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    Sull'amore:

    Scheler, Lévinas

    Maurizio Schoepflin

     

    Max Scheler:
    l'amore come valore

    Lo sforzo filosofico di Max Scheler* è rivolto prevalentemente a compiere una perimetrazione del problema della morale, e perviene a circoscrivere, attraverso numerose opere, un complesso sistema etico. L'etica non si limita in Scheler a una generica scienza del comportamento e della condotta dell'uomo, né tanto meno assume il carattere di una proposta filosofica fine a se stessa. Il filosofo tedesco parte da una situazione culturale di forte relativizzazione (nella forma come nei contenuti) qual era quella degli anni intorno alla prima guerra mondiale, quando ogni residuo positivistico ottocentesco, già precedentemente bersagliato dalla serrata critica di Nietzsche, sembrava crollare definitivamente nell'estenuante logoramento fratricida della trincea. La sua elaborazione etica, così, travalica i limiti consueti, e si estende a tutti gli aspetti dell'uomo e della società. Il sistema etico di Scheler cerca di affiancare allo sforzo di ritrovare l'integrità morale della persona, e dei suoi rapporti con l'altro nella loro totalità, la possibilità stessa di una fondazione etica, basata su nuove e più sicure metodologie di indagine filosofica. Parallela e ugualmente importante, allora, emerge la necessità di possedere un metodo di ricerca appropriato col quale lavorare per giungere a una salda fondazione teoretica: il punto di partenza, in questo senso, non può che essere la fenomenologia. La scoperta del. metodo fenomenologico, dovuta ad alcuni anni di frequentazione delle lezioni di Husserl, apre a Scheler l'orizzonte di un'analitica del pensiero morale e gli rende possibile l'incontro con la sostanza materiale dell'oggetto etico analizzato: il valore.
    Non è questa la sede per entrare nel merito di questioni tecniche relative alla scuola fenomenologica; e neppure si può accennare al problema dei rapporti e dei debiti intellettuali intercorsi fra Scheler e Husserl. Tuttavia vale la pena di accennare al senso filosofico della fenomenologia, intesa come metodo di ricerca di un punto certo di partenza del conoscere, riportando le parole del suo fondatore: «I tormenti della mancanza di chiarezza, dell'oscillare del dubbio, li ho goduti a sufficienza. Io devo giungere a una solidità interiore... senza chiarezza non posso vivere... Io lotto per la mia vita, e perciò credo di poter procedere con fiducia... Solo una cosa mi preoccupa: debbo raggiungere la chiarezza se no non posso vivere» [1]. L'ansia della possibilità di una metodologia pura e sicura pervade anche Scheler già alla ricerca di un fondamento della morale, e, pur essendo egli una figura indipendente e geniale, non esiterà ad ammettere che fu il «lavoro fenomeno-logico impersonato da Husserl a disciplinare per primo il suo spirito così versatile» [2].
    Scheler, nell'opera Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori - pubblicata in due riprese nello Jahrbuch di Husserl, nel 1913 e nel 1916, e che può essere considerata il primo grande risultato della lezione fenomenologica - attacca il formalismo di tipo kantiano, che considera il valore come una struttura aprioristica ma astratta, un'«astrazione dalle cose-beni effettive» [3]. D'altro lato egli riafferma la concretezza del valore di fronte al nichilismo nietzscheiano, che aveva spazzato via ogni possibilità oggettiva di reperire e fondare valori.
    Il concetto di valore e la sua possibilità materiale svolgono un ruolo decisivo all'interno del sistema etico scheleriano, e sono fondamentali per comprendere lo sviluppo del tema dell'amore. L'esplorazione fenomenologica della vita assiologica dell'uomo permette a Scheler di individuare come ogni valore possa costituirsi nella sua concretezza in una gerarchia determinata. Tale esplorazione parte dal concetto fenomenologico di «visione d'essenza», cioè di una intuizione percettiva a priori, universale, ma non astratta. I valori non vengono esperiti come forma astratta, ma come essenza nella pienezza del contenuto, come atto della coscienza intenzionale. In breve, il formalismo kantiano, attraverso la sensibilità (come facoltà di sentire il bene), ci mostra i valori positivi che sono attribuibili alle cose, in cui il valore non è una realtà a sé, ma un rapporto tra un soggetto sensibile e un oggetto. Di contro, l'etica materiale di Scheler, che viene a costituirsi proprio come una fondata filosofia dei valori, «ammette che i valori... esistono indipendentemente dai soggetti e dagli oggetti desiderati» [4]. Dunque, i valori sono la percezione affettiva delle qualità assiologiche, mentre gli oggetti che veicolano il valore sono i beni. Ciò permette a Scheler di non scivolare nel relativismo dell'etica formale, dove i beni come oggetto sono intercambiabili, ma di affermare che soltanto una distinzione oggettiva permette che «ogni formazione di un mondo di beni venga orientata... da una gerarchia di valori» [5]. Sono così i valori a determinare l'ambito di possibilità al di fuori del quale non può darsi una formazione di beni.
    È necessario concludere questa breve disamina dell'impostazione etica di Scheler con l'esplicitare la costruzione da lui proposta, poiché chiarire, almeno a livello introduttivo, le possibilità dell'etica materiale costituisce la base di partenza per estrapolarne la teoria dell'amore (e dell'odio), a questa intimamente legata. La struttura assiologica delle qualità oggettive si dispone, contro ogni relativismo etico, in modo gerarchico, dai valori meno elevati a quelli supremi; nel senso che, sebbene storicamente si possa ammettere la variabilità del bene che veicola il valore, il valore in se stesso non potrà mai subire variazioni. Scheler ritiene inferiori i valori più vicini alla concreta psicofisicità dell'uomo, come quelli sensoriali (piacere-dispiacere); individua stadi intermedi, come quelli dell'utilità, della cultura (bene-male; giusto-ingiusto), della conoscenza (vero-falso); e giunge infine a quelli ritenuti supremi: i valori spirituali, religiosi o metafisici (sacro, grazia, salvezza). Il disvalore non si caratterizza solo per opposizione: il filosofo, infatti, coerentemente con la sua concezione della materialità del vissuto intenzionale, crea una gerarchia di controvalori, autentici come i loro opposti, ma del tutto indipendenti e contrari nel significato e nella direzione. «Un non-valore - ha scritto a questo proposito Franco Bosio - non è propriamente un nulla privativo che proviene dalla semplice negazione logica di un valore positivo; costituisce invece una qualità contraria e confliggente rispetto alla qualità originariamente positiva» [6]. Sulla scorta di queste sintetiche riflessioni diventa più agevole affrontare la tematica dell'amore e dell'odio.
    Amore e odio rappresentano le due più autentiche istanze morali, che vanno a formare la persona nella propria unicità e qualificano l'alterità nella sua più genuina irriducibilità come unica, autentica e irripetibile. Così, l'amore si stacca da ogni residuo di matrice romantico-idealista -per la quale la tensione alla fusione e all'unità indifferenziata e assoluta fra uomo, natura e cosmo sembra il compito più elevato - e viene riportato a una dimensione di concreto contatto di natura conoscitiva con la persona-altra.
    Ma cosa è esattamente l'amore? Considerato in se stesso, l'amore non è un atto cognitivo, sebbene porti poi alla conoscenza dell'altro; l'amore e l'odio «rappresentano un comportamento singolare nei confronti degli oggetti dotati di valore» [7]. Scheler esplicita inoltre come, nell'amore quale atto intenzionale, non ci riferiamo a un'essenza astratta o a un'idea indefinibile (l'«umanità», per esempio), ma sempre agli oggetti reali e concreti portatori del valore, poiché «io non "amo" un valore, ma amo sempre un qualcosa che è dotato di valore» [8]. Dunque, l'amore è un atto intenzionale: è, cioè, un movimento che si origina da un nucleo individuale di valore, da un valore di partenza, per poi cercare di realizzare il valore gerarchicamente superiore. «E proprio questo apparire del valore superiore che sta in relazione essenziale con l'amore» [9]. L'amore, in tal modo, non fissa un valore determinato dalla persona che abbiamo dinanzi a noi, e neppure le si rivolge esclusivamente in ragione del valore che essa veicola. L'amore non ha neppure a che fare con l'atto dello scegliere o del preferire, poiché il primo è rapportato a una volontà di agire e non all'oggetto in quanto tale, e il secondo si presenta come un semplice atto emozionale. «Nell'amore noi avvertiamo certamente il valore positivo dell'oggetto amato» [10], ma tale valore lo possiamo cogliere anche sen/a amore, come appunto quando scegliamo o preferiamo: «l'amore esiste solamente là dove al valore già dato "come reale" nella persona si aggiunge ancora il movimento, l'intenzione verso ulteriori valori superiori possibili, valori superiori rispetto a quelli già esistenti e dati» [11].
    Quindi, l'amore viene definito come «il movimento in cui ogni oggetto concretamente individuale e portatore di valore perviene ai valori superiori possibili per esso e in base alla sua determinazione ideale» [12]. L'amore risulta così essere non un atto della ragione, né un ponte fra l'io e l'altro inteso in senso sociologico, bensì un atto che si riferisce al valore e all'oggetto portatore, e che tende costantemente, attraverso un movimento attivo e creativo, al valore superiore. Creativo non significa in questo caso che l'amore crei da se stesso il valore superiore; significa invece che l'amore fa sì che vengano all'esistenza valori completamente nuovi e superiori. E proprio attraverso una definizione dell'amore come quella sopra esposta che Scheler recupera la totalità delle qualità morali della persona e fonda in modo netto l'alterità. In questo senso, l'amore definisce essenzialmente l'altro, dove per «altro» si intende un altro-io diverso da me stesso, unico e non riconducibile a nessuna generalizzazione. La comprensione dell'alterità, tema centrale di ogni filosofia della persona, trova nell'amore il suo grado più elevato. L'amore si basa su azioni assiologiche originarie, a differenza, per esempio, della simpatia, per cui la comprensione dell'altro avviene attraverso una partecipazione, limitata alla sfera psichica, dei suoi vissuti emozionali.
    Si è già detto che i valori opposti a quelli positivi sono concreti e determinati nella loro essenza; tali valori, cioè, non sono dipendenti per opposizione a quelli positivi, ma autonomi e gerarchicamente ordinati, sebbene orientati nel senso opposto. L'amore e l'odio «non differiscono nel senso che l'odio non sia nient'altro che l'amore della non-esistenza d'una cosa. L'odio è piuttosto un atto positivo, in quanto in esso è dato immediatamente un disvalore, esattamente come nell'amore è dato un valore positivo. Ma mentre l'amore è un movimento che va dal valore inferiore al valore superiore... l'odio è un movimento inverso» [13].
    Amore e odio rappresentano il livello supremo della nostra vita emozionale, poiché «è nell'amore e nell'odio... che ha luogo l'originaria possibilità di accedere alla dimensione assiologica, dal momento che essi soltanto si rivelano, all'indagine fenomenologica, come atti spontanei nei quali... un dato ambito di valore... indipendentemente dal mondo di beni già dato al sentimento, si trova ad ampliarsi o a restringersi, a seconda che l'atto spirituale che si compie sia rispettivamente d'amore o di odio» [14].
    Il lavoro scheleriano sul concetto e sulla funzione dell'amore non si esaurisce a questo livello. Scheler svilupperà in scritti successivi considerazioni direttamente collegate con tale tematica. Sebbene esuli dai limiti del presente lavoro un'esposizione sistematica di queste opere, ne accenniamo i percorsi. In Amore e conoscenza [15] si elabora un'analisi storico-culturale dei rapporti fra amore e ragione, o meglio fra eros e logos. Si individuano inoltre due filoni entro cui si è mosso il cammino dell'Occidente: il primo è quello indo-greco, per il quale il valore dipende dalla ragione, cioè dal pensiero logico-metafisico, con una completa subordinazione dell'amore nei confronti dell'elemento razionale; il secondo è quello proprio della Visione cristiana, secondo cui l'amore, che scende direttamente da Dio, ha carattere prioritario e anteriore a qualsiasi ragionamento. Il primo è rappresentato dalla figura socratico-platonica della ricerca, cioè dell'interrogazione razionale sull'essenza delle cose; il secondo da quella di Cristo, modello e maestro che non «ha» la verità, ma «è» la verità, e pertanto solo a partire da Lui (che è amore) si rende possibile ogni conoscenza.
    L'altro percorso che Scheler sviluppa partendo dalla definizione di amore e odio è quello dell'ordine dell'amore [16]. L'ordine dell'amore si qualifica come oggettivo e indipendente dall'uomo, pur applicandosi alla sfera assiologica del soggetto. Esso, così, non può essere né posto né prodotto dall'uomo, ma esclusivamente riconosciuto. Affermando che la direzione che segue l'amore è quella ascendente, il filosofo ribadisce come l'amore sia un atto che cerca di portare ogni cosa alla perfezione, e che si realizza con energia e forza creatrice. Riconoscere l'ordine dell'amore significa anche comprenderne la portata normativa, in quanto costituisce anche «la regola del destino individuale e della consonanza tra mondo e uomo, che per ognuno si stabilisce, fin dalla prima infanzia, sulla base di una graduale funzionalizzazione degli atti spirituali agli oggetti primari» [17].
    Ha notato Gianfranco Morra che «il primato dell'amore, che Scheler aveva ritrovato all'interno della vita emozionale dell'uomo, è anche necessariamente nel Principio primo: Deus caritas est. Ogni discussione sul primato dell'intelletto o della volontà deve prima riconoscere il Primat des Liebens; ogni impegno dell'uomo deve essere volto a riconoscere e attuare questo "velle, amare in Deo, cognoscere in lumine Dei". Non si tratta, ovviamente, dell'amore panteistico di Plotino, Bruno e Spinoza, non è l'amare Deum in mundo, ma l'amare mundum in Deo, hominem in Deo, Deum in Deo» [18] . Lo stesso Scheler ha indicato la prospettiva più adatta secondo cui interpretare la realtà dell'amore, una prospettiva che pone al centro la presenza e l'iniziativa divine, come si legge in Amore e conoscenza: «Io ho parlato di una "svolta nel movimento dell'amore", per indicare il fatto che ora non più vale l'assioma greco, secondo il quale l'amore è un movimento dal basso verso l'alto... dall'uomo verso Dio... ma l'amorosa condiscendenza del più alto per il più basso, di Dio per l'uomo, del santo per il peccatore e così via, viene ora assunta nell'essenza stessa del "più alto", e dunque anche dell'Altissimo", cioè di Dio... E come la persona del Cristo - e non una "idea", alla quale questa persona debba commisurarsi - è per la religione il primo oggetto d'amore, così anche il punto di partenza dell'emozione amorosa è una persona anticamente reale: la persona di Dio» [19].

    NOTE

    * Nacque a Monaco di Baviera nel 1874. Insegnò in molte università tedesche, e scrisse varie opere, tra le quali segnaliamo Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, Essenza e forme della simpatia e Le forme del sapere e la società. Influenzato dalla fenomenologia di Husserl, Scheler elaborò un'importante teoria dei valori, intesi come oggetti in sé, capaci di imporsi in modo assoluto, ma liberati dal formalismo di stampo kantiano. Approfondì inoltre i concetti di persona e di amore, attribuendo un ruolo importante anche alle persone collettive, quali la società civile e la Chiesa. Dopo un primo periodo in cui aderì al cattolicesimo, si spostò verso una religiosità panteistico-provvidenzialistica. Morì nel 1928.
    1 E. Husserl, L'idea della fenomenologia, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 5.
    2 H. G. Gadamer, Il movimento fenomenologico, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 12.
    3 M. Scheler, Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, San Paolo, Cini,110 Balsamo 1996, p. 32.
    4 F. Gregoire, Le grandi dottrine morali, Guida Editori, Napoli 1990, p. 25.
    5 M. Scheler, Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, op. cit., p. 44.
    6 F. Bosio, Invito al pensiero di Scheler, Mursía, Milano 1995, p. 29.
    7 M. Scheler, Essenza e forme della simpatia, Città Nuova, Roma 1980, p. 227.
    8 Ibidem.
    9 Ibid., p. 233.
    10 Ibid., p. 234.
    11 Ibidem.
    12 Ibid., p. 244.
    13 Ibid., p. 232.
    14 D. Verducci, Le «ragioni del cuore» secondo Max Scheler, in Per la filosofia, 11 (1994), p. 82.
    15 Liviana, Padova 1967.
    16 Cfr. D. Verducci, Le «ragioni del cuore», art. cit., p. 84.
    17 Ibidem.
    18 G. Morra, Teologia e filosofia della religione dalla seconda metà dell'800 ad oggi, in M. F. Sciacca (a cura di), Grande antologia filosofica, Marzorati, Milano 1977, vol. XXVIII, pp. 486-487.
    19 Grande antologia filosofica, op. cit., pp. 727-729. La centralità attribuita da Scheler all'amore, che ha in Dio l'origine e la giustificazione ultima, anche ai fini dell'edificazione della società civile, è messa in luce da Ubaldo Pellegrino: «Nella comunità personale ogni persona finita è contemporaneamente individualità e membro della comunità personale: la legge fondamentale che la regola è il principio della corresponsabilità del singolo per tutti e di tutti per il singolo, espressione dell'amore della carità che si fa politica. Il principio cardine è quello della solidarietà morale, fondata su ciò che è bene in se stesso per i singoli e per la comunità, e cerca di attuare nell'ordine tutti i valori, trovando il proprio supremo fondamento nel valore del sacro, in Dio, amore upremo... L'amore anima tutto l'agire, il comandare e l'obbedire, il promettere e il mantenere, l'adorare e il pregare. Questa solidarietà nell'amore è l'apriori morale, in pii si esprime e si collega l'essere della persona e del tutto, è il fondamento di ogni possibile comunità e della loro storia»: Amicizia e amore politico in Max Scheler, in Il concetto di amicizia nella storia della cultura europea, Atti del XXII convegno internazionale di studi italo-tedeschi, Accademia di studi italo-tedeschi, Merano 1995, p. 666.

    * * * * *

    Emmanuel Lévinas:
    l'amore del volto

    La filosofia di Emmanuel Lévinas* è di natura integralmente etica; il tema dominante della sua speculazione è infatti costituito dal rapporto fra il «medesimo» e «l'altro». Quanto la riflessione etica tradizionale ha costantemente riferito all'individuo, ai suoi fini e alla sua collocazione in un ambito comunitario, viene da Lévinas ricondotto sul terreno della valenza del volto dell'altro. Ciò avviene all'interno di una relazione che ha il suo nucleo nella dissimmetria che la costituisce, la quale presuppone la prevalenza dell'«altro» sul «medesimo», e rende impossibile raggiungere «altri» sulla base della semplice relazione di reciprocità.
    Il primo livello della ripresa metafisica di alcuni aspetti dell'ethos biblico da parte di Lévinas si basa su questo elemento filosofico, ed è a partire da esso che può essere scoperto il ruolo che nella sua prospettiva è riservato all'amore.
    Per il pensatore lituano, «altri in quanto altri» (autrui en tant qu'autrui) non è soltanto un alter ego: è ciò che io non sono; e lo è non a causa del suo carattere, o della sua fisionomia, o della sua psicologia, ma a causa della sua stessa alterità» [1]. Il rapporto del «medesimo» con l'« altro» è quindi intrinsecamente eterogeneo rispetto al modello politico-sociale della giustizia, ma postula una tensione più radicale e assoluta in cui giustizia e carità possano incontrarsi. Su questa base teorica, l'altro diviene, in una dimensione originaria, che si colloca su di un piano diverso rispetto agli ordinamenti della storicità, colui che è eletto. Tale posizione dell'altro qualifica in senso etico la stessa ipseità, come ha evidenziato Ferdinando Luigi Marcolungo: «Proprio perché l'elezione mi precede sempre, al di là di ogni mia possibile scelta, il mio rapporto con gli altri nella società non si limita al piano puramente sociologico o politico, ma mi qualifica in modo radicale ed originario. Non posso sottrarmi alla solidarietà verso il prossimo: non si tratta di un qualcosa che si aggiunga alla mia condizione di soggetto, ma piuttosto di quel rapporto con altri che rende possibile la mia stessa interiorità» [2].
    L'inclusione dell'amore fraterno universale nell'etica è dunque dovuta al carattere originario dell'elezione dell'altro. Ciò è reso possibile dal fatto che la modalità di presentazione dell'altro è costituita dal volto, realtà che nel pensiero di Lévinas ha acquistato il suo pieno significato a partire dallo scritto Totalità e infinito del 1961.
    E stato osservato che «l'etica di Lévinas è l'etica del rapporto con l'altro; e l'altro - nella suggestiva terminologia levinasiana - è il volto; il volto dell'altro mi obbliga con la sua presenza, al di là e prima di ogni tematizzazione dell'essere e del logos» [3]. Il volto diventa espressione dell'infinito, in quanto rappresenta l'alterità come ciò che trascende le possibilità del «medesimo». E questa sua dimensione metafisica che spezza l'impersonalità del puramente esistente (il y a). Inoltre, attraverso l'epifania del volto, viene ridotto il ruolo della coscienza, alla quale invece in un primo tempo Lévinas aveva attribuito l'identità di un'ipostasi.
    Soltanto il rapporto del volto con l'infinito può introdurre all'interno dell'etica un elemento implicante l'amore solidale, senza per questo compromettere il radicale antagonismo fra norma etica e inclinazione sentimentale fissato da Kant. Scrive Lévinas: «La presenza di un essere che non entra nella sfera del medesimo, presenza che oltrepassa, fissa il suo statuto di infinito... il porsi di fronte... è possibile solo come messa in causa morale. Questo movimento parte dall'altro. L'idea dell'infinito, l'infinitamente di più contenuto nel meno, si produce concretamente sotto le specie di una relazione con il volto. E soltanto l'idea dell'infinito mantiene l'esteriorità dell'altro rispetto al medesimo, malgrado questo rapporto» [4]. È quindi la specifica qualità metafisica del volto, capace di collocarsi al di là di ogni ontologia, che rende l'« altro» trascendente rispetto al «medesimo», e la dimensione dell'infinità fa sì che all'altro inerisca la proprietà spirituale dell'altezza.
    Anche se all'etica del rapporto con l'alterità, manifestantesi nel volto, appartiene, mediata dall'ethos biblico, una forma d'amore orientato verso la fraternità universale - le cui espressioni simboliche sono rappresentate dalla «vedova» e dall'« orfano» della letteratura profetica - l'amore individuale si colloca al di là del volto. Il filosofo scorge nell'eros una condizione in cui la maestosità del volto, quale espressione della Trascendenza, è turbata dal bisogno, che proietta gli amanti oltre i confini del mondo sociale, verso l'impersonalità dell'essere. «Il rapporto che, nella voluttà, si stabilisce fra gli amanti, fondamentalmente refrattario all'universalizzazione, è completamente all'opposto del rapporto sociale. Esso esclude il terzo, resta intimità, solitudine a due, società chiusa, il non-pubblico per eccellenza. Il femminile è l'altro, refrattario alla società, membro di una società a due, di una società intima, di una società senza linguaggio» [5].
    L'amore si pone a un livello metafisico in cui si scopre una dimensione dell'alterità ancora più radicale di quella del volto, che si identifica con l'alterità del femminino. L'«epifania dell'amata» colloca infatti l'amore nella prospettiva dell'anelito, piuttosto che in quella del rapporto con altri. Secondo il filosofo di Kaunas, «l'amicizia va verso altri, l'amore cerca ciò che non ha la struttura dell'ente, ma l'infinitamente futuro, ciò che deve essere generato» [6]. In una simile concezione dell'amore, l'eredità del platonismo e del misticismo cristiano si fonde originalmente con il senso biblico della temporalità, e in tale direzione viene definito un diverso modo di presentazione dell'alterità.
    Le qualità della forma di alterità rappresentata dal femminile connotano il rapporto amoroso come un riferimento al lato sfuggente e misterioso dell'esistente: «La femminilità è nell'esistenza un evento differente da quello della trascendenza spaziale o dell'espressione, che vanno nella direzione della luce. È una fuga dinanzi alla luce. Il modo di esistere della femminilità consiste nel nascondersi. E questo fatto di nascondersi è appunto il pudore» [7]. Con la parola «pudore» Lévinas non intende riferirsi a un'attitudine psicologica, ma a una caratteristica del femminile, afferrabile entro un'intuizione d'essenza in senso fenomenologico. A questo riguardo, in tutte le descrizioni dei modi di manifestarsi dell'alterità, il legame filosofico di Lévinas con Husserl appare decisivo.
    Nell'opera Totalità e infinito, la trattazione delle questioni inerenti all'alterità femminile è più ampia e articolata rispetto ai lavori precedenti. In questo contesto, Lévinas attribuisce alla femminilità un ruolo che dispiega le sue potenzialità in due direzioni. In primo luogo, egli fa riferimento alla forma dell'abitare, quale raccoglimento nell'intimità, che attua la differenza rispetto all'oggettivazione di quelle parti del mondo che cadono sotto l'attività lavorativa; esso trova nella capacità di accoglienza del femminile la sua forza. «Il raccoglimento, opera di separazione, si concretizza come esistenza in una dimora... poiché l'io esiste raccogliendosi, esso si rifugia empiricamente nella casa. L'edificio assume questo significato di dimora solo a partire da questo raccoglimento» [8]. La trasformazione dell'oggettività spaziale dell'edificio nell'intimità della dimora è opera del femminile.
    L'altra direzione in cui si compie il significato del femminino, rispetto alla dimensione etica del rapporto del «medesimo» con l'«altro», riguarda il superamento del volto nell'abbandono amoroso, proiettato verso la generazione in cui sfocia il suo anelito, in quanto fecondità. Quello che si attua nella fecondità non può essere ridotto a una cieca volontà di perpetuarsi da parte del «medesimo»: la fecondità è, infatti, una disposizione radicata nel rapporto con l'amata, e non una mera tendenza della natura o una teleologia sovrapersonale. «La fecondità include una dualità dell'identico. Non indica tutto ciò di cui mi posso impadronire - le mie possibilità. Indica il mio avvenire che non è un avvenire del medesimo» [9]. Quel carattere di ricerca posseduto dall'eros, che viene nutrito dal lato sfuggente e misterioso dell' alterità femminile, dà alla fecondità un orientamento che conduce a oltrepassare l'identità soggettiva. «La procreazione è un processo che trascende i vissuti immediati dell'io. Pone in rapporto con ciò che è fuori dall'esperienza in prima persona del far nascere» [10]. Il significato metafisico della fecondità è quindi rintracciabile nella sottrazione al soggetto (idealisticamente inteso) dei suoi poteri sulla realtà. Ciò non equivale, tuttavia, all'eliminazione del soggetto in quanto rappresentante di un cominciamento: tale inizio non è più teoretico, ma temporale.
    La terza figura levinasiana della relazionalità posta al di là del volto è quella della paternità, che costituisce il rapporto che ricongiunge l'eros con la validità etica del volto. In tal senso, nell'atteggiamento paterno si può trovare un modello universale di amore che deve essere partecipato a ogni rapporto di alterità; la paternità introduce in modo assoluto l'unicità nel rapporto amoroso. Così, secondo Lévinas, il principio della specificazione individuale dell'amore può essere fatto risalire alla dimensione spirituale della paternità: «Il figlio riprende l'unicità del padre e tuttavia resta esterno al padre: il figlio è figlio unico. Non secondo il numero. Ogni figlio del padre è figlio unico, figlio eletto. L'amore del padre per il figlio attua la sola relazione possibile con l'unicità stessa di un altro e, in questo senso, ogni amore deve avvicinarsi all'amore paterno. Ma questa relazione del padre con il figlio non viene ad aggiungersi all'io del figlio, già precostituito, come una buona sorte. L'Eros paterno investe soltanto l'unicità del figlio; il suo io, in quanto filiale, non comincia nel godimento ma nell'elezione» [11].
    L'amore del padre, dunque, dirige l'eros verso un esito in cui la dimensione etica può essere pienamente reintegrata. In questo senso, la paternità è un piano di esistenza non empirico nel quale viene fatto confluire l'eros, senza che quanto in esso è collegato con l'intimità e il raccoglimento nella dimora scompaia in un'unica forma d'amore: il significato della paternità è infatti più simbolico che normativo.
    Come si può evincere da quanto detto sinora, il tema dell'amore non è certo estraneo alla sensibilità levinasiana, anche se esso viene piuttosto declinato in rapporto a quello della responsabilità, perché Lévinas vuol metterlo al riparo da ogni possibile interpretazione in chiave soggettivistica o, peggio ancora, egoistica. «Nell'amore senza concupiscenza, nell'amore disinteressato della responsabilità, l'amato è "unico al mondo" per colui che ama» [12]. Ciascuno è assolutamente responsabile dell'altro e in ciò consiste la sua più autentica identità: «La soggettività non precede la prossimità per poi impegnarsi successivamente in essa. E, al contrario, nella prossimità, che è rapporto e termine, che si annoda ogni impegno» [13]. Tale impegno deve condurre sino alla «sostituzione» dell'altro, a diventare suo «ostaggio», senza per questo pretendere alcunché in cambio. Si tratta di un'inquietudine, di una vera e propria ossessione originaria che provoca la soggettività: «La responsabilità per altri che non è l'accidente di un Soggetto, ma precede in esso l'Essenza, non ha atteso la libertà in cui sarebbe stato preso l'impegno per altri. Io non ho fatto niente e sono sempre stato in causa: perseguitato. L'ipseità, nella sua passività senza arché dell'identità, è ostaggio. La parola io significa eccomi, rispondente di tutto e di tutti» [14].
    Se, dunque, per un verso amore è responsabilità, per un altro esso è giustizia. È stato notato come nel pensiero levinasiano vi sia una sorta di primato della giustizia sull'amore [15], primato che senza dubbio si ricollega alle radici bibliche della riflessione del pensatore lituano. In effetti, la tonalità di fondo della filosofia levinasiana - al di là delle sue ascendenze, più specificamente teoriche, di stampo platonico e soprattutto husserliano - è improntata alla tradizione veterotestamentaria. Si tratta di un retaggio culturale che si rivela assai chiaramente nella concezione dell'amore, nella quale ricorrono temi - come quello del ruolo della donna e quello della paternità - che sono in realtà interpretazioni di parte del mondo simbolico-religioso della Bibbia. È a questo universo culturale ed etico, generato nell'alveo della grande tradizione ebraica, che devono essere ricondotte le convinzioni di Lévinas sull'amore se ne vuole comprendere pienamente il senso e il valore.

    NOTE

    * Nacque in Lituania nel 1905. Emigrato in Francia, insegnò in varie università. Scrisse varie opere, tra le quali Dall'esistenza all'esistente, Totalità e infinito, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza e Di Dio che viene all'idea. Influenzato dalla tradizione ebraico-biblica, Lévinas ha prodotto una notevole riflessione improntata a un personalismo etico-religioso. Ha insistito con particolare forza sul ruolo e sul valore dell'altro come prossimo, che impegna moralmente e apre al trascendente. Si è anche interessato agli studi ermeneutici. È scomparso nel 1995.
    1 E. Lévinas, Il tempo e l'altro, Il melangolo, Genova 19872, p. 54.
    2 Cfr. F. L. Marcolungo, Emmanuel Lévinas: la dismisura dell'amore in Per la filosofia, 13 (1996), p. 99, nota 37.
    3 G. Mura, Emmanuel Lévinas: ermeneutica e «separazione», Città Nuova, Roma 1982, p. 43.
    4 E. Lévinas, Totalità e infinito, Jaca Book, Milano 19902, p. 201.
    5 Ibid., p. 272. Sul tema della relazione erotica nel pensiero levinasiano, e, in particolare, sui rischi e le ambivalenze che essa comporta, è utile leggere quanto afferma M. Andrisani, Aporie di Eros: Bataille e Lévinas, in Aa.vv., Amore. Itinerari di un'idea, Schena, Bari 1996, pp. 64-77.
    6 E. Lévinas, Totalità e infinito, op. cit., p. 273
    7 E. Lévinas, Il tempo e l'altro, op. cit., p. 56.
    8 E. Lévinas, Totalità e infinito, op. cit., p. 157.
    9 Ibid., p. 276.
    10 A. Ponzio, Responsabilità e alterità in Emmanuel Lévinas, Jaca Book, Milano 1995, p. 75.
    11 E. Lévinas, Totalità e infinito, op. cit., p. 288.
    12 A. Ponzio, Responsabilità e alterità in Emmanuel Lévinas, op. cit., p. 162.
    13 E. Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza, Jaca Book, Milano 1983, p. 106.
    14 Ibid., p. 143.
    15 B. Borsato, L'alterità come etica. Una lettura di Emmanuel Lévinas, Edb, Bologna 1995, pp. 97-111.


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