe essere, così, gocce di questa gloria, cosparse sull'orlo del giorno, su questa terra.
NOTE
1 «La mattina di San Giovanni, quando il giorno albeggiava, scese la Vergine Maria, ai piedi di una fonte chiara».
2 Allusione al Romance del Conte Arnoldo, che risale al XV secolo, trasmesso fino al secolo XX dalla tradizione castigliana e catalana, orale e scritta. In esso appare il canto magico che il capitano della nave rifiuta di ripetere al conte: «Canto questa canzone / solo a chi viene con me».
3 Letteralmente «Vergine della Rugiada», cui ancora oggi in Andalusia è dedicato il pellegrinaggio alla foce del Guadalquivir, cui allude il testo.