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    Gli angeli nella

    «Divina Commedia»

    Giuseppe Bortone

    La concezione degli angeli da parte di Dante rispecchia la visione della Scrittura, che presenta gli angeli come esseri in cui appare la stessa maestà di Dio, capace di incutere timore nell’uomo [1]. Essi sono profondamente radicati nella storia e servono all’opera di Dio nella creazione e nella redenzione. Nella Divina Commedia, gli angeli non intervengono direttamente nell’azione, ma si prendono a cuore le sorti di Dante: sono tutti rivolti al compimento del regno di Dio, e in questo il Poeta occupa un posto importante.

    L’angelologia nell’«Inferno»

    Dante prospetta il discorso sugli angeli per la prima volta nel canto VII dell’Inferno, dove, nei vv. 73-96, presenta l’angelo della Fortuna, preposto al governo della terra affinché amministri le sue ricchezze e la loro distribuzione in sintonia con la volontà di Dio, con i suoi piani. È il canto dei prodighi e degli avari, legati patologicamente ai beni terreni: perciò è logico che in esso si parli dell’angelo della Fortuna come ministro di Dio.
    Il discorso sugli angeli diventa esplicito nel canto IX dell’Inferno.
    Qui le forze infernali appaiono sulle mura della città di Dite e impediscono a Dante di proseguire nel cammino di salvezza. Il poeta è terrorizzato, Virgilio è scoraggiato. La situazione si risolve con l’invio, da parte di Dio, di un angelo, il quale rimprovera i diavoli con i loro alleati e apre la porta della città di Dite. Così Virgilio e Dante possono continuare il loro cammino.
    «Dal volto rimovea quell’aere grasso, / menando la sinistra innanzi spesso; / e sol di quell’angoscia parea lasso. / Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo, / e volsimi al maestro; e quei fé segno / ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso. / Ahi quanto mi parea pien di disdegno! / Venne a la porta e con una verghetta / l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno. / “O cacciati del ciel, gente dispetta”, / cominciò elli in su l’orribil soglia, / “ond’esta oltracotanza in voi s’alletta? / Perché recalcitrate a quella voglia / a cui non puote il fin mai esser mozzo, / e che più volte v’ha cresciuta doglia? / Che giova ne le fata dar di cozzo? / Cerbero vostro, se ben vi ricorda, / ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo”. / Poi si rivolse per la strada lorda, / e non fé motto a noi, ma fé sembiante / d’omo cui altra cura stringa e morda / che quella di colui che li è davante; / e noi movemmo i piedi inver’ la terra, / sicuri appresso le parole sante» (Inferno, IX, vv. 82-105).
    L’angelo si manifesta come esecutore della saggia provvidenza divina e come messaggero di salvezza nel momento più difficile del viaggio dantesco.
    Nell’Inferno questa è l’unica volta in cui compare un angelo, mentre nel Purgatorio gli angeli sono presenti più volte, intenti a rendere un servizio agli uomini.

    L’angelologia nel «Purgatorio»

    Nel Purgatorio gli angeli appaiono come custodi delle varie balze, mentre a custode dell’Antipurgatorio c’è Catone l’Uticense, e a custode del Paradiso terrestre c’è Matilde. Ai sette angeli custodi delle sette balze vanno aggiunti l’angelo traghettatore, che dalla sponda del Tevere conduce le anime alla sponda dell’Antipurgatorio (canto II, vv. 13-51); i due angeli nella valletta dei prìncipi (canto VIII, vv. 19-42); e l’angelo portinaio, davanti alla porta del Purgatorio (canto IX, vv. 70-93).
    Compiti fondamentali di questi angeli sono almeno due: aiutare le anime purganti a liberarsi dalle conseguenze spirituali derivanti dai vari peccati, per presentarsi totalmente puri a Dio, e aiutarli a passare dal desiderio del bene alla sua completa realizzazione.
    Come sottolinea bene Romano Guardini [2], nel Purgatorio le anime devono passare dal desiderio [alla realtà piena: non basta desiderare il bene, ma si deve realizzarlo in se stessi, per presentarsi completamente luminosi al Dio del Paradiso. Gli angeli accompagnano le anime purganti in questo faticoso, ma sereno cammino dall’intenzione alla verità effettuale.
    Le sette balze sono in rapporto ai sette vizi capitali, e i sette angeli, loro custodi, rappresentano le sette virtù, contrapposte ai vizi: così la balza dei superbi è custodita dall’angelo dell’umiltà; la balza dei lussuriosi dall’angelo della continenza; la balza degli invidiosi dall’angelo della carità, e così via.
    Gli angeli danteschi non hanno nulla di sentimentale: essi sono esseri potenti, la cui misura di esistenza e il cui campo di azione superano quelli dell’uomo. Sono modellati secondo le caratteristiche che emergono dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Ricordiamo, a questo proposito, l’angelo portinaio del canto IX, che esprime dignità severa, cortesia e maestà; e l’arcangelo Gabriele, descritto nel canto X come colui che annuncia a Maria l’Incarnazione (vv. 34- 45). Sono angeli vigorosamente costruiti, per nulla convenzionali [3].
    Non presentano più la fissità ieratica, accorrono e agiscono, ma con l’autorevolezza di creature celesti.
    Di struggente fascino estetico-umano sono i due angeli presenti nella valletta dei prìncipi (canto VIII, vv. 22-36). «Il biondo capo, il verde chiaro della veste e delle ali conferiscono loro un aspetto di freschezza giovanile, piena di speranza gioiosa e di ardimento. Ma il loro volto esprime tanta potenza che l’occhio non lo sostiene» [4].
    Umanità e soavità caratterizzano i vari angeli, custodi delle rispettive balze. Una descrizione molto efficace in tal senso si ritrova nei vv. 88-111 del canto XII del Purgatorio. L’angelo dell’umiltà cancella dalla fronte di Dante il primo «P», così che il poeta può salire più leggero verso il Paradiso terrestre (vv. 97-136). Altri angeli vengono caratterizzati come lieti, gioiosi (canto XV, v. 35), soavi e benigni (canto XIX, v. 44), ma nello stesso tempo pieni di luminosità (canto XV, v. 29) e incandescenti (canto XXIV, vv. 136-138).

    L’angelologia nel «Paradiso»

    Dal Paradiso terrestre fino a tutto il Paradiso celeste gli angeli non appaiono singolarmente, ma in schiera e poi in coro. Una schiera di angeli scende nel Paradiso terrestre (Purgatorio, XXX, vv. 13-20) e canta Benedictus qui venis! Invece, a ogni cerchio del Paradiso celeste è preposto un coro angelico secondo la classica divisione prospettata da Isaia: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Potestà e Virtù, Principati, Arcangeli e Angeli. Fa eccezione solo l’arcangelo Gabriele, che è al servizio personale di Maria: circonda la Vergine nella sua apoteosi (Paradiso, XXIII, vv. 88-111), e nell’Empireo canta a Maria Ave Maria, gratia plena (Paradiso, XXXII, vv. 85-114).
    Nel Paradiso dantesco dominano i cori angelici. Essi vengono presentati ampiamente nel canto XXVIII, che descrive il Cielo cristallino o Primo mobile, a cui l’Empireo comunica tutte le virtù, che poi verranno distribuite nei vari cieli del Paradiso inferiore e superiore.
    Il canto XXVIII è tutto dedicato ai cori angelici e al loro rapporto con Dio. Al centro c’è Dio, ritratto come piccolo punto luminoso di luce acutissima, e intorno si notano nove cerchi concentrici, che girano, animati da un’unica forza motrice, l’Amore. A differenza dei cieli tolemaici, che si muovono tanto più velocemente quanto più sono distanti dalla terra, i cerchi angelici sono tanto più veloci quanto più sono vicini a Dio, fonte dell’Amore. I cori angelici più vicini a Dio lo amano di più, e perciò girano più velocemente.
    Dante sottolinea la diversa dignità dei cori angelici, pur negli elementi comuni di luminosità e di canto: tutti fiammeggiano e tutti cantano a Dio Osanna. I cori angelici più vicini a Dio sono i Serafini e i Cherubini. Anche la diversa beatitudine tra i cori angelici dipende dalla loro maggiore o minore vicinanza a Dio. In questa visione Dante si ispira all’opera De coelesti hierarchia, attribuita a Dionigi l’Areopagita, convertito da san Paolo e morto martire verso il 95 d.C.
    Le immagini dominanti nel canto sono quelle della luce e del moto, che sono atte a significare la spiritualità e il carattere etereo degli angeli.
    Per esprimere un mondo nuovo di cui non abbiamo esperienza Dante inventa, nel canto XXVIII del Paradiso, nuove parole: «’mparadisa» (v. 3), «s’invera» (v. 39), «s’inmilla» [5] (v. 93), «s’interna» [6] (v. 120).
    Poiché l’essenza dello spirito è la capacitas Dei, cioè la possibilità di comprendere Dio, ne consegue che l’essenza degli angeli consiste nel fatto che essi con tutta la loro persona si sono consacrati a Dio.
    Nei suoi confronti manifestano amore, lode, servizio, e da questo proviene la loro collaborazione all’opera divina per l’avvento della nuova creazione. Perciò essi contemplano Dio, e nello stesso tempo sono messaggeri di salvezza per gli uomini e per l’universo, che attende la sua redenzione.
    L’organizzazione gerarchica degli angeli non è vissuta nel potere dispotico, ma nell’amore e nell’armonia: in ciò la gerarchia celeste diviene un paradigma per la gerarchia terrena. Attraverso i cieli gli angeli comunicano le diverse virtù agli uomini: così donano loro la capacità di agire, di progredire, e diventano mediatori universali del divenire storico.
    Tutto questo mondo di azione e di armonia è espresso attraverso la duplice immagine del cerchio e del moto, e in un complesso luminoso di lucida e schematica geometria. Le varie immagini artistiche e le illustrazioni didascaliche tendono a figurare in modo plastico la viva esperienza interna del poeta, che arricchisce ed esalta lo spirito, dilatando mirabilmente i confini della sua potenzialità intellettuale e artistica.
    Ci troviamo così di fronte a un’alta poesia trascendente, dove gli elevati contenuti teologici si visualizzano in un quadro di personaggi e di colori che soddisfa dall’interno il bisogno umano del vero e del bello. È una visione che trova una sua realizzazione, nel campo pittorico, nel «Paradiso» del Beato Angelico.
    «Un punto vidi che raggiava lume / acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca [7] / chiuder conviensi per lo forte acume: / e quale stella par quinci più poca, / parrebbe luna, locata con esso / come stella con stella si colloca. / Forse cotanto quanto appare appresso / alo cigner la luce che ’l dipigne / quando ’l vapor che ’l porta più è spesso, / distante intorno al punto un cerchio d’igne / si girava sì ratto, ch’avria vinto / quel moto che più tosto il mondo cigne: / e questo era d’un altro circumcinto, / e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto, / dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. / Sopra seguiva il settimo sì sparto / già di larghezza, che ’l messo di Iuno [8] / intero a contenerlo sarebbe arto [9]. / Così l’ottavo e ’l nono; e ciascheduno / più tardo si movea, secondo ch’era / in numero distante più da l’uno; / e quello avea la fiamma più sincera / cui men distava la favilla pura, / credo, però che più di lei s’invera» (Paradiso, XXVIII, vv. 16-39).

    Gli angeli intermediari tra la terra e il cielo

    Gli angeli danteschi si estendono dalla terra, con l’angelo della Fortuna, sino all’Empireo, sede di Dio e dei salvati, dove sono posti in forma di Candida Rosa. Così nel canto XXXI del Paradiso, vv.
    1-24, essi vanno da Dio ai santi, portando loro pace e ardore divino, e poi risalgono a Dio come sciame di api che, dopo aver attinto il nettare dai fiori, ritornano all’alveare. Questa massa fulgente di angeli ritorna nei vv. 130-135 dello stesso canto: «E a quel mezzo, con le penne sparte, / vid’io più di mille angeli festanti, / ciascun distinto di fulgore e d’arte. / Vidi à lor giochi quivi ed à lor canti / ridere una bellezza, che letizia / era ne li occhi a tutti li altri santi» (Paradiso, XXXI, vv. 130-135).
    Poi, nei vv. 85-114 del canto XXXII del Paradiso rivive la scena dell’Annunciazione, con Dante e san Bernardo che contemplano estasiati Maria Vergine e, di fronte a lei, l’arcangelo Gabriele, messaggero dell’Incarnazione. Delicata e luminosa è la descrizione che san Bernardo fa di Gabriele: «Ed elli a me: “Baldezza e leggiadria / quant’esser puote in angelo ed in alma, / tutta è in lui; e sì volem che sia, / perch’elli è quelli che portò la palma / giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio / carcar si volse de la nostra salma”» (Paradiso, XXXII, vv. 109-114). Dopo questa visione e contemplazione san Bernardo rivolgerà alla Vergine la magnifica preghiera che apre il canto XXXIII del Paradiso.

    Conclusione

    Questo breve excursus sull’angelologia nella Divina Commedia ci fa capire che la presenza degli angeli, nel poema, si distende dalla terra al cielo, e l’ultima visione ritrae Gabriele che, andando da Dio all’uomo, annuncia l’evento più grande della storia, l’Incarnazione, e ritornando a Dio, porta il «sì» di Maria. Dall’annuncio di Dio e dal consenso di Maria scaturisce la renovatio mundi. Guardini afferma che «l’arcangelo sta davanti a Maria a significare in eterno l’evento, non significativo-metafisico, bensì sacro-storico, per cui l’inviato di Dio giunse alla Vergine della stirpe di Davide ed ella rispose “sì” al suo messaggio»[10].
    Maria è colma di verità, d’amore e di pura bellezza. Per Dante, la bellezza rispecchia il concetto della filosofia medievale, cioè viene concepita come lo splendore della verità nel suo manifestarsi. Ma è una bellezza che l’uomo non può conquistare da sé: la deve accogliere come dono di Dio.


    NOTE

    1. Cfr, ad esempio, nell’Antico Testamento, l’episodio della vocazione di Isaia (Is 6,1-8) e, nel Nuovo Testamento, l’apparizione dell’arcangelo Gabriele a Zaccaria (Lc 1,11-20) e a Maria (Lc 1,26-38).
    2. Cfr R. Guardini, Studi su Dante, Brescia, Morcelliana, 1967, 27-29.
    3. Cfr V. Courir, Il poema di Dante. 2. Purgatorio, Firenze, Sandron, 1966, 99.
    4. R. Guardini, Studi su Dante, cit., 51.
    5. Entra nelle migliaia.
    6. Si distingue in tre; infatti, i nove cori si suddividono in gruppi di tre.
    7. Abbaglia.
    8. Iride o arcobaleno.
    9. Insufficiente.
    10. R. Guardini, Studi su Dante, cit., 112 s.

    © La Civiltà Cattolica 2017 IV 459-465 | 4019 (2/16 dicembre 2017)


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