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    Post-secolarismo

    Le condizioni del credere oggi

    Vincenzo Rosito

    Da alcuni decenni la categoria di post-secolare è oggetto di una particolare attenzione nel campo delle scienze storico-religiose. Per quanto concerne l'ambito della sociologia, ad esempio, è molto frequente imbattersi in espressioni come «condizione religiosa post-secolare». Nel campo degli studi filosofico-politici, invece, si fa spesso ricorso all'idea di «società post-secolari». [1] Secondo una prima analisi può sembrare che il post-secolarismo esista eminentemente come categoria di studio e viva quasi esclusivamente all'interno di dottrine scientifiche o di aule accademiche.
    In realtà questo termine esprime ed enuncia in prima istanza una diagnosi, prova cioè a interpretare la condizione delle religioni storiche e della religiosità in generale all'interno degli equilibri globali. Post-secolare è pertanto una specifica prospettiva di analisi nei riguardi delle trasformazioni che stanno interessando le religioni mondiali e i relativi contesti socio-politici. All'interno delle ricerche sul post-secolare viene dunque riservata particolare attenzione allo studio delle modernità multiple, ovvero ai tempi differenziati di trasformazione che caratterizzano le religioni storiche nel rapporto con le rispettive realtà locali e con la sfera pubblica globale. [2]

    Un approccio multidisciplinare

    Tra i primi a usare il termine post-secolare va ricordato il sociologo tedesco Klaus Eder, al quale va il merito d'aver individuato nella dimensione pubblica e comunicativa il campo d'indagine privilegiato in funzione del quale interpretare il nuovo ordine religioso globale. Quando Eder parla di «società post-secolari» si riferisce, infatti, a compagini sociali in cui le religioni, avendo pienamente acquisito la spinta mediatico-comunicativa della modernità, assumono un ruolo maggiormente o diversamente visibile rispetto alla loro tradizionale rappresentazione nella sfera pubblica nazionale o globale. [3]
    Con il temine post-secolare si vuole dunque designare non una semplice trasformazione storica riguardante le pratiche o i modi della credenza religiosa, ma le modalità di autorappresentazione del religioso in funzione della sfera pubblica globale e delle pratiche comunicative su scala planetaria. All'interno di questo scenario prospettico e metodologico è possibile osservare come negli ultimi trent'anni le religioni abbiano non solo profondamente mutato alcuni tratti essenziali della propria rappresentazione, ma abbiano anche profondamente influenzato o contribuito a modificare il quadro sociale, politico e istituzionale in cui naturalmente si muovono.
    E questa la ragione per cui il post-secolare è una categoria di riferimento che si offre ad approcci e analisi di carattere pluridisciplinare. Gli studi sul post-secolare sono dunque un ambito d'indagine e di ricerca molto più esteso rispetto al tradizionale binomio religioni-società. Proprio perché interpella ambiti e contesti propri della filosofia, della teologia o delle scienze politiche e giuridiche, il post-secolare si presenta come un prisma interdisciplinare ancora da esplorare e penetrare. Se dunque negli ultimi tre decenni qualcosa è cambiato sulla scena della religiosità globale o delle grandi religioni storiche, è necessario rinvenire accuratamente gli elementi d'autentica novità che hanno indotto, non solo gli studiosi, a proclamare la fine o il naturale esaurimento (post) di un'epoca detta appunto secolare.
    Questi fattori di mutamento possono essere così riassunti: un'eccezionale pluralizzazione e diversificazione delle comunità di fede rispetto alle confessioni religiose mondiali d'antica tradizione storica e per questo fortemente istituzionalizzate. La natura trans-confessionale e la diffusione globale di nuove forme di religiosità o di spiritualità non pienamente riconducibili ai contesti di appartenenza religiosa e alle pratiche tradizionali d'identificazione in essa contenuti.
    Il basso livello di istituzionalizzazione delle nuove organizzazioni religiose e il loro orientamento al benessere spirituale in una prospettiva olistica. Lo stato di relativa concorrenza che s'instaura tra le nuove forme di religiosità e che animerebbe un mercato delle religioni e delle spiritualità tendenzialmente sfuggente al controllo delle tradizionali istituzioni politico-sociali, ma in grado di influenzarle con modalità e pratiche inedite. La progressiva trasformazione di alcune istituzioni o comunità religiose in chiave emotivistica, individualistica e antigerarchica.

    Dio è tornato?

    Secondo alcune letture eminentemente sociologiche è lecito parlare di un'epoca post-secolare in quanto le religioni starebbero vivendo una fase di rinascita o addirittura di rivincita nei confronti di coloro che, sul finire degli anni Ottanta, ne avevano decretato l'inesorabile declino, l'indebolimento o la perdita di visibilità pubblica. [4] Le nuove forme di religiosità da un lato e la crescente rilevanza pubblica e mediatica delle fedi su scala globale dall'altro, sconfesserebbero pertanto la cosiddetta teoria standard della secolarizzazione. Quest'ultima si basa sull'assunto per cui il processo di razionalizzazione occidentale e di tecnologizzazione delle società moderne, avrebbe comportato una perdita d'influenza pubblica delle religioni e la loro conseguente ritrazione in una dimensione privata, domestica o intimistica. La de-privatizzazione delle fedi sarebbe dunque un elemento oggettivamente utile per l'analisi sociologica della condizione post-secolare.
    Più che un ritorno di Dio, ovvero di una religiosità dai toni marcatamente pubblici e dalle pratiche ostentatamente visibili, un certo filone d'indagine sociologica preferisce parlare di rivoluzione spirituale. [5] Secondo questi studi la religiosità non starebbe propriamente vivendo una fase di rinascita riscontrabile nella riaffermazione pubblica di istituzioni religiose tradizionali. Ciò che invece meriterebbe attenzione è la trasformazione della religiosità in generale che, nella pluralità di pratiche e di forme, presenta tratti comuni profondamente de-istituzionalizzanti e strettamente legati alla preminenza dell'autonomia individuale nell'ambito della ricerca e delle pratiche spirituali.
    Si profila dunque un nuovo approccio globale e trans-religioso esprimibile nell'idea di una spiritualità senza religione o di una spiritualità senza Dio. [6] Enzo Pace ha recentemente riassunto in questi termini i tratti essenziali della cosiddetta rivoluzione spirituale: «L'emergente bisogno di coltivare lo spirito, prendendosi cura della propria vita interiore; il desiderio di trovare una risposta qui e ora, nel tempo in cui si vive, senza spingere necessariamente lo sguardo oltre i confini sensibili nell'aldilà; una risposta, infine, che si presenti come una via a tutto tondo, che riempia il cuore, appaghi la mente e dia una sensazione di benessere anche al proprio corpo, in una parola una via olistica». [7]

    Il volto inedito del secolare

    Valutare i meriti e i limiti del postsecolare significa andare ben oltre lo studio delle trasformazioni del religioso per ciò che concerne le pratiche e gli approcci di natura olistico-spirituale. Essendo una categoria storico-ermeneutica il post-secolarismo si presenta innanzitutto come un ambito specifico di riflessione al cui interno è possibile valutare criticamente la dottrina della secolarizzazione e la stessa idea di secolare in quanto fondamentale cardine concettuale per l'autocomprensione della modernità e delle istituzioni politiche e giuridiche occidentali.
    In questa operazione spicca per profondità e ricchezza il contributo di José Casanova e del suo celebre saggio Public Religions in the Modern World. [8] Egli sembra essere convinto che la ritrovata visibilità pubblica delle religioni non possa essere usata strumentalmente per scardinare la teoria classica della secolarizzazione la quale richiede, oggi più che mai, un'attenta valutazione e riappropriazione del suo nucleo più profondo a scapito degli elementi contingenti e accessori.
    Una corretta interpretazione del post-secolarismo deve dunque mantenersi immune da ogni entusiasta acclamazione revanscista del religioso, valutando la tenuta teorica ed empirica della teoria della secolarizzazione. Quest'ultima infatti si fonda ancora validamente sull'assunto per cui la costituzione delle società moderne scaturisce da un processo di differenziazione degli ambiti di esistenza individuale, dei codici comunicativi d'interazione e delle stesse istituzioni sociali, politiche e religiose.
    La posizione di Casanova insiste sul fatto che la teoria della secolarizzazione è costituita in realtà da tre dottrine distinte: una principale e due supplementari. La tesi centrale sostiene che il processo di differenziazione delle sfere sociali non solo rappresenta il nucleo essenziale del processo di secolarizzazione, ma rimane una chiave interpretativa ancor oggi feconda e condivisibile. Le altre due tesi secondarie o complementari leggono invece la secolarizzazione come un processo insito nell'evoluzione stessa della modernità e coincidente con il progressivo declino della religione da un lato e con la privatizzazione delle fedi o delle credenze religiose dall'altro. [9]
    I cosiddetti «anni Ottanta della religione» segnano in realtà un cambiamento di tendenza rispetto al contenuto delle due tesi accessorie, lasciando pressoché intatta nella sua validità la tesi centrale che accosta o identifica il processo di secolarizzazione con quello di differenziazione. È in quel decennio che vanno rinvenuti quattro eventi apparentemente indipendenti l'uno dall'altro ma fortemente significativi per marcare il nuovo corso delle religioni in funzione della loro visibilità e incisività all'interno della sfera pubblica globale.
    Questi avvenimenti, divenuti ormai un esempio ricorrente ogni qual volta si parli di post-secolarismo, sono: «la rivolta islamica in Iran; lo sviluppo del movimento Solidarnosc in Polonia; il ruolo svolto dal cattolicesimo nella rivoluzione sandinista e in altri conflitti politici che hanno interessato l'America Latina; il risveglio del fondamentalismo protestante come forza operante nell'ambito dell'arena politica degli Stati Uniti». [10]

    Contingenza, non relativismo

    È più che mai necessario riflettere sul rischio che una raffigurazione strumentale e ideologica della secolarizzazione produca un'idea inefficace di post-secolarismo. Al fine di evitare tale rischio bisogna intendere la condizione post-secolare non come un semplice mutamento epocale, né tanto meno come un'età secolare che ha invertito la rotta o la tendenza di fondo. Tutto ciò può essere realizzato nella misura in cui per secolarizzazione s'intende il processo di trasformazione del religioso in funzione delle trasformazioni antropologiche, sociali e politiche del moderno, vale a dire non come univoco processo di ritrazione dell'esperienza religiosa rispetto al mondo delle istituzioni occidentali.
    «L'effetto secolarizzazione non ha svuotato la religione della sua esperienza religiosa, ma ne ha trasformato le connessioni con le diversità del mondo secolarizzato. Per le religioni storiche la condizione post-secolare è quella caratterizzata da tutti gli effetti della secolarizzazione, ma anche dalle nuove disponibilità spirituali che il vivere nella secolarità fa nascere». [11] Su questo terreno si situa l'opera del filosofo canadese Charles Taylor il quale, per analizzare lucidamente la dialettica storica di secolare e post-secolare, ribadisce che non è importante focalizzarsi sulle variazioni del numero dei credenti, né tanto meno sui mutamenti di alcuni significati o pratiche religiose, bensì sulle condizioni stesse della credenza.
    È dunque la categoria di possibilità a costituire una guida essenziale per comprendere lo scenario del moderno quale panorama storico-culturale caratterizzato dall'irruzione di molteplici approcci interpretativi ed esistenziali nei confronti della contemporaneità storica (multiple modernities) o di immaginari sociali diversificati, coesistenti e spesso combinati (modern moral frameworks).
    Questi elementi hanno contribuito a determinare una religiosità radicalmente trasformata dalla prospettiva dell'opzionalità. A quest'ultima guardano in maniera privilegiata le analisi di Taylor: «Il mutamento che vorrei definire ed esplorare è quello che ci ha condotti da una società in cui era virtualmente impossibile non credere in Dio, a una in cui la fede, anche per il credente più devoto, è solo una possibilità umana tra le altre». [12]
    Sostare in maniera critica ma nello stesso tempo creativa nel fondo delle possibilità di una fede resa opzionale dalla modernità rappresenta il tratto prospettico più interessante e vivo del post-secolare. Ciò significa leggere e vivere la possibilità della fede come acquisizione matura ma allo stesso tempo pluralistica e inclusiva di differenti percorsi e pratiche credenti.
    Utile, a tal riguardo, è la riflessione di Hans Joas sul valore della contingenza per la comprensione del religioso contemporaneo: «La fede non rappresenta alcuna tecnica per il superamento della contingenza, ma costituisce il presupposto di un modo specifico di fare i conti con la contingenza; nelle situazioni caratterizzate da un alto grado di contingenza si può benissimo arrivare a stabilire saldi impegni con le persone e con i valori, cambia solo la natura di tali impegni; e il risultato di una sensibilità nei confronti della contingenza non è il relativismo, bensì una "certezza contingente", una certezza che è consapevole della contingenza della propria genesi».[13]

    NOTE

    1 Cf. G. LINGUA, Esiti della secolarizzazione. Figure della religione nella società contemporanea, ETS, Pisa 2013; S. BELARDINELLI, L. ALLODI, L. GATTAMORTA (a cura di), Verso una società post-secolare?, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2009; A. FERRARA (a cura di), Religione e politica nella società post-secolare, Meltemi, Roma 2009.
    2 Cf. S.N. EISENSTADT, Sulla modernità, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2006.
    3 Cf. K. EDER, «Europäische Säkularisierung – ein Sonderweg in die postsäkulare Gesellschaft?», in Berliner Journal für Soziologie, 12(2002) 3, 331-343.
    4 P.L. BERGER, The Heretical Imperative, Anchor Press, Norwell (MA)I979; trad. it. L'imperativo eretico. Possibilità contemporanee di affermazione religiosa, LDC, Rivoli (TO) 1987.
    5 Cf. P. HEELAS, L. WOODHEAD, The Spiritual Revolution, Blackwell, London 2005; K. FLANAGAN, J. C. PETER (a cura di), Sociology of Spirituality, Ashgate, Farnham 2013; G. GIORDAN, E. PACE (a cura di), Mapping Religion and Spirituality in a Post-Secular World, Springer, New York 2012.
    6 Cf. L. BERZANO, Spiritualità senza Dio?, Mimesis, Milano 2014.
    7 E. PACE, Una religiosità senza religioni. Spirito, mente e corpo nella cultura olistica contemporanea, Guida, Napoli 2015, 41.
    8 J. CASANOVA, Public Religions in the Modern World, University of Chicago press, Chicago – London 1994; trad. it. Oltre la secolarizzazione. Le religioni alla conquista della sfera pubblica, Il Mulino, Bologna 2000.
    9 Ivi, 36s.
    10 Ivi, 7.
    11 L. BERZANO, «Religioni nell'epoca postsecolare», in Sociologia e politiche sociali, (2009) 2, 13.
    12 C. TAYLOR, A Saecular Age, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2007; trad. it. L'età secolare, Feltrinelli, Milano 2007, 14.
    13 H. JOAS, Glaube als Option. Zukunftsmöglichkeiten des Christentums, Herder, München 2013; trad. it. La fede come opzione. Possibilità di futuro per il cristianesimo, Queriniana, Brescia 2013, 148.


    (FONTE: Il Regno - Attualità. 6/2016, pp. 156-158)


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