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    Giuseppe Bucaro

    Filosofia
    della religione

    Forme e figure

     

    EPILOGO

    Le suggestioni sono molteplici, si accavallano una sull'altra, sembra quasi impossibile discernere e delineare; è un'impresa trovare un filo conduttore, anche sottile. Eppure esso c'è. Noi non vogliamo sintetizzarlo per impoverirlo, lo vogliamo delineare perché nella complessità dei temi e delle suggestioni, questo filo sottile appaia e si mostri nel suo discreto esistere. Pensiamo che il tutto possa trovare un momento di unità nella terza domanda kantiana «cosa mi è consentito sperare?». La religione cosí investe un momento forte della vita dell'uomo e del cosmo, allora non ci si può limitare a spiegare, bisogna comprendere. La decodificazione, la semplificazione, la scomposizione è utile per spiegare il fenomeno, ma, nei confronti della religione, spiegare è piú che mai tradire. Non basta spiegare; non ci si può fermare alla soglia, bisogna entrare dentro, accedere alle motivazioni interiori del soggetto che vive il fatto religioso: bisogna comprendere. Si può spiegare un contenuto; una persona bisogna comprenderla.

    9.1 La religione è salvezza

    L'elemento specifico della religione è che essa si pone come sapere salvifico.
    Essa cosí investe tutto l'uomo nella sua struttura. La religione impegna l'uomo in tutta la sua realtà: intelletto, volontà, affettività, percezione, ecc. È l'uomo nella sua totalità che viene ad essere coinvolto. Il prevalere di una delle componenti sul resto non fa religione. In quanto impegna l'intelletto la religione offre dei contenuti razionali; in quanto impegna la volontà diventa esercizio di vita pratica; in quanto impegna l'affettività richiede di amare; in quanto è percezione richiede fede. La sola fede senza la razionalità rischia di relegare la religione nella sfera dell'assurdo irrazionale; la sola ragione senza fede trasforma la religione in pura filosofia. Se il tutto poi non diventa prassi ci troveremmo solo dinanzi a forme confuse di conoscenza.
    La religione-salvezza nella esperienza pratica tocca il fatto del sacro e del profano. Non diciamo, né siamo per la contrapposizione tra sacro e profano, diciamo che tutto è sacro e allo stesso tempo tutto è profano. Parliamo del sacro come di una dimensione di valore e di significato: sacro è ciò che ha un valore e un significato sacrale per l'uomo. Il sacro non si contrappone al profano. Il profano è l'oggetto considerato nel suo essere cosa, nel suo essere oggetto. Il sacro, nei confronti del profano, non cambia la natura di un oggetto, di un luogo, di un tempo o di una persona, esso aggiunge significato e valore salvifico alle cose.
    La religione-salvezza interpella l'uomo a cui propone delle spiegazioni su fatti e cose. L'uomo accetta ed oggettivizza i contenuti proposti dalla religione. Siamo all'interno della funzione del mito e del credo. Il mito è una narrazione-spiegazione, fa socialità, crea orientamento di vita. Il mito è la risposta in forma narrativa (il credo lo è in forma intellettiva) di un gruppo che fonda su questa spiegazione le proprie certezze, la propria stabilità. Per questo motivo i miti riguardano principalmente il problema delle origini e quello del poi; il mito vuole tranquillizzare l'uomo che il cosmo prevale sul caos e che la vita prevale sulla morte. La risposta a questi problemi è sempre dentro un involucro emotivo. Questo risulta immediatamente evidente per il mito, ma in fondo è anche vero per il credo. Credere infatti non significa solo sapere, ma prima di tutto avere fiducia e quindi certezza di non essere ingannati da parte di chi propone i contenuti del credo. Kierkegaard percepisce la drammaticità e complessità del credere: Abramo resta un esempio.
    Siamo alla componente attiva che investe il Rito, l'Etica e la Società.
    La religione-salvezza richiede testimonianza.
    Anzitutto il rito. Il rito deve essere concepito non soltanto come ripetizione e quindi collegamento a fatti fondanti del passato (mito o comunque fatti che stanno all'origine della fondazione di una religione), ma esso è anche prolessi (anticipazione di avvenimenti finali). Il rito dice anzitutto riferimento all'Evento. Esso cioè indica, attualizza e si fonda su un evento ritenuto fondante; ed è chiaro che nel momento in cui indica ed attualizza questo evento, il rito propone una sua ermeneutica dell'evento. Il rito, in quanto ermeneutica, è Parola, è comunicazione. Da qui l'importanza del linguaggio religioso sia esso pura parola o serie di gesti. Il rito vive divenendo parola. In quanto poi è anticipazione, il rito è Invocazione. Il rito cioè non si pone come semplice ripetizione attualizzante; esso, tramite l'invocazione, diventa Prolessi. L'invocazione non è solo richiesta e desiderio di anticipazione ma è anche scongiuro, cioè allontanamento di ciò che può ostacolare il legame con ciò che si anticipa e che viene vissuto come speranza. Il rito infine postula la Comunità. Esso attualizza un mito o un fatto che si ritiene fondante per la comunità e non solo per il singolo soggetto; è celebrato nella comunità come fatto comunitario; anticipa infine eventi che interessano tutta la comunità. Il rito-comunità dunque investe il già del mito, l'oggi della attualizzazione, il poi della speranza.
    È nella complessità espressiva del rito che si annidano forme devianti di religione: diciamo, ad esempio, della magia e di alcune forme espressive esasperate della religiosità popolare.
    La testimonianza deve diventare Etica. La religione in quanto esperienza di salvezza impegna l'uomo religioso a vivere, oltre che nel rito anche nella vita pratica, quei contenuti religiosi a cui egli fa riferimento. Non si può cioè staccare religione e vita pratica: il rito è anticipazione e quindi deve risolversi in impegno affinché ciò che è vissuto come anticipazione possa essere attualizzato nella vita pratica. Non c'è religione senza etica. Molte sono le figure filosofiche che hanno sottolineato questa dimensione della religione, sia essa intesa in forma positiva (per tutti citiamo ancora Kant), sia in forma negativa (basta citare Marx). Forse questo è l'aspetto che ha interessato maggiormente i filosofi della religione nel secolo passato. Il rapporto non è stato visto solo come incidenza della religione nella vita privata dei singoli uomini ma è stato esaminato, giustamente, in relazione della incidenza della religione nelle strutture sociali economiche politiche e culturali della società. Si è cioè percepito, nel bene e nel male, il legame stretto tra credenza religiosa e rapporti di vita sociale, il legame tra religione e società e questo non solo perché alcune religioni sono diventate anche strutture sociali, ma soprattutto perché si è bene compreso che la religione è impegno etico, impegno di vita sociale. Le strutture delle Chiese sono solo forme storico-concrete di ciò che è il punto base: la dimensione sociale della religione. Il rito prolessi-invocazione deve diventare impegno etico-sociale.

    9.2 Dal Kerigma all'ermeneutica

    All'interno delle religioni rivelate il fatto ermeneutico è essenziale: bisogna interpretare i contenuti, il Kerigma espresso dai testi sacri. Ma quando diciamo dell'ermeneutica non intendiamo fare riferimento solo a questo, ma intendiamo riferirci all'esigenza di interpretare il tutto della religione, nella complessità e varietà delle sue forme espressive. Ermeneutica anzitutto è il problema del linguaggio su Dio (Wittgenstein, ma anche tutta la problematica della validità delle prove razionali dell'esistenza di Dio). Come intendere fatti, oggetti e parole sacre, per un verso; e per altro verso come dire di essi. Il problema investe due dimensioni: la prima riguarda il modo di comprendere i contenuti, la seconda riguarda il modo di dire tali contenuti. Mito, simbolo e rito ritornano come momenti espressivi ed interpretativi del fatto religioso. Con una simile impostazione intendiamo porre una fondamentale differenza tra ermeneutica ed esegesi (il nostro riferimento è soprattutto a Bultmann, ma non solo a lui). Per fare l'esegesi di un testo a volte può essere utile demitizzare; ma siamo solo ad una prima fase: quella di interpretare. Il discorso dell'ermeneutica, per noi, è altro. Esso presuppone resegesi, ma va oltre e si pone come comprensione del fenomeno religioso in tutta la sua vastità e complessità: e qui dimitizzare, potrà essere razionalizzare, ma certamente è tradire la natura intima del fatto religioso. Ancora una volta: non basta interpretare, bisogna comprendere. Per
    molti aspetti, seppure nella confusione di ruoli e di signicati, la posizione di molti filosofi che hanno concepito la religione come fatto importante e momento epistemologicamente privilegiato per comprendere la vera natura della realtà sociale, ci indica, in positivo, il fatto che non si può esaurire l'analisi della religione facendo una semplice operazione di tipo intellettualistico: la religione è vita, essa va interpretata tenendo conto di questo ed esaminando anche gli influssi sulla vita pratica, che è e deve essere certamente ragione, ma che non può identificarsi ed esaurirsi in essa.

    9.3 La speranza

    Ciò che abbiamo posto all'inizio, lo riproponiamo alla fine. Tutta la natura e struttura della religione è tale che essa gioca la sua esistenza su questo fatto: si pone come speranza per gli uomini. Realizza questa sua intima natura all'interno della società; essa cioè è speranza per la società. Qui le analisi di Weber e gli stimoli di Bloch sono fondamentali. La speranza è Profezia. E la profezia dice rapporto dialettico con l'istituzione. La religiosità popolare può esprimere e indicare piú immediatamente questa tensione verso il futuro, ma il problema che resta e che deve essere tenuto sempre presente è questo: Quale speranza concreta l'uomo, la società, la materia, il cosmo può sopportare? Come cioè è possibile far vivere la speranza senza che essa diventi utopismo alienante? Ogni tempo vive le sue tensioni e ha le sue speranze. Se la struttura gioca il suo sopravvivere sul passato, sulla tradizione, essa diventa rottura e contrapposizione alla profezia; se la profezia, d'altra parte, si pone solo come fuga in avanti, essa è utopismo. Ancora una volta noi siamo per una profezia che nella memoria del passato, sappia vivere i fatti del presente, con una tensione verso il futuro. Non poniamo i tre momenti in forma contrapposta, convinti come siamo che memoria, presente e futuro debbono essere vissuti sempre in forma dialettica e non contrapposta. La nostra è una certezza che diventa augurio e si trasforma in invocazione.

     

    BIBLIOGRAFIA

    Ci limitiamo ad indicare alcuni titoli che possono essere consultati con una certa facilità. I riferimenti sono solo ad opere generali e pertanto per i singoli autori rimandiamo alle note date nel volume. Dei testi di cui esiste la traduzione diamo il solo titolo in lingua italiana.

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    Widengren G., Fenomenologia della Religione, Bologna 1984.


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