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    Esperienza

    Voce del Dizionario filosofico Garzanti

    esperienza

    Termine che in filosofia indica la componente sensibile dell'atto conoscitivo, l'intuizione diretta di contenuti emozionali e l'organizzazione della moderna osservazione scientifica. Già nell'ambito della cultura greca alcuni significati e usi del termine si trovano precisamente delimitati e analizzati, in modi che hanno largamente influenzato il pensiero successivo. Senofane, Alcmeone ed Empedocle sottolinearono tra i primi che l'uomo può dire di conoscere solo ciò di cui ha fatto personale esperienza, rilevando peraltro i limiti e la scarsa consistenza di tale sapere. A questa tradizione si appella anche Protagora quando osserva che l'uomo, collocato in una posizione intermedia tra l'animale e la divinità, è sempre incerto tra l'evidenza e la mera apparenza, il manifesto (alētheia) e il non manifesto (lēthē); tale collocazione e la brevità della vita umana, che comporta un'insormontabile limitazione delle esperienze, rendono vana ogni ricerca che pretenda, per esempio, di affermare l'esistenza o la non esistenza degli dei. Come ha dimostrato B. Snell, tali considerazioni, che caratterizzano il sorgere della riflessione filosofica, rinviano alla tradizione omerica, la quale definisce il sapere nei termini dell'«aver visto», della diretta esperienza.
    Una più rigorosa delimitazione dei significati del termine esperienza (empeiría) è operata da Platone, che nella Repubblica (IX, 582) distingue tra i giudizi basati su una somma di esperienze pratiche e quelli che si appellano anche all'intelligenza e ai «ragionamenti» (lógoi), e nel Gorgia (448c) osserva che l'esperienza consente di procedere con una certa regola, la quale è la base di ogni arte (téchné).
    Queste considerazioni vennero riprese in maniera sistematica da Aristotele, che dedicò al concetto di esperienza ampie e dettagliate analisi (nell'Anima, nell'Etica nicomachea e nell'Etica endemia, negli Analitici posteriori, nella Metafisica). L'esperienza è intesa da Aristotele come un processo di unificazione che implica il sentire e la memoria, ma anche le capacità intellettive dell'induzione, ovvero l'attitudine a cogliere la forma universale nel particolare. Gli animali, pertanto, di esperienza «ne hanno poca», mentre gli uomini «da molte riflessioni sull'esperienza si formano un unico giudizio generale intorno ai casi simili». Ciò dà luogo all'arte, «poiché molti ricordi di uno stesso oggetto costituiscono insieme il valore di un'esperienza»; ora, «l'esperienza è una conoscenza di casi particolari, mentre l'arte è conoscenza degli universali» e delle «cause». Al di sopra dell'arte si pone poi la scienza vera e propria, in quanto conoscenza pura e disinteressata che non ha, come l'arte, fini pratici (Metafisica, I, 980 sgg.). La ricostruzione aristotelica del processo di esperienza si svolge dunque tra i due estremi del sentire e del pensare che costituiranno oggetto di costante riflessione nella filosofia successiva.

    Esperienza e ragione

    È in particolare nel pensiero moderno che il concetto di esperienza è stato opposto a quello di ragione, per esempio nella polemica tra le scuole dell'empirismo e del razionalismo. La questione cardine è divenuta allora la determinazione di quanto, nell'atto conoscitivo, derivi dal fatto ricettivo-sensibile e di quanto provenga invece dalla pura attività del pensiero. Gli empiristi sottolinearono la priorità dell'esperienza sul raziocinio, in quanto il secondo - come affermò in seguito anche Kant - sarebbe del tutto vuoto senza i contenuti direttamente offerti dalla prima; inoltre essi si preoccuparono di sceverare gli elementi primi dell'esperienza (sensazioni, impressioni) da quelle relazioni tra gli elementi che fanno dell'esperienza un tutto strutturato anziché un puro caos di dati slegati tra loro (per esempio J. Locke, Saggio sull'intelletto umano, n, 12; D. Hume, Trattato sulla natura umana, I, par. 4). Il problema delle relazioni, dell'ordine e della costanza dell'esperienza diviene pertanto l'argomento comune delle moderne teorie gnoseologiche, sia che esse inclinino a derivare le strutture o relazioni razionali da un'accumulazione associativa dei fatti bruti dell'esperienza (si pensi al sensismo illuministico o al materialismo di varie correnti del positivismo), sia che l'esperienza venga ricondotta a un'autolimitazione autonoma della ragione o del pensiero (da Leibniz all'idealismo e allo spiritualismo di fine Ottocento), sia infine che prevalga una posizione intermedia che riconosce all'esperienza e alla ragione una rispettiva funzione originaria e irriducibile (come in Kant, nelle correnti neocriticistiche e neorealistiche e nella fenomenologia da Husserl a N. Hartmann).
    Il nesso esperienza-ragione è divenuto sempre più complesso per l'affermarsi, dopo Darwin, del criterio evoluzionistico in seno alle scienze naturali; a ciò ha corrisposto, sul piano delle scienze dello spirito, la considerazione storica dello sviluppo dello spirito umano. Si fronteggiano così una concezione naturalistica della ragione, che ha la sua più tipica espressione di partenza in H. Spencer (le attitudini apparentemente innate del pensiero sono un prodotto dell'evoluzione biologica: Principi di psicologia), e una concezione storicistica dell'esperienza che ha il suo atto di nascita nella Fenomenologia dello spirito di Hegel. Su questo terreno si è poi innestata tutta la discussione della moderna psicologia, dalla critica all'atomismo psichico di Hume e J.S. Mill (empirismo radicale di W. James, pragmatismo, fenomenologia, psicologia della forma) alla svalutazione, da parte della psicologia sperimentale, dell'esperienza interiore, o introspezione, privilegiata dagli spiritualisti (F.-P. Maine de Biran, E. Boutroux, H. Bergson) e dai fenomenologi.

    L'esperienza scientifica

    Contemporaneo allo svolgersi della polemica gnoseologica moderna è il precisarsi del concetto rigorosamente scientifico di esperienza. L'analisi scientifica mette capo a un concetto allargato di esperienza, sia perché alla tradizionale nozione di esperienza diretta fondata sulla percezione sensibile, o evidenza soggettiva, si accompagna la nozione della cosiddetta esperienza indiretta, concernente oggetti non accessibili all'osservazione, ma inferibili da altri fenomeni osservati (dai fenomeni atomici e subatomici ai macrofenomeni ipotizzati dalla cosmologia contemporanea); sia perché è parte costitutiva di ogni esperienza scientifica la presenza di fattori inferenziali, nonché l'appello all'intersoggettività di principio delle operazioni empiriche e razionali compiute dagli scienziati. L'esperienza diretta utilizzata dalla scienza comporta, oltre all'osservazione comune, l'osservazione organizzata (per esempio la teoria delle «tavole» in F. Bacone) e l'esperimento, che esige, come già in Galileo, un intervento attivo e «artificiale» del ricercatore sui fenomeni della natura. La straordinaria dilatazione del tradizionale concetto di esperienza - inglobante fattori logici, matematici e tecnici accanto alle componenti sensoriali e psicologiche, e rapportabile alla storia dell'evoluzione sociale e industriale e al succedersi delle ideologie filosofiche, politiche e religiose - solleva naturalmente notevoli problemi di interpretazione e di valutazione, variamente dibattuti dall'epistemologia contemporanea.

    L'esperienza religiosa

    Alla base del concetto di religione è individuabile un'esperienza religiosa, nonostante le riserve dei teologi, che vi vedono un ibrido umano e sacro, e degli storici, che negano un denominatore comune alle varie religioni. L'etimologia stessa della parola «religione» nelle lingue antiche (sanscrito, cinese, lingue germaniche, latino) rinvia sempre a una esperienza del divino. Ove questa manca, la religione si riduce a istituzione sociale o a momento puramente esteriore. Più precisamente l'esperienza religiosa è un un momento totalizzante dell'esperienza dell'uomo, fatta di un 'sentimento di dipendenza creaturale' (R. Otto) in cui l'uomo avverte la propria nullità rispetto al divino. Si tratta di un'esperienza 'che ci riguarda incondizionatamente' (P. Tillich) e che proprio per questa sua estensione non è traducibile in un concetto logico, ma vive di un rapporto intenzionale soggetto-oggetto, dove l'oggetto si dona al soggetto che scompare per far posto al divino.


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