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    La filosofia

    della storia

    di Hegel e Marx

    Costanzo Preve

    È generalmente ammesso fra gli interpreti di Marx che il suo pensiero si fonda su di una filosofia della storia. Ho scritto "generalmente", perché in realtà vi sono state e vi sono interpretazioni di Marx e del marxismo che lo intendono "scientisticamente" come un superamento di qualsivoglia filosofia della storia in direzione di un modello epistemologico di scientificità pura. Lo sciagurato "materialismo dialettico" imposto nel 1931 da Stalin come unica filosofia consentita legalmente nell'URSS, ad esempio, nega di fatto l'esistenza di una autonoma filosofia della storia in Marx, non solo perché lo distacca violentemente dall'idealismo tedesco (ribattezzato in modo del tutto inaccettabile come una "reazione aristocratica alla rivoluzione francese del 1789"), ma anche perché lo inserisce in una teoria ontologicamente unificata delle cosiddette "leggi" della natura e della storia (e qui l'influenza del positivismo di Comte è palese, dal momento che questo positivismo si fondava sul concetto di "legge scientifica"). Al di là del materialismo dialettico, che fa parte della storia delle ideologie piuttosto che della storia della filosofia, ci sono stati recentemente anche altri tentativi di "liberare" il pensiero di Marx dalla filosofia della storia, prima fra tutti la riflessione di Louis Althusser e dei suoi seguaci. Chi scrive non condivide né il materialismo dialettico di Stalin (ma prima ancora - ahimé - di Engels e di Lenin) né l'interpretazione di Louis Althusser. Per me il pensiero di Marx è assolutamente inscindibile da una ben precisa filosofia della storia. Di che filosofia della storia si tratta? Secondo una acuta e nota interpretazione di Karl Lòwith, si tratterebbe di una radicale secolarizzazione della tradizionale escatologia giudaico-cristiana nel linguaggio "moderno" dell'economia politica.
    Questa natura teorica di "anti-religione", o più esattamente di secolarizzazione di categorie teologiche precedenti rimaste sostanzialmente intatte sotto la vernice "modernista", ha incontrato l'approvazione di pensatori come Carl Schmitt (per cui si è sempre di fronte ad una secolarizzazione di categorie teologiche quando si indaga la genesi e la funzione delle moderne categorie del Politico) e come Augusto Del Noce (per cui l'ateismo, in quanto secolarizzazione "profana" della religione, è sempre una contro-religione da combattere ed in ogni caso da "non lasciar passare" per ingenuità e/o distrazione). Con tutto il rispetto per Löwith, Schmitt e Del Noce (e per innumerevoli altri seguaci della teoria della secolarizzazione variamente declinata), io ritengo invece che la matrice genetica pressoché esclusiva della filosofia della storia di Marx sia invece la filosofia tedesca della storia da
    Herder a Hegel. In un certo senso, anche l'insieme di questa filosofia tedesca della storia da Herder a Hegel potrebbe essere interpretato come una secolarizzazione di un cristianesimo prevalentemente luterano e quindi anche non-cattolico quando non apertamente anti-cattolico. E tuttavia non si è qui semplicemente di fronte ad una secolarizzazione teologica, e neppure di fronte ad una ideologia del progresso di tipo economico e tecnologico, ma ad una sorta di novum metafisico. Ed il novum metafisico sta in ciò, che sulla lontana scorta di Vico la storia comincia ad essere considerata alla luce di una sua autonomia immanente. Dio non è ancora negato (come invece avverrà in Marx, in questo allievo di Feuerbach), ma di fatto non gioca più alcun ruolo attivo. Per ragioni di spazio, è impossibile qui dare conto delle vicende di questa filosofia tedesca della storia nei sessant'anni che vanno dal 1770 al 1830, e tuttavia è da questa vicenda spirituale che nasce Marx. In proposito, la mia opinione è che, almeno su questo punto, Marx è stato semplicemente un allievo comunista di Hegel, e quindi (per riprendere il termine di Norberto Bobbio sul giudizio dato da Gentile a proposito dei rapporti fra Hegel e Marx) un "Hegel minore". Ma cerchiamo, sia pur brevemente, di chiarire meglio questo punto teorico assolutamente decisivo.

    In estrema sintesi, la filosofia della storia (e della geografia) di Hegel, che a sua volta non deve essere considerata come parto isolato di un genio filosofico ma come momento conclusivo della corrente sessantennale della filosofia della storia tedesca (1770-1830), può essere esposta sinteticamente in tre punti:
    (i) Si tratta di una filosofia della libertà, o più esattamente di una metafisica della libertà. La libertà ne è infatti il filo conduttore, dalla libertà di uno solo (antico Oriente), alla libertà di pochi (mondo antico greco-romano), fino alla libertà di tutti (mondo moderno protestante caratterizzato dal libero esame religioso e dallo stato etico). A sua volta questa libertà si caratterizza come autodeterminazione (livello dell'individuo e dell'intelletto) e come autocoscienza (livello della totalità sociale e della ragione dialettica).
    (ii) Si tratta di una filosofia universalistica della libertà, in cui il genere umano è pensato come un unico concetto unitario di tipo trascendentale riflessivo, ed è concepito come un soggetto "ideale" della storia universale.
    (iii) Si tratta di una filosofia universalistica della libertà pensata in una prospettiva rigorosamente eurocentrica, in cui l'Europa è vista appunto come l'erede legittimo della grecità, della romanità e del cristianesimo, mentre il mondo arabo ed islamico, il mondo indiano ed il mondo cinese sono messi per così dire ai "margini", come se fossero una sorta di recipiente vuoto che aspetta l'"occidentalizzazione". Metafisica della libertà, filosofia universalistica della libertà in cui l'intero genere umano è pensato come un unico soggetto unitario della storia, ed infine filosofia universalistica della libertà basata su di una "grande narrazione" (Lyotard) di tipo eurocentrico ed occidentalistico sono i tre elementi della filosofia della storia di Hegel.

     

    In estrema sintesi, la filosofia della storia di Marx è assolutamente identica a quella di Hegel, a meno ovviamente che si voglia sottolineare il suo contributo originale, per cui il "comunismo" è pensato da Marx non solo come il punto terminale dello svolgimento della storia universale, raggiunto attraverso il "potere del negativo" della dolorosa scissione capitalistica, ma come il grado massimo di autocoscienza storica e filosofica dell'umanità. Hegel invece si interdice (a mio avviso molto saggiamente) di fare previsioni sul futuro, e si accontenta di definire come massimo punto temporale di un'autocoscienza storica possibile il suo modello sociale di Spirito Oggettivo ed il suo modello teorico di Spirito Assoluto.
    Se invece si istituisce un parallelo fra i tre punti "metafisici" della filosofia della storia di Marx ci si accorge agevolmente che essi sono assolutamente della stessa natura. Vediamoli allora brevemente.

    (i) La filosofia della storia di Marx è indubbiamente una metafisica della libertà. È possibile affermarlo con sicurezza, perché esiste un'evidenza filologicamente incontestabile in una citazione dei Lineamenti, opera che tra l'altro appartiene al Marx "maturo" e non al "giovane" Marx. Qui Marx, che non pensa mai in modo binario (come Kierkegaard, Kant, i neopositivisti ed il teorico e sistematizzatore delle "dicotomie" Norberto Bobbio), ma in modo terziario, o meglio triadico, ricalca in modo formalmente quasi identico la filosofia della storia "triadica" di Hegel. E se la triade di Hegel era composta dalla successione della libertà di uno, poi di pochi e infine di tutti, la triade di Marx mette in scena sul palcoscenico della storia prima la dipendenza personale (società variamente precapitalistiche), poi l'indipendenza personale (società borghese-capitalistica), ed infine la libera individualità, che è la sua connotazione antropologica della futura società comunista. Le osservazioni da fare sarebbero molte, ma qui per ragioni di spazio mi limiterò a proporne al lettore soltanto due. In primo luogo, l'onesto esame filosofico-filologico di Marx permette di escludere la sua interpretazione (non importa se "benevola" o "malevola") in chiave di egualitarismo astratto o di livellamento sociale forzato. Non nego che questa sia stata una caratteristica storicamente riscontrabile nelle politiche sociali del comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991), caratteristica che peraltro ne riconferma il suo carattere plebeo-popolare contro tutte le interpretazioni in termini di "tradimento burocratico", eccetera. Ma questa innegabile caratteristica non deriva, né direttamente né indirettamente, dalla filosofia della storia originale di Marx. In secondo luogo, la centralità metafisica della categoria di libertà in Marx smentisce a mio avviso la teoria di Lówith della secolarizzazione dell'escatologia giudaico-cristiana nel linguaggio dell'economia politica di Smith e Ricardo. Questa escatologia (e si veda la citazione rivelatrice di Paolo di Tarso in Lettera ai Corinzi, 7 , 20-24) non ha infatti al centro la categoria di "libertà", comunque declinata, ma la categoria di "asservimento" di tutte le categorie sociali (nel caso di Paolo di Tarso, liberi, liberti e schiavi) alla figura di un Unico Liberatore Divino. Solo con uno sforzo di fantasia, o più esattamente con un'operazione di analogia impropria, si può sostenere l'eguale natura della categoria di libertà nell'autocoscienza di Hegel e Marx e la categoria di asservimento collettivo di Paolo di Tarso.

    (ii) La filosofia della storia di Marx è di tipo universalistico, nel doppio senso per cui si basa su di un unico soggetto trascendentale riflessivo della storia pensato come capace di passare dall'astratto postulato al concreto realizzato, ed anche su di una ipotesi di "estensione" nel mondo intero partendo da un nucleo storico-geografico originario. Questa filosofia si oppone dunque alle teorie di tipo nichilistico-relativistico fondate sull'inesistenza ontologica di un "universale", mentre è a mio avviso compatibile con le filosofie alla Aristotele-Tommaso d'Aquino-Ratzinger sul carattere "normativo" della categoria di natura umana, e cioè su quella sorta di "naturalismo normativo" cui oggi si oppongono molti noti filosofi (Gianni Vattimo, Richard Rorty, eccetera). Questa opinione, che chiarisco subito essere una mia interpretazione, comporta l'affermazione dell'esistenza in Marx di una teoria della "natura umana", che invece la maggioranza degli interpreti nega, sulla base proprio di un riferimento ad una delle Tesi su Feuerbach, il testo preferito non solo da interpreti non-marxisti come Giovanni Gentile ed Augusto Del Noce, ma anche da interpreti marxisti e comunisti come il francese Georges Labica. Il soggetto trascendentale riflessivo della storia universale è pensato da Marx in termini di "ente naturale generico" (in tedesco
    Gattungswesen). La "genericità" è pensata concettualmente in termini di "polimorfismo sociale", e cioè di capacità di produrre un gran numero di modelli socio-antropologici (a differenza di altri animali "sociali" come le api e le termiti). Questa capacità si basa su due caratteristiche sociali specifiche dell'uomo, il lavoro ed il linguaggio, cui personalmente aggiungerei la consapevolezza anticipata della propria morte individuale, che costringe questo ente naturale generico a dare un senso (Sinngebung) alla propria vita personale. Qui si trova allora il nodo dialettico dei rapporti fra Singolarità, Particolarità e Genericità, che in caso contrario sarebbe impossibile (Lukács).

    (iii) In accordo con Hegel, Marx concepisce questa filosofia universalistica della storia e della libertà partendo da una premessa eurocentrica ed occidentalistica. È probabile che, nella situazione storica data di metà Ottocento, non fosse possibile diversamente, il che non significa però che oggi la si possa ancora mantenere. Ed infatti la mia personale opinione è che ogni versione dell'eurocentrismo, ed ancor peggio dell'occidentalismo (che è infatti eurocentrismo con in più l'accettazione del dominio militare e spirituale dell'impero ideocratico americano), non sia sostenibile e debba essere rifiutata e combattuta, non importa se si presenti in vesti ideologiche di "destra", di "centro" o di "sinistra". Si tratta forse di una metafisica del Progresso, inteso come un'espansione progressistico-lineare dello "spirito europeo" nel mondo, con conseguente occidentalizzazione del mondo? Il Novecento è stato il teatro della lotta fra la globalizzazione capitalistica illimitata di matrice soprattutto anglosassone e l'uniformazione monoclassistico-proletaria del comunismo storico novecentesco recentemente defunto (1917-1991). Si tratta di uno scenario estraneo a Marx, che non lo avrebbe potuto neppure concettualizzare in senso futurologico. È discutibile se e fino a che punto il pensiero di Marx comporti o meno l'accettazione, sia pure dialettizzata fin che si vuole, dell'ideologia del progresso. Pensatori come Gramsci e Lukács l'hanno difesa, mentre pensatori come Sorel e Benjamin l'hanno sostanzialmente respinta. Per ora possiamo lasciare il tema provvisoriamente in sospeso, per ritornarci dopo. Secondo Iring Fetscher, uno studioso tedesco che ha dedicato la vita allo studio della storia del marxismo e dei rapporti fra Hegel e Marx, le filosofie della storia di Hegel e Marx si "ricalcano" in quasi tutti i punti essenziali. Personalmente accetto la sua tesi interpretativa, e su questo punto chiudo provvisoriamente la trattazione del tema della filosofia della storia.

    (da: Una approssimazione al pensiero di Karl Marx. Tra materialismo e idealismo, Il prato 2007, pp. 24-30)


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