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    Dostoevskij

    e l'umanesimo russo

    Edgar Morin

     

    Ho cominciato a leggere i grandi scrittori russi fin dai miei anni di liceo. Sono stato illuminato da Resurrezione di Tolstoi, da Padre e figlio di Turgenev, dai racconti tristi e nostalgici de La steppa, dallo Zio Vania di Cecov. Negli ultimi decenni, sono stato sconvolto da Il padiglione dei cancerosi, Il primo cerchio, La casa di Matriona di Solgenitzin e dal dantesco Vita e destino di Grossman. Ma l'autore che rimane per me più rivelatore, più presente e più intimo è Dostoevskij.

    Ho letto dapprima Delitto e castigo, poi I demoni e I fratelli Karamazov, e queste letture folgoranti mi hanno segnato per sempre. Dimitri, Ivan, Alioscia Karamazov, Myskin, Stavrogin e tutti gli eroi de I demoni non mi hanno più lasciato. E da Dostoevskij che proviene il mio primo risveglio filosofico, il mio primo sentimento filosofico. Dostoevskij mi ha inculcato quest'idea cardinale e per me prioritaria che si deve aver compassione della sofferenza. Nessuno ha espresso così tanto, e tutto in una volta, il senso della sofferenza, della tragedia, della derisione, del delirio propriamente umani. Non avrei mai potuto avanzare l'idea dell'homo sapiens-demens come nozione chiave nel Paradigma perduto se non fossi stato segnato fin dall'adolescenza da questo senso così profondo dell'indissociabilità di follia e ragione nell'essere umano, e se questo senso non fosse stato rigenerato incessantemente in me dagli scrittori russi e soprattutto dal ricordo di Dostoevskij. D'altro canto posso dire di aver vissuto, durante il mio episodio staliniano, l'esperienza dostoevskijana della possessione. Un'esperienza che mi ha aiutato a comprendere che possiamo essere posseduti da miti, idee, ideologie, come da esseri reali e da demoni. Čecov, Tòlstoi, Gorkij, Sorgenitzin hanno anch'essi, da parte loro, il senso della compassione, il senso della sofferenza umana. L'umanesimo francese tende a essere razionale e astratto: proclama che tutti gli uomini sono uguali, che tutti gli uomini sono fratelli, è in favore dell'emancipazione dei lavoratori, contro lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo... Ma tutto questo resta relegato nell'ambito delle idee. Si può amare il proletario e l'oppresso, ma solo nella misura in cui incarna il Rivoluzionario, o il Messia-Proletariato. Si è potuto odiare il capitalismo che lo sfruttava, ma non ci si è mai addentrati nel cuore delle sofferenze e delle umiliazioni. Una cosa del genere ha potuto essere fatta da scrittori come Zola. Ma finanche in lui manca il senso profondo della compassione e della pietà dolorosa. Non sceglierò dunque fra una certa aridità razionalista dell'umanesimo francese e la compassione, l'umanità profonda dell'umanesimo russo. Nel loro antagonismo, i due umanesimi sono per me complementari, interconnessi e indispensabili.

    Vi sono lezioni straordinarie di filosofia nell'umanesimo russo, di cui Dostoevskij rappresenta l'incarnazione più intensa. Poiché in fondo è in lui che trovavo, più acuti, più dolorosi e violenti che in ogni altro scrittore, compresi gli altri russi, il tormento delle anime lacerate, le instabilità profonde dell'identità, i momenti di verità dell'amore, l'insondabile mistero degli esseri e della vita. Rivela la virtù dei reietti e dei maledetti, la possibilità sempre aperta del riscatto e della redenzione.

    Dostoevskij ha un senso profondo della contraddizione, della complessità e delle molteplicità umane che Proust illustrerà da un'altra prospettiva. Ciò che è considerevole, è che i grandi scrittori appaiono molto più capaci dei filosofi di manifestare questo senso della complessità umana. I fratelli Karamazov sono eroi che realizzano virtualità contraddittorie e antagonistiche di ogni essere umano. Non potevo far altro che identificarmi pienamente con loro e ritrovarli in me stesso. Personaggi come Stavrogin sono di un'incredibile e misteriosa ambiguità. Anche personaggi femminili come Polina del Giocatore sono riccamente sfaccettati. Lei getta in faccia ad Alekseij, il giocatore, i 50.000 rubli che ha vinto per lei e che le ha appena dato. Alekseij crede che Polina lo detesti, ma più tardi un personaggio, Astley, gli dirà: «Infelice, lei vi amava».

    Secondo me, non vi sono due Dostoevskij successivi, il vecchio rivoluzionario divenuto tradizionalista, l'ex occidentalista diventato slavofilo, c'è invece il Dostoevskij uno e bino, che mantiene in sé, in una lotta furiosa, disperata, corrosiva, gli antagonismi molteplici della fede, della rivolta, del dubbio, del nichilismo. Egli è fatto della stessa natura di tutti i grandi spiriti europei che non hanno mai smesso di vivere, nel più profondo di se stessi, una contraddizione fondamentale, un antagonismo irriducibile; finanche quando scelgono palesemente un partito contro l'altro, quest'ultimo lavora sotterraneamente, ma attivamente, all'interno del primo. Si vede così il rodìo attivo del dubbio pascaliano nell'apologo del grande inquisitore di Ivan Karamazov. Dostoevskij è, del resto, per me, indissolubilmente legato a Pascal e alla lotta, dolorosa e creatrice, tra fede e dubbio, speranza e disperazione.

    Dostoevskij aveva progettato un seguito dei Fratelli Karamazov. Alioscia, l'unico personaggio che salvava dell'opera, in questo seguito sarebbe sprofondato nella perdizione... Così, ogni volta che c'è salvezza, c'è perdita, e ogni volta che c'è perdita arriva la salvezza. E un movimento straordinario. I:aspirazione alla salvezza e la speranza sono di un'intensità estrema ma non riescono mai ad annientare il dubbio.


    T e r z a
    p a g i n A


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