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    La letteratura fantastica

    Tra tentazioni diaboliche e ascesi mistiche

    Maurizio Zucchi

    Indagare in modo sistematico la relazione tra il fantastico e il religioso richiederebbe non le poche pagine di un articolo ma un saggio, anzi una collezione di monografie che possa efficacemente sviscerare i rapporti addirittura esistenziali e costitutivi tra i due mondi. Quando anche ci si volesse limitare al solo Cristianesimo, escludendo le altre religioni importanti nella creazione dell'immaginario fantastico, la ricchezza di suggestioni bibliche ed evangeliche sarebbe tale da scoraggiare qualunque opera esaustiva, a meno di non dedicarsi ad essa con spirito diderotiano.
    Mi limiterò pertanto a offrire alcuni suggerimenti, indicare alcune vie tra le mille possibili per ripercorrere un intreccio indissolubile, fatto di legami talora chiari e talora nascosti, di sciarade inconsapevoli e di richiami puntuali, di sottili riferimenti e palesi allegorie. Un confronto dialettico, talvolta in accordo e sintesi altre volte in antitesi, che dalle origini si prolunga all'età contemporanea.
    Occorre innanzitutto liberare il campo da quello che non considereremo letteratura fantastica: ovvero il sottogenere utopico e ucronico, dove l'elemento fantastico ha solo una presenza secondaria e funzionale, ma anche il fiabesco, il mitologico e il favolistico, dove le memorie e le suggestioni collettive, anche nel caso di opere autoriali, prevalgono sulla creazione dell'individuo.
    Dal punto di vista cronologico possiamo, come fa Tzvetan Todorov, collocare la genesi del fantastico all'inizio dell'Ottocento, con il grandioso Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki, seguito immediatamente dall'opera visionaria e autenticamente notturna di E.T.A. Hoffmann. Una prosa onirica che in entrambi i casi mescola immaginazione e simbolismo, in anticipo di decenni sulle tendenze della poesia baudelairiana di fine secolo.
    Occulto, magia, alchimia e divinazione, secondo il magistero della Chiesa e più ancora nell'interpretazione corrente fino a decadi recentissime, sono sempre stati un patrimonio totalmente demoniaco. La Natura è il disegno di Dio e qualunque tentativo di sovvertirla si realizza con l'intervento del Demonio. Se nelle epoche di maggiore oscurantismo ciò degenera nel rifiuto del progresso scientifico e dell'innovazione tecnologica, nemmeno nei momenti di maggiore apertura viene meno il pregiudizio verso alterazioni per così dire "irrazionali" o legate al mondo della magia. Non esiste e non può esistere una magia positiva: al più, qualora accadano degli eventi benefici di genere inspiegabile, ricadiamo nella sfera di interesse del religioso/miracolistico. Una differenza non da poco, anche perché mentre nella concezione magica è l'uomo ad alterare il flusso regolare degli eventi con delle tecniche e degli incantesimi, nella seconda è Dio che interviene utilizzando l'uomo come mezzo: quest'ultimo ha solo il compito di stimolare l'intervento divino attraverso il rito o la preghiera.
    Nel Manoscritto di Potocki il Cristianesimo rappresenta l'argine che impedisce al protagonista Alfonso di scivolare completamente in un onirico e sotterraneo mondo musulmano di cui viene convinto gradualmente di far parte. Emina e Zibeddé, sue cugine e amanti, lo convincono a liberarsi dell'amuleto che porta al collo (una santa reliquia) sostituendolo con una treccia dei propri capelli; l'esito della decisione è ambivalente, così da non chiarire l'idea ispiratrice dell'autore: da un lato, non sorretto dalla protezione della religione, Alfonso sembra cadere in una spirale diabolica, dall'altro, liberato dalle costrizioni della stessa, riesce ad abbandonarsi senza pudori alle gioie dei sensi.
    La contrapposizione al Cristianesimo, qui accennata e negata ad un tempo, si esplica in tutta la sua forza a partire da Lovecraft. Il grande scrittore statunitense tratteggia nell'Universo di Cthulhu (il mondo immaginario in cui si svolgono numerose delle sue storie) una cosmologia alternativa, atea eppure non meno ricca di riferimenti religiosi in senso negazionista. Gli Dei Esterni, cui Lovecraft accenna più volte, sono sì delle personificazioni razionalistiche delle forze della fisica, ma alcune delle loro caratteristiche sono mutuate da un complesso di strutture giudaico-cristiane. Il più grande degli Dei Esterni, Azathoth, si trova al centro dell'universo, è il supremo insensato, si agita in continuazione in una danza sfrenata e lasciva, bestemmia ed è come gli altri Esterni una fonte di caos, morte e distruzione. Il riferimento per contrasto al Dio cristiano, immobile, estraneo al tempo e allo spazio, fonte di ogni bene e sorgente di ogni sapienza salta agli occhi con estrema chiarezza.
    Ancor più che in Lovecraft, anche in Pullman abbiamo una cosmologia sì atea ma profondamente intessuta di riferimenti cristiani. Nella trilogia Queste Oscure Materie l'Autorità, identificata con il dio delle religioni monoteiste, è il più antico degli angeli che si sono formati nella Polvere (probabilmente un riferimento alla materia oscura che permea l'universo secondo l'astrofisica), ma fa credere agli uomini di essere il Creatore. La polemica si fa in questo caso non solo antireligiosa ma soprattutto antiecclesiastica. Pullman critica con violenza l'organizzazione delle confessioni cristiane, in primo luogo quella anglicana e cattolica. In uno dei mondi paralleli da lui immaginati, Giovanni Calvino è divenuto Papa, abolendo la carica alla fine della propria vita, e la Chiesa, chiamata Magisterium, gestisce un potere enorme attraverso l'inganno, l'oppressione e la pervasività in ogni aspetto della vita di una società frammentata e arretrata. La forma di governo è teocratica e il Sant'Uffizio, pienamente attivo, è uno degli organismi fondamentali della gestione burocratica.
    Il direttorio che governa la Chiesa stessa sembra non avere alcuno scrupolo nell'ordinare guerre, massacri e uccisione di innocenti quando questi, come la predestinata Lyra, protagonista della trilogia, minacciano di mettere in difficoltà i suoi piani. Proprio la figura di Lyra, definita come nuova Eva, è estremamente interessante. Si tratta di una "salvatrice", una "predestinata", il che mal si accorda con un mondo razionalista. Una bambina, minacciata di morte dai potenti, annunciata da degli indovini, che abbatte il male e salva il mondo: le analogie con la figura di Cristo possono non essere casuali. È infatti interessante notare come, se da un lato la Chiesa e Dio Padre sono violentemente colpiti dalla vis polemica di Pullman, la figura di Cristo non ne è minimamente sfiorata.
    Pur nell'assenza di entità divine e di fonti del bene o del male non c'è alcuna traccia in Pullman di relativismo. L'Assoluto è rappresentato dalla Verità, univoca e inequivocabile, addirittura misurabile attraverso un apposito complesso strumento, l'Aletiometro, che Lyra riesce a leggere per incanto. Il perseguimento della verità è necessario e costituisce un processo distruttivo di tutte le menzogne propugnate dal Magisterium, ma non porta alla felicità: nella sua concezione materialista, realista e pessimista, Pullman non vuole concedere spazio all'illusione. La conseguenza che ne deriva è la mancanza nell'opera di una pars construens: nell'atto liberatorio e catartico si chiude in qualche modo il programma pullmaniano.
    Spesso i critici letterari e lo stesso Pullman hanno individuato in Queste Oscure Materie l'opera diametralmente opposta a quella di Clive Staples Lewis, Le cronache di Narnia. Dal punto di vista della considerazione del tema religioso ciò è senz'altro vero: alla visione ateo razionalistica di Pullman si contrappone quella devota di Lewis, in cui il Leone che si sacrifica per il bene delle altre creature è una metafora cristologica lineare e incontrovertibile.
    Le Cronache, lette da un adulto, diventano un vero e proprio libro religioso rivisto in una cornice fantastica e, dalla tentazione del Leone Salvatore da parte della strega tentatrice, alla resurrezione dopo la morte, i temi cristiani sono tanti e tanto espliciti che elencarli diventa da un lato difficile, dall'altro superfluo.
    Dal punto di vista compositivo, tuttavia, le scelte sono simili: universi paralleli che però si influenzano fino a essere compenetrati uno dall'altro, animali parlanti e protagonisti bambini. In entrambi i casi, però, dopo i primi libri più incentrati sulla vicenda fantastica, gli autori tendono a privilegiare la dimostrazione delle proprie teorie riguardo alla religione, sconfinando di fatto in generi diversi e rischiando di disorientare (o annoiare) i propri lettori, specie se ragazzi. La marcata caratura filosofico/religiosa rende anche più difficile la sopravvivenza delle opere nel tempo: in una società sempre più scristianizzata dove l'elemento religioso codificato diviene progressivamente marginale, i sovrabbondanti riferimenti impliciti ed espliciti di Pullman e Lewis, contro o a favore del religioso, rischiano di essere sempre meno compresi e assimilati con il passare delle generazioni.
    La scelta di Tolkien di creare un mondo autenticamente e profondamente fantastico in modo ampiamente autonomo dalla religione, colloca ll Signore degli Anelli e le altre sue opere fuori dal tempo, pur non rinunciando al riferimento biblico, anche se in modo marcatamente diverso dall'altro "Inkling". L'influenza religiosa si riverbera soprattutto nel Silmarillion, la Genesi tolkieniana.
    Al contrario di Lewis e Pullman, il padre del Signore degli Anelli non è interessato a un programma teologico, apologetico o accusatorio quanto piuttosto alla mitologia cristiana, così come saccheggia tutte le altre mitologie, da quella norrena alla greca alle remote leggende sumeriche e babilonesi. Si tratta di un uso consapevole, dotto e culturale che colloca però quel che utilizza in una dimensione sacrale.
    La cosmologia di Arda, universo tolkieniano, presenta importanti affinità con quella biblica. La figura di Melkor, il più potente degli Ainur (sorta di angeli) che si allontana da Dio e dai suoi pari diventando la fonte del male, ricorda da vicino il Lucifero cristiano.
    L'opulenza e la varietà dei ricercati riferimenti culturali di Tolkien rende a volte impossibile capire da dove l'autore abbia tratto ispirazione. La concezione monista imperante, in cui il male non è elemento costitutivo ma assenza di bene, potrebbe essere mutuata da quella agostiniana, ma per filiazione diretta potrebbe derivare anche dalle dottrine neoplatoniche. Iluvatar da un lato ricorda il Dio dell'Antico Testamento, dall'altro ha un nome che richiama una divinità finnica nella sintassi e la figura di Odino nella semantica. Negli autori contemporanei o della letteratura fantastica di consumo, privi degli intenti allegorici di Lovecraft, Pullman e Lewis ma anche della cultura enciclopedica di Potocki e Tolkien, l'attenzione al mondo religioso sembra comunque emergere, se pure in tono minore. Si tratta infatti di un rimando naturale e in parte inconsapevole alla cultura degli autori: i riferimenti biblici, al pari di quelli stregonesco/diabolici, perdono molto della caratterizzazione originaria e divengono semplicemente funzionali alla narrazione e al contesto che si vuole creare.
    Prescindendo da autori maggiori o minori, in molti casi non è insomma facile capire quanto dell'ispirazione biblico/religiosa dipenda da una scelta e quanto dalla formazione degli stessi, vissuti in una civiltà (quella occidentale) dove la Bibbia ha per secoli costituito il cardine (e talora il canone) del Sapere per eccellenza.
    Se la Bibbia e la religione cristiana vengono utilizzate anche in virtù dell'essere a fondamento di etica e pensiero della civiltà occidentale in cui la stragrande maggioranza dei narratori vive, diventa allora interessante indagare quali siano le altre motivazioni che muovono lo scrittore nel raccontare di luoghi e persone inesistenti.
    Forse quello che accade davvero nella letteratura fantastica è che l'uomo realizza in modo perfetto il sogno della sua storia, quello che si intravede in modo imperfetto in ogni scoperta scientifica e in ogni innovazione tecnologica: diventare Dio. Grazie alla fantasia, l'autore e con lui noi lettori trascendiamo il limite della nostra natura umana, della caducità e della finitezza e ricreiamo l'infinito, l'eterno, i primordi e le ere a venire, le creature che ancora non esistono e quelle ahimè scomparse.
    Un viaggio straordinario verso mondi solo immaginati, in cui per chi legge l'ammirazione per la bravura di un autore nel rendere reale l'irreale e visibile l'invisibile scaturisce dall'anelito a poter davvero entrare a far parte delle storie, delle avventure e dei luoghi da lui descritti.
    Un percorso che solo in piccola parte è esterno a noi, perché il viaggio è nella nostra personale immaginazione e nella nostra individuale fantasia, dove i mondi onirici si arricchiscono di particolari e di caratteristiche diverse per ciascuno di noi.
    La lettura del fantastico può diventare allora un mezzo di conoscenza di se stessi, di esplorazione di recessi nascosti del proprio animo? Può darsi, ma questa, come ama ripetere Michael Ende nella Storia Infinita, è un'altra storia, e andrà raccontata un'altra volta.


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