Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email


    Il segreto di Silone

    e il meridione dell'anima

    Paola Villani

    In certi momenti di silenzio interiore,
    in cui l'anima nostra si spoglia di tutte le finzioni abituali,
    e gli occhi nostri diventano più acuti e più penetranti,
    noi vediamo noi stessi nella vita,
    e in sé stessa la vita, quasi una nudità arida, inquietante.
    (L. PIRANDELLO, L'Umorismo, 1908)

    Letteratura della "vita"

    La «nudità arida, inquietante» del Pirandello – citato nell'esergo con cui apro questa mia riflessione – è forse marca comune anche a Silone. È anche in Silone, come in Pirandello, che prende voce e corpo quello che (mutuando una felice espressione di Franco Cassano, che parla di «pensiero meridiano») possiamo definire meridione meridiano.
    È la vita che quasi trova come correlativo oggettivo si direbbe, il Mezzogiorno arido, la povertà come metafora di una indigenza esistenziale che trovava nel Sud i suoi frutti più evidenti e dolorosi.
    Certo, non si può non concordare con Sergio Campailla: «È così difficile sostenere un discorso sulle domande radicali». [1] È pur vero, però, che a un tentativo del genere va ascritto un grande merito: segnare una inversione di rotta decisa e coraggiosa, e soprattutto felicemente inattuale su un duplice piano, critico e diremmo sociologico.
    Sul piano critico, per il recupero di un'area quasi messa da parte dai diversi circoli critici letterari che hanno tracciato le orme del cammino degli studi letterari dell'ultimo secolo; dai formalisti russi del circolo di Mosca fino al Gruppo '63 o all'Oulipo. In diversi modi e con diverse soluzioni teoriche il Novecento è giunto quasi a separare materia affettiva spirituale e strutture impersonali della scrittura, finendo con l'occuparsi solo delle seconde, cioè chiudendosi (o forse aprendosi) ad una dose reading in cui il critico ha potuto espletare tutte le proprie competenze in materia di stile di forma e la propria perizia tecnico-formale.
    Ma anche sul piano filosofico e sociale: in questo caso ribalta l'orientamento, o forse l'ammiccamento, verso una esclusione di domande radicali dalla repubblica della società, un'adesione all'immanente che spesso perde il senso di sé e finisce di essere scelta deliberata e consapevole e si riduce a un oblio o a una esclusione di domande "altre", domande di senso. In nome di una laicità della cultura, si corre il rischio di una rinuncia a quesiti esistenziali, o comunque di una risposta via negationis, o al massimo orientati all'unica affermazione possibile: il nihil cognosci potest nisi nihil. Ecco, il discorso sulle domande radicali intende invertire questo percorso, costringere a mettere sul tappeto interrogativi esistenziali, quasi in un dialogo con la pagina letteraria, che è un confronto del lettore e interprete con l'autore alla ricerca comune di un senso.
    D'altronde, sono in tanti (filosofi e scrittori) a sostenere questo impegno. Già nel 1935 Edmund Husserl, tre anni prima di morire, tenne alcune conferenze sulla crisi dell'umanità europea. Per Husserl, le radici della crisi erano situabili all'inizio dei tempi moderni, nel carattere unilaterale delle scienze occidentali, che avevano ridotto il mondo a un semplice oggetto di esplorazione tecnica. Husserl rivendicava il valore conoscitivo dell'arte e della scrittura, in particolare del romanzo, che è nato proprio in età moderna. Il romanzo nascerebbe, come anche poi, riprendendo Husserl, per il più "leggero" scrittore Milan Kundera de L'arte del romanzo, nella capacità di cogliere l'uomo nel suo essere concreto, il suo «mondo della vita» (die Lebenswelt). Il romanzo, quindi, avrebbe un grande merito: «I grandi temi esistenziali che Heidegger analizza in Essere e tempo, giudicandoli trascurati da tutta la filosofia europea anteriore, sono stati svelati, mostrati, illuminati da quattro secoli di romanzo. Nel mondo che gli è proprio, secondo la logica che gli è propria, il romanzo ha scoperto, uno dopo l'altro, i diversi aspetti dell'esistenza». [2]
    Tutto sembrerebbe avere inizio, rimanendo in compagnia di Kundera, nei tempi moderni, e precisamente in un meridione d'Europa, in Spagna: «Mentre Dio andava lentamente abbandonando il posto da cui aveva diretto l'universo e il suo ordine di valori, separato il bene dal male e dato un senso ad ogni cosa, Don Chisciotte uscì di casa e non fu più in grado di riconoscere il mondo. Questo, in assenza del Giudice supremo, apparve all'improvviso in una temibile ambiguità; l'unica Verità divina si scompose in centinaia di verità relative, che gli uomini si spartirono fra loro. Nacque così il mondo dei Tempi moderni, e con esso il romanzo, sua immagine e modello» [3]
    Il romanzo, quindi, e la letteratura in genere, come specchio dell'insaziabile ricerca di conoscenza dell'uomo moderno. Ecco la felice intuizione di chi vuole fare un discorso sulle domande radicali. E focalizzarsi sulla Sicilia, o sul meridione in genere, risulta scelta altrettanto sagace. È forse proprio nel meridione che si trova una delle testimonianze più evidenti e sofferte di quello che Cassano chiamava «pensiero meridiano». [4] È la riflessione esistenziale del Novecento, di una società che ha in sé cupio dissolvi; è al tramonto, un tramonto molto più scuro di quello già profetizzato da Osvald Spengler. Silone stesso si trovava a riconoscere:

    La "meridionalità" aveva in Italia la triste sorte di riassumere tutte le possibili doglianze degli uomini contro la società e contro la natura [...] la rivincita del Sud si svolge nella sfera della immaginazione: gli artisti e i letterati provengono in prevalenza dal Sud, mentre gl'ingegneri e uomini di affari sono nativi nel Nord. Mi guarderò bene dal dedurre da queste coincidenze una qualsiasi teoria; ma non è da trascurare il fatto che un racconto abruzzese o siciliano possa essere accolto in Virginia, in India, nell'Africa del Sud, nella Terra del Fuoco, come una storia locale. Non è dunque esatto che l'elemento cosmopolita nella società moderna sia un prodotto esclusivo della civiltà industriale. Vi è un universalismo dei contadini poveri che è molto più antico. Antico almeno quanto la povertà e l'ingiustizia. E perfino i critici letterari hanno finito col capire che conveniva smetterla di classificare come regionali gli scrittori del Sud. [5]

    Si propone, quindi, una nuova, antica forse ma mai dimenticata e fuori moda, prosa d'arte, una lettura che punta alla ricerca di un senso dell'esistenza. Una nuova letteratura che si nasconde dietro la structure, dietro la parole, lo stile, la trans-linguistica. È la letteratura della "vita". Una parola che si fa verbo universale, grido di un profeta dell'essere la cui ricerca non rinnega mai un forte autobiografismo, non sacrifica questo all'altare dell'universale, ma cerca il fuori di sé nel sé e viceversa. Un'arte che è poesia della vita e dell'esistenza, che supera la dimensione crociana di intuizione lirica pura, per diventar parola del cuore e della mente insieme.
    D'altronde, per restare all'autore dell'Estetica, è noto il severo giudizio espresso su Pirandello: «Taluni spunti artistici, soffocati da un convulso, inconcludente filosofare. Né arte schietta quindi né filosofia». Ed è proprio questa considerazione, che a Croce serviva come lancia da infliggere contro Pirandello – contro quella desanctisiana, pesantissima, idea deterministica della letteratura come «espressione della società», [6] in nome invece dell'arte come «intuizione lirica pura» – che per noi, al contrario, fonda la grandezza dell'autore. È proprio nell'aver unito in un binomio endiadico poesia e pensiero, secondo la definizione attribuita a Leopardi ma valida per molti degli autori oggi studiati: pensiero poetante e poesia pensante. È qui che risiede, a parer nostro, la grandezza.

    Universalità del "meridione"

    In questa prospettiva ben si inserisce Ignazio Silone, come scrittore in cerca di senso, nella vita personale, nell'impegno politico, e in una scrittura che molto risente di una forte impronta autobiografica. All'interno del vasto scenario delle sue innumerevoli attività umane, Silone mai tradisce la fedeltà all'io persona, in una oscillazione mai tradita tra autobiografismo e scrittura. Ed è proprio l'autobiografismo un metodo di indagine valido e concreto.
    La marca propriamente artistica maturava in Silone proprio negli anni di progressivo ripensamento antidillico del romanzo, almeno da parte di molti autori e critici, distanti dal vecchio romanzo regionalistico, come pure da quello dell'autobiografismo esasperato di marca psicologica.
    Una scrittura che rimaneva fortemente ancorata al suo meridione, ma che non diventava mai propriamente "regionale". Scrittura del meridione quindi, o anche delle regioni, ma mai regionale, per poter essere davvero opera d'arte, la quale «se è autentica, attinge sempre all'universalità, qualunque sia il suo tema» [7] e dunque è di per sé "universale".
    Sull'irriducibilità della letteratura, e più ancora dell'arte, alla filosofia già molto è stato scritto, e il tema è sul tappeto di gran parte delle indagini critico-letterarie, sulla teoria della letteratura e sullo studio delle contaminazioni di generi. Sull'autonomia dell'arte non ci sono ormai dubbi, nonostante questo assunto sia stato più volte minato da diverse correnti culturali e svariate contingenze storiche. Dall'estetica del miscere utile dulci, dall'arte didascalica che dall'antichità emergeva come fiume carsico in molti secoli della modernità, dall'estetica pre-illuministica del Gravina o Muratori, fino a quella romantico-storicistica manzoniana, fino alle più recenti espressioni della poetica neo-realistica del letterato engagé.
    Oggi quei tempi sono superati, insieme con la sommaria definizione dell'arte-mimesis. Si tratta ora di comprendere le domande radicali della letteratura fuori dall'assioma dell'autonomia dell'arte, in una letteratura iuxta propria principia, in senso moderno e postmoderno, in un'arte che non ha nulla da contendere al saggio filosofico, ma che non può considerare altro da sé l'uomo, l'uomo come umanità inserita in una storia alla quale stenta ad appartenere in modo sereno, all'interno di un avvicendarsi storico che non è più il cosmos ordinato, ma è il cosmo dell'«onda di probabilità» già individuato nel superato ma sempre valido saggio di Debenedetti sul romanzo del Novecento, e unito al manifesto tronfio della «morte di Dio» profetizzato da Nietzsche e ripreso da tutti i suoi contemporanei, e non solo.
    La scrittura di Silone è carica di domande e rimandi a questioni antropologiche. Non si tratta solo di un discorso sulla metafisica, ma sull'uomo nel mondo; non si cerca propriamente un trascendente, ma l'uomo in sé, nella sua dimensione meta-storica, l'uomo universale. Le questioni più intriganti quindi non vanno cercate negli "scritti cristiani", nella Avventura di un povero cristiano; piuttosto in quegli scritti in cui il problema antropologico si pone di taglio, quasi involontario e per questo forse più sentito e convincente. Silone sa molto bene come mettere in discussione le certezze non convinte dell'individuo, sa mettere in crisi le serene costruzioni illusorie che da sempre allettano l'uomo di tutti i tempi. Coerente solo a se stesso e alla sua coscienza, Silone sembra quasi scrivere alla ricerca di risposte.
    In effetti, in Silone, «la visione antiidilliaca del romanzo maturava in un contesto di graduale superamento del romanzo regionalistico e municipalistico».[8] Dunque, Silone scrittore del meridione, ma non scrittore meridionale, né tanto meno regionale. Il meridione è metafora dell'esistenza. Essenza stessa di questa metafora, per Silone, sono i romanzi, i «veri romanzi», intesi come «rappresentazioni sociali vaste, originali, viventi, profonde» [9]
    «Ora il lavoro artistico mi appare come la sola maniera degna che sia a mia disposizione per vivere in qualità di uomo. [...] Il bisogno di verità e di sincerità che mi ha allontanato dalla politica dei partiti, è l'impulso principale che mi sostiene nel lavoro letterario», scriveva Silone a Rainer Biemel nel 1937. [10] E la lettera prosegue con una quasi citazione pirandelliana, del Pirandello della Tragedia di un personaggio, nel sostenere la verità delle res fictae, rispetto alla realtà mendace non veritiera:

    La creazione artistica è stata per me una lotta nella quale, il mio spirito, liberato dalle angosce precedenti, allontanato, affrancato, appartato da un mondo confuso ed equivoco, ha cercato di mettere ordine e ha creato un mondo a sé, un mondo semplice, chiaro, evidente, un mondo fittizio ma vero, in ogni caso più vero del mondo reale e apparente. [...] Il bisogno di sincerità e di verità mi porta a creare un mondo semplice, chiaro, evidente; e non un mondo irreale, fantastico o lunare, ma il nostro mondo terrestre, il mio paese terrestre, e nel mio paese, la regione dove sono nato e che conosco e amo [...]. Nella mia opera la rivoluzione è un dramma estremamente ricco e complesso, di cui la parte politica non è che l'elemento più vistoso. In Pane e vino ho rappresentato i conflitti spirituali di un rivoluzionario in cui si agitano tutti i problemi del suo tempo. [...] In Pane e vino si scopre la vita interiore del rivoluzionario, che non è un semplice riflesso della situazione esterna, ma è la vera fonte e ispirazione del suo comportamento. L'atteggiamento rivoluzionario diventa la conclusione di un lungo dramma che comincia con la scoperta di alcune certezze sulla vita dell'uomo. L'affermazione di sfera autonoma d'interiorità spirituale ha scandalizzato i falsi rivoluzionari che non vedono nello spirito altro che il riflesso di interessi materiali... Mi si è rimproverato di porre delle domande e di non risolverle. Fontamara finisce con un punto interrogativo, Pane e vino con il segno della croce... [11]

    Silone, però, ha dato una risposta. Sentiamo questo che può intendersi come manifesto-antidoto contro il nihilismo, in vista di una religiosità che non ha nulla di trascendente ma che sgorga viva dalla vita:

    Malgrado tutto, dunque, resta qualcosa? Sì, vi sono certezze irriducibili. Queste certezze sono, nella mia coscienza, certezze cristiane. Esse mi appaiono talmente murate nella realtà umana da identificarsi con essa. Negarle significa disintegrare l'uomo. Questo è troppo poco per costituire una professione di fede, ma abbastanza per una dichiarazione di fiducia. È una fiducia che si regge sopra qualcosa di più stabile e di più universale della semplice compassione di cui parla Albert Camus. Essa si regge in fin dei conti sulla certezza intima che noi uomini siamo esseri liberi e responsabili; si regge sulla certezza che l'uomo ha un assoluto bisogno di apertura alla realtà degli altri; si regge sulla certezza della comunicatività delle anime. La possibilità della comunicatività delle anime non è una prova irrefutabile della fraternità degli uomini? Questa certezza contiene anche una regola di vita. Eamore per gli oppressi nasce da ciò come un corollario che nessuna delusione storica può mettere in dubbio non essendo amore d'interesse. La sua validità non dipende dal successo. Con queste certezze a fondamento dell'esistenza, come rassegnarci a vedere soffocate le possibilità dell'uomo nelle creature più umili e sfortunate? Come concepire una vita morale che sia sorda a questo impegno fondamentale? [12]

    Ecco ancora quesiti, punti interrogativi come quello che chiude Fontamara. Ma si tratta di "interrogative retoriche", a risposta scontata e non messa in dubbio. Sono le certezze di fraternità e amore per i più deboli a fondare il delicatissimo rapporto tra «benessere collettivo e vita morale», [13] nel segno di una solidarietà che Silone fonda appunto sull'amore tra gli uomini, anticipando con lucida preveggenza di gran lunga il recente dibattito su welfare state e solidarietà, che trovano già nella riflessione siloniana degli anni trenta una matura elaborazione.

    L'inchiesta come crocevia di giustizia e verità

    Si direbbe quindi che il grande nemico contro cui si batte la vita e l'opera di Silone, sia davvero l'assenza di una spiritualità, tanto da confluire nella grande esortazione apodittica habeas animam dell'omonimo saggio:

    La nostra parola d'ordine dev'essere la più universale, la più semplice, e nello stesso tempo la più radicale; la rivendicazione del carattere sacro e inalienabile dell'anima umana. Habeas animam: che ogni creatura, chiunque sia, abbia diritto alla propria anima. [14]

    Sembra che in tutti gli scritti siloniani ci siano alcuni fili conduttori, idee forti che trovano diverse espressioni e diversi registri, nella saggistica politica, come nella critica letteraria: un forte imperativo morale a non tradire. Silone vuole «riaffermare una volontà di fedeltà, una volontà di non tradire». [15] Questo imperativo ha trovato fulgida espressione anche negli scritti d'arte, nei romanzi. E forse ha trovato la sua manifestazione più forte e affascinante nel discusso romanzo, anch'esso di forte impronta autobiografica, Il segreto di Luca. [16]
    Quando apparve, nel 1956, il romanzo fu accolto subito, dal pubblico e dalla critica, come una piccola rivoluzione all'interno del corpus siloniano. 17] L'elemento innovativo potrebbe certo derivare dal fatto che il romanzo, insieme al successivo La volpe e le camelie (1960), apparterrebbe a una fase della vita e dell'opera siloniana nella quale «lo scrittore ha il sopravvento sul politico». [18] Sarà inoltre Silone stesso a rispondere alle provocazioni di quanti, in particolare critici anglossasoni, vedevano, in quest'opera, il tramonto del romanzo di impronta sociale. La risposta è offerta, oltre che dal carteggio con Antonio Spinosa, [19] dal famoso articolo Letteratura e politica apparso su Critica sociale nel 1957, nel quale l'autore, a meno di un anno dall'uscita del romanzo, spiega come si possa far politica anche fuori dal partito e accusa il fatto che in Italia i concetti di politica e società hanno un'accezione limitata e restrittiva. [20]
    È l'autore stesso, dunque, a indicare la continuità de Il segreto di Luca con la restante produzione, proprio in nome del forte significato sociale dell'opera. [21] L'innegabile portata innovativa va, dunque, cercata in altri campi e trova ben più ampie argomentazioni. Innanzitutto, con Il segreto di Luca Silone inaugura una nuova forma di scrittura. Dall'affabulazione tipica romanzesca si passa a un racconto lineare, una novella lunga, o, se si preferisce, un romanzo breve. In un paesaggio dominato da una convenzionalità letteraria già sottolineata da Geno Pampaloni (il carcere, il convento, la vecchia villa abbandonata, la roggia vicino al mulino, il focolare dei casali di campagna...) [22] si muovono i personaggi siloniani, creature letterarie del tutto originali, nei caratteri e nelle azioni. Questa nuova struttura narrativa «più concentrata e serrata» [23] è dovuta, a sua volta, ad altri due elementi fortemente innovativi: l'ingresso prepotente della tematica amorosa e una tecnica argomentativa e affabulatoria di tipo indiziario, due elementi di solito considerati incompatibili tra loro e dalla difficile convivenza.
    La vicenda amorosa compare qui, per la prima volta, come nucleo principale della narrazione. Si tratta di una scelta contenutistica nuova, inedita per lo scrittore; e l'ingresso in scena (col ruolo di prima donna) del personaggio-"sentimento" ha messo in fuga gli altri personaggi, li ha fatti retrocedere al ruolo di comparse, salvando solo poche figure: Luca, Andrea e il grande personaggio "assente", o (direbbe Robbe-Grillet) «mancato», Ortensia, motore immobile (dietro le quinte) di tutte le vicende, prima causa, diretta o indiretta, di tutti gli eventi.
    Oltre all'ingresso prepotente della tematica amorosa, altro elemento di novità è appunto una particolare tecnica narrativa e argomentativa, "giallistica" o "indiziaria". Il romanzo ha tutte le caratteristiche di un grosso enigma. La scena si apre con un vecchio, di cui non si dice il nome; gli si fanno incontrare persone che gli domandano chi sia senza però riceverne risposta. Lo si fa muovere nei territori di Cisterna dei Marsi e l'Aquila in modo che se ne intuisca la sua familiarità. Se Pietro Spina in Vino e pane faceva il suo ingresso nella scena per via indiretta, anche per Luca accade qualcosa di simile: il suo ingresso iniziale è di tipo meramente "fisico", nessuno sa chi egli sia, o quale sia il suo nome, [24] nessuno sa che il suo è un "ritorno" nel suo vecchio paese di origine. [25] La vera storia del protagonista si conoscerà solo nel corso della lettura, attraverso i dialoghi dei «cafoni» di Cisterna dei Mar-si, attraverso quindi lo sguardo, il punto di vista esterno, dei personaggi. Solo in un ulteriore momento diegetico, sul finale del racconto, si conoscerà anche la vera identità di Luca, la sua natura più intima, la sua anima. Solo nelle ultime pagine del romanzo si riuscirà a entrare nell'impenetrabile personalità di uno sfuggente personaggio di cui per tutta la narrazione il lettore, portato per mano dal detective Cipriani, si trova ad andare in cerca. Nelle prime pagine, invece, domina un clima di oscurità. Sarà una vecchia cieca, sua lontana cugina, a riconoscere Luca dalla cadenza del passo; si tratta di un'agnizione che infittisce l'enigmaticità del racconto. L'alone di mistero che avvolge la identità di Luca viene spezzato, in seguito, per sua stessa volontà, nell'incontro con un ragazzino al quale rivela il suo nome, facendo uno strappo a quella reticenza-anonimato in cui si era trincerato. E dunque egli si presenta: il suo nome è Luca.
    Il lettore s'imbatte immediatamente in un personaggio dalla forte connotazione spettrale e fantasmatica: «Egli camminava in mezzo alla via. In quella luce abbagliante, in quella solitudine di macerie e di muri nessuno si accorgeva di lui. Sembrava uno spettro, un'anima in pena». [26] Tutti sono d'accordo su un punto cruciale, che nella notte dell'omicidio e del vagabondaggio di Luca dovettero scatenarsi forze superiori all'umano. L'episodio ha un'aura soprannaturale. E questo è il sigillo del velo misterico dell'evento; di qui, l'atteggiamento apotropaico dei cittadini di Cisterna (si pensi alla fuga della domestica di don Serafino o al rifiuto di zia Clarice a ospitare suo nipote Andrea insieme all'ex ergastolano).
    Incaricato di sciogliere l'enigma è Andrea Cipriani, uomo politico ormai di successo, anch'egli tornato nel suo paese natio dopo lunga assenza. Andrea, dunque, ha il ruolo di detective, con un duplice compito: deve ripercorrere a ritroso l'errore giudiziario che ha colpito Luca, dirigersi verso il suo errore-matrice e cioè verso il movente di una specie di omicidio collettivo (morale e civile) che ha condannato un uomo innocente; e deve, insieme, individuare le cause (o la causa) dell'indifesa remissività e reticenza dello stesso Luca, il perché del suo volontario silenzio che, nel rifiuto di addurre alibi a sua discolpa, lo porterà ad evitare di essere scagionato e a sottoporsi, dunque, a un suicidio volontario, l'ergastolo. La sua detection si compie in un clima tipico del romanzo-enigma, del quale compaiono alcune componenti essenziali, non ultima il «rumore», inteso come elemento disturbativo presente nelle sue due espressioni tipiche di reticenza-interferenza, e attribuibile alla popolazione di Cisterna. Andrea è un vero detective anche nel modo di condurre le indagini o di fare veri e propri interrogatori ai «cafoni» del paese, testimoni dei fatti di quella notte. Basta leggere l'incalzante dialogo-interrogatorio di Andrea con il mugnaio Ludovico. [27] D'altronde, è il vecchio parroco, don Serafino, a riconoscere ad Andrea «del fiuto poliziesco». Eppure l'affermazione è ironica, quasi nella convinzione dell'impossibile veridicità; ed è Andrea stesso a rifiutare questa parte, quasi che quell'appellativo fosse un'ingiuria:

    «Ti aspettavamo - dice il vecchio prete a Cipriani, in ritardo all'appuntamento -. Sei stato nuovamente in giro? Non c'è che dire, hai del fiuto poliziesco». «Vuoi offendermi? Speravo che quest'aria fresca ti avesse rasserenato».

    Ma don Serafino insiste e porta avanti la sua tesi:

    No, dicevo sul serio. D'altronde non c'è nulla di strano se nei perseguitati si sviluppa un forte senso investigativo. È sempre terribile quando arrivano al potere gli ex perseguitati. [28]

    Nel romanzo siloniano, però, a dispetto del romanzo "giallo" tradizionale, la storia del delitto è in fondo la storia di un falso delitto, di un omicidio reale ma non afferente al sospettato Luca. L'oggetto dell'indagine si sposta dal vero omicida (che dovrebbe essere oggetto dell'enigma e dunque fine ultimo della detection) a Luca, di cui si deve dimostrare non la colpevolezza ma l'innocenza.
    Il lettore viene condotto per mano dal narratore attraverso gli intricati meandri delle vicende. Scopre, così, che il contatto di Andrea Cipriani con l'affare Luca risale all'infanzia, quando Andrea dovette scrivergli le lettere di risposta della madre di Luca, analfabeta, che lavorava in casa Cipriani. A questa connotazione quasi "iniziatica", in Andrea si aggiunge l'istintiva quanto incrollabile certezza dell'innocenza di Luca e il relativo assillo sui significati di quella ingiustizia. Alle domande incessanti di Andrea, una donna del paese tenta di dare superficiale risposta, richiamando quell'antico, ineluttabile «destino» di cui erano vittima i personaggi tardo-ottocenteschi del verismo di Verga:

    Ma da quella certezza [dell'innocenza di Luca] nasceva per me un grave problema. «Se Luca è innocente» domandai a Teresa, «perché l'hanno condannato?». «Non gli è riuscito di sfuggire al suo destino» ella mi rispose. Quella parola di destino dava all'ingiustizia un senso tremendo: essa diventava in un certo senso naturale. [29]

    Andrea, dunque, è il personaggio in cerca di senso. Si oppone a una lettura della realtà come necessità, destino ineluttabile. «Fu per me la scoperta del doppiofondo dell'esistenza umana. Da lì, certamente, m'è rimasta la mania, direi l'ossessione, di scoprire quello che c'è dietro ogni cosa». [30] Il suo motto è «voglio solo capire», come appunto dice a don Serafino. E più volte ripete: «Io ho bisogno di capire», «non lo capisco», «mi disperavo al pensiero di non capire tutto». Il verbo «capire» oltrepassa la figura del detective; si tratta di un assillo spiegabile proprio in considerazione della particolare forma di detection circolare che Andrea mette in opera: indagare sul caso di Luca è, insieme, una forma di autoanalisi, ossia uno scandaglio del proprio io, ritornando alla propria infanzia. Questa ricerca di sé, come già osservò Gathelin nel 1957, [31] ha un accento e una risonanza rari nella letteratura contemporanea, che trova pochi corrispondenti nelle altre letterature, tranne forse L'étranger o meglio La chute, dove anche Camus ha reso il sentimento vissuto delle cose e dei comportamenti umani. Anche dal colloquio con don Serafino si comprende l'ansia di verità di Andrea, dalla quale lo stesso sacerdote tenta di distoglierlo. Andrea, in questa somma di ruoli o funzioni che viene accumulando su di sé, diventa un novello Edipo, ricercatore instancabile del vero, disposto a sfidare il timore, la reticenza della gente e soprattutto sfida il destino, la necessità ineluttabile dietro la quale, per gli abitanti di Cisterna, poteva liquidarsi la ricerca della verità. In quest'ottica, in questo ipotetico dramma, don Serafino diventa quasi novello Tiresia.
    Le indagini prendono vita dal colloquio di Andrea con il giudice, ma erano iniziate già prima, nel dialogo con don Serafino appunto, e la stessa visita al vecchio magistrato è già una tappa avanzata di quelle indagini che Cipriani era risoluto a intraprendere e portare a compimento. E ci sono tre fondamentali tematiche del racconto: l'autobiografica ossessione di verità di Andrea, le radici ambientali del mistero e l'omertà del contesto sociale.
    Al termine delle indagini, che quasi coincide (se si esclude la scena finale) con la fine del romanzo, il lettore, attraverso il detective, scopre che il segreto di Luca è tutto riposto in un amore fuori dal comune, totalizzante, sublimatosi proprio perché non consumato: è un adulterio rimasto incompiuto. Il suo segreto è in una duplice impossibilità: è nell'amore impossibile per una donna sposata, Ortensia, ed è nell'impossibilità di amare la donna che avrebbe dovuto sposare, Lauretta. La vera colpa di Luca è stata quella di essersi messo «fuori della tradizione» (come dice don Serafino) per ben due volte, poiché il suo amore per Ortensia era contemporaneamente, e in modo contraddittorio, adultero e platonico, rivolto cioè a una donna maritata e insieme non consumato e sacrificalmente rinunciatario in rispetto di quel vincolo matrimoniale; in quanto platonico, disinnescava la conseguenza cruenta, ma espiativa delle «coltellate», della vendetta dell'adulterio, che ne avrebbe paradossalmente scontato la prima colpa. L'accusa è perciò di aver infranto per due volte il corso naturale delle cose, prima violando il matrimonio e successivamente violando il binomio adulterio-vendetta. [32] L'ergastolo stesso di Luca è un esilio, volontario, dalla tribù e dalla tradizione, cui però egli finisce col soggiacere; [33] un esilio dettato anche dal contesto. L'impianto è qui quello della tragedia. Attrice protagonista di questa tragedia è anche Ortensia, la quale si infligge un castigo volontario: il monastero.
    Anche attenendosi ai modelli di interpretazione proposti dall'analisi morfologica del Propp [34] (sulla cui applicazione ai testi letterari il critico stesso esprime riserve) si nota agilmente che nel romanzo siloniano si ripetono più volte due «funzioni» fondamentali, tipiche del giallo; sono due «classi» di azioni che si propongono in varie forme e con diversi personaggi attori: sono le funzioni di delazione e investigazione (che, nella loro fase diremmo risultativa, diventano occultamento e svelamento), cui si potrebbe aggiungere quella che Propp stesso definisce «arrivo in incognito», che Silone ha con originalità collocato all'inizio dell'intreccio. In particolare, l'«investigazione» si ha, propriamente, quando «l'antagonista tenta una ricognizione»; la delazione, quando «l'antagonista riceve informazioni sulla vittima». [35] Queste due classi di azioni sono entrambe riferibili al detective Andrea Cipriani nel suo lungo e intricato viaggio alla ricerca della verità. Più utile ancora può essere, però, l'analisi di un allievo della scuola proppiana, Claude Bremond, il quale fa esplicito riferimento a un tipo di sequenza di funzioni che chiama «a sacca» (enclave) e che prevede una serie di incastri, anch'essi presenti nella struttura dell'intreccio del Segreto di Luca. [36]
    Questo tipo di analisi non può, naturalmente, risolvere l'approccio critico al testo, si ferma alla considerazione dei rapporti logici dei processi interpretativi; ma può essere particolarmente utile in un tipo di analisi, come questa tentata in questa sede, che si prefigge lo scopo ben determinato di ricondurre un unicum (particolare), Il segreto di Luca, ad un universale (genere o sottogenere del giallo).
    Il segreto di Luca, dunque, risponde ad alcune costanti caratteristiche del romanzo indiziario, del giallo-enigma. Si tratta però di un giallo particolare, trasgressivo, appunto, come è stato osservato all'inizio. Innanzitutto manca un omicidio canonico. C'è un omicidio, ma esso è esterno all'intreccio, non è oggetto di detection, o meglio la tocca solo marginalmente, come occasione o punto di partenza. Il soggetto che compie questo delitto, inoltre, non è l'oggetto della detection. Non si deve individuare il colpevole, bensì discolpare un uomo ingiustamente accusato di omicidio. È un racconto a ritroso, si parte dal culmine dell'enigma per ripercorrere le tappe precedenti, fino ad arrivare a sciogliere il nodo dell'enigma, quella «maledetta» notte dell'assassinio. Il percorso è dunque inverso, dalla pena alla colpa. [37]
    C'è, inoltre, una componente fondante tutto il romanzo, un ingrediente originale, che squarcia le ristrette pareti di un poliziesco e apre un mondo di cui si perdono il fondo e i confini. Il tema che rende, se non unica almeno rara, l'opera, ravvicinabile solo a romanzi europei (si pensi, per esempio, a II processo di Kafka) è il tema della ingiustizia della sentenza, è l'errore giudiziario, è dunque una sentenza pronunciata in modo sbagliato, contro la verità. Giustizia e sistema giudiziario quindi non si pongono, come invece accade nel giallo canonico, come estrema conclusione (spesso omessa) del processo di conoscenza e del disvelamento della verità. Stavolta la giustizia si pone al di qua della verità, fonda e sostiene tutta la macchina congegnosa di apparenze; è la base della falsa verità, dell'opinione e del pregiudizio, ne è insieme conseguenza e convalida. Questa critica decomposizione del sistema giudiziario, della legge "positiva", scardina il grandioso meccanismo razionale della realtà, decompone la Weltanschauung positivista tipica del genere del giallo. Da questa decomposizione dipende una serie di corollari facilmente individuabili nel romanzo. Lo stesso Andrea Cipriani non si inserisce perfettamente nel ruolo classico del detective, se almeno per detective si decide di accettare una definizione offerta da Ilaria Crotti: «Il poliziesco è simile a un sadico gioco di specchi che, connotandosi paradossalmente di tratti onestamente disonesti, illude chi lo pratica di essere prossimo alla via d'uscita nel momento in cui ne è maggiormente lontano. È insomma un gioco in cui uno dei partecipanti, e sempre quello, "bleffa" di continuo pur avendo apparentemente le stesse possibilità di riuscita degli altri: questo giocatore privilegiato è il detective». [38] Nel romanzo siloniano, alla cabina di regia di questo gioco di specchi non si trova il detective. Andrea Cipriani si pone, rispetto al lettore, non in una posizione di antagonista, si pone anzi come complice. Ad allontanare dalla verità e ingannare, insieme detective e lettore, sono gli altri, i paesani, con il loro silenzio o con le loro false convinzioni. Sono loro ad emettere la sentenza definitiva, a non fidarsi del mea culpa del sistema giudiziario e a perseverare nel credere alla prima sentenza: quella di condanna.
    Ancora, al romanzo manca la surprise, altro elemento di affabulazione legato strettamente alla figura del detective e da questi generalmente guidato. Con il termine surprise si intende, di solito, nel giallo, lo stupore derivante da una soluzione (coincidente con l'explicit del romanzo) inaspettata e soprattutto improvvisa. Nel giallo canonico la surprise è preceduta da una lunga pausa di suspense, tesa solo a creare lo spessore che funzioni come vuoto narrativo; segue, quindi, l'explicit inatteso, dal quale al lettore viene la surprise, lo stupore: «Il lettore coglie immediatamente il "salto" narrativo dalla pausa alla surprise come un dislivello enorme».39 Nel giallo di Luca la verità giunge sì inaspettata, ma non improvvisa; le rivelazioni sono diverse, si succedono senza interruzioni, svelando gradatamente la verità, aggiungendo ciascuna un nuovo tassello al grande puzzle del segreto di Luca. È, inoltre, l'explicit stesso del romanzo a essere connotato in modo fortemente "trasgressivo" rispetto al giallo canonico. La fine del romanzo, infatti, non si presenta come apoteosi della razionalità; all'opera manca una conclusione che sia celebrazione della ratio, come invece predicava per tutti i romanzi polizieschi, tra gli altri, anche il sociologo Kracauer. [40] La conclusione dell'opera siloniana è invece un trionfo del sentimento, non inteso come irrazionalità o passionalità, ma come amore nel suo significato più alto, accompagnato da un patrimonio di valori non scritti, quegli agrapta nomima delle tragedie greche classiche che portano il protagonista fino alla morte pur di difendere leggi incise nel cuore. Non si assiste dunque al trionfo della logica-epistemologica o della metodologia scientifica, che da sempre ha dato al poliziesco una forte impronta positivistica. [41] Con questo, però, non si vuole scorgere nell'opera un preciso percorso dimostrativo volto a smascherare l'inconoscibilità del reale. La ricognizione della verità, tenacemente voluta, è in definitiva possibile, ma solo a costo di una profonda inquisizione, che assume i tratti di una rivolta, all'interno della cultura tradizionale rurale.
    Il compito di Andrea è quello di interrogare per conoscere. Egli non congettura, semplicemente riesce a far confessare tutto a tutti, vincendo l'omertà e la reticenza. Gli strumenti razionali d'indagine adoperati, nella sua febbrile ricerca della verità, da Cipriani (che parte dal considerare rigorosamente tutti i fatti o le azioni come conseguenze di moventi sempre restando nella logica razionale e utilitaristica) devono fare i conti con un'acquisizione di verità che sconvolge la splendida macchina razionale, si scontra con moventi di ordine completamente diverso, improbabili perché del tutto estranei a Cipriani stesso, da lui non condivisi e dunque fuori dalla gamma di possibili soluzioni messe sul tappeto dal Cipriani razionalista. In questo, il personaggio si avvicina soltanto all'immagine, sui generis, del poliziotto tracciata da Loris Rambelli. [42] II colloquio finale tra Andrea e Luca e lo svelamento del mistero quasi per rivelazione rompono quella rigorosa struttura significante «ad imbuto» [43] sulla quale si regge ogni buon giallo e lungo la quale correva anche la fabula del Segreto di Luca: è quel percorso che parte dall'apertura oscillante e irrazionale del primo momento e arriva alla verifica restrittiva di senso. Questa rigorosa struttura, sul finale, segna invece un'improvvisa apertura al sentimento e alla rivelazione, in parte contravvenendo a un topos del giallo. Del romanzo propriamente giallo, dunque, nel Segreto di Luca manca la certezza positivista del "potere" di conoscenza assoluto di cui gode l'uomo e soprattutto degli strumenti epistemologici. Questo potere, il cui detentore per antonomasia è sempre il detective, Cipriani non può vantare di avere. D'altro canto, su questo aspetto è l'autore stesso ad avvertirci quando, proprio nel 1956, mentre era alle stampe il romanzo, in tutt'altro contesto firmava insieme a Nicola Chiaromonte l'editoriale che inaugurava il nuovo periodico da loro fondato, Tempo presente:

    Noi non abbiamo nessuna ideologia o linea da proporre - si legge in questa nota -. Il punto di vista che assumiamo è quello che, oggi come oggi, nessuno è in grado di offrire una verità globale e sistematica, tranne i seguaci di idee fatte e di ideologie settarie. [44]

    Quest'autocritica (illuministica ma mai scettica) apertura a elementi tradizionalmente estranei alla detection pone il romanzo al di fuori del ristretto schema compositivo dei romanzi polizieschi, fondati quasi sempre sulla ripetizione: un tratto, questo, che il lettore esperto di gialli ben conosce, che si basa su un patto tacito con il lettore e che fa dell'aspettativa di quest'ultimo un punto di forza, fino a giocare proprio sul piacere della ripetizione, che trova fondamento, più che sulla reminiscenza, sia essa conscia o. inconscia, [45] piuttosto sulla rigida logica necessitante del rapporto causa-effetto.

    I connotati di chi cerca la verità: stranezza e libertà

    Altra caratteristica del romanzo siloniano, che segna una forte discriminante rispetto all'autorevole modello anglosassone, abbraccia una sfera più ampia, coinvolge la natura stessa e gli intenti dell'opera. Il romanzo, infatti, è estraneo al carattere di svago, a quella connotazione para-letteraria, sia essa intesa come svolta evolutiva [46] o invece come genesi prima del "genere" giallo. [47] Questa caratteristica era legata alla natura prevalentemente borghese delle opere poliziesche, che erano distanti dagli ambienti della malavita cittadina come dalle misere popolazioni rurali. Si trattava di una precisa identità sociologica e culturale, sottolineata anche da Walter Benjamin a proposito dei polizieschi ottocenteschi anglosassoni. [48] Per questo aspetto, Il segreto di Luca non può ricondursi al genere poliziesco: a quest'opera manca il suo essere un genere tipico della borghesia, specchio di quel senso di noia che veniva insinuandosi nella società e nella letteratura poliziesca, come spiega Rambelli sulla scia di quanto detto già da Sciascia: «Nel romanzo giallo si profila [...] il mondo della borghesia agiata nel momento del riflusso, della cattiva coscienza, della malafede e del sospetto; nel migliore dei casi il detective ricalca la figura dell'intellettuale borghese in attrito con la classe alla quale appartiene. E si fa strada un senso di noia, cioè un atteggiamento di passività e non di azione, in rapporto al quale si rinsaldano i legami fra l'autore e il suo pubblico. Il giallista scrive per vincere la noia (esattamente come Horace Walpole quando si accingeva a comporre Il castello di Otranto), e il suo libro ha lo scopo di lenire la noia del lettore e di riempire le ore vuote della sua giornata». [49] Niente di più distante dalla scrittura e dal lettore di Silone.
    Per penetrare il complesso mondo interiore dei personaggi siloniani, sarà utile ricordare quanto l'autore stesso, nel 1936, si trovava a scrivere all'amico Bernard von Brentano: «La difficoltà di comunicare con gli altri uomini» provata da Spina in Pane e vino «riflette in buona parte il mio stato d'animo». [50] La stessa confessione potrebbe fare, in un ipotetico diario intimo, anche Luca Sabatini, e forse molti altri personaggi siloniani (si pensi a Daniele, protagonista del romanzo forse più vicino al Segreto di Luca, non solo cronologicamente, ma per temi e tecniche narrative, La volpe e le camelie). [51] Con questo, non si vuole negare a Luca e agli altri personaggi la possibilità di comunicare: Andrea e Luca riescono a comunicare, ma attraverso strade non canoniche. Una di queste è anche il silenzio: Luca non vuole comunicare, o meglio deliberatamente esclude ogni possibilità di comunicazione verbale, se non nel dialogo conclusivo, se non a suggello e completamento di quanto Andrea aveva già compreso. Non può negarsi però che il suo stesso silenzio è una strada, non canonica, di comunicazione. Trasmette una molteplicità di contenuti. Ed è un silenzio in parte effetto di una implicita proibizione, una interdizione ad entrare nel circuito della comunicazione sociale. La sua espressività si traduce in silenzio, come anche in pianto, paura, desolazione, le uniche forme di linguaggio "pubblico" che sono consentite a Luca. Un silenzio eloquente, dunque, inteso come rifiuto di una identità mutevole (quella di fidanzato, promesso sposo, amante adultero, assassino). Il suo silenzio è carico di valore, espressione più alta del suo "straniamento" dalla legge familiare e dalla tribù. [52] Il vero protagonista della vicenda, infatti, si muove come soggetto "straniato", è un tipico eroe romanzesco, che G. Lucaks definisce «eroe problematico», il quale vive un senso di frattura profonda tra sé e il mondo, in quella che, sempre Lucaks e dopo di lui la sociologia letteraria di Lucien Goldman, identificano in una «opposizione costitutiva» che sta a fondamento di quella insuperabile frattura. Questa opposizione, però, stavolta arriva a superare quella «comunità sufficiente» pure presente in ogni romanzo; supera, cioè, quella comunanza tra l'eroe e il mondo che permette l'esistenza di un "genere" come il romanzo. [53] In Luca, dunque, prevale l'opposizione, che è alla base dello straniamento. E quest'ultima parola è da intendersi in un duplice senso, attivo e passivo. Da un lato, Luca si muove come soggetto "estraneo" rispetto al resto della società o comunità; dall'altro, lo stesso soggetto produce un effetto "straniante": la estraneità di Luca è contagiosa, coinvolge chiunque condivida i suoi pensieri, tutti incamminati verso un unico destino, quello di allontanarsi dalla folla fino ad averla come avversa. È questo, per esempio, il destino di Andrea Cipriani, nel suo passaggio dalla missione politica a quella investigativa intorno al segreto di Luca. Sin dall'infanzia, il "segreto" che legava Andrea a Teresa, e dunque indirettamente a Luca, distaccava il giovane da tutti i suoi coetanei. [54] A poco a poco Cipriani viene come calamitato dal personaggio di Luca, ne viene affascinato e contemporaneamente viene inglobato nel suo mondo, che si oppone, in alternativa, al mondo degli altri. Luca è portatore di un saldissimo e caparbio sistema di valori che non sono universalmente condivisi e neppure lontanamente compresi, che sfuggono a qualsiasi ragionamento o passione degli altri uomini. Cipriani ne viene comunque coinvolto: inizialmente in un rapporto di attrazione-repulsione tutto emozionale e incontrollato, in un secondo momento attraverso un processo di logica comprensione. Comprendere questi valori, però, condividendoli, significa necessariamente uscire dalla logica degli altri, la logica comune, ed entrare in quella di Luca. Tertium non datur. Questa condizione di strania-mento, però, non è frutto di una scelta volontaria, non nasce per misantropia, ma per il suo contrario, per un amore degli uomini che resta inappagato. [55] È questa la condizione dei due protagonisti, straniata e straniante (la «stranezza» è infatti il tratto caratteristico che i cafoni di Cisterna attribuiscono al detective e a Luca [56]), che però mai si risolve nella superiorità dei soggetti "estranei". In loro non c'è nessun compiacimento, nessuna fiera sprezzatura. C'è piuttosto una condizione singolare, sui generis, non condivisa o, se si vuole, rivoluzionaria. È pur vero, però, che «il rivoluzionario intellettuale in crisi, portatore di un messaggio socialista cristiano, cede il centro della ribalta a personaggi meno inquieti ed eroici più umili e silenziosi». [57] Andrea e Luca appartengono, sì, alla nutrita stirpe di rivoluzionari che arruola tra le sue fila molti personaggi siloniani, da Pietro Spina di Vino e pane e Il seme sotto la neve, a Berardo di Fontamara; sono, quindi, personaggi che non perdono la loro tempra rivoluzionaria; [58] ma trasformano questa stessa tempra, la quale cambia natura e oggetto di azione, non si manifesta nella lotta sociale e politica, bensì nella battaglia ingaggiata contro la morale tradizionale, che essi infrangono più volte. D'altronde, a mettere in guardia sulla eroicità dei suoi personaggi è l'autore stesso, nel suo lungo commento al romanzo:

    Non è affatto vero che Luca sia un uomo in rivolta contro il costume tradizionale della sua tribù: egli ne è vittima, appunto perché, nell'intimo, lo condivide. [59]

    Con questo, l'autore non vuole presentare un personaggio passivo, ma solo spostare il campo della sua ribellione e del suo eroismo, che risiede tutto in quella reticenza a parlare di sé, in quel coraggio dimostrato nell'affrontare l'ergastolo volontario come estremo rimedio alle sofferenze. Nella società di Cisterna, dominata dallo sfruttamento e da una schiavitù epistemologica dettata dal pregiudizio e dal timore ancestrale per un onnipotente destino, l'uomo libero diventa un eroe, un ideale. Luca è un eroe e, seguendo un'interpretazione proposta dall'Hobsbawm, secondo cui «l'uomo libero più caro alla maggioranza della gente è il criminale», [60] allora non ci stupirà la sua demonizzazione da parte dei cafoni di Cisterna. La sua libertà è facilmente interpretata in questa chiave "criminale": l'immaginario collettivo poteva interpretare la sua indomita reticenza ad aderire alla morale tradizionale come un comportamento criminoso. Il suo eroismo, dunque, si intende nella sua accezione di straordinarietà e di eccezionalità (extra-vaganza), e non di sintesi di positività e valore; almeno da parte della gente comune.
    Anche Andrea Cipriani ha, in parte, una tempra rivoluzionaria, ha un evidente e incontraddetto valore "positivo". È un "eroe", almeno secondo i canoni (poco epici e molto umani e morali) del mondo di valori siloniani. Il suo valore, si badi, non è legato qui alla sua militanza politica, non ha connotazioni dunque storico-pratiche (che lo avrebbero fatto cadere in giudizi contingenti), deriva invece dall'incarnare quell'ideale umano che Silone non mancava di tratteggiare. Incarna, per esempio, l'ideale di «uomo libero» descritto nel suo magistrale articolo contro i Nichilisti e idolatri apparso nel 1963 su Tempo presente:

    [...] consideriamo uomo libero, nel senso morale, chi non ha la mente ingombra di pregiudizi e, di fronte ai problemi del proprio tempo, assume una posizione dettata dalla ragione e dal senso di umanità. [61]

    Quella tempra rivoluzionaria che prima dell'incontro con Luca esercitava tutta nell'impegno politico, Andrea esprime ora nell'esercizio della libertà. Conduce la sua scepsi rigorosamente illuministica (di un illuminismo tutto siloniano) scevro dai retaggi pregiudiziali contro Luca, quei retaggi che invece ottenebravano le menti dei poveri cittadini di Cisterna dei Marsi. Cipriani è anche un eroe perché ha saputo passare indenne la crisi di valori di quel periodo, non è caduto nel duplice pericolo di nichilismo (inteso come rinuncia a capire) o di idolatria (intesa come «l'atto di fiducia e d'impegno in una forza politica, accettata ed esaltata come la sola forza capace di trasformare il mondo ed impadronirsene» [62]). Egli riconosce i limiti del suo credo politico, senza con questo cadere nella sfiducia conoscitiva. Vuole raggiungere la verità su Luca, convinto nella possibilità di questa operazione, ma lo fa senza pregiudiziali. Il suo unico pregiudizio (inteso nel senso propriamente etimologico) è l'innocenza di Luca. Questa certezza costituisce per Cipriani il punto di partenza della sua indagine, una certezza non verificata, data per acquisita, fondata non sulla sentenza giudiziaria (alla quale il critico illuminista-detective non avrebbe mai dato peso), ma su una incrollabile fede irrazionale, istintiva ed affettiva, incardinata nel suo cuore di fanciullo, quando si trovava a scrivere lettere all'ignoto Luca per parte della madre di lui. Una certezza fuori da ogni strumentazione logica e da ogni procedimento induttivo, eppure più salda di ogni altra, fondamento sul quale costruire una comunicazione vera, non di parole ma di anime. A Luca infatti che chiede a Cipriani, stupito, donde nasca quella certezza della sua innocenza, l'amico risponde:

    Ne ero certo. Ma mi sarebbe impossibile spiegarti come e perché. Tua madre aveva un modo di affermare la tua innocenza da non lasciare dubbi. Rare volte, più tardi, nella vita, ho provato quello stesso sentimento di assoluta certezza. Se dovessi designarlo nel mio modo di parlare attuale, da persona adulta, potrei dire che quella fu la mia prima intensa e sincera esperienza di comunicabilità delle anime. [63]

    È questa certezza il vero punto di partenza delle indagini. Il primo motore di tutto il meccanismo investigativo, che nel giallo canonico è sempre il corpo cadavere, qui è la certezza dell'innocenza di Luca. Una perfetta sintonia di spirito, dunque, si stabilisce nell'asse di relazioni Luca-Andrea-don Serafino-Teresa. Quest'ultima, madre di grande costanza e fermezza dolorosa ed eroica insieme, sceglie a confidente e scrivano Andrea fanciullo, quasi che solo l'innocenza possa avvicinarsi alla sua segreta certezza.

    Uno strumento di lotta: l'autobiografismo

    L'eroismo dei personaggi, dunque, non ha tutti i tratti tipici di straordinarietà, per altri versi è anche normale; è stato detto, infatti, che «Il segreto di Luca è un romanzo sulla complessità del semplice», [64] sulla straordinaria normalità, si direbbe, di sentimenti e agire di uomini comuni. In questo, Il segreto forma una diade con l'altro poema della normalità esemplare, La volpe e le camelie. [65] Anche in questo romanzo emerge, sia pure in modo meno canonico, una tecnica narrativa e affabulatoria di tipo indiziario. Stavolta il ruolo di detective non è proprio di un solo personaggio: appartiene all'antifascista svizzero Daniele, al fascista ferito Cefalù e alla stessa Silvia, figlia di Daniele. Sono tutti un po' investigatori, ricostruiscono a ritroso, attraverso varie tessere come in un puzzle, la verità. In un gioco di occultamento-svelamento, anche in questo romanzo, alle vicende amorose di Cefalù e Silvia si intrecciano intrighi politici e familiari, tutti con un minimo comune denominatore: la ricerca della verità, un cammino di ricostruzione che procede per indizi. Al suicidio volontario di Luca (con l'ergastolo) e di Ortensia (che rinuncia al mondo chiudendosi in convento) corrisponde qui il suicidio (nel senso proprio) di Cefalù. [66] Un riflesso di Andrea Cipriani, però, può essere rinvenuto non solo in Daniele o Cefalù, ma anche in Silvia. La caparbia ricerca della piccola fanciulla sulle tracce del vecchio nonno misantropo Ludovico può essere interpretata come detection, indagine di tipo esistenziale, alla scoperta delle proprie radici; e dunque, in fondo, autoanalisi o autoricerca, un po' come accade per Cipriani nel romanzo precedente. Anche Silvia si scontra col voluto silenzio del padre Daniele, che nella sua nuova famiglia ha cancellato tutte le tracce del nonno Ludovico, padre di lui. Andrea, però, si trova a dover vincere una reticenza dai confini e dalla forza molto maggiori: è la reticenza che coinvolge gran parte della popolazione di Cisterna.
    Ne La volpe e le camelie compaiono pure altri elementi propri del giallo, già presenti in Il segreto di Luca: la suspense, i dialoghi-interrogatori, la verifica degli indizi, la "focalizzazione" sul punto di vista dei detective. Alcuni meccanismi e ingredienti, dunque, si ripetono, pur trovando ne Il segreto di Luca la loro manifestazione più evidente e profonda. In queste due opere "esistenziali", il tema della lotta dell'individuo contro gli ingranaggi del potere, presente nelle opere precedenti e destinato a riapparire per esempio ne L'avventura di un povero cristiano, è messo nell'ombra per dare spazio a questioni insieme più personali e più universali. È proprio infatti in questa forza centripeta, che avvicina la narrazione all'universo intimo umano, che il romanzo acquista un respiro più universale, metastorico, supera le contingenze per diventare opera "metafisica".
    In questa operazione, in questa, si direbbe, universalizzazione, grande volano è proprio la forte impronta autobiografica di cui in particolare Il segreto di Luca è carico.
    Se è già stato detto che molti romanzi siloniani sono percorsi da un forte autobiografismo, Gustav Herling, nel ritrarre l'uomo Silone ha selezionato, tra le tante sue creature letterarie, proprio Luca Sabatini: «[Silone] era veramente un uomo che manteneva i segreti e non parlava troppo», [67] come Luca appunto. In effetti, il carattere autobiografico di questo romanzo può essere inteso in senso duplice: si può infatti individuare un'autobiografia diremmo "storica" e una intima o personale-psicologica. Quella storica si collega all'esperienza dello scrittore ancora giovinetto, quando a partire dal 1908 assunse l'incarico di scrivere a un ergastolano ingiustamente condannato, Francesco Zauri, per conto della madre analfabeta. Altro elemento, a nostro parere confluito almeno, come eco, nel romanzo, può essere la partecipazione di Silone al caso che colpì il triestino Danilo Dolci." Secondo questo primo tipo di autobiografia, che potremmo definire "oggettiva" come sinonimo di storica, Secondo Tranquilli indossa, nel romanzo, i panni del giovinetto Andrea Cipriani. L'opera, però, è vivificata da un secondo modello autobiografico, più profondo, di cui il primo sembra costituire l'occasione e quasi lo strumento. È l'autobiografia sottolineata da Herling, quella che vede l'autore nei panni dell'ergastolano ingiustamente punito, Luca Sabatini. Le pagine del romanzo sono dunque percorse da questa duplice identificazione Silone-Andrea e Silone-Luca, come un sottile gioco di specchi il cui esito sarà la conoscenza di Luca da parte di Andrea e dunque (seguendo il duplice schema di identificazione) di Silone da parte di Silone stesso. L'impenetrabilità di Luca e del suo segreto da parte di amici e compaesani riflette la stessa impenetrabilità dell'autore, intesa come alto senso del pudore a mettere a nudo sentimenti, pensieri, e soprattutto sofferenze e dolore. Quel pudore che l'autore stesso ammette di avere proprio nell'opera in cui la forma autobiografica è esplicita, dichiarata e programmata: Uscita di sicurezza. Come non pensare, infatti, a Luca Sabatini in queste parole dell'autore:

    Lo scrivere non è stato, e non poteva essere, per me, salvo in qualche raro momento di grazia, un sereno godimento estetico, ma la penosa continuazione di una lotta, dopo essermi separato da compagni assai cari. E le difficoltà con cui sono talvolta alle prese nell'esprimermi, non provengono certo dall'inosservanza delle famose regole del bello scrivere, ma da una coscienza che stenta a rimarginare alcune nascoste ferite, forse inguaribili, e che tuttavia, ostinatamente, esige la propria integrità. Poiché per essere veri non basta evidentemente essere sinceri. [69]

    Luca dunque arriva ad essere personificazione dell'io siloniano sofferente, incarnazione del dolore, e l'enigma che lo racchiude è forse la materializzazione di quella ritrosia ad aprire ferite, piaghe non più rimarginabili. [70]
    In nome di questo autobiografismo si comprende ancor meglio come dalla "coralità" di Fontamara, [71] si passa, in questo romanzo, a personaggi-persona, individui dalle identità determinate e dai confini invalicabili, scandagliati nella loro psiche più intima, senza con questo arrivare agli esiti del romanzo-psicologico o alla scrittura del monologo interiore, sempre analizzati con quel gusto oggettivo, quel senso delle cose caro in genere a tutta la narrativa siloniana, dai suoi esordi ai suoi esiti più tardi. Stavolta, però, le condizioni dei contadini, la povertà della vita dei campi, non hanno più un ruolo primario, fanno largo alla ricerca esistenziale e coscienziale di poche figure protagoniste. Rispetto ai contadini di Fontamara, inoltre, nel Segreto di Luca le classi rurali della Marsica hanno forte connotazione negativa, almeno per la sfera etica. Alla positività dei valori rurali, qui l'autore oppone un insieme omogeneo, e nello stesso tempo confuso, di pregiudizi e false credenze, finanche meschinità, che fanno da contraltare alla nobiltà di Luca Sabatini, il cui valore si misura proprio in relazione alla paura e codardia dei suoi compaesani. Questo grande contenuto morale, straordinariamente ricco di valori nobilissimi, viene messo nel Dna di un uomo umile, un cafone, uno di quegli «asini che ragionano» [72] descritti in Fontamara.

    Per concludere: nobiltà valoriale

    Una eroicità apparentemente stridente con le umili condizioni sociali di Luca. Stridente e impossibile, sì, ma solo ad un occhio superficiale, come quello del giudice che trent'anni prima aveva emesso la sentenza di condanna contro Sabatini. All'insistente affermazione dell'innocenza e degli alti sentimenti di Luca da parte di Andrea, il giudice ottuso, lontano dal vero e fiducioso nel fallace sistema giuridico, non trattiene una crassa risata:

    Vorreste forse attribuire a un villano di quella fatta spirito cavalleresco?
    Ah, ah, ah, voi mi fate ridere. Voi vorreste mettere una sella di cuoio sulla groppa d'un somaro abituato al basto di legno? [73]

    Gli unici personaggi portatori di veri valori sono isolati rispetto resto della società rurale. Sono pur sempre contadini, ma distanti messi al bando dal resto della società, conformista. Teresa difende suo amore materno per il figlio Luca. Luca stesso è fedele fino in fon do al silenzio e affronta con coraggio un ergastolo ingiusto pur di noi tradire la fiducia e la sua stessa privacy, pur di non tradire i fondamen ti di uno ius naturale inscritto nel cuore e nell'animo (il segreto di Lu ca è proprio la ricchezza della sua interiorità, è questo il suo segreto questo il suo tesoro). Don Serafino rispetta il dovere di accoglienza solidarietà propri di un prete come di ogni buon cristiano, fino a per dere la sua perpetua pur di tenere in casa Luca. Andrea Cipriani, in fine, cerca libertà e giustizia, ma soprattutto cerca verità. [74]. 


    NOTE

    1 S. Campailla, Anno 2002. Domande radicali nella letteratura siciliana, in Aa.Vv., Letteratura siciliana del Novecento. Le domande radicali, a cura di M. Naro, Sciascia Ed., Caltanissetta-Roma 2002, p. 9.
    2 M. Kundera, L'arte del romanzo, trad. E. Marchi e A. Ravano, Adelphi, Milano 2005 [1986], p. 17.
    3 p. 19.
    4 Cf. Aa.Vv., Letteratura siciliana del Novecento. Le domande radicali, cit.; Aa.Vv., Sub specie tipographica. Domande radicali negli scrittori siciliani del Novecento, a cura di M. Naro, Sciascia Ed., Caltanissetta-Roma 2003; Aa.Vv., Cosmo o caos. Domande radicali negli scrittori siciliani del Novecento, a cura di M. Naro, Sciascia Ed., Caltanissetta-Roma 2006.
    5 I. Silone, Nichilisti e idolatri. Dopo il neorealismo, in Id., Romanzi e saggi, II, a cura di B. Falcetto, Mondadori, Milano 1999, pp. 1194-1195 (da ora, per semplificazione di citazioni, i due volumi di opere complete saranno citati con la semplice sigla RS).
    6 Cf. B. Croce, La letteratura come "espressione della società", in «Critica» 2 (1904) pp. 341-344.
    7 Silone, Un alto insegnamento morale e civile, in «La Giustizia» del 27 marzo 1960.
    s V. Giannantonio, La scrittura oltre la vita. Studi su Ignazio Silone, Loffredo, Napoli 2004, p. 19.
    9 I. Silone, Sulla letteratura italiana e altre cose, 1937, in RS, I, pp. 1343-1350, qui a p. 1349.
    10 Id., Lettera a Rainer Biemel, in RS , i, p. 1375.
    11 Ib., pp. 1375-1377.
    12 Id., La scelta dei compagni, in Uscita di sicurezza, in RS, II, p. 893.
    13 Cf. gli attualissimi capitoli, La sfinge del benessere, Le sorprese dell'assistenza, Agiatezza e costume, Controversie sui mass media, nel saggio Ripensare il progresso, con interessanti riflessioni sul marxismo e sulla differenza tra progresso e sviluppo. Il saggio è in Uscita di sicurezza, in RS, m pp. 924-974.
    14 I. Silone, Habeas animam, in RS, p. 1025.
    l5 Id., Sulla dignità dell'intelligenza e l'indegnità degli intellettuali, in RS, p. 1125.
    16 Ora ib., pp. 281-425.
    17 Il successo di pubblico riscosso dal romanzo ha diverse testimonianze. Oltre al Premio Salento (1957), l'opera vanta traduzioni in dieci lingue. L'edizione tascabile della Mondadori, apparsa nel 1969, è rimasta a lungo in testa alla classifica dei libri più venduti in Italia. Nello stesso 1969 è stata tratta una versione televisiva in quattro puntate, II segreto di Luca, a cura di Diego Fabbri e Ottavio Spadaro, con regia di quest'ultimo, mandata in onda in data 11, 18 e 25 maggio e 2 giugno. Gli interpreti erano Turi Ferro, Riccardo Cucciolla e Umberto Spadaro, rispettivamente nei ruoli di Luca, Andrea e don Serafino. Sulla novità del testo siloniano, cf. G. Vigorelli, op. cit.; E Virdia, Nel «Segreto di Luca» una nuova svolta di Silone, in «La Fiera Letteraria» del 24 marzo 1957; G. Ravegnani, Un segreto di Silone nel Segreto di Luca, in «Epoca» del 14 aprile 1957.
    18 P. Tuscano, Introduzione a Ignazio Silone, Mucchi, Modena 1991, p. 33. La Pieracci riconduce la novità del libro alla materia trattata, all'ingresso di un sentimento impossibile tra «cafoni» che rompeva il tono di denuncia sociale su cui si attestavano le opere precedentemente firmate da Silone; cf. M. Pieracci Harwell, Un cristiano senza chiesa, Studium, Bologna 1991, pp. 7 ss.
    19 Ora in A. Spinosa, Diario di un'inquietudine, Cino Del Duca, Milano 1959.
    20 Cf. I. Silone, Letteratura e politica, in «Critica sociale» del 20 aprile 1957, ora in RS, o, pp. 1247-1251. L'articolo è incentrato proprio sul valore politico del Segreto di Luca. Prova ancora più indiscutibile è il commento al romanzo che l'autore stesso pubblica nel 1958 su una rivista newyorkese ribadendo il valore sociale dell'opera: «Chi, in ll segreto di Luca non scorge la società, somiglia a chi nel giardino zoologico cammina curvo e vede le talpe e non l'elefante: è troppo grande, occupa troppo spazio. Ma l'elefante c'è. Lo svolgersi ineguale d'un amore, l'ostacolo del matrimonio, il maturare d'una passione senza apparente via d'uscita, il processo, l'accettazione dell'ergastolo [.. .] questi fatti, che costituiscono la trama del racconto, sono tutti fatti sociali. È ancora la stessa società di Fontamara, trivellata fino a un livello che prima non avevo esplorato. È la preistoria di Fontamara. Se non rischiasse di apparire dettato da un gusto del paradosso, direi che li segreto di Luca è il più sociale dei miei libri» (I. Silone, L'«individuale» e il «sociale» in un romanzo, in «The New Leader» del novembre 1958, ora in L. D'Eramo, L'opera di Ignazio Silone. Saggio critico e guida bibliografica, Mondadori, Milano 1971, p. 300). L'articolo di Silone rispondeva alle tesi critiche avanzate dagli studiosi statunitensi, precisamente a un articolo apparso il 27 ottobre dello stesso anno, Silone's seculair saint di Raymond Rosenthal, ex trotzkista, che riscontrava nel romanzo la totale assenza della tematica sociale. l'intervento riporta, quasi identici, alcuni passi del citato articolo su letteratura e politica apparso l'anno precedente su «Critica sociale».
    21 Simile continuità fu sottolineata anche da un'acuta recensione al romanzo. Cf. I. Howe, Silone. The Power of Example, in «The New Republic», del 22 settembre 1958: «Ho detto che alla superficie Il segreto di Luca sembra diverso dai primi romanzi di Silone che erano politici. Tuttavia chiunque abbia familiarità con la sua opera vede subito che questo romanzo continua la linea di quelli che l'hanno preceduto, e anzi costituisce una ricapitolazione sintetica dell'evoluzione di Silone stesso. Perché Andrea è in parte il primo Silone, l'autore di Fontamara ancora legato alla fede marxista nell'azione di massa, e l'educazione della sua umanità nell'apprendere la storia di Luca riflette la storia intellettuale di Silone».
    22 G. Pampaloni, Silone romantico, in «EEspresso» del 17 marzo 1957.
    23 B. Falcetto, op. p. xv.
    24 Per la figura e l'ambiguità di Luca Sabatini cf. E. Ossimprandi, Ignazio Silone. Saggi minimi, Edizioni del Ponte Verde, Parma 1972, pp. 58 ss.
    25 Questo stesso tema si presentava già nel racconto Ritorno a Fontamara, apparso sulla rivista di Ivrea «Comunità» tra marzo e aprile 1949 e in seguito sul periodico londinese «Tomorrow» nel luglio dello stesso anno, tradotto da Darina Silone. Il racconto, però, s'incentrava sul tema del «ritorno» e non approfondiva l'universo intimistico dei protagonisti. Il segreto di Luca, invece, non s'incentra sul disagio del ritorno, ma sul segreto dell'ex ergastolano. CL L. D'Eramo, op. cit., p. 303: «Nel Ritorno a Fontamara l'ex ergastolano era un'apparizione, mancava l'intuizione della sua interiorità. In II segreto di Luca questo personaggio della memoria diventa un personaggio della fantasia, di modo che potremmo dire che creativamente il romanzo comincia dove il racconto finisce».
    26 I. Silone, Il segreto di Luca, cit., p. 286.
    27 Cf ib., pp. 351 ss.
    28 Ib., p. 387 (il corsivo è nostro). L'espressione «fiuto poliziesco» ritorna poco dopo. CL ib., p. 388.
    29 lb., p. 318.
    30 lb., p. 321.
    31 Si tratta di una recensione all'opera che J. Gathelin pubblicò sul giornale parigino «Demain» del 6 giugno 1957. Altre parentele del romanzo siloniano con opere francesi furono suggerite in quello stesso anno.
    32 Cf. L. D'Eramo, op. cit., p. 298.
    33 Cf. M. Pieracci Harwell, op. cit., p. 13: »Nessuno vorrà supporre che il romanzo auspichi la soppressione del "costume tradizionale" che ha posto un limite sacro. La grandezza di Luca si attua proprio nell'accettazione del limite. Scavalcarlo ne avrebbe fatto un uomo comune».
    34 Si fa qui riferimento al noto saggio di V.J.A. Propp, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1966, pp. 25 ss.
    35 Cf. ib., pp. 31 ss.
    36 Cf. C. Bremond, Logica del racconto, Bompiani, Milano 1977 [1973], pp. 32-33. Cf. anche Id., La logica dei possibili narrativi, in Aa.Vv., L'analisi del racconto, Bompiani, Milano 1969, pp. 97-122.
    37 Di questo percorso inverso, e dunque più arduo, è ben cosciente Andrea. Cf. I. SiIone, Il segreto di Luca, cit., p. 406: «Ma dalla pena non è sempre facile risalire alla colpa» sostiene Andrea a discolpa della sua lentezza nelle indagini.
    38 I. Crotti, La ‹‹detection» della scrittura. Modello poliziesco ed attualizzazioni allotropiche nel romanzo del Novecento, Antenore, Padova 1982, p. 19.
    39 Ib., pp. 57-58.
    40 Cf. S. Kracauer, Sociologia del romanzo poliziesco, in Id., Saggi di sociologia critica, Laterza, Bari 1974, pp. 204-205: «La fine del romanzo poliziesco è la vittoria incontestata della ratio - una fine senza tragicità, ma percorsa da quel sentimentalismo che è un elemento costitutivo del "Kitsch" Il romanzo poliziesco corrisponde alla filosofia dell'immanenza nel fatto che implica la fine senza la realtà. Poiché cancella la tensione, sfugge alla paradossalità esistenziale, poiché la ratio manifesta in esso il suo potere, la vittoria finale che la conferma è già stabilità». Contro questa interpretazione "positivista", cf. L. Rambelli, Storia del giallo italiano, Garzanti, Milano 1979, pp. 12-13: «La letteratura poliziesca è percorsa da un sottile pessimismo: l'instabilità, la precarietà, l'inganno il rischio sono la sostanza della realtà che la ragione "illumina" solo temporaneamente e, per di più, attraverso l'intervento di un eroe, il detective, che, solo, e in casi eccezionali, può dissipare il mistero».
    41 Nella canonica accezione di detective-story tutto si incentra sulla rigorosità della dimostrazione, sulla metodologia dell'indagine, sulla disamina argomentativa degli indizi.
    42 Cf. L. Rambelli, op. cit., p. 13: «Il poliziotto letterario [...], incarnazione dei meccanismi ragionativi della mente umana, tenta di eliminare l'irrazionale dalla realtà, ma le forze irrazionali, imponderabili, imprevedibili e, forse, incontenibili sono radicate nel terreno su cui sorge la società, su cui opera la scienza, su cui poggia, malsicura, la storia».
    43 Cf. I. Crotti, op. cit., pp. 11 ss.
    44 In «Tempo presente» 1 (1956) p. 1.
    45 Sulla "ripetizione" come reminiscenza, tra Kierkegaard e Ptoust, cf. M. Butor, il capitolo sulla Ripetizione, in Id., Repertorio. Studi e conferenze 1948-1959, Il Saggiatore, Milano 1961, pp. 105-120. Sulla ripetizione come tecnica narrativa cf. T. Todorov, Le categorie del racconto letterario, in Aa.Vv., L'analisi del racconto, cit., pp. 233 ss.
    46 Sull'interpretazione del giallo come genere in un primo momento "letterario", scivolato poi nella "para-letteratura", cf. I. Crotti, op. cit., p. 8.
    47 Sulle origini "borghesi" e non popolari del romanzo poliziesco italiano cf. L. Rambelli, op. cit., pp. 11 ss.
    48 W. Benjamin, Parigi, la capitale del xx secolo, in Id., Angelus Novus, Einaudi, Torino 1962, p. 148: «Con la Rivoluzione dì luglio la borghesia ha realizzato gli obiettivi del 1789. Per il privato lo spazio vitale entra per la prima volta in contrasto con il mondo del lavoro. Il primo si costituisce nell'intérieur. Il suo complemento è il comptoir, esige dall'intérieur di essere cullato nelle proprie illusioni [...]. Di qui hanno origine le fantasmagorie dell'intérieur [...]. L'intérieur è l'asilo dell'arte [...]. L'intérieur è anche la custodia dell'uomo privato. Abitare significa lasciare impronte, ed esse acquistano, nell'intérieur, un rilievo particolare. Si inventano fodere e copertine, astucci e custodie in quantità, dove si imprimono le tracce degli oggetti I criminali dei primi racconti polizieschi non sono gentlemen né apaches, ma privati borghesi».
    49 L. Rambelli, op. cit., p. 29. Cf. L. Sciascia, Breve storia del romanzo giallo: 1) E l'investigatore fu, in «Epoca» del 20 settembre 1975. A ridurre, però, la portata di questa interpretazione è lo stesso Rambelli (cf. L. Rambelli, op. cit., p. 12), il quale osserva che «la pace del vivere domestico è stata turbata dall'avvento del criminale e un'aria di sospetto è entrata assieme all'investigatore. La base sulla quale si è consolidato il poliziesco è costituita infatti dall'idea che la realtà è un gioco di apparenze ingannevoli di cui è sempre lecito sospettare».
    50 La lettera è citata in B. Falcetto, op. cit., p. xiii.
    51 Il romanzo apparve per i tipi di Mondadori, Milano 1960. La seconda edizione fu eseguita dalla stessa casa editrice nel 1964. Anche per questo romanzo si osservò che la tecnica narrativa era stata mutuata dal genere del giallo. Cf. D. Fernandez, «Le renard et les camélias» par L Silone. Depuis «Fontamara» on ne discute plus Silone. A-t-on raison?, in «L'Express» del 7 luglio 1960.
    52 Sul valore simbolico ed ermeneutico del "silenzio" cf. C. Segre, I silenzi di Lisabetta, i silenzi di Boccaccio, in Aa.Vv., Il testo moltiplicato, a cura di M. Lavagetto, Pratiche, Parma 1982, pp. 75-85.
    53 Cf. L Goldman, Per una sociologia del romanzo, Bompiani, Milano 1965, pp. 12 ss.
    54 Cf. I. Silone, Il segreto di Luca, cit., p. 319: «Rispettavo scrupolosamente il segreto. Sentivo che esso racchiudeva un senso terribile e prima ignorato dell'esistenza e che la familiarità con esso mi metteva al di sopra dei miei coetanei».
    55Cf. B. Falcetto, op. cit., pp. xiii-xiv.
    56 CE I. Silone, Il segreto di Luca, cit., p. 350: «"Che tipo strano" disse uno dei contadini guardando Andrea allontanarsi».
    57 B. Falcetto, op. cit., p. xvi. 
    58 Sul carattere "rivoluzionario" di Andrea Cipriani e Luca Sabatini cf. A. Scurani, Ignazio Silone. Un amore per la giustizia, Edizioni «Letture», Milano 1969, pp. 24 ss.; M. Pieracci Harwell, op. cit., pp. 10 ss. Cf. anche L. Ratti, Il segreto di Luca. L'avventura di un povero cristiano di Ignazio Silone, Cursi, Pisa 1977, p. 5: « [A proposito di Luca] È fermezza e costanza dolorosa ed eroica insieme, come quella della madre sua [...]». Sul personaggio di Luca come «gentile eroe, rassegnato e triste, ma sempre trionfante» cf. anche S. Vi-lardi, The secret of Silone, in «Albertinum» 22 (1958) pp. 5-11.
    69 Silone, L'«individuale» e il «sociale» in un romanzo, cit., pp. 300-301.
    60 E. Hobsbawm, Il criminale: eroe e mito, in R. Cremante - L. Rambelli, La trama del delitto. Teorie e analisi del racconto poliziesco, Pratiche Ed., Milano 1980, p. 131.
    61 I. Silone, Nichilisti e idolatri. Dopo il neorealismo, in «Tempo presente» del settembre-ottobre 1963, ora in RS, cit., p. 1198.
    62 lb.
    63 Id., Il segreto di Luca, cit., p. 318.
    64 B. Falcetto, op. cit., p. xxi. È l'autore stesso a spiegare: »Luca era invece un uomo normale che amava una donna normale. Il loro amore tuttavia era "impossibile» (I. Silone, L'«individuale» e il «sociale» in un romanzo, cit., p. 300).
    65 Mondadori, Milano 1960 (seconda edizione: Mondadori, Milano 1964). Il romanzo ha avuto tre stesure. Il racconto La volpe risale al 1934. Il racconto originario fu ampliato nel 1958; fu poi ancora rielaborato per la edizione definitiva, la cui composizione risale al 1959. Per una storia editoriale dell'opera cf. L. D'Eramo, op. cit., pp. 323 ss.
    66 Sul suicidio di Cefalù cf. O. Lombardi, Ignazio Silone, Edizioni Del Noce, Camposampiero (Pd) 1982, pp. 28 ss.
    67 G. Herling, L'avventura di un povero cristiano e di un povero socialista, in I. Silone, RS, i, p. xi.
    68 Proprio nel 1956, infatti, Silone ingaggia una vera battaglia, che può avere una qualche relazione con la storia di Luca Sabatini. Silone infatti sarà tra gli intellettuali protagonisti scesi in campo per difendere Danilo Dolci, sociologo triestino, insediatosi a Partinico a fianco dei poveri contadini della Sicilia, eli arrestato, nel mese di febbraio, per motivi decisamente pretestuosi. Il rifiuto assurdo da parte della magistratura di concedere la libertà provvisoria, scatenò aspre reazioni da parte di molti intellettuali, da Mario Alicata a Carlo Levi.
    69 I. Silone, Uscita di sicurezza, in RS, pp. 802-803.
    70 Limpronta autobiografica fu da più parti osservata, anche da parte della critica straniera. Cf. M. Nadeau, Ignazio Silone le révolutionnaire moraliste, in «France Observateur» del 18 luglio 1957: »Uautore s'è messo intero in questo libro grave, egli ha tentato di racchiudervi nel modo più robusto e più semplice, dunque il più onesto, le ragioni fondamentali della sua rivolta, della sua lotta per la libertà e la giustizia, del suo appello appassionato perché sia rispettato l'uomo, chiunque sia e dovunque si trovi».
    71 Sulla coralità, sull'«io molteplice» del romanzo cf. B. Falcetto, op. cit., p. xlix.
    72 Sui «cafoni» di Fontamara, cf. A. Scurani, Ignazio Silone. Un amore religioso perla giustizia, Edizioni «Letture», Milano 1969, pp. 17-23.
    73 Silone, Il segreto di Luca, cit., p. 355.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu