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    Marx "materialista"?

    Costanzo Preve


    Stabilita l'incontestabile appartenenza del pensiero di Marx alla corrente idealistica, non importa se concepita in modo "stretto" o in modo "largo", è necessario ora affrontare seriamente il problema del cosiddetto "materialismo". In prima approssimazione il materialismo in Marx è di fatto sempre una metafora, o più esattamente un insieme di metafore, e non è invece affatto la "base filosofica" del suo pensiero. So bene di stare esponendo una tesi fortemente "eretica" e controcorrente, le uniche tesi peraltro che valga la pena esporre e pubblicare. Discutere di interpreti del marxismo, da Sorel a Croce, da Gentile a Del Noce, da Gramsci a Althusser, eccetera, senza chiarire preventivamente il tema cruciale del nesso fra idealismo (filosofico) e materialismo (metaforico) in Marx equivale a pestare dell'acqua in un mortaio. I significati metaforici di materialismo sarebbero molti, ma in questa sede per brevità mi limiterò a segnalarne solo sette, e cioè, nell'ordine: materialismo come metafora di una sorta di (inutile) monitoraggio filosofico sui risultati raggiunti dallo sviluppo delle scienze della natura, e solo di esse; materialismo come metafora della nozione di "prassi", e cioè di attività volta a modificare innanzitutto i rapporti sociali (vecchia definizione di Aristotele contrapposta sia alla teoria che alla poiesi); materialismo come metafora dell'ateismo, cioè della negazione di una divinità trascendente concepita in modo personalistico, e cioè teistico e deistico; materialismo come metafora di metodo e di sistema strutturalistico dell'analisi della genesi, sviluppo ed eventuale tramonto dei modi di produzione sociali (ed è questo quarto, ovviamente, il significato di tutti il più importante); materialismo come metafora della fragilità umana, e cioè della corporeità intrinsecamente finita e dolente; materialismo come deduzione sociale delle categorie filosofiche ed ideologiche. L'elenco è certo denso ed impegnativo, ma non poteva in alcun modo essere semplificato o "accorciato" ulteriormente. Senza il pieno dominio di questo elenco di "metafore" - l'ho già detto - è del tutto inutile discutere delle "interpretazioni" secondarie di Marx. Per questo lo analizzeremo, sia pure in estrema sintesi. Prima, però, bisogna affrontare brevemente il problema del perché prima Marx e poi i marxisti successivi hanno sempre sostenuto la posizione per cui il "materialismo", lungi dall'essere una metafora o un insieme di metafore, è stato invece considerato come la base indiscutibile di questo pensiero.

    A proposito del "materialismo" di Marx, esiste da un secolo e mezzo una diffusa e consolidata lettura di tipo sia teorico che biografico che compendierò brevemente in tre punti. In un primo momento, appoggiandosi al materialismo di Feuerbach, Marx avrebbe radicalmente criticato l'idealismo di Hegel, in particolare sotto l'angolo della denuncia della ipostatizzazione del particolare empirico in un universale astratto inesistente (Galvano Della Volpe). In un secondo momento, recuperando parzialmente la dialettica di Hegel contro lo stesso Feuerbach, Marx avrebbe criticato l'ateismo umanistico di Feuerbach come astratto, generico ed insufficiente per capire le motivazioni "concrete" e storiche dell'alienazione umana. In un terzo momento, infine, lasciatisi alle spalle i sistemi puramente filosofici di Hegel e di Feuerbach, Marx sarebbe finalmente approdato intorno al 1845 circa alla sua concezione materialistica della storia, o "materialismo storico", fondata principalmente sulla categoria di modo di produzione, e di lotta di classe fra borghesia e proletariato dentro questo modo di produzione. Questa è, appunto, la lettura collaudata e presente nella grande maggioranza delle storie della filosofia occidentale moderna. Questo percorso potrebbe anche essere definito in questo modo, nei termini della mia proposta di approssimazione: in un primo momento Marx sarebbe approdato all'ateismo, attraverso il suo doppio ripensamento di Epicuro e di Feuerbach (terzo significato metaforico di materialismo); in un secondo momento Marx sarebbe giunto a concettualizzare compiutamente la categoria di prassi rivoluzionaria, in particolare nelle sue Tesi su Feuerbach (secondo significato metaforico di materialismo); in un terzo ed ultimo momento, infine, Marx sarebbe definitivamente approdato alla sua concezione strutturalistica
    e processuale della storia (quarto significato metaforico di materialismo), ed in questo modo avrebbe di fatto smesso di occuparsi di filosofia, gettando via la scala su cui era salito (uso qui intenzionalmente l'espressione da muratore di Wittgenstein, cogliendo l'occasione per dire che l'ho sempre trovata di grande stupidità). Fin qui ho riassunto l'interpretazione consolidata del pensiero di Marx. Ma poiché la mia interpretazione, o meglio approssimazione, è del tutto diversa, ho l'obbligo di cercare di problematizzarla socraticamente, limitandomi per ragioni di spazio a tre soli ordini di osservazioni. In primo luogo, bisogna fare per cautela l'ipotesi che io mi stia sbagliando, e sbagliando di grosso, e che dunque, come dicevano i latini, audiatur et altera pars. L'altera pars, tuttavia, non può soltanto limitarsi a dire che la questione è chiusa per il fatto che Marx stesso si autodefiniva "materialista". In filosofia, a differenza che per alcune pratiche burocratiche semplificate, l'auto-certificazione non è un principio metodologicamente infallibile. La critica filosofica comincia infatti sempre nel momento in cui si mettono fondatamente in dubbio le autocertificazioni soggettive e veridiche dei vari autori, dai più grandi ai più piccoli. Per questo sarei veramente curioso di poter leggere valide critiche dell'altera pars alla mia approssimazione. Se queste argomentazioni fossero buone potrei addirittura cambiare idea, cosa quasi sempre resa impossibile dalle nevrosi identitarie di appartenenza, nevrosi di cui peraltro credo di aver saputo liberarmi ormai da tempo. In secondo luogo, ritengo che nel caso particolare di Karl Marx, inteso come personaggio specifico ed irriducibile a qualunque "ismo" posteriore, l'autocertificazione dichiarativa in termini di "materialismo" sia stata una necessità congiunturale inderogabile per marcare la propria differenza rispetto sia alla "destra" che alla "sinistra" hegeliana del suo tempo. I markers non esistono soltanto in biologia ed in medicina. Marx doveva in qualche modo "differenziarsi", perché soltanto differenziandosi da qualcosa è possibile autodefinirsi in modo chiaro. Già il pacifico Kant aveva detto che la filosofia è un Kampfplatz, un campo di battaglia. Marx era effettivamente giunto all'ateismo, alla concezione rivoluzionaria della prassi ed allo strutturalismo analitico nella analisi sociale. Tutti e tre questi elementi erano perfettamente compatibili con il cosiddetto "idealismo", che da un lato si basa proprio sull'ateismo e sulla prassi (e per questo Fichte fu espulso dall'università per ateismo e Gentile fu scomunicato dalla chiesa cattolica - in entrambi i casi, del tutto "meritatamente"), e dall'altro non è per nulla incompatibile con il metodo di analisi strutturalistico, a meno che si pensi che "idealismo" significhi raccolta di "idee" nel senso di Locke (cosa che è tuttora creduta dal pittoresco analfabetismo filosofico delle masse dei semicolti, che assai più degli ignoranti integrali sono il vero pericolo per la cultura). E tuttavia questa palese compatibilità con l'idealismo resta una pura astrazione ineffettuale, perché nella congiuntura storica concreta del decennio 1835-1845 solo l'autocertificazione soggettivamente veridica di "materialismo" permetteva di fatto di rompere con l'insieme delle ideologie dominanti. Ma ogni congiuntura storica è diversa dall'altra, e ad esempio oggi (2007) l'autocertificazione "idealistica" è assolutamente eversiva e rivoluzionaria, in un contesto postmoderno, relativistico e nichilistico di antipatia generalizzata verso Hegel e Marx. In terzo luogo, l'autocertificazione "materialistica" dei marxismi successivi deve molto alla sistematizzazione teorica ed alla coerentizzazione dottrinale attuata da Engels nel ventennio 1875-1895, cui Marx restò di fatto del tutto estraneo (e non poteva essere diversamente, perché morì nel 1883). Nella dicotomia simbolica che sorresse a lungo il marxismo inteso come concezione del mondo (ed ogni concezione del mondo per sua propria natura è ideologica e solo ideologica, e non può essere né scientifica né filosofica), la "materia" era associata al duro e faticoso lavoro dei contadini e degli operai, deputati appunto a "trasformare" la materia stessa, mentre le "idee" erano associate al lusso dei borghesi e degli intellettuali i quali, per così dire, "avevano tempo da perdere". Nel lessico del PCI (poi PDS-DS), ad esempio, il distribuire volantini, sfilare in corteo e servire salsicciotti caldi alle feste di partito era considerato "prassi" (!), mentre non era considerato tale il leggere o lo scrivere, sospettati come ambigue attività individualistiche e piccolo-borghesi (porto in proposito - per quello che vale - una testimonianza personale). In generale il Proletariato era visto come il soggetto che trasformava la Materia, mentre la Borghesia, concepita parassitariamente come un semplice soggetto consumatore, si limitava appunto a consumarla, e allora l'Idea era di fatto ridotta a "riflesso", cioè a rispecchiamento, del consumo della Materia stessa. Incidentalmente, l'idea che il capitalista fosse un semplice parassita era del tutto estranea a Marx, che invece lo considerava esplicitamente come un "agente attivo" nella creazione del capitale industriale. Questi chiarimenti erano probabilmente necessari. Passiamo ora analiticamente all'esame dei sette significati metaforici di materialismo. È assolutamente chiaro che l'ordine espositivo scelto è del tutto arbitrario, e non è né tematico né biografico. Ciò che conta, tuttavia, è che il lettore possa gradatamente impadronirsi dell'aspetto filosofico della complessa questione. Solo dopo, infatti, sarà possibile tentare una valutazione differenziata di un Sorel o di un Gramsci, di un Gentile o di un Del Noce, di un Althusser o di un Lukács, eccetera.

    Il primo significato metaforico di materialismo è quello che lo intende da un lato come una sorta di "monitoraggio epistemologico" sui risultati di volta in volta storicamente raggiunti dalle varie scienze della natura (e solo di queste), e dall'altro come una "concezione del mondo" unificata costruita proprio sulla base di queste conoscenze stesse, variamente sistematizzate. In estrema sintesi, questo modello di materialismo coincide di fatto integralmente con il cosiddetto "metodo scientifico", che non solo è radicalmente cambiato nel corso della storia (da Tolomeo a Copernico, da Galileo a Newton, da Darwin a Einstein, dalla meccanica quantistica alla genetica, eccetera), ma è anche diverso da scienza a scienza (Bachelard, eccetera). A mio avviso, sia detto senza inutili e timide mezze misure, Marx non c'entra assolutamente nulla con questo tipo di materialismo, e questo non certo perché lo disprezzasse o non se ne interessasse (al contrario, Marx ed ancor più il suo amico Engels se ne interessavano moltissimo, e la loro corrispondenza lo testimonia ampiamente), ma perché la sua indagine mirava ad un tipo di conoscenza sociale diversa da quella prodotta dalle scienze naturali. A differenza di quanto pensava Galvano Della Volpe, il "galileismo morale" non esiste e non può esistere, perché il galileismo, comunque definito e ridefinito, riguarda unicamente la natura "esterna" all'uomo, e non certamente la natura dei rapporti sociali. In un testo del 1937 significativamente intitolato Antidealismo e scempiaggini Benedetto Croce imposta a mio avviso la questione in modo molto corretto affermando che "la cosiddetta realtà del mondo esterno, che si oppone all'idealismo, ha un senso proprio soltanto nell'ambito delle scienze naturali, che logicamente (corsivo mio, CP) si attengono al mero fenomeno e Io pongono perciò appunto 'esterno', in rapporto ad un 'interno', e cioè al modo di pensare filosofico, dal quale esse a ragione si disinteressano (corsivo mio, CP)... ma c'è forse uomo al mondo che possa pensare davvero una cosa 'esterna' allo spirito umano, ad esso non pertinente ed estranea? E come farebbe ad entrarvi in relazione? E che cosa avrebbe poi da dirle? E a che cosa gli servirebbe?". Molto ben detto, don Benedetto! Come si dice in latino, intelligenti pauca. E a ragione Croce fa notare che le scienze naturali fanno benissimo ad ignorare il significato relazionale che il mondo ha per l'uomo, e del tutto a ragione se ne disinteressano. La "materia", o meglio le varie e differenziate nozioni funzionali di "materia" intesa come oggettivazione esterna della quantificazione matematica e delle procedure di sperimentazione, non può essere oggetto della riflessione di Marx, e non può neppure esserne il presupposto. Il "gioco" di Marx si svolge tutto su di un altro tavolo, come diversi sono i tavoli degli scacchi e dei giochi delle carte. Il suo stesso metodo non è per nulla "materialistico", ma al massimo "strutturalistico" (quarto significato metaforico). Apro qui una parentesi provocatoria, di cui mi assumo l'integrale responsabilità. Fra tutte le discipline inutili inventate dallo spirito umano, di cui non si discute il carattere di "onesto passatempo" ma solo la natura di utilità spirituale, l'epistemologia è forse di tutte la più inutile, assai di più comunque dell'astrologia e della disputa teologica sul sesso degli angeli. La disputa teologica sul sesso degli angeli, almeno, ci dice metaforicamente molto su come i soggetti disputanti concettualizzano la sessualità maschile e femminile, l'androginia, il peccato, eccetera, e quindi in controluce ci dice molto sui rapporti sociali e culturali (ad esempio, sul mondo bizantino, come ogni buon storico bizantinista peraltro sa molto bene). A differenza di questa fine teologia del sesso, l'epistemologia non ci dice mai assolutamente niente né della scienza, che va avanti per conto suo e non ha nessun bisogno di monitoraggi e validazioni epistemologiche, in quanto la scienza si afferma unicamente nella sua performatività tecnica, né della filosofia, che attua per sua essenza una riflessione necessariamente "idealistica" sul significato del mondo per l'uomo. Ed anche quando afferma che il mondo non ha in sé nessun significato, gloriosa scoperta dell'acqua calda (Schopenhauer, Colletti, Wittgenstein, eccetera), la filosofia afferma ovviamente sempre un peculiare significato, in quanto anche il non-significato, se è connesso all'uomo, è pur sempre un peculiare significato, così come lo scetticismo è sempre anch'esso "dogmatico", perché afferma pur sempre la verità dell'inesistenza della verità stessa. E chiudo qui questa parentesi provocatoria, aggiungendo che le diatribe epistemologiche di moda in questi ultimi decenni, pur non contribuendo in nulla né alle scienze né alla filosofia, manifestano pur sempre i sintomi di una ideologia sociale, quella dell'odio razionalistico (Habermas) e postmoderno (Lyotard) per la cosiddetta "metafisica". Altra cosa è ovviamente il problema dell'inesistenza oppure dell'esistenza di una specifica "dialettica della natura". Hegel ne affermò l'esistenza, ma in un senso irriducibilmente diverso da Engels e dal posteriore Materialismo Dialettico, perché Hegel non si sarebbe mai sognato di affermare una inesistente omogeneità ontologica fra (presunte) leggi naturali e (presunte) leggi sociali. Lo stesso concetto di "legge" non è presente in Hegel, e questo non è un caso, perché è il posteriore positivismo che glielo aggiunge. Pensatori indifferentemente di "destra" o di "sinistra", come Giovanni Gentile e Jean-Paul Sartre, hanno variamente negato la stessa possibilità logica di una dialettica della natura, sostenendo che la dialettica per sua propria essenza può soltanto caratterizzare il mondo umano come mondo della coscienza. Pensatori di orientamento marxista, come l'italiano Ludovico Geymonat e il francese Lucien Sève, hanno invece in vario modo riabilitato la cosiddetta "dialettica della natura", ma lo hanno fatto in un ambito dichiaratamente non ontologico, ed esclusivamente metodologico. E allora il succo di tutta questa faccenda sta in ciò, che questo primo significato metaforico di materialismo non c'entra nulla con Marx, oppure, per usare un'espressione popolare italiana, c'entra con Marx come i cavoli a merenda.

    Il secondo significato metaforico di materialismo, di gran lunga più importante del primo, è quello che traspone e trasfigura in un improbabile concetto di "materia" la prassi umana trasformatrice, ed in particolare la prassi rivoluzionaria. Dal momento che la tradizione marxista italiana ispirata ad Antonio Gramsci è stata anche definita "filosofia della prassi", che Giovanni Gentile ha interpretato il pensiero di Marx in termini di idealismo della prassi, e che infine Augusto Del Noce ha assunto questo significato nella sua critica radicale al marxismo stesso, è evidente che senza cercare di fare un minimo di chiarezza su questo significato "metaforico" non avrebbe molto senso proseguire la nostra indagine. Partendo dalla più nota delle Tesi su Feuerbach, che sostiene che fino ad allora (e cioè fino alla metà degli anni quaranta dell'Ottocento, vero e proprio anno della Nuova Era della Prassi) i filosofi si erano limitati ad interpretare il mondo, ma si trattava ora di trasformarlo, Karl Marx è stato consacrato come Grande Fondatore della Filosofia della Prassi sia dagli amici (come Antonio Gramsci) sia dai nemici (come Augusto Del Noce). E tuttavia questa consacrazione non sta letteralmente né in cielo né in terra, anche perché si trova in un testo inedito per appunti di ricapitolazione e di orientamento che Marx non ha mai pubblicato, e pour cause, perché a mio avviso (e me ne prendo tutte le responsabilità) si sarebbe vergognato di pubblicare, in quanto una veloce indagine sulla storia della filosofia occidentale ci insegna che il problema del rapporto fra teoria e prassi, e cioè fra interpretazione del mondo e sua trasformazione è al centro dello stesso pensiero greco classico (cosa che recentemente anche una pensatrice come Hannah Arendt ha sottolineato, pur nel contesto di una sua inaccettabile e fuorviante teoria del totalitarismo, fatta apposta per colpevolizzare soltanto il fascismo ed il comunismo ed innocentizzare di conseguenza il solo capitalismo imperialistico-democratico occidentale, unica e sola ragione della sua santificazione da parte dell'odierna Divulgazione Giornalistico-Filosofica Politicamente Corretta). È noto che l'intera filosofia di Platone si basa sull'interpretazione del mondo in cui viveva in vista di una sua trasformazione di tipo pitagorico-sapienziale, che nel contesto sociale del tempo avrebbe avuto un carattere ultra-rivoluzionario. In quanto ad Aristotele, egli distingue saggiamente tre tipi distinti di azione, l'agire teorico rivolto alla conoscenza della realtà in sé delle cose, l'agire poietico, rivolto alla costruzione di oggetti materiali, ed infine l'agire "pratico", rivolto alla trasformazione positiva dei comportamenti umani. Colgo l'occasione per far notare che quando diciamo oggi che un signore che non sa cambiare la lampadina bruciata e riparare i rubinetti che perdono è privo di "senso pratico", usiamo scorrettamente questo venerabile termine, in quanto bisognerebbe invece dire che è privo di "senso poietico". La distinzione non è di lana caprina, perché il mondo è pieno di genitori che smonterebbero e rimonterebbero ad occhi chiusi un motore d'automobile, e nello stesso tempo sarebbero del tutto incapaci di impartire un'educazione culturale e morale ai figli. Pensaci sopra, caro lettore, e ti renderai conto di come la cosiddetta "filosofia", spesso diffamata come attività inutile, si occupa in realtà delle cose più "pratiche" che esistano al mondo. I greci non coltivavano tuttavia una filosofia della storia di tipo progettistico-lineare, ma concepivano il loro tempo storico in modo sostanzialmente "aporetico" (termine che in base all'auctoritas di Santo Mazzarino preferisco al collaudato ma inesatto termine di "ciclico"). E allora il vero e proprio fondatore moderno della "filosofia della prassi" è stato il grande superidealista Fichte. Questa fondazione, come sanno anche gli studenti liceali meno distratti, si basa sul rapporto dialettico fra le due polarità dell'Io e del Non-Io, ove l'Io è la metafora dell'intera umanità concepita trascendentalmente come un unico soggetto trasformatore, ed il Non-Io è la metafora della "resistenza" che il mondo naturale e sociale oppone a questa trasformazione stessa. Marx non ci ha ovviamente aggiunto assolutamente nulla, né poteva farlo, perché questa "grammatica filosofica" rivoluzionaria era già stata mirabilmente perfezionata. Io stesso ho diligentemente ascoltato il marxista francese Roger Garaudy che negli anni sessanta del novecento esponeva questa tesi con dovizia di citazioni, ed il fatto che poi nella sua personale ricerca dell'Assoluto sia successivamente diventato musulmano non cambia nulla alla sua correttezza filologica. Chi individua allora nella filosofia della prassi una metafisica materialistica è allora vittima di un abbaglio, frutto della classica pigrizia inerziale celebrata in (quasi) tutti i manuali di storia della filosofia. Per ragioni di spazio non aggiungo qui altri commenti, che il lettore attento può aggiungere da solo. Dico subito però che personalmente non ritengo che il cuore "metafisico" del pensiero di Marx stia in una filosofia della prassi, ma penso invece che stia in una sorta di ontologia dell'essere sociale, e che quindi tutte le interpretazioni (Gentile) o le "stroncature" (Del Noce) di esso basate sulla premessa per cui starebbe invece proprio nella radicalizzazione ultima e conseguente della filosofia della prassi stessa non colgono il centro del problema, e quindi gli passano
    a lato. Ma ci tornerò sopra più avanti.

    Il terzo significato metaforico di materialismo, anch'esso di grande importanza storica, è quello che lo identifica con il cosiddetto "ateismo", e cioè con la negazione dell'esistenza di un Dio unico concepito in modo personale ed onnipotente. L'ateo è infatti identificato automaticamente con il "materialista", in quanto quest'ultimo, negando Dio, afferma di conseguenza che l'unica realtà di cui possiamo sensatamente parlare è quella "materiale". E dal momento che (rimando qui al primo significato metaforico segnalato) è proprio la scienza moderna la forma di conoscenza che indaga nel modo più soddisfacente la "materia" stessa, l'ateismo si identifica poi quasi sempre di fatto con lo "scientismo", il cui nucleo metafisico consiste nella più totale (e quasi sempre arrogante) negazione del valore autonomo della conoscenza filosofica. Si crede in generale che l'ateismo sia uno dei concetti più facilmente definibili, perché esso si limiterebbe a segnalare un'assenza (quella di Dio, appunto). Ci sono oggi pensatori, come il francese Michel Onfray, che cercano in tutti i modi di promuovere l'"ateologia" come nuova lotta "laica" contro la religione, considerata in modo semplicistico come la principale responsabile dell'intolleranza e delle guerre. L'attuale pensiero filosofico francese sulla religione (da Régis Debray a Michel Gauchet fino allo stesso Alain de Benoît) è molto più profondo e sofisticato di Onfray, ma qui non si ha a che fare con una questione di "sofisticazione filosofica", ma con un qualcosa di ben diverso, e cioè con il fatto che l'attuale capitalismo finanziario globalizzato deve distruggere tutto quanto resta di una dimensione "pubblica" della religione (al di fuori ovviamente dell'unica religione ammessa, quella imperiale americana, frutto di una sintesi fra individualismo protestante e messianesimo sionista), derubricandola a sola dimensione "privata" pubblicamente irrilevante, e per questo letteralmente "tutto fa brodo", ivi compreso il grottesco rilancio del campionato di baseball Evoluzionismo-Creazionismo, in modo che le pagine dei giornali cosiddetti "laici" (in realtà turbocapitalistico-finanziari) possano proclamare Darwin vincitore contro i Testimoni di Geova. Ritornando a cose serie, chiunque si sia occupato di storia della filosofia sa bene che l'ateismo è una delle cose più difficili da definire correttamente. Ad esempio, nelle Leggi di Platone sono definiti "atei" non coloro che semplicemente negano l'esistenza delle divinità (e l'antichità ne era piena, per cui su questo punto Onfray ha sostanzialmente ragione), ma coloro che sostengono che gli dei non si occupano delle cose umane oppure che gli dei possono essere "condizionati" con offerte e preghiere. Nell'attuale discussione filosofico-teologica (papa Ratzinger, eccetera) l'ateismo è definito in genere in termini di relativismo morale e di nichilismo ontologico, per cui l'ateo non è tanto colui che si limita a dire che Dio non esiste, ma è colui che nel suo relativismo nichilistico respinge anche il "naturalismo normativo", il fatto cioè che sia possibile interpellare la "natura umana" per giudicare comportamenti umani "pratici", sia individuali che collettivi. La questione è di importanza decisiva, ma qui non la potremo discutere per ragioni di spazio. Nel dibattito filosofico italiano la questione del rapporto fra cristianesimo e marxismo è stata discussa in particolare nelle due posizioni opposte ed irriducibili di Giulio Girardi ed Augusto Del Noce, e allora mi limiterò qui a due soli ordini di riflessioni. In primo luogo, chiunque si sia occupato professionalmente di filosofia e di teologia sa bene che il nemico principale delle varie forme di metafisica cristiana non è mai stato il cosiddetto "materialismo", quanto piuttosto la struttura concettuale dell'idealismo moderno, i cui principali quattro esponenti sono stati nell'ordine Spinoza, Fichte, Hegel e Marx, in quanto colpevoli di divinizzazione della natura (Spinoza) e poi di conseguenza di divinizzazione dell'uomo stesso (Fichte, Hegel e Marx). In secondo luogo (e affermo
    qui una delle "colonne" della mia personale approssimazione a Marx) io non ritengo, o almeno non ritengo più da molto tempo, che una filosofia rivoluzionaria debba "lottare" contro la religione in nome della cosiddetta "concezione scientifica del mondo". A suo tempo la protoborghesia capitalistica settecentesca dovette farlo, e dovette farlo in Europa perché le varie confessioni religiose cristiane, ed in particolare quella cattolico-romana, erano ideologicamente e socialmente intrecciate con le strutture signorili e tardo-feudali ancora esistenti. I vari d'Holbach e Voltaire agirono certo come liberi pensatori, ma anche come veri e propri "intellettuali organici" della nascente società borghese, e dopo più di due secoli di negazione e di reticenza oggi persino il papa filosofo Ratzinger ammette la "positività" di alcune (non certo tutte) conquiste illuministiche. Non discuto nemmeno qui l'ateismo "militante" di Lenin, dato l'intreccio indissolubile fra zarismo e chiesa ortodossa. Ma oggi, e ripeto oggi, chi se la prende ancora con la religione, e nello stesso tempo crede di essere un "materialista rivoluzionario", lavora per il re di Prussia dell'individualismo
    capitalistico integrale e solleva pietroni che sono destinati a cadergli sui piedi. Le argomentazioni di questa mia approssimazione a Marx sono rivolte anche a portare un minimo di chiarezza su questo punto.

    Il quarto significato metaforico di materialismo, quello che di fatto corrisponde integralmente ai termini "materialismo storico" o "concezione materialistica della storia", è quello in cui il termine "materia" è usato come metafora diretta di "struttura sociale". Non si tratta di "strutturalismo" nel senso ristretto affermatosi in Francia a partire dagli anni sessanta del Novecento per opera dei lavori antropologici di Claude Lévi-Strauss,e che diedero vita a suo tempo a dibattiti ormai del tutto archeologici (Lucien Sève, Maurice Godelier, eccetera). Si tratta proprio della buona, vecchia e collaudata dicotomia fra Struttura e Sovrastruttura passata sostanzialmente indenne da Marx al marxismo successivo. In un certo senso, e qui mi permetto di deformare leggermente il modello, la "struttura" è considerata come la "materia" di un Tutto in cui la sovrastruttura è considerata come la "forma". Le sovrastrutture ideologiche (diritto, filosofia, religione, eccetera) terrebbero così insieme a livello superficiale la riproduzione "strutturale", fondata sul rapporto dialettico fra forze produttive sociali e rapporti sociali di produzione, e cioè fra progresso tecnologico, da un lato, e configurazione sociologica classistica di tipo dicotomico, dall'altro. Questo quarto significato metaforico di materialismo, privato di espressività filosofica che viene a sua volta considerata un residuo metafisico idealistico presente solo nel giovane Marx e scomparso nel "vero" Marx maturo e scientifico, è quello privilegiato dalla scuola di Louis Althusser e dei suoi epigoni italiani (Maria Turchetto, Gianfranco La Grassa, eccetera). In proposito, credo anch'io che si tratti di un significato decisivo, e che sia improprio e scorretto parlare di Marx e del marxismo ignorandolo, come se fosse poco rilevante o come se neppure ci fosse (ed infatti ritengo molti critici del marxismo, da Giovanni Gentile ad Augusto Del Noce, colpevoli di questa "dimenticanza" di fatto). Il marxismo è sintesi inscindibile di alcuni elementi, dalla percezione olistica prescientifica della alienazione capitalistica al senso quasi giusnaturalistico di ingiustizia intollerabile provocata dalla inaccettabile dismisura della distribuzione dei beni e dei servizi nel capitalismo fra individui, classi, popoli e nazioni, dalla base filosofica idealistica all'analisi storico-sociale ispirata al concetto di modo di produzione, eccetera. Criticare un solo aspetto del pensiero di Marx ignorandone sovranamente gli altri come se non esistessero equivale a mio avviso a restare del tutto "esterni" alla totalità del suo pensiero. Il marxismo, esattamente peraltro come la religione, è un fenomeno globale (così come il comunismo - per dirla con Durkheim - è un "fatto sociale totale"), e credere di poterlo stroncare o superare investendone soltanto gli aspetti filosofici (Augusto Del Noce), epistemologici (Lucio Colletti), economici (Croce, Hayek, eccetera), considerati isolatamente l'uno dagli altri, finisce per sortire gli stessi risultati di coloro che credono di poter "stroncare" la religione invalidando le cosiddette "prove dell'esistenza di Dio" oppure denunciando la corruzione degli alti prelati o i peccati sessuali dei preti. Sono tutte tempeste di superficie, e sotto le correnti continuano a scorrere. Non c'è qui ovviamente lo spazio per analizzare con un minimo di serietà e di completezza il modello strutturalistico di Marx, fondato in estrema sintesi sull'interazione dialettica di solo quattro concetti (modo di produzione, forze produttive sociali, rapporti sociali di produzione ed ideologia o formazioni ideologiche di potere e/o di resistenza al potere stesso). E non c'è neppure lo spazio per analizzare la vexata quaestio dei rapporti fra la struttura e la sovrastruttura. Terminiamo semplicemente ricordando che se il metodo di analisi strutturale è una parte essenziale del pensiero di Marx, che non può essere ridotto a puro "filosofo" dell'ateismo e/o della prassi, non c'è alcun bisogno di ribattezzare la struttura "materia", se non per ragioni del tutto ideologiche di identità e di appartenenza, estranee sia alla filosofia sia alla scienza.

    Il quinto significato metaforico di materialismo, di importanza tutto sommato molto limitata, è quello che identifica la materia con la cosiddetta "aleatorietà", modo un po' sofisticato di connotare la casualità degli eventi storici decisivi e della loro non-inseribilità e non-deducibilità in uno schema deterministico e/o teleologico. Il materialismo detto "aleatorio" è stato il terzo ed ultimo modello proposto dall'insigne marxista francese Louis Althusser, dopo il primo (marxismo come epistemologia scientifica dei modi di produzione sociali) ed il secondo (marxismo come lotta di classe nella teoria). Non c'è qui lo spazio per dimostrare come entrambi questi primi due modelli presentino aspetti insostenibili, e ricordo solo che il primo di questi modelli, oltre a costituire il tipo di marxismo più diffuso negli ambienti universitari nel ventennio 1965-1985, ha anche influenzato il modo con cui alcuni filosofi, come l'italiano Giulio Girardi, hanno a loro modo "risolto" il problema del rapporto fra marxismo e cristianesimo, in modo opposto ed incompatibile con quello tematizzato da Augusto Del Noce. L'approdo dell'ultimo Althusser al "materialismo aleatorio" ha a mio avviso due motivazioni genetiche principali. In primo luogo, da un punto di vista "endogeno", si è trattato di un modo per "uscire" dalle contraddizioni insanabili prodotte dagli aspetti unilaterali dei due precedenti modelli (positivismo nel primo caso, ed ideologismo nel secondo). In secondo luogo, da un punto di vista "esogeno", si è trattato di un modo per inserirsi all'interno della corrente postmoderna della critica di Jean-François Lyotard alle cosiddette "grandi narrazioni", accettandone di fatto tutte le premesse metafisiche principali, come la negazione di ogni "direzionalità" alla storia universale.

    Il sesto significato metaforico di materialismo, di importanza maggiore del precedente ma minore di tutti quanti gli altri, è quello che con il termine "materia" metaforizza la fragilità e la corporeità umana, nell'accezione soprattutto delle opere filosofiche e poetiche di Giacomo Leopardi (Sebastiano Timpanaro, Cesare Luporini, eccetera). Questo significato, serio e rispettabilissimo, non c'entra assolutamente nulla né con Marx né soprattutto con Engels, anche se Timpanaro, che in quest'occasione non ha mostrato grandi capacità "filologiche", ha cercato in una sua opera famosa di "attaccarlo" proprio ad Engels. E così, accanto allo Engels "epistemologo" di Ludovico Geymonat, abbiamo avuto in Italia anche lo Engels "testimone della fragilità umana" di Sebastiano Timpanaro. La mia opinione in proposito è che si tratti di una concezione della vita assolutamente pertinente, profonda ed intelligente, ma che nello stesso tempo non c'entri né con il pensiero di Marx, né con i problemi teorici dei modelli filosofici del materialismo e dell'idealismo. Hanno ragione coloro i quali, a partire dalla classica ed immortale operetta di Francesco De Sanctis su Schopenhauer e Leopardi, hanno sostenuto che il punto di vista del poeta di Recanati, lungi dal portare ad un pessimismo aristocratico ed egoistico, portava invece ad una sorta di solidarismo comunitario. Se questa è la "filosofia" di Leopardi, ebbene anch'io posso dichiararmene "aderente". Ma tutto questo non ha assolutamente nulla a che fare con la specifica filosofia di riferimento di Marx. Dare a ciascuno il suo dovrebbe essere anche il principio basilare di ogni corretta storiografia filosofica.

    Un settimo ed ultimo significato metaforico di materialismo, che è anche quello che personalmente prediligo ( insieme al quarto, che però preferisco chiamare "strutturalismo scientifico", e non certo "materialismo"), e che è quelli) che personalmente ritengo corretto e fecondo impiegare, è quello che si riferisce alla deduzione storica e sociale delle categorie filosofiche, insieme alla registrazione del loro differenziato uso ideologico, uso ideologico che non deve comunque mai essere identificato con il valore veritativo dell'arte, della religione e della filosofia (per impiegare volutamente un lessico hegeliano assolutamente "ortodosso"). Il metodo di Marx, inseparabile dalla sua metafisica generale, consta dunque di una filosofia occidentalistica della storia della libertà, di un modello filosofico assolutamente idealistico, ed infine di un metodo "materialistico" di deduzione storica e sociale delle categorie del pensiero. Non c'è qui Io spazio per illustrare questo metodo, il cui vero iniziatore è stato lo stesso Engels, e di cui è stato valente prosecutore il tedesco Alfred Sohn-Rethel. Il rifiuto del metodo della deduzione storica e sociale delle categorie, rifiuto quasi sempre motivato dalla paura di cadere nel "riduzionismo" di tipo ideologico, porta di fatto a cadere in impostazioni del tutto astoriche, come il metodo della "deduzione trascendentale" di Kant o il metodo della "deduzione fenomenologica" di Husserl e dello stesso Heidegger. Un cattivo uso di questo metodo "materialistico" porta di fatto, invece, ad un'intollerabile sovrapposizione e compenetrazione fra categorie filosofiche di tipo veritativo e categorie ideologiche di tipo esclusivamente strumentale. Un buon uso, invece, ne mantiene sempre la distinzione storica e genetica.

    (da: Una approssimazione al pensiero di Karl Marx. Tra materialismo e idealismo, Il prato 2007, pp. 44-62)


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