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    Giuseppe Bucaro

    Filosofia
    della religione

    Forme e figure


    1. LA FILOSOFIA COME RELIGIONE

    Ormai si è d'accordo nel ritenere che la filosofia della religione ha inizio nel 1670 con la pubblicazione del Tractatus theologico-politicus di Spinoza. E Spinoza professa il primato della filosofia sulla religione. Dato questo primo storico denominiamo la prima forma di filosofia della religione con il titolo «La filosofia come religione». In questa prima forma intendiamo includere i vari tentativi in cui la filosofia ha cercato di dare una visione religiosa della realtà, ponendosi essa come e al posto della religione. Nelle figure incluse in questa prima forma la religione viene concepita e spiegata solo all'interno di un sistema filosofico: la religione è fondata dalla e nella filosofia, è ridotta a momento della filosofia. Possiamo dire che si tratta di filosofia religiosa nel senso che la filosofia cerca di spiegare i dati della Rivelazione collocandoli all'interno di un sistema filosofico (Spinoza), oppure essa assorbe e riduce la religione all'interno della razionalità etica (Kant), o, infine, essa assorbe il tutto della religione all'interno dell'assoluta superiorità del pensiero (Hegel). Le tre Figure (Spinoza, Kant, Hegel) sono scelte come figure emblematiche, come tipologie qualificate di questa prima forma. Non intendiamo comunque mettere sullo stesso piano le tre figure. Intendiamo solo dire che la forma entro cui sia Spinoza, che Kant, che Hegel collocano la religione è simile, anche se i contenuti rimangono profondamente diversi e distinti.

    1.1. La fondazione della filosofia della religione in Spinoza *

    Il Tractatus theologico-politicus di Spinoza segna una rottura con la tradizione e pone una netta distinzione tra religione e filosofia. Spinoza ritiene che il pensiero filosofico e religioso tradizionale sia fatto di pregiudizi; egli opera un capovolgimento dei rapporti tra ragione e fede, riconoscendo il primato alla ragione, relegando la religione alla sola sfera del sentimento. Si può dire che la filosofia della religione nasce nei tempi moderni e in coincidenza con la perdita della tradizione, nasce appunto nel 1670 con la pubblicazione del Tractatus di Spinoza.

    1.1.1. La religione come «immaginazione»

    Punto di partenza del discorso spinoziano è la teoria dei tre generi di conoscenza. Il primo genere di conoscenza è quella empirica, conoscenza legata e dipendente dai sensi e dalle immagini. Una conoscenza dunque confusa e vaga, come «confusi e vaghi» sono i sensi e le immagini. Essa è una conoscenza per "sentito dire" (io conosco la mia data di nascita perché mi è stata detta); altre volte è una conoscenza che viene "da segni", oppure da esperienze vaghe. Questa non è una vera conoscenza perché non è "chiara e distinta", essa infatti non dà i nessi, le concatenazioni delle cause. Questo tipo di conoscenza è propria della religione. Il secondo genere di conoscenza è quella di ragione, ed è propria delle scienze matematiche. La conoscenza razionale coglie le cause delle cose e il loro nesso, comprende la loro necessità. Essa è una conoscenza adeguata, appunto perché è scienza. Il terzo tipo di conoscenza è quello dato dalla scienza intuitiva. «Questo genere di conoscenza procede dall'idea adeguata dell'essenza formale di alcuni attributi di Dio, alla conoscenza adeguata dell'essenza delle cose» [1]. Essa ha lo stesso contenuto della conoscenza razionale, ma ha una maggiore perfezione formale, in quanto coglie la verità immediatamente, senza bisogno di alcuna dimostrazione. A titolo esplicativo facciamo riferimento al famoso esempio portato da Spinoza. Dati tre numeri come si fa ad ottenere un quarto numero ad essi proporzionale? Il mercante sa trovare il numero perché conosce il "trucco"; il matematico trova il numero procedendo per deduzione, alla maniera di Euclide; l'intuitivo lo coglie subito, per semplice lettura di una similitudine di rapporti. Le tre figure esprimono i tre generi di conoscenza.
    L'esempio dice ancora che i tre generi di conoscenza si riferiscono agli stessi oggetti, ed essi si differenziano per il livello di chiarezza e distinzione. La conoscenza del mev cante è ad un livello minimo, in quanto il mercante conosce solo perché un altro gli ha insegnato; il livello di conoscenza del matematico è invece notevole, poiché egli procede per deduzione logica; infine, il livello di colui che coglie intuitivamente è massimo, poiché egli non ha bisogno di alcuna mediazione. I tre generi di conoscenza dunque sono tre gradi, dove il primo è inferiore al secondo e cosf il secondo al terzo. La stessa gradazione di valore si avrà per le discipline a seconda se usano uno o l'altro genere.
    La religione appartiene al primo genere di conoscenza, alla conoscenza fatta per immagini. La conoscenza religiosa è sotto il segno della esteriorità. Si crede per sentito dire (fides ex auditu), dalla fede l'uomo riceve dei precetti, dei comandamenti, il tutto viene confermato e avvalorato dai miracoli. La religione resta sempre nell'ambito dei segni esterni. La conoscenza religiosa procura all'uomo una certa letizia, ma essa è sempre mescolata alla tristezza. La letizia, per Spinoza, si ha quando la coscienza dell'uomo percepisce che sta passando da uno stato inferiore ad uno superiore; al contrario, la tristezza si ha quando la coscienza percepisce che sta passando da uno stato superiore ad uno inferiore. Posta la inadeguatezza del tipo di conoscenza proprio della religione, è da presupporre che in essa prevarrà la tristezza, o comunque che mai la letizia sarà completa, ma sempre mescolata a tristezza. È perché è piena di tristezza che la religione predica e pratica l'umiltà, la delusione, la meditazione della morte, la superstizione. La speranza è una virtù propria della religione; ma la speranza è appunto «una letizia incostante, nata dall'idea di una cosa, futura o passata, del cui evento in qualche modo dubitiamo» [2]. La speranza è letizia mescolata a tristezza. In questo miscuglio di letizia e tristezza, in questo stato di speranza percepito come attesa e come paura, nasce la superstizione. L'uomo non riesce ad avere una visione razionale del futuro, la letizia in lui non può prevalere, per questo motivo egli si affida a forze occulte ed irrazionali. La superstizione nasce dal prevalere nell'uomo della tristezza per la paura del futuro. È questa tristezza-paura che spinge l'uomo ad accettare e praticare la superstizione: «La paura dunque è la causa che origina, mantiene e favorisce la superstizione» [3].
    Infine la religione non genera fortezza d'animo. Spinoza nella fortezza d'animo distingue due momenti: il coraggio p la generosità. I due momenti hanno in comune il fatto che nascono dal «solo dettame della ragione», e si differenziano per il fine. Mentre il coraggio tende a «conservare il proprio essere», la generosità tende a «giovare agli altri uomini e ad unirsi con loro in amicizia» [4]. Anche se la religione porta alla generosità, di fatto non crea né generosità né fortezza, poiché la generosità che nasce dalla religione è legata al sentimento e non nasce dal dettame della ragione.
    Da quanto detto sopra, sembrerebbe che tutto nella religione sia negativo. In parte è vero, la religione comunque per Spinoza ha una sua funzione storica importante: essa supplisce alla mancanza di conoscenza razionale. Anche se in forma confusa la religione ci dà sempre una certa idea di Dio: non è teoria ma è solo pratica; non è conoscenza razionale, ma conoscenza per immaginazione, resta il fatto positivo che essa ci dà comunque una certa immagine di Dio, e dunque supplisce alla deficienza della razionalità. La religione esiste e continuerà ad esistere, poiché essa risponde alla struttura psico-somatica della specie umana. La religione potrebbe scomparire solo se scomparisse l'idea di Dio: cosa assolutamente impossibile, per Spinoza. Ora l'idea di Dio si manifesta sia in forma sensibile che in forma intelligibile. La religione percepisce l'idea di Dio nella forma sensibile. Essa dunque corrisponde ad una delle strutture fondamentali della natura dell'uomo, per cui la religione finirebbe solo se venisse a cambiare questa struttura fondamentale della mente umana. La religione esisterà sempre poiché gli uomini saranno sempre affetti dai corpi che li circondano. È chiaro comunque che se è vero che l'uomo si serve della religione per tradurre in forma sensibile l'idea di Dio, resta pure fondamentale che egli debba sempre tendere a superare il primo genere di conoscenza, per raggiungere l'idea di Dio in maniera chiara e distinta, e se è possibile arrivare al terzo genere, ed intuire l'idea in Dio stesso.

    1.1.2. Il metodo naturale nella ermeneutica biblica

    La rottura con la tradizione consumatasi con l'affermare del prevalere del razionale sulla religione, diventa piú esplicita con il nuovo metodo ermeneutico proposto da Spinoza. In comune con la tradizione c'è solo l'esigenza di fondare la religione facendo riferimento ai testi sacri, ma il metodo ermeneutico proposto da Spinoza risulta radicalmente differente da quello seguito precedentemente dai Padri e da tutta la teologia medievale. L'evo moderno cosí, tramite Spinoza, consuma una duplice rottura con la tradizione: una di ordine di valore: il ritenere la ragione superiore alla fede; ed una di tipo metodologico: il proporre un nuovo metodo di ermeneutica dei testi sacri.
    A che cosa Spinoza si oppone con il suo nuovo metodo naturale di ermeneutica? Egli nell'ermeneutica tradizionale distingue tre modi concreti di accostarsi ai testi sacri. Alcuni si sono accostati ai testi operando un'ermeneutica di tipo devozionale e cosi hanno assoggettato i testi sacri a molteplici elementi di superstizione. Altri, i cosiddetti dogmatici, si sono accostati ai testi sacri seguendo il principio dell'autorità, e cosí hanno operato una violenza sui testi per giustificare l'ordinamento autoritario della Chiesa. Infine, alcuni hanno fatto un'ermeneutica di tipo speculativo. Questi hanno imposto ai testi sacri delle esigenze artificiali di un tipo di razionalità che viene dal di fuori e non corrisponde alle intime esigenze dei testi sacri. In pratica tutti e tre i metodi ermeneutici hanno operato una continua forma di violenza sui testi sacri. Da qui la proposta di Spinoza: bisogna leggere i testi servendosi di un metodo naturale, di un metodo cioè che non fa violenza, ma lascia i testi nel loro essere testo; comprendere cioè la Scrittura «per se stessa». Alla base di tutto per Spinoza c'è una convinzione di fondo: la Scrittura deriva, come la natura, da una stessa Potenza. Il rapporto che l'ermeneutica deve stabilire con i testi sacri è dello stesso tipo di quello che lo scienziato stabilisce nei confronti della natura. La Scrittura in fondo è una «cosa» tra le cose della natura. Ecco in che senso Spinoza parla di metodo naturale da applicare alle sacre Scritture; bisogna cercare nelle sacre Scritture l'equivalente delle leggi universali che sono nella natura; non imporre dunque fatti, sentimenti o altro che non siano nei testi, ma che sono solo esigenze storiche degli uomini. Sembra quasi anticipato e risolto il problema della differenza tra comprendere (verstehen) e spiegare (erkaren). Le scienze dello spirito dovrebbero comprendere, mentre quelle della natura dovrebbero spiegare. Per Spinoza non si dà differenza tra comprensione e spiegazione, poiché la Scrittura stessa fa parte della natura, essa dunque deve essere trattata dallo studioso come egli tratta la natura  [5].
    Spinoza non si limita a dare dei criteri ermeneutici, ma li applica concretamente alla Sacra Scrittura, e propone una sua lettura della Bibbia. Il punto di partenza è che il carattere universale della Bibbia è dato dall'insegnamento etico. Non bisogna quindi fermarsi ai singoli fatti, ai singoli riti, alle singole persone o alle affermazioni speculative contenute nella Bibbia, quello che è universale nella Bibbia è l'obbedienza alla fede che definisce il comportamento etico come comportamento improntato a giustizia e carità.
    I profeti sono uomini dotati di un'immaginazione molto viva, essi pertanto restano fortemente legati ai pregiudizi propri del primo genere di conoscenza. Essi comunque vanno seguiti perché indicano concretamente il contenuto etico-universale, anche se la loro conoscenza avviene solo "per sentito dire". Lo stesso dicasi dei precetti e comandamenti che non valgono per i loro contenuti specifici, ma per la obbedienza che essi richiedono in vista del raggiungimento del fine etico universale. I miracoli sono conoscenza tramite ?segni", essi sono metafisicamente impossibili. Sospendere le leggi naturali infatti significherebbe ammettere delle imperfezioni in Dio stesso, cosa assolutamente impossibile! I miracoli allora, per Spinoza, sono spiegazioni sensibili a dei fenomeni insoliti, ai quali l'uomo non riesce ancora a dare una spiegazione scientifica.
    Il Nuovo Testamento è in perfetta linea con il Vecchio Testamento, solo che il Nuovo Testamento fa riferimento all'universalità del messaggio etico, in maniera piú chiara e decisa. Non si tratta piú di una proposta etica valida per un solo popolo, il popolo ebraico, ma è una proposta universale, valida quindi per tutti gli uomini. Cristo ha raggiunto il terzo genere di conoscenza, egli infatti ha intuito in Dio. I Vangeli, purtroppo, cedono alle esigenze . delle rappresentazioni collettive del tempo, intrise di molti elementi frutto della immaginazione. Gli apostoli, per Spinoza, non sono profeti, ma dottori. Essi dunque si avvicinano al secondo genere di conoscenza. Molti apostoli, molti dottori, dunque molteplici interpretazioni speculative a seconda che si fa riferimento all'insegnamento di un apostolo o di un altro. Nasce da questo fatto la molteplicità delle interpretazioni spesso sfociate in aperte contrapposizioni, all'interno della Chiesa. La Chiesa ha vissuto e vive continue contrapposizioni culturali, proprio perché non ha compreso il nucleo essenziale della Bibbia ed ha fatto riferimento ad un aspetto esteriore: la dottrina di un apostolo o di un altro. La Chiesa in questa maniera ha perduto il nucleo universale della Bibbia: l'insegnamento morale; essa cosi si è divisa al suo interno. Essa si è posta come ricercatrice della verità; è andata oltre il suo fine e si è perduta nei meandri delle polemiche pseudo-scientifiche. Essa ha perduto la sua funzione storica. La Chiesa cattolica rappresenta, per Spinoza, solo una tra le possibili interpretazioni del cristianesimo. Essa ha trasformato il cristianesimo in pseudo cultura perché ha strumentalizzato il cristianesimo ai fini di un potere contro le esigenze di libertà e di pace degli uomini. La teoria come strumento di oppressione! Contro questa riduzione ad un esercizio di potere, bisogna riportare il cristianesimo alla sua dimensione universale: l'essenza morale.

    1.1.3. La rottura con la tradizione e la filosofia della religione

    Non entriamo in merito alla fondazione e validità dei presupposti filosofici su cui si basa Spinoza: il razionalismo di tipo cartesiano, il suo panteismo e il suo primato dell'etica. Li evidenziamo solo a modo di sottolineatura per far vedere quali sono le matrici che stanno dietro al pensiero di Spinoza. Il prevalere del razionalismo di tipo cartesiano spiega il perché del primato della filosofia. La filosofia è piú valida sia della scienza che della religione, perché essa dà immediatamente per visione in Dio le idee in forma chiara e distinta. Il panteismo spiega perché l'ermeneutica biblica debba considerare il testo sacro allo stesso modo che la scienza considera la natura. Iddio è nelle leggi universali della natura e nella parola universale della Sacra Scrittura. Natura e Sacra Scrittura sono modi concreti dell'esistenza di Dio. Il primato dell'etica spiega il perché nella Bibbia il nucleo universale ed essenziale è dato dal contenuto etico, mentre tutto il resto è caduco e di scarso valore. Si ha questo primato etico, perché l'etica determina i modi concreti tramite cui l'uomo può raggiungere Dio come suo fine. Evidenziate queste tre matrici teoretiche che stanno dietro al pensiero spinoziano, vogliamo fare delle notazioni specifiche su alcuni punti della sua filosofia della religione.
    Anzitutto la filosofia della religione nasce nell'evo moLa filosofia della religione in Spinoza 27
    derno, nasce cioè allorché si rompe e si capovolge la concezione del primato della fede sulla ragione; essa dunque assume carattere polemico nei confronti della concezione dell'uomo medievale: essa si pone come ulteriore rivendicazione della centralità dell'uomo e del suo primato sia sulle strutture politiche che ecclesiastiche.
    All'interno di questa contrapposizione all'evo medio si situa poi e si specifica la contrapposizione alla tradizione. La filosofia della religione nasce in Spinoza come perdita della tradizione. Facciamo riferimento alla rottura indicata da Spinoza con il suo nuovo metodo di ermeneutica biblica. Molti sono i risvolti polemici contenuti in questa nuova proposta di tipo ermeneutico. Ne accenniamo alcuni.
    Anzitutto l'ermeneutica spinoziana si pone consapevolmente contro i criteri ermeneutici seguiti dalla tradizione. Spinoza individua i tre modi di fare ermeneutica della tradizione e li esclude categoricamente, in nome del primato dell'etica. Il non condividere l'ermeneutica di tipo immaginativo, né quella teologica, né quella filosofica, significa in pratica dichiarare insufficiente ed errata tutta l'ermeneutica che era stata sviluppata dalla tradizione. Qui la contrapposizione è espressamente dichiarata ed è radicale, perché non investe un punto o un altro dell'ermeneutica tradizionale, ma ne investe il suo fondamento, la sua ragione di esistere. In questo modo la filosofia della religione non solo recepisce ed accetta la contrapposizione espressa dall'evo moderno contro l'evo medio, ma, al suo interno, radicalizza la contrapposizione alla religione ufficiale, intaccandola in uno dei suoi punti di riferimento essenziale: la sua ermeneutica biblica.
    Un ulteriore momento polemico importante è dato dal modo con cui Spinoza interpreta il primato dell'etica nell'ermeneutica. In fondo Spinoza riconosce che spesso anche la tradizione ha considerato l'ermeneutica in funzione dell'etica ma non ne ha fatto la funzione preminente e soprattutto non ha considerato l'etica a servizio della libertà dell'uomo, ma solo in funzione e a servizio della struttura ecclesiastica. Questo giudizio negativo sulla Chiesa che strumentalizzerebbe i contenuti della Bibbia per scopi di potere si ha anche nella differenza che Spinoza pone tra religioni positive e leggi divine. Le strutture delle religioni positive sono vissute in funzione della «integrità sociale» [6]; esse servono solo per assoggettare il volgo alle autorità. Credenze, precetti, riti, tutto è prospettato in funzione dell'esercizio di questa autorità sul popolo. In fondo non esiste un "sacro" sostanziale, ma il sacro è solo funzionale. È chiamato sacro e divino quell'oggetto che è destinato all'esercizio della pietà e della religione; esso continuerà ad essere sacro per tutto il tempo in cui gli uomini ne faranno uso conforme alla religione, mentre cesserà anch'esso di essere sacro quando gli uomini cesseranno di essere pii [7]. È chiaro per Spinoza che nella determinazione di ciò che è sacro o no l'elemento prevalente risulta essere l'esercizio del potere da parte delle religioni positive. Esse determinano il sacro per inculcare obblighi e dominazione sul volgo. Di contro, nella mente e nel cuore dell'uomo c'è scolpita la legge divina che è per la libertà dell'uomo. La mancanza della radicalità etica nell'ermeneutica biblica tradizionale è dovuta a questa esigenza di esercitare un tipo di potere sul volgo da parte della Chiesa. Sembra quasi che Spinoza anticipi alcune concezioni del primato dell'ideologia religiosa in funzione di un esercizio di potere da parte della Chiesa. È certo che questo tipo di lettura data da Spinoza all'ermeneutica tradizionale ha esercitato un notevole fascino sul pensiero posteriore. Non diciamo che la concezione della religione come sovrastruttura ideologica di Marx dipenda da Spinoza, vogliamo però affermare che l'ermeneutica di Spinoza, là dove prospetta una strumentalizzazione della Bibbia e del sacro da parte della Chiesa per esercitare un potere, un dominio sugli uomini, ha stimolato molteplici suggestioni nel pensiero posteriore.
    Va fatta un'ulteriore nota in riferimento ai tre generi di conoscenza, che non sono solo generi ma gradi di conoscenza. Spinoza non afferma soltanto il primato della intuizione e quindi della filosofia su tutto il resto, ma specificatamente individua la componente immaginativa come elemento caratteristico del primo grado di conoscenza. ,La religione fa parte di questo primo grado, dunque l'immaginazione, la sensibilità è la sfera della sua appartenenza. Essa è al grado infimo di conoscenza. La filosofia posteriore giocherà molto sui processi evolutivi di tipo triadico, ove la religione verrà posta sempre come grado inferiore di conoscenza. Ancora una volta, pur non volendo affermare la diretta dipendenza della filosofia posteriore da Spinoza, vogliamo però far notare come molti elementi della sua filosofia ritorneranno in seguito, per comprendere la vera portata e importanza storica del pensiero di Spinoza all'interno del pensiero filosofico sulla religione. Anche l'aspetto funzionale-sostitutivo della religione verrà ripreso. Diciamo del fatto che seppure la religione è parte del primo grado di conoscenza essa è necessaria, deve continuare ad esistere perché di fatto sostituisce e supplisce la mancanza della vera conoscenza. Anche se le conoscenze che dà la religione non sono chiare e distinte pure essa esercita una funzione di supplenza, quando non si possono avere gli altri tipi di conoscenza piú perfetta.
    L'insieme delle molteplici rotture con la tradizione possono alquanto spiegare la naturale diffidenza da parte degli uomini di chiesa nei confronti della filosofia della religione. Questa diffidenza durerà per mólti secoli; ancora oggi non possiamo dire che sia stata definitivamente superata. Ancora qua e là si notano zone di perplessità, forme di sospetto nei confronti della filosofia della religione. La paura non fa mai scienza, comunque è giusto dire dell'ambiente storico-culturale in cui è nata la filosofia della religione e della dichiarata sua polemicità nei confronti di tutta la tradizione.

    1.2. La religione nei limiti della sola ragione: Kant **

    È la seconda figura di questa prima forma di filosofia della religione. Il campo della filosofia secondo Kant si può compendiare nelle seguenti domande:

    «1. Che, cosa posso conoscere?
    2. Che cosa debbo fare?
    3. Che cosa mi è consentito sperare?» [8]
    La metafisica risponde alla prima domanda, la morale alla seconda, la religione alla terza. Il tutto comunque è sempre visto all'interno della metafisica. La religione poi viene inserita come momento dell'etica razionale.

    1.2.1. Dalla rivoluzione copernicana all'imperativo categorico

    Alcune nozioni previe, essenziali, per poter comprendere il senso della filosofia della religione di Kant. Anzitutto la concezione della rivoluzione copernicana in fila sofia. Secondo Kant, la matematica nacque come scienza allorché l'uomo comprese che essa era una creazione della mente umana e che quindi non dipendeva da altro fuorché dalla stessa mente umana. La stessa cosa è stata per la fisica. Ma mentre la matematica già con la scoperta del triangolo isoscele ha compreso il ruolo della mente umana, la fisica ha atteso fino alle scoperte di Galilei. La metafisica invece è ancora rimasta allo stato pre-scientifico. Kant propone di rivoluzionare il sistema, applicando i criteri della matematica e della fisica alla filosofia. Come Copernico rivoluzionò il sistema tolemaico ritenendo non piú la Terra ma il Sole al centro del cosmo, cosí Kant rivoluziona il sistema della filosofia e suppone che sia l'oggetto che ruoti attorno al soggetto, e non viceversa. Kant ritiene in pratica che con l'atto conoscitivo non si scoprono le leggi dell'oggetto, ma solo che esso viene adattato alla struttura conoscitiva del soggetto. Dire che un oggetto viene conosciuto significa solamente dire che esso è stato inserito entro le leggi della sensibilità e dell'intelletto del soggetto stesso che sente e che pensa. Esistono leggi a-priori della sensibilità, leggi a-priori dell'intelletto: conoscere significa rapportare un oggetto all'interno di queste leggi del soggetto conoscente. Ecco allora la prima conclusione fondamentale: la metafisica non è possibile, cioè non è possibile conoscere la natura degli oggetti in sé (noumeno), si può conoscere solo come gli oggetti appaiono al soggetto (fenomeno). È la conclusione della Critica della ragion pura. La rivoluzione operata da Kant porterebbe allo scetticismo. È allora che Kant apre ad altre vie e ciò che era risultato impossibile seguendo la via teoretica, diventerà possibile seguendo la via dell'etica. «Ho dovuto eliminare il sapere, per far posto alla fede» [9]. La vita morale in Kant, allora, si pone come recupero della metafisica, nel senso che ciò che la ragione teoretica non può dimostrare, la ragione pratica lo "postula".
    Che cosa sono e come nascono i postulati?
    Anzitutto i postulati sono elementi del mondo della cosa in sé, sono cioè noumeni e non fenomeni. Essi perciò non sono conoscibili. Da qui la famosa critica di Kant ai tre tipi di prove dell'esistenza di Dio (prova ontologica, prova cosmologica, prova fisico-teleologica). Molto scetticismo, secondo Kant, nasce proprio dalla debolezza probatoria delle prove classiche dell'esistenza di Dio. Vengano presentati come argomenti validi di dimostrazione, poi ci si rende conto che non dimostrano alcunché, negli uomini nasce e si sviluppa cosí un diffuso scetticismo nei confronti di Dio. Il punto di riferimento dei postulati allora non è la ragione teoretica, ma è quella pratica. La rivoluzione copernicana applicata all'etica dà come risultato l'assoluta autonomia dell'etica. Kant è convinto che nell'uomo ci sia la presenza di una legge morale con valore universale e necessaria. In pratica la legge morale, come la conoscenza, si fonda sul soggetto, essa cioè è a-priori. A differenza però della conoscenza teoretica, essa ha un valore assolutamente a-priori. La conoscenza teoretica infatti si rapporta, entra in relazione, con gli oggetti esterni, e per fare ciò deve servirsi della sensibilità. La ragione pratica, dovendo determinare i motivi razionali che guidano la vita morale, non avrà alcun bisogno di uscire da sé. In pratica nel processo di conoscenza il circolo conoscitivo è dato dal soggetto conoscente che entra in relazione, tramite la sensibilità, con l'oggetto che deve essere conosciuto: l'oggetto viene inserito nell'a-priori del soggetto. Si parte dal soggetto, si va all'oggetto e si ritorna al soggetto. Nel processo etico è diverso: l'oggetto da determinare infatti non è fuori del soggetto, ma è ad esso interno (si tratta appunto dei motivi razionali del valore). Qui non c'è circolo, ma tutto si risolve all'interno del soggetto. Ecco perché e in che senso l'etica è autonoma.
    Kant fonda la moralità degli atti all'interno del fatto etico, all'interno dell'imperativo categorico. Il discorso è che Kant pensa la morale come assolutamente a-priori, ma egli sa pure che l'uomo, nel suo comportamento pratico, è spinto dalla sensibilità, e quindi può ricercare l'utile e il piacevole. Ecco perché l'autonomia dell'etica esige l'imperativo categorico, quel tipo di imperativo cioè che comanda qualcosa in se stesso, assolutamente, senza condizionamenti. L'eticità di un'azione si fonda all'interno della sua razionalità, non può essere vista in funzione di altro. Un'azione è etica quando essa è assolutamente razionale, ed è tale quando si rapporta all'a-priori assoluto e non è condizionata dalla sensibilità, ma è diretta soltanto dalla ragione.
    È a questo punto che ritorna il problema dei postulati. L'etica è autonoma, essa è autosufficiente poiché sifonda all'interno della pura razionalità dell'a-priori. Vediamo piú da vicino cosa implica questa razionalità, cosa essa testimonia, cosa suppone: tutto questo costituisce il contenuto dei postulati. Non dimostrazioni, non certezze dogmatiche, ma realtà supposte dall'interno stesso della razionalità etica.
    Anzitutto il postulato della Libertà. Dire che un'azione è etica significa dire che essa è razionale. Questo dice che, all'interno della razionalità, l'uomo soggetto etico è capace di autodeterminarsi, cioè di determinare le proprie azioni in diretta obbedienza alla razionalità e non dipendente dalla sensibilità. Dire allora che c'è un'azione etica significa dire che l'uomo è libero, cioè che, all'interno della razionalità, si presuppone la libertà di scelta da parte dell'uomo. L'uomo scopre che è libero, che cioè non dipende dai sensi, egli quindi scopre che partecipa di un mondo diverso da quello fenomenico, un mondo intelligibile. La ragione teoretica non poteva conoscere l'esistenza di questo mondo intelligibile, ma la sua presenza ora viene testimoniata dalla ragione pratica. Kant chiama questo mondo intelligibile il «regno dei fini», per distinguerlo e contrapporlo al regno della natura.
    L'immortalità dell'anima è postulata nel modo seguente. L'imperativo morale ci ordina l'adeguamento della volontà alla legge morale: cioè la santità. Ora l'uomo non può raggiungere, in questa esistenza, la santità; sempre in lui saranno presenti gli impulsi sensibili. Allora, affinché l'imperativo della legge morale non sia assolutamente inefficace, è necessario postulare che l'uomo si possa avvicinare sempre piú alla santità, in un processo all'infinito. Ciò presuppone che anche l'esistenza dell'uomo continui all'infinito. L'uomo cosí ha un'anima immortale, perché se ciò non fosse, la santità, oggetto del comando dell'imperativo, non sarebbe mai raggiungibile, dunque l'imperativo morale non sarebbe in nessun caso efficace.
    L'esistenza di Dio è postulata come condizione per il raggiungimento del sommo bene. Kant distingue tra bene supremo e sommo bene. Il bene supremo è costituito dalla virtú, il sommo bene è costituito dalla virtú che genera felicità. Il postulato etico indica una ricerca della virtú perché l'uomo è degno di felicità. Tale ricerca non viene appagata in questo mondo, che è governato dalle leggi necessarie della meccanica, la conseguenza è che in questo mondo né la virtú genera felicità, né viceversa la felicità genera virtú. Affinché allora il principio etico sia valido, bisogna postulare l'esistenza di Dio che adegui, nel mondo intelligibile, la felicità ai meriti e al grado di virtú. In pratica Dio è postulato dalla legge morale come condizione di possibilità per il raggiungimento di quanto essa comanda: il sommo bene quale unione di virtú e felicità.

    1.2.2. Che cosa mi è consentito sperare

    E siamo alla terza questione a cui dà una risposta la religione. Libertà, mondo dei fini, esistenza di Dio: con questi postulati l'etica in Kant acquista valenza religiosa. Il che cosa sperare diventa un momento interno del che cosa devo fare. Tra religione e morale non v'è una differenza sostanziale. «La religione non è altro allora che la considerazione dei doveri morali come comandamenti divini» [10]. La religione non ha un suo oggetto specifico; essa ha lo stesso oggetto che la morale. Sotto questo aspetto la religione è posta dalla morale. Essa si differisce dalla morale solo per la forma, essa agisce sull'uomo perché ciò che egli deve fare lo faccia non solo perché è imperativo etico, ma anche perché è volontà divina [11]. La volontà divina non dà nuova realtà all'imperativo etico, essa è solo un mezzo in piú che stimola l'uomo ad agire secondo l'imperativo etico. La religione dunque si pone e resta all'interno della pura ragione etica. La religione supplisce là dove gli uomini non riescono ad agire seguendo i criteri razionali del principio etico. Essa dunque è un supporto, un sostituto della razionalità etica, là dove, in pratica, tale razionalità non emerge. È evidente che il riferimento è al volgo! Nel volgo non sempre è data razionalità nell'azione. La religione ha una funzione suppletiva e resta sempre all'interno della razionalità fondamentale del principio etico. Sembra quasi che si tratti di una razionalità per esseri inferiori.
    La forza imperativa della religione sta nel fatto che essa oltre che presentare tutti i doveri come comandamenti divini, aggiunge «la speranza di partecipare un giorno alla felicità nella misura in cui avremo procurato di non essereindegni». Kant ancora precisa: «Se la proposizione: c'è un Dio, e quindi c'è un sommo bene nel mondo, deve derivare (come articolo di fede) semplicemente dalla morale, allora essa è una proposizione sintetica a-priori, la quale, benché ammessa soltanto dal punto di vista pratico, oltrepassa però il concetto del dovere» [12]. In pratica la religione risponde al che cosa è consentito sperare proprio perché è "oltrepassare" il concetto del dovere; e lo oltrepassa non nel senso che è oltre, è al-di-là, ma nel senso che essa lega immediatamente l'esercizio del dovere, l'imperativo categorico, a Dio, e al fatto che Dio sanzionerà con la felicità l'impegno dell'uomo nella virtú. La religione fonda il suo essere speranza allora, sempre all'interno della razionalità etica, seppure essa a volte supplisce o comunque stimola tale razionalità nell'esercizio dell'attività concreta degli uomini.
    L'esistenza della religione dice della esistenza di uno scarto tra imperativo categorico e vita pratica degli uomini. La religione supplisce a questo scarto, avendo sempre chiaro che l'obiettivo ottimale sarebbe la eliminazione della religione, il crearsi di una situazione in cui gli uomini non abbiano piú bisogno per agire moralmente, che dello stimolo della pura razionalità del principio etico. La religione, come in Spinoza, ha i caratteri di necessità storica legati alla deficienza dell'esercizio pratico della razionalità dell'uomo. Essa ci sarà sempre perché sempre esisteranno gli uomini che, nelle loro azioni, non saranno motivati dal solo principio razionale etico. La religione supplisce a questa mancanza, ma deve essere considerata come elemento strutturalmente transitorio e non naturalmente essenziale alla eticità dell'azione dell'uomo. La religione è per il popolo che non riesce a vivere secondo la razionalità etica. Il pericolo maggiore per essa è quello di cadere nella «follia». Per la religione il vero problema è quello di riuscire a mantenere sempre intatto il suo nucleo centrale: cioè la vita secondo ragione e secondo dovere. Dogmi e riti sono espressioni esteriori di questo nucleo essenziale. La follia religiosa si ha allora quando i dogmi e i riti religiosi diventano assoluti, cioè quando la religione perde il suo nucleo essenziale ed assolutizza le sue forme esteriori: i dogmi, appunto, e i riti. La religione non può fare a meno dei dogmi e dei riti, perché essi le sono strutturalmente collegati, Kant precisa però che dogmi e riti non danno alcun nuovo contenuto, essi hanno solo un carattere allegorico [13]. I dogmi e i riti debbono essere spogliati dei loro significati mitici ed essere interpretati come semplici allegorie morali. Che se prevalesse la loro dimensione mitica sui contenuti morali, avremmo appunto la «follia». Il primato dell'etica che in Spinoza portava ad un nuovo criterio di ermeneutica biblica, in Kant porta alla determinazione della religione in funzione della pura razionalità. Le posizioni, pur nella profonda differenza dei sistemi teoretici in cui sono inserite, di fatto risultano molto simili.

    1.2.3. Esemplificazioni bibliche

    Prendiamo in esame tre esemplificazioni di lettura della Bibbia fatte in chiave di allegoria etica: il peccato, la persona di Cristo, la Chiesa invisibile.
    Anzitutto il peccato. La Genesi parla, in forma allegorica, del racconto del peccato originale: il comando divino di non mangiare dei frutti dell'albero del bene e del male, il serpente tentatore, l'uomo e la donna che cedono alla tentazione proposta dal serpente. Tutto questo racconto, secondo Kant, esprime in forma allegorica qual è il "male radicale" nell'uomo. Si può dire, secondo Kant, che l'uomo è per natura buono o malvagio. Che l'uomo sia per natura malvagio, va inteso «nel senso che l'uomo, cosí come lo si conosce per esperienza, non può essere giudicato diversamente, o nel senso che si può presupporre la tendenza al male, in ogni uomo, anche nel migliore, come soggettivamente necessaria» [14]. Il racconto del peccato originale esprimerebbe in forma mitica questa esistenza del male radicale nell'uomo. L'uomo prende coscienza per via razionale di questa esistenza del male radicale nell'uomo, la religione esprime lo stesso concetto razionale, proprio della sfera della razionalità etica, servendosi di espressioni allegoriche. Quello che è essenziale è il contenuto razionale e non la forma espressiva. L'uomo religioso non deve ipostatizzare la forma, ma deve cogliere i contenuti razionali nascosti dietro la forma allegorica. Come contrappeso al male radicale, espresso nel linguaggio biblico con l'allegoria del peccatooriginale, si ha il dogma complementare della "grazia". Con il dogma della grazia la religione esprime un concetto razionale di fondo: il fatto cioè che il nostro volere si oppone al male ed adempie il proprio dovere semplicemente perché è dovere. Il dogma esprime questa razionalità servendosi del concetto di dono. Iddio dà il dono, la grazia appunto, di seguire il bene morale. L'aspetto mitico è dato dalla rappresentazione della grazia come dono di Dio, ma questa allegoria esprime in realtà la razionalità del fatto etico. Ora se la religione accentua nell'allegoria l'aspetto mitico e trascura il contenuto razionale, essa cade nella follia.
    La persona di Cristo. Cristo, Figlio di Dio, che nasce da Maria Vergine: questo è il nucleo essenziale nella religione in rapporto a Cristo. Anche questo esprime in allegoria un fatto razionale etico: Cristo altro non è che l'ideale, il modello, il tipo dell'uomo morale. È la legge morale prospettata come realizzazione concreta; Cristo è il modello in cui è completamente assente il male radicale. Ecco il vero significato nascosto dietro l'allegoria biblica che dice essere Cristo disceso dal cielo e nato per parto verginale. Questo racconto dell'origine straordinaria di Cristo è espressione appunto del fatto che Cristo è presentato come colui nel quale è del tutto assente il male radicale. Ancora una volta ciò che l'uomo raggiunge per via di razionalità etica, la religione lo esprime tramite allegorie [15]. La cosa principale è di riuscire ad andare oltre l'allegoria. In questo contesto kantiano è chiaro che il messaggio di Cristo è di natura etica. La Chiesa avrebbe trasformato il significato della persona e del ruolo di Cristo riducendo il suo messaggio etico a dottrina dogmatica. L'influenza di Spinoza è veramente notevole!
    La Chiesa invisibile. La religione, originata nell'ambito della dialettica morale, trova la sua fondamentale razionalità nel fatto che la legge ispira riverenza e non paura o timore. Il mondo dei fini viene all'uomo nel suo vivere sociale. La comunità pertanto garantisce, secondo Kant, la possibilità di raggiungere questo mondo dei fini. Il riunirsi in una chiesa costituisce possibilità pratica di superare le conseguenze negative del male radicale. La Chiesa è concepita da Kant, come una "repubblica morale". La Chiesa, "repubblica morale" è il modo, per l'uomo, di recuperare la capacità collettiva di amore, capacità perduta a seguito del male radicale. La Chiesa "repubblica morale", è Chiesa invisibile ove tutti gli uomini sono uniti da vincoli puramente spirituali per un reciproco interesse alla vita etica.
    t evidente che in una siffatta concezione della Chiesa, il miracolo è solo superstizione. La vera fede rifiuta il miracolo, come rifiuta i riti. Ogni culto è superstizione, almeno che non sia un "culto dei cuori". Il culto dei cuori, in pratica, consiste nel fatto di compiere i vari doveri morali come comandi divini [16]. Lo stesso dicasi della preghiera che altro non è se non l'espressione del desiderio di essere graditi a Dio mediante l'osservanza dei precetti morali, e non richiesta a Dio per ottenere qualcosa: la preghiera-richiesta, per Kant, è superstizione. Il sacerdozio poi è funzionale: serve cioè soltanto a fare evidenziare il bene morale. I sacerdoti non sono i depositari delle verità, se si presentano in questo modo è solo per esercitare un potere sugli uomini. In pratica, la Chiesa come espressione di religione positiva deve solo educare l'uomo a vivere moralmente, facendogli apparire la legge morale anzitutto come un comando di Dio [17]. Essa ha le Sacre Scritture, che sono manifestazioni sensibili allegoriche, e, per mezzo di questo linguaggio allegorico, esprime l'istanza fondamentale di base: la razionalità etica. Tutto ciò che va oltre tale compito, per Kant, è follia, perché significa cedere alla componente mitica, che porta superstizione, idolatria: dipendenza dell'uomo dai momenti istituzionali e non razionali. Anche la lettura dogmatico-teologica crea follia, poiché, tramite essa, si vuole assoggettare la Bibbia alle istanze di dominazione, proprie della casta sacerdotale.

    1.2.4. La religione tra etica e speranza

    È evidente la linea illuministico-liberale entro cui si muove il pensiero di Kant sulla religione, anche se va notato che Kant, nei confronti dell'impostazione illuministico-liberale porta almeno due novità di rilievo. Anzitutto la concezione secondo cui la religione non si fonda sulla ragione teoretica, ma su quella pratica; inoltre, un certo pessimismo nei confronti della natura umana, perché essa è toccata dal male radicale. L'ambito entro cui si muove, comunque, resta quello illuministico-liberale. La religione è assorbita nella edalla filosofia. A volte si ha la sensazione che la religione sia un surrogato per uomini inferiori, per uomini che non riescono a motivare se stessi con la sola razionalità del principio etico. Anche se la religione oltrepassa l'etica, lo fa sempre nel senso della vita etica, essa cioè non ha una sua specificità. Pur in questo innegabile limite di fondo, la religione in Kant presenta alcuni elementi di particolare interesse.
    1. Anzitutto il rapporto tra religione ed agire umano: la religione è un'attività propria dell'agire umano; non è pura speculazione, ma è vita. E appunto perché vita, perché fatto pratico, essa è storia. Il recupero della categoria "storia", nella filosofia della religione, sarà un fatto molto importante. Certo non pensiamo, come Kant, che questo fatto sia da legare puramente alla incapacità dell'uomo di accontentarsi della razionalità del fatto morale, noi pensiamo ad una fondazione autonoma della religione, comunque vogliamo sottolineare questa accentuazione data da Kant alla categoria "storia", parlando di religione.
    2. La religione come speranza. Kant pone la religione come "oltrepassare", come speranza. In effetti la tematica della speranza di Kant, investe il significato e il ruolo ultimo della ragione teoretica. Sperare non è porsi contro il sapere, ma è lasciare il sapere per sostituirvi la fede. Citavamo: «Ho dovuto eliminare il sapere, per far posto alla fede» [18]. In pratica il limite si pone all'interno della ragione teoretica, del sapere; non si tratta dunque di porre la fede contro il sapere o viceversa, ma si tratta di assegnare alla fede il campo suo proprio che è quello lasciato libero dalla ragione teoretica. La speranza dunque non si pone all'interno di una contrapposizione teorica, di un insieme di contenuti dogmatici; essa si pone all'interno dell'agire, si fonda all'interno della ragion pratica. Sperare fa riferimento a qualcosa o a qualcuno, non a qualche idea. E la religione come speranza si pone appunto, all'interno dell'agire umano, come apertura a qualcuno che è in grado di garantire qualcosa. La speranza della religione si pone, nella vita pratica dell'uomo, come certezza che Dio garantisce il raggiungimento del mondo dei fini. Qui l'intuizione di Kant è vasta: certo che la speranza, intesa come fatto dell'agire umano, costituisce uno degli elementi fondamentali della religione.
    Questa speranza poi è nonostante il "male radicale" che è nell'uomo. La religione offre all'uomo la grazia, e per mezzo di essa l'uomo può tentare di superare gli influssi della presenza in lui del male. Ancora una volta, il piano della speranza è quello dell'agire pratico, non quello della pura teoria.
    La riduzione della religione entro i confini e gli stretti termini dell'etica non permettono a Kant di cogliere, all'interno del fatto speranza, il ruolo della "invocazione". La preghiera, per Kant, non è invocazione, essa è soltanto desiderio di essere graditi a Dio. Pur individuando l'importanza della preghiera come elemento essenziale del fatto religioso, Kant perde la dimensione della preghiera come invocazione, come il puro gratuito.
    Una notazione ulteriore di notevole interesse, sempre all'interno dei confini della speranza, è la concezione della Chiesa. A parte la limitazione della Chiesa intesa solamente come "repubblica morale", la cosa interessante è che Kant concepisce la Chiesa come un fatto del vivere sociale che possa garantire, in quanto società, il raggiungimento del mondo dei fini. La Chiesa è mezzo sociale perché l'uomo possa superare la sua impotenza collettiva di amore, causata dal peccato. L'ambito dunque è sempre quello della speranza, e la visione ottimale della Chiesa è in funzione di un aiuto all'uomo affinché egli possa superare le conseguenze negative del peccato, e raggiungere cosí il mondo dei fini.
    3. Vogliamo sottolineare un ultimo elemento: l'attenzione e la contrapposizione che Kant mostra nei confronti della religione-superstizione. Anche in questo caso il tutto si gioca entro i termini ristretti della sua concezione etica posta a base della religione, comunque resta vero che se la religione si poggia sul solo sentimento, sui "simboli" o "allegorie" direbbe Kant, essa finisce nel fanatismo; mentre se essa si poggia solo sul ragionamento, sulla ragion teoretica direbbe Kant, essa finisce nel sofisma. Anche per evitare i due estremi, quello della superstizione e l'altro del sofisma, la religione, secondo Kant, deve fondarsi nella morale.

    1.3 Il superamento della religione in Hegel ***

    Considereremo la globalità del pensiero hegeliano poiché in Hegel la religione costituisce parte essenziale del suo pensiero. Egli ritiene infatti che l'oggetto della filosofia e della religione è unico: «La filosofia ha i suoi oggetti in comune con la religione, poiché oggetto di entrambe è la verità, e nel senso altissimo della parola — in quanto cioè Dio, e Dio solo, è la verità» [19].

    1.3.1. Gli scritti teologici giovanili

    Recentemente agli scritti teologici giovanili di Hegel si è riservato un notevole interesse. Essi risultano importanti per comprendere la genesi del pensiero hegeliano e per capire l'influsso che la religione ha avuto in questa genesi. Noi faremo particolare riferimento solo a due di questi scritti giovanili, certamente i piú significativi. Il primo è Lo spirito del cristianesimo e il suo destino (1798), testo che fa parte degli scritti del periodo di Berna e Francoforte. Il secondo è Fede e sapere (1801), articolo comparso nel «Giornale critico della filosofia», scritto dunque che fa parte del periodo di Jena.
    Anzitutto Lo spirito del cristianesimo e il suo destino. Hegel afferma che esiste una scissione all'interno della coscienza del mondo umano. Questa scissione è emblematicamente vissuta dagli Ebrei. I Greci avevano realizzato un'armonia tra individuo e società, fra l'umano e il divino, essi così vivevano una vita felice poiché non conoscevano la scissione tra l'umano e il divino, fra individuale e universale. Gli Ebrei, invece, vivevano queste scissioni, soprattutto quella tra l'umano e il divino. Essi conducono una vita triste e segnata dal sentimento di schiavitú. L'ebreo sente il suo Dio come una realtà totalmente a lui contrapposta, egli si sente solo oggetto, schiavo di questo Dio. Nell'ebreo l'uomo emblematicamente vive la scissione con la sua essenza universale. Questa scissione avutasi nella coscienza dell'uomo, viene superata tramite la "conciliazione" operata da Cristo. Cristo concilia l'uomo con Dio, il particolare con l'universale. Il cristianesimo ricostruisce la felicità originaria, l'armonia tra particolare ed universale, ma questa ricostruzione non è un semplice tornare indietro, essa è il frutto di un travaglio: essa è frutto dell'amore. La conciliazione operata dall'amore è un movimento della vita, è un volersi riconciliare con la vita. L'uomo con il peccato aveva distrutto l'armonia originaria, e viveva cosi al suo interno una rottura; tramite l'amore egli ha la forza di realizzare questa unità della vita rotta dal peccato. L'amore dunque non è un puro e semplice ritorno all'origine, ma opera una vera conciliazione di opposti. Si profila già uno degli elementi che sarà punto fondamentale della dialettica hegeliana: la scissione della realtà in "opposti" e la conciliazione nella "sintesi".
    Fede e sapere segna un ulteriore passaggio del processo filosofico del giovane Hegel. Il saggio è una riflessione sulla filosofia moderna, a partire da Cartesio fino all'illuminismo. Hegel vede nella filosofia moderna un dualismo tra intelletto e fede. Da una parte l'intelletto si interessa solo della realtà empirica e confina l'assoluto fuori del pensiero; dall'altra parte la fede si appella all'assoluto, ma si rifugia solo nel sentimento. È qui per Hegel la causa della crisi moderna: la scissione tra fede e sapere: la fede che si rifugia in un dominio estraneo al sapere scientifico, il sapere che non considera Dio come suo oggetto. Secondo Hegel per superare questa scissione bisognerà conciliare fede e sapere, finito e infinito, ottenendo una unità che sarà il risultato di un travaglio storico i cui diversi momenti sono tutti necessari.
    Gli scritti giovanili hanno già individuato un punto fermo: filosofia e religione hanno lo stesso oggetto: Dio come sintesi dialettica tra finito e infinito. È nella vita che l'uomo, essere finito, si può unire a Dio, essere infinito. La religione realizza questo processo. Per il giovane Hegel cosi la filosofia si arresta al di sotto della religione. Solo la religione può soddisfare alla necessità di superare l'opposizione tra finito e infinito. È ciò che fa il cristianesimo tramite l'esercizio dell'amore. La riflessione posteriore lo porterà ad invertire i ruoli: solo la filosofia potrà realizzare questa conciliazione.

    1.3.2. Il superamento della religione

    Hegel maturo concilia finito e infinito tramite l'autocoscienza che lo spirito ha di sé. Questo significa che nella filosofia lo Spirito assoluto si sa immediatamente attraverso tutti i suoi momenti. Il primato che il giovane Hegel aveva affidato alla religione ora è della filosofia. C'è certo una profonda logica in questa nuova pizione hegeliana. Posto infatti che l'Assoluto, per Hegel, è fpirito, ragione, Pensiero di Pensiero, è logico che esso può essere appreso nella maniera piú adeguata solo dal pensiero stesso. Allora che cosa diventa la religione per Hegel? Anzitutto è un cogliere l'Assoluto. Ancora dunque tra religione e filosofia si ha lo stesso oggetto: l'Assoluto. La differenza sta nella forma. La religione coglie l'Assoluto per mezzo della raffigurazione (Vorstellung), mentre la filosofia coglie l'Assoluto per mezzo del concetto. La religione cosí è "pensiero figurativo", Vorstellung. È pensiero che ha bisogno di immagini, di raffigurazioni, di rappresentazioni, di miti, di simboli, di riti. Nei confronti dell'arte la religione presenta un elemento nuovo: è pensiero, ma è ancora pensiero immaginativo, figurativo. Il momento finale del processo è dato dalla filosofia che è pensiero-puro. Hegel pone cosí la religione all'interno della ragione, ma si tratta di una ragione ancora presa, coinvolta e trascinata dalla immaginazione. La religione si esprime attraverso raffigurazioni: da qui nasce il fatto che miti, simboli e riti sono espressioni proprie del linguaggio religioso. I concetti, che pure ci sono, vengono espressi tramite immagini e raffigurazioni. Questa è la caratteristica della religione: che in comune con l'arte, ha la rappresentazione, ed in comune con la filosofia, ha il fatto che è. anche pensiero. Non è solo rappresentazione, ma nemmeno è puro pensiero.
    Data la sua natura, quella di conoscere per raffigurazione, la religione è piú diffusa della filosofia. La religione cosí diventa il pensiero del volgo, il pensiero di chi non può arrivare al pensiero-puro. «La religione, scrive Hegel, è per tutti gli uomini; non è come la filosofia, che non è per tutti gli uomini. La religione è il modo mediante il quale tutti gli uomini divengono coscienti della verità e vi si giunge soprattutto col sentimento, la rappresentazione e il pensiero intellettuale» [20].
    Il tutto dice chiaramente che la religione deve essere oltrepassata dalla filosofia. Non si può eliminare la religione tra gli uomini, perché esisteranno sempre uomini che non potranno arrivare al pensiero-puro, ma la filosofia come pensiero-puro resta l'ultima tappa definitiva del processo sintetico dello Spirito. Dunque il ruolo della religione è perdurante, cioè mentre dura la situazione di impossibilità per tutti gli uomini di conoscere tramite il concetto puro. Tale situazione sarà sempre presente tra gli uomini. La religione cosí non potrà essere eliminata; essa però deve essere superata. Resta la concezione fondamentale della dia-lettica: il superare è negare e nello stesso tempo conser-
    vare [21].

    1.3.3. Il cristianesimo, ossia la religione come filosofia

    La filosofia della religione, per Hegel, prende coscienza del bisogno di questo superamento da parte della filosofia sulla religione, essa dunque non si pone il problema della dimostrazione dell'esistenza di Dio, ma quello di conoscere la coscienza religiosa e i suoi modi di cogliere Dio. Ma la coscienza religiosa non è solo religione in astratto, essa si concretizza tramite le forme storiche della religione. Anche la storia delle religioni viene divisa da Hegel secondo il suo schema triadico.
    La prima fase della religione è chiamata da Hegel religione della natura. In essa Dio è identificato con la natura. La coscienza concepisce Dio come universale indifferenziato. Si tratta del panteismo: l'essere finito è concepito come momento di Dio, essere infinito. Le religioni piú importanti che corrispondono a questa prima forma sono le religioni magiche, la religione cinese, l'induismo, il buddhismo.
    La seconda fase è chiamata da Hegel religione della individualità spirituale. In essa Dio è identificato con una o piú persone. In pratica la coscienza religiosa coglie il divino come persona, ma esso si pone in contrapposizione all'umano. Questo tipo di coscienza del divino è stato sviluppato dalle religioni greca e romana, e in maniera particolare dalla religione ebraica, ove Iddio è concepito in una forma assolutamente trascendente nei confronti dell'uomo.
    La terza fase della religione è definita da Hegel religione assoluta: si tratta del cristianesimo. In esso Dio è concepito, come trascendente alla realtà, ma, allo stesso tempo, Egli è immanente ad essa. L'uomo, a sua volta, è unito a Dio tramite la grazia che viene da Cristo: l'uomo-Dio. Siamo alla sintesi definitiva tra finito e infinito, visti non piú in contrapposizione, ma uniti senza alcuna confusione. Solo nel cristianesimo la religione si è realizzata come rivelazione di Dio nella rappresentazione. Il concetto dell'unico Dio in tre persone (Padre-Figlio-Spirito) altro non è, per Hegel, che la "rappresentazione" dei tre momenti dello sviluppo dialettico dell'idea (Dio prima della creazione, la creazione, il ricongiungersi della creatura al creatore tramite l'incarnazione). La filosofia "pensa" nella forma di concetto lo sviluppo dialettico dell'Idea, la religione cristiana pensa Io stesso sviluppo tramite la "rappresentazione" trinitaria. Dire cosí che il cristianesimo è la religione assoluta è la stessa cosa che dire che è la verità assoluta. Ancora una volta tra religione e filosofia si ha lo stesso oggetto: la verità, ma mentre la filosofia raggiunge tale oggetto tramite il pensiero-puro, la religione cristiana lo raggiunge tramite la rappresentazione di Dio come trinità.
    La religione cristiana è la religione rivelata. Questo, per Hegel, significa che il cristianesimo è la religione senza misteri, la religione cioè dove niente è nascosto perché essa è la perfetta automanifestazione di Dio alla coscienza religiosa. La filosofia deve raggiungere la verità tramite il concetto, la religione cristiana conosce la verità perché è lo stesso Dio che la rivela. Non piú misteri dunque, ma solo modo diverso di conoscere la verità. Filosofia e religione cosí sono entrambe religiose, poiché entrambe trattano di Dio: «Il loro tratto comune è l'essere religione, quello distintivo sta solo nel tipo e nel modo di religione» [22]. Tra religione e filosofia non c'è incompatibilità o ostilità, c'è solo diversità di forma per raggiungere lo stesso oggetto: Dio, come eterna verità [23]. «Religione e filosofia vengono a coincidere» [24].
    In questo contesto la filosofia della religione per Hegel diventa una filosofia come religione, meglio la filosofia assoluta come religione assoluta. Entrambe sono vere, anche se è diverso il loro modo di raggiungere la verità. Entrambe esisteranno sempre, perché l'uomo non è semplicemente puro pensiero, non sempre è filosofo, ma sempre avrà bisogno della raffigurazione di Dio fatta dal cristianesimo per arrivare alla verità quando non la può raggiungere tramite il pensiero puro. Resta comunque fondamentale la visione di fondo secondo cui la religione è vera in quanto è filosofia, essa esisterà sempre perché sempre l'uomo avrà bisogno di raffigurazioni della verità, ma la sua vera anima è quella di diventare filosofia, di cedere il posto alla filosofia.

    1.3.4. La filosofia come religione

    Hegel è l'espressione piú completa di questa prima forma di filosofia della religione. Lo è al punto tale che si può dire che in lui veramente la religione non ha alcuna autonomia nei confronti della filosofia. Hegel si è tanto affannato a proclamare e difendere l'esistenza di Dio; nessuno piú di lui ha rivendicato ed affermato l'importanza della religione, specie del cristianesimo, poiché esso realizzava il pieno accordo con la sua filosofia; ma «si tratta degli onori della sepoltura» [25]. «Certo è che la critica hegeliana intende eliminare la religione; ma il metodo di cui si serve non è quello del rifiuto, ma quello dell'eutanasia: solo cessando di esistere, infatti, la religione realizza se stessa come religione elevandosi al piano della filosofia» [26]. Dietro ai riconoscimenti formali, in Hegel, c'è una disaffezione profonda nei confronti di Dio e della religione. Tutto perde la propria identità: Iddio è tale solo con il mondo [27]: Hegel, in pratica non attacca Dio ma tenta di divinizzare l'uomo e la storia dell'uomo. Questa esigenza di autoesaltazione dell'uomo avrà un notevole seguito nella concezione dell'ateismo contemporaneo. Hegel non attacca la religione, ma la riduce a momento transitorio e inferiore della filosofia. Il cristianesimo, con il suo dogma della trinità, altro non è che una forma infantile per esprimere il significato della dialettica tra "universale", "particolare" e "singolare". La religione è fatto transitorio in Hegel, non solo come momento storico, ma soprattutto come valore e come contenuto. La religione è fatto transitorio perché è momento strutturalmente inferiore alla filosofia.
    Il Pannenberg e il Küng ci ricordano un merito particolare di Hegel: quello di avere portato il discorso cristiano sul piano della storia [28]. Certo non si può negare un simile merito: tutta la concezione hegeliana sulla religione è vissuta in chiave di storia concreta; anche il cristianesimo, al suo interno, viene visto in funzione di una lettura storica della incarnazione. È vero che Hegel ha evitato che la fede si rifugiasse sul terreno della soggettività e del sentimento, ma è pur vero che il tutto si perde entro la chiusura sistematica del suo pensiero, fino al punto che, anche questi meriti innegabili, finiscono con il perdere valore e reale incidenza.

    Note

    * Baruch Spinoza (16324677) è un filosofo olandese, di religione ebraica. Le sue opere principali sono: Tractatus theologico-politicus (1670), trad. it., Trattato teologico-politico, a cura di Droetto A. - Giancotti Boscherini E., Torino 1972; Ethica (1674), trad. it., Etica, a cura di Giametta S., Torino 1980 (riedizione); si ha un'altra traduzione a cura di Durante G., Firenze 1963. Una traduzione delle due opere si ha in: Etica. Trattato teologico-politico, a cura di Cantoni R. - Fergnani F., Torino 1972. La migliore edizione critica delle Opere di Spinoza è quella a cura di Gebhardt C. in 4 voll., Accademia di Heidelberg 1923. (Ristampa 1972). Sul problema religioso in Spinoza cf.: Siwek P., Au coeur du spinozisme, Paris 1952; Zac S., Spinoza et l'interprétation de l'écriture, Paris 1965; Breton S., Spinoza. Teologia e Politica, Assisi 1979, con un'ampia Nota bibliografica, pp. 329364. Un'ottima bibliografia, aggiornata fino al 1979, si ha nella ristampa anastatica di Guzzo A., Il pensiero di Spinoza, Firenze 1980. Per una storia delle interpretazioni cf. Radetti G., Spinoza, in Questioni di storiografia filosofica, vol. II, Brescia 1974, pp. 355-434; Vinti C., Spinoza. La conoscenza come liberazione, Roma 1984, Bibliografia pp. 159-165.

    ** Emmanuel Kant (1724-1804) è uno dei massimi filosofi occidentali. Le sue Opere sono state raccolte a cura dell'Accademia Prussiana delle Scienze di Berlino in ventidue volumi, usciti tra il 1902 e il 1938, sotto il titolo Kants Gesämmelte Schriften. Diamo le traduzioni italiane delle opere che piú interessano il nostro oggetto: Critica della ragione pura, a cura di Gentile G. - Lombardo Radice G., Bari 1910, riveduta da Mathieu V., Bari 1958; a cura di Colli G., Torino 1957; Critica della ragion pratica, a cura di Capra F., Bari 1909, riveduta da Garin E., Bari 1960; Critica del giudizio, a cura di Gargiulo A., Bari 1923, riveduta da Verra V., Bari 1960; Fondazione della metafisica dei costumi, a cura di Carabellese P., Firenze 1936; La metafisica dei costumi, a cura di Vidari G., Torino 1916, riveduta da Merker N., Bari 1970; Antropologia filosofica, a cura di Vidari G., Torino 1921, riveduta da Guerra A., Bari 1969; La religione entro i limiti della sola ragione, a cura di Poggi A., Modena 1941, riveduta da Olivetti M.M., Bari 1980; a cura di Durante G., Torino 1945; Fondazione della metafisica; Critica della ragion pratica, a cura di Mathieu V., Milano 1982.
    La bibliografia su Kant è enorme, per indicazioni rinviamo a Campo M., Schizzo storico dell'esegesi e critica kantiana, Varese 1959; dello stesso Campo M. - Mathieu V., Kant, in Questioni di storiografia filosofica, cit., vol. III, pp. 9131; Sichirollo L., Per una storia della storiografia kantiana, in «Studi Urbinati», XXIV, Urbino 1952-53, pp. 95-113; Guerra A., Introduzione a Kant, Roma-Bari 1980.

    Per il tema specifico sulla religione, cf. Dentice D'Accadia C., Il razionalismo religioso di E. Kant, Bari 1920; Martinetti P., Ragione e Fede, Torino 1942; Bruch G.L., La philosophie religieuse de Kant, Paris 1968; Lamacchia A., La filosofia della religione in Kant, Bari 1969; Mancini I., Kant e la Teologia, Assisi 1975 (il volume ha una buona bibliografia di 140 titoli sul pensiero religioso di Kant, pp. 241-250); Rigobello A., Kant. Che cosa posso sperare, Roma 1983.

    *** Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) ha elaborato la forma piú complessa ed evoluta di idealismo.
    L'edizione critica delle opere di Hegel è: Sämtliche Werke, 26 voll., a cura di Lasson G. - Hoffmeister J. - Meiner F., Leipzig 1928 ss., non ancora completata.
    Diamo i titoli delle Opere principali: Fenomenologia dello spirito, a cura di De Negri E., 2 voll., Firenze 1974; Scienza della logica, a cura di Moni A., riveduta da Cesa C., 2 voll., Bari 1981; Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, a cura di Merker N. - Vaccaro N., Bari 1967; a cura di Croce B., Bari 1980; Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di Messineo F., Bari 1979. Tutte queste opere sono state pubblicate da Hegel stesso.
    Diamo ora i titoli delle opere minori e dei corsi di lezioni pubblicate dai discepoli di Hegel, citeremo solo quelle che interessano il tema della religione: Primi scritti critici, a cura di Bodei R., Milano 1971; Vita di Gesú, a cura di Negri A., Bari 1980; Scritti teologici giovanili, a cura di Mirri E. - Vaccaro N., Napoli 1972; Lezioni sulla filosofia della storia, a cura di Calogero G. - Fatta C., 4 voll., Firenze 1967; Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di Codignola E. - Sanna G., 4 voll., Firenze 1967; Lezioni sulle prove dell'esistenza di Dio, a cura di Borruso G., Bari 1970; Lezioni sulla filosofia della religione, a cura di Obertoi E. - Borruso G., 2 voll., Bologna 1974; Scritti di filosofia della religione, Trento 1975.
    Sul problema della religione in Hegel cf.: Asveld P., La pensée religieuse du jeune Hegel, Louvain 1953; Bruaire C., Logique et religion chrétienne dans la philosophie de Hegel, Paris 1964; Küng H., Incarnazione di Dio. Introduzione al pensiero teologico di Hegel, Brescia 1972; Lövith K., Hegel e il cristianesimo, Roma-Bari 1976; Pannenberg W., Die Bedeutung des Christentums in der Philosophie Hegels, Göttingen 1971; Vancourt R., La pensée religieuse de Hegel, Pàris 1965.


    1 Ethica, Parte II, prop. 40, nota 2.
    2 Ibid., Parte III, def. 12.
    3 Tractatus, trad. it., Trattato teologico-politico, a cura di Droetto A. - Giancotti Boscherini E., Torino 1972, p. 2.
    4 Ethica, Parte III, prop. 59, nota.
    5 Dopo Dilthey (1833-1911) sarà familiare distinguere il comprendere (verstehen) dallo spiegare (erklären). Si argomenterà che c'è una profonda differenza tra le scienze dello spirito e le scienze della natura. Infatti l'oggetto delle scienze dello spirito è interno all'uomo, mentre quello delle scienze della natura è esterno. Le scienze dello spirito allora debbono comprendere i fatti attraverso l'esperienza interna degli uomini, mentre le scienze della natura debbono solo spiegare i nessi causali delle leggi della natura. Spinoza esclude consapevolmente questa diversità tra i due tipi di scienza, anzi per lui non c'è scienza che non sia lo spiegare i nessi universali delle leggi.
    6 Tractatus, cit., p. 132.
    7 Cf. Breton S., Spinoza. Teologia e Politica, Assisi 1979, pp. 60-61.
    8 La formulazione è quella che Kant dà nella Critica della ragion pura, Dottrina trascendentale del metodo, cap. II, Sezione II, a cura di S. Colli, Torino 1957, p. 785.
    9 Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura, cit., p. 33.
    10 La religione entro i limiti della sola ragione, trad. it. a cura di Durante G., Torino 1945, p. 168.
    11 «La religione non si distingue in qualche punto dalla morale per la sua materia, cioè per il suo oggetto, in quanto essa mira essenzialmente al dovere; ma ne differisce per la forma, dato che essa è una legislazione della ragione per dare alla morale, grazie all'idea di Dio, derivata dalla morale stessa, una influenza sulla volontà umana per compiere tutti i suoi doveri a. Ibid., p. 347.
    12 Ibid., p. XIV.
    13 Kant usa il termine «simbolico» e non allegorico. Noi preferiamo usare il termine «allegorico» poiché, in effetti, Kant attribuisce al termine «simbolico» i contenuti propri del termine «allegorico a.
    14 La religione entro i limiti della sola ragione, cit., p. 18.
    15 Kant scrive: «Nella manifestazione fenomenica dell'Uomo-Dio il vero oggetto della fede santificante non è ciò che di lui colpisce i nostri sensi, o che può essere conosciuto mediante l'esperienza, ma il modello ideale, innato nella nostra ragione, che noi poniamo a fondamento di tale persona fenomenica (...), e cosi tale fede è identica col principio di una condotta gradita a Dio». Ibid., p. 128.
    16 «Il vero culto (morale) di Dio, quello che i fedeli gli devono rendere in quanto sono sudditi che fanno parte del suo regno, ma anche in quanto sono cittadini di tale regno (secondo le leggi della libertà), è, senza dubbio, invisibile come questo regno, cioè è un culto di cuori (in spirito e verità), e può consistere soltanto nell'intenzione di compiere tutti i veri doveri come comandi divini, non già in certe azioni che hanno esclusivamente Dio in vista». Ibid., p. 218.
    17 Kant distingue tra religione rivelata e religione naturale: «La religione in cui io devo, prima, sapere che qualche cosa è un comando divino, per riconoscerla poi come mio dovere, è la religione rivelata (o che esige una rivelazione); quella, invece, in cui io devo sapere che qualche cosa è un dovere prima che la possa conoscere come un comando divino, è la religione naturale». Ibid. Dunque l'oggetto è identico: i contenuti etici, diverso è il modo di conoscere e presentare i contenuti etici, la religione rivelata li presenta come comandi divini, la religione naturale presenta i contenuti morali anzitutto e prima di tutto come un puro dovere.
    18 Critica della ragion pura, cit., p. 33.
    19 Enciclopedia, a cura di Croce B., Bari 1980, vol. I., p. 1.
    20 Filosofia della religione, cit., vol. I, p. 123.
    21 «Il superare (Aufheben) presenta il suo vero duplice significato che noi abbiamo visto nel negativo; è un negare (Negieren) e parimenti un conservare (AufbewahrenFenomenologia, cit., vol. I, p. 94.
    22 Enciclopedia, cit., p. 1.
    23 Ibid.
    24 Ibid.
    25 Fabro C., Genesi storica dell'ateismo contemporaneo, in L'ateismo contemporaneo, Torino 1972, vol. 2, p. 39.
    26 Morra G., Dio senza Dio, L'Aquila 1981, p. 28.
    27 «Dio senza il mondo non è Dio», Hegel, Filosofia della religione, cit., vol. I, p. 184.
    28 Cf. Pannenberg W., Die Bedeutung des Christentums in der Philosophie Hegels, cit., e Küng H., Incarnazione di Dio, cit.


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