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    Religioni

    e crisi ecologica

    Luciano Larivera

     

    Negli ultimi due secoli le conquiste scientifiche, tecnologiche ed economiche sono state sbalorditive. Ma hanno generato, per gli effetti su terra, acqua, cielo, fauna e flora, una nuova era geologica: l’Antropocene. E la rivoluzione industriale, che si rinnova e si espande, esige ancora un impiego crescente di combustibili fossili [1].
    Con gli attuali trend, entro il 2100 la temperatura media del pianeta potrebbe crescere di 4-5 gradi Celsius rispetto all’era preindustriale.
    E la vita sul pianeta sarà sconvolta per millenni, se non si entrerà tutti e decisamente nell’«era dello sviluppo sostenibile» [2].
    L’umanità, infatti, si avvia a superare i nove «confini planetari» (planetary boundaries), cioè le soglie entro cui è garantita la sicurezza della vita umana come la conosciamo, perché, ad esempio, l’innalzamento degli oceani, a motivo della loro espansione termica e dello scioglimento dei ghiacciai ai poli, obbligherà a esodi di massa.
    E sono già stati superati i limiti su «flusso dell’azoto», dato l’impiego massivo di fertilizzanti, e su «perdita di biodiversità». C’è poco tempo per fermare questi trend tramite la «decarbonizzazione» (e non la depopulation [3]), e così evitare la miseria di massa. Questa non è retorica catastrofista, né parenesi apocalittica [4].

    Crisi ambientale come crisi spirituale

    Né l’Onu né le religioni godono di fiducia universale sull’efficacia del loro agire nel «cambiare le cose» in termini di maggiore giustizia distributiva e ambientale. Ma le religioni continuano ad annunciare la fiducia e la speranza in Dio e nelle potenzialità umane.
    E per amore verso le future generazioni, ritengono possibile una «civilizzazione ecologica». Tuttavia denunciano che i problemi ambientali sono segno di una molteplice crisi: antropologica, etica e di governance (a livello pubblico e privato, globale e locale). Per risolverli, serve una nuova «sintesi umanistica» (Caritas in veritate, n. 21) Il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I - pioniere nell’alleanza tra ecologia e teologia e nel mobilitare le coscienze - mette in evidenza che i cambiamenti climatici sono segno di crisi spirituale, di perdita di consapevolezza della sacralità del mondo, perché l’ordine naturale è sacramento di Dio. Dichiara che i crimini ambientali sono peccati. Invoca il pentimento dei potenti (e dei tiranni), ma anche di ognuno di noi, perché tutti in qualche modo provochiamo piccoli danni ecologici. E, come volle il suo predecessore Demetrio, in forme ecumeniche celebra il 1° settembre come Giornata di preghiera e riflessione sulla salvaguardia del Creato.
    Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, nei due giorni precedenti il Climate Summit on Climate Change al Palazzo di Vetro (23 settembre 2014), ha organizzato un «Summit interreligioso sui cambiamenti climatici». Come credenti, i partecipanti hanno chiesto a tutti i Governi di impegnarsi a mantenere l’innalzamento medio della temperatura del pianeta sotto i due gradi Celsius. Hanno rimarcato che tutti gli Stati condividono la responsabilità, seppure differenziata, di formulare e mettere in opera strategie di sviluppo a basse emissioni di carbonio, che conducano gradualmente alla decarbonizzazione e alla completa eliminazione dei combustibili fossili entro la metà di questo secolo [5].
    Dalla risposta che daremo ai cambiamenti climatici verificheremo la qualità della nostra umanità. Quindi, ridurre le emissioni dei gas serra (e favorire il loro assorbimento da parte di oceani e foreste) è una priorità politica mondiale. Se essa sarà perseguita, in particolare dalle corporations [6], aiuterà a tenere sotto controllo gli altri otto «confini planetari». A questo è dedicato l’atteso Vertice di Parigi della Conferenza delle Parti della Convenzione sul clima (30 novembre - 11 dicembre 2015). Lo ha ribadito in Vaticano, lo scorso 28 aprile, il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon [7], al Workshop «Proteggere la terra, nobilitare l’umanità: le dimensioni morali dei cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile», co-organizzato da Accademia Pontificia delle Scienze, Accademia Pontificia delle Scienze Sociali, Sustainable Development Solution Network dell’Onu e Religions for peace [8].
    Purtroppo, come dichiarano le organizzazioni della società civile, incluse quelle religiose - la cosiddetta Religious Advocacy -, il peso maggiore degli effetti peggiori delle ferite all’ambiente ricade sulle fasce più povere della popolazione mondiale, cioè proprio su chi è meno responsabile delle trasformazioni ambientali in atto. Ora, è evidente per tutti che sono necessari ingenti investimenti per adattarsi ai cambiamenti climatici in corso e non reversibili a breve termine (siccità, desertificazione, fenomeni atmosferici estremi e frequenti ecc.), e per mitigare le emissioni di gas serra. Inoltre, i piccoli Stati insulari rischiano di scomparire con l’innalzamento degli oceani. Per loro e per i Paesi più poveri occorre che siano finanziati il Green Climate Fund, l’Adaptation Fund ecc., anche a protezione delle foreste, come chiedono pure i leader religiosi [9].
    La crisi ambientale in atto è di una tale gravità, ampiezza, complessità e urgenza che può essere affrontata soltanto con la mobilitazione globale di tutti, perché pochi potenti e/o masse di piccoli irresponsabili possono creare problemi a tutti, anche con comportamenti omissivi e dilatori. Migrazioni, conflitti violenti e malattie aumenteranno, se il riscaldamento e l’inquinamento del pianeta avanzano. E qui le religioni hanno un compito di assoluta rilevanza nel contribuire a elaborare un’antropologia olistica e comunitaria; nel formare una coscienza ambientale universale; nel mobilitare le comunità locali minacciate dalle ferite ambientali; nel motivare gli attori rilevanti (scienziati, ingegneri, economisti, politici, burocrati, businessmen).
    Il credito cooperativo di ispirazione cristiana, la finanza islamica, gli influenti banchieri ebrei ecc. possono dare un grande contributo per finanziare uno sviluppo ecologicamente sostenibile per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici sui più indifesi. E la Conferenza internazionale di Addis Abeba, del prossimo luglio, sul finanziamento allo sviluppo sarà un altro evento cruciale per il Post- 2015 [10].
    Per questo, alla Casina Pio IV, Ban Ki-moon, come in altre occasioni, ha lanciato un appello alle grandi comunità religiose. Ha chiesto che esse siano in prima linea nel promuovere lo sviluppo sostenibile, sotto tutti i profili: economico, sociale e ambientale. Il Segretario Generale ha riconosciuto ai leader religiosi un’importante leadership morale. E lo ha riaffermato a proposito di Papa Francesco, sempre il 28 aprile. Ma questo non significa avere identità di vedute su tutto, o che non sussista autonomia tra Santa Sede e Onu in tutte le sue diramazioni.
    In Vaticano, Ban Ki-moon ha ricordato che le religioni parlano al cuore delle speranze e dei bisogni più profondi dell’umanità, contribuiscono a gestire oltre la metà di tutte le scuole del mondo, e sono la terza categoria di investitori globali. Le ha esortate («I urge you») a «investire in soluzioni energetiche pulite che beneficeranno i poveri e renderanno pulita l’aria», anche assumendo la campagna internazionale Sustainable Energy for All, e ha sottolineato l’importanza «di continuare a ridurre le emissioni di anidride carbonica (carbon footprint) e di educare i vostri seguaci a ridurre i consumi insensati» [11].
    Poi è intervenuto il card. Peter K. A. Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Ha menzionato i valori e le virtù necessari allo sviluppo sostenibile, predicati dalle religioni ed espressi nelle Beatitudini evangeliche. Ma come per san Francesco d’Assisi, soltanto l’esempio guida con efficacia. Così Turkson ha suggerito ai leader religiosi un esempio concreto: «Pensate al messaggio positivo che si manderebbe se le chiese, le moschee, le sinagoghe e i templi di tutto il modo diventassero carbon neutral» [12].

    In attesa dell’Enciclica sull’ecologia

    Nonostante l’accusa alla civiltà ebreo-cristiana di avere abusato della natura ignorando la sofferenza e i bisogni delle altre specie viventi, la Chiesa cattolica, nella sua Dottrina sociale, ha affrontato già da tempo la questione ambientale [13]. L’Enciclica di Papa Francesco, dedicata esclusivamente all’ecologia, sarà una tappa fondamentale di questa riflessione. L’immagine dell’uomo custode della Creazione sarà ribadita nel Vertice tra capi religiosi che il Papa convocherà appena dopo la pubblicazione dell’Enciclica, e prevedibilmente in occasione della sua visita al Palazzo di Vetro il prossimo 25 settembre [14].
    Ma l’azione e le parole di Francesco sono rivolte in primis a 1,2 miliardi di battezzati cattolici, molti dei quali abitano nei Paesi più inquinatori. L’Enciclica provocherà dibattiti, approfondimenti e divulgazioni (contestazioni incluse) nella Chiesa cattolica e altrove.
    Infatti su questo Papa, che ha fatto, nella scelta del suo nome, anche l’opzione ecclesiale della protezione di tutte le creature, ci sono attese storiche eccezionali, perché egli gode di evidente popolarità e impareggiabile consenso a livello internazionale e interreligioso.
    Importanti esponenti della comunità scientifica dialogano con lui.
    E la vasta attenzione mediatica, che lo circonda, è una risorsa per la comunità internazionale impegnata nel promuovere lo sviluppo sostenibile. A Papa Francesco, infatti, è riconosciuta la capacità di esprimersi in un linguaggio universale.
    Il Pontefice ha dato esplicito sostegno istituzionale allo sviluppo sostenibile. Il 9 maggio 2014, all’incontro con i Capi esecutivi delle agenzie, dei fondi e dei programmi delle Nazioni Unite, ha dichiarato l’impegno della Chiesa cattolica per l’Agenda post 2015 e i suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile. Poi, il 12 gennaio, nel concludere il suo tradizionale discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha rimarcato che l’elaborazione di un nuovo Accordo sul clima è urgente. Ma ha ammonito che senza la conversione dei cuori non si progredirà.
    Per questa necessaria trasformazione spirituale, Francesco ha pure indetto, a partire dal prossimo 8 dicembre, il Giubileo Straordinario della Misericordia. Senza compassione, pentimento, riconciliazione e gioia profonda non sarà possibile affrontare la sfida ambientale, destinando maggiori risorse economiche alle popolazioni più colpite e più in difficoltà. L’anno giubilare ogni 50 anni, ripreso dalla tradizione ebraica, che celebra anche il settimo giorno e ogni settimo anno, include, oltre a nuovi rapporti finanziari e commerciali per uno sviluppo socialmente inclusivo, anche un nuovo patto con la terra: lasciarla riposare, perché lo sfruttamento eccessivo la depaupera e la possessività vorace sulle risorse naturali mina la pace tra gli uomini.
    La tradizione ebraica, inoltre, prescrive nel Talmud il principio tikkun olam («ripara il mondo»). Ma soprattutto impone di onorare il sabato, chiedendo all’uomo, con la prassi di interrompere ogni attività lavorativa, di rinunciare al dominio sulla natura e di rivolgere il suo cuore verso la propria intimità e verso la comunità.
    Anche la tradizione ecologica islamica, radicata nel Corano e articolata nei secoli, non ci è estranea. Essa crede che la salvezza del mondo e quella dell’umanità non sono separate, ma potranno realizzarsi soltanto con la grazia di Dio. E ricorda all’uomo che tutte le creature sono di Allah, il quale giudicherà gli uomini anche per come rispettano, da vice-gerenti, il dono del suo «giardino terrestre» [15].
    Per i cristiani, l’universo è creato da Dio e conservato nell’esistenza per mezzo del Verbo e dello Spirito creatore che dà vita.
    La «cultura dello scarto» e dello spreco - ricorda in continuazione Papa Francesco, e lo ha fatto anche il 1° maggio, in occasione dell’apertura dell’Expo di Milano - sono: idolatria del consumismo, della tecnica e del denaro, effetto del fondamentalismo di mercato e di una politica corrotta, e trionfo della «globalizzazione dell’indifferenza». Quanto di più contrario all’opzione preferenziale per i poveri da parte della Chiesa.
    Gli interventi pontifici sono di grande importanza, perché si collocano nell’«eccezionale 2015». Quest’anno sono in corso cruciali negoziati internazionali - a cui la Santa Sede partecipa in vari modi - sullo sviluppo sostenibile, sul suo finanziamento e su un trattato che limiti i gas serra. In questo senso, è immaginabile - e soprattutto auspicabile - che la prossima Enciclica pontificia segni uno spartiacque simbolico e morale nella vita politica, e non soltanto religiosa, del pianeta. Come è avvenuto con la Pacem in terris di Giovanni XXIII a proposito della minaccia di guerra nucleare.
    Anche le altre grandi religioni, Chiese e confessioni cristiane - dato il riconosciuto ruolo internazionale, anche diplomatico, della Chiesa cattolica - si aspettano da questo imminente documento della Dottrina sociale una piattaforma che possa diventare comune, per la ragionevolezza delle sue argomentazioni [16], e che possa essere resa operativa dagli Stati e accolta da ogni persona in base al proprio credo, religioso o filosofico. A questo proposito anche Oxfam International, una primaria ong laica con sede a Londra, ha dichiarato: «Sosteniamo con convinzione l’impegno di Papa Francesco per costruire un movimento globale interreligioso per la lotta al cambiamento climatico e la protezione delle persone più vulnerabili» (Avvenire, 29 aprile 2015, 4).

    Nazioni Unite e religioni

    Pur rispettando la differenza degli ambiti e degli approcci, la galassia dell’Onu - composta da diplomatici, scienziati e operatori sul campo - chiede alle religioni una riflessione e un’azione coerente sui doveri morali di difendere la natura, di privilegiare le persone più povere, escluse e indifese, e di promuovere la pace.
    Ma anche un sano pensiero secolare, che sia liberale o socialdemocratico, già lo impone. Tuttavia le religioni hanno un potere di «convocazione» delle persone impareggiabile, ad esempio in occasione del culto settimanale e delle festività pubbliche. Alle religioni spetta quel contributo insostituibile a educare le coscienze in modo integrale e olistico, potendo anche contare su scuole, università, pubblicistica, riti, omelie, santuari, pellegrinaggi in paradisi naturali ecc.
    Ma non basta un’etica globale. Per affrontare i cambiamenti climatici serve un ethos globale. Occorre che le religioni aiutino le persone, dalla prima infanzia, a sentire cordialmente e visceralmente che custodire e coltivare la natura, perché sia rigogliosa e porti frutti abbondanti anche per le future generazioni, è bello, dà gioia, fa gustare la vita e ne vale la pena. Questa missione è svolta spesso anche mediante l’arte sacra, la liturgia, lo sguardo contemplativo sulle meraviglie del creato. E la mistica.
    Le religioni danno profondità e incorporano la pienezza dell’esperienza umana nel mondo, anche se le persone religiose devono convertirsi continuamente per vivere ciò che affermano di credere.
    La riconciliazione con Dio e quella con i fratelli, che, ciascuna a suo modo, le religioni offrono, si incarnano nella lode riconoscente per i doni ricevuti e nella condivisione verace dei frutti della natura, che è la nostra casa comune e, insieme, parco giochi, luogo di delizie. Non solo di mercato.
    In questo senso, non è l’etica, ma è la bellezza - eterna di Dio, e primigenia del cosmo, di ogni creatura e della libertà umana - che guarirà e salverà il pianeta. Se tale bellezza viene scoperta, conosciuta, assaporata, celebrata, condivisa, «giocata» insieme», allora l’umanità sarà attirata al rispetto amoroso di tutte le creature.
    Perché alla persona umana non basta la spinta degli imperativi morali e legali, o delle eventuali sanzioni penali. Non soltanto perché, secondo la tradizione cristiana, la sua volontà è ferita dal peccato originale, ma anche perché essa non è riducibile alla sua ragionevolezza morale e alla sua personalità giuridica. E tanto meno alle sue concupiscenze.
    All’uomo non basta l’ordine semplicemente giuridico, perché è un «animale sinfonico». Per questo in alcuni salmi e in alcuni prefazi eucaristici si afferma che ogni creatura loda Dio e celebra la vita in coro e in musica. E l’apostolo Paolo unisce ogni creatura all’uomo, quando scrive che tutta la natura geme e soffre fino ad oggi le doglie del parto, aspettando la sua redenzione (cfr Rm 8,19-23).
    Perché l’uomo non esiste senza la terra, i suoi minimi ecosistemi e i massimi sistemi stellari. Si vive, si soffre, si gode, si è guariti, si muore, si è «salvati» e si «risorge» insieme, in una sorta di comunione cosmica.
    Le comunità religiose, come Ban Ki-moon ha evidenziato in varie occasioni, sono una risorsa insostituibile per la soluzione dei problemi ambientali. Occorre «ispirazione», anche poetica, per avere il coraggio di trasformare i modelli di produzione e consumo, ossia per trasfigurare il mondo con creatività di artista, perché la bellezza buona della natura resti specchio dell’amore paterno e materno di Dio per le tutte le sue creature.
    Per le religioni, quindi, si aprono spazi unici e non delegabili di annuncio delle verità di Dio sulla vita planetaria, e di appello per azioni coerenti e ispirate. Ma la loro efficacia dipenderà dal commitment, cioè se dentro le comunità unite dallo stesso credo e tra le religioni ci sarà unione di intenti e di azione per lavorare per il bene comune [17]. Perché la crisi ambientale delle communalities non può permettersi il lusso di disarmonie stridenti tra credenti.
    Per questo le Nazioni Unite possono offrire alle religioni opportunità per il reciproco ascolto, per elaborare posizioni comuni, per dare il buon esempio nel cooperare in pace. Si consideri come il pensiero ecologico dell’induismo, del buddismo, del confucianesimo, dello scintoismo, dell’islam, ma anche del cristianesimo, possa armonizzare sviluppo economico e difesa ambientale nell’Asia meridionale e orientale; e così pure possono farlo le religioni tradizionali in Africa.
    Di questioni anche ambientali si occupano fora religiosi nati prima dell’Onu, come il Parliament of the World’s Religions, e quelli sorti in chiave ecumenica o intrareligiosa a livello anche soltanto locale, nazionale o regionale, che cooperano con altri gruppi (di credenti o meno) su problematiche specifiche. L’Interfaith Community, diffusa ovunque e multiforme, viene ormai riconosciuta nel suo valore e nel suo ruolo. Essa è stata coinvolta a livello nazionale e internazionale in molti appuntamenti, come l’Earth Day (22 aprile) o il World Environment Day (5 giugno), o in quelli per contribuire a formulare una Global Ethics, la Earth Charter e la Charter for Compassion e i Sustainable Development Goals [18].
    In particolare, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la Risoluzione adottata il 20 ottobre 2010 (A/RES/65/5), ha istituito la World Interfaith Harmony Week, da tenersi la prima settimana di febbraio di ogni anno. La Risoluzione riconosce l’importanza delle religioni per la cultura della pace. Quella settimana, con eventi dedicati al Palazzo di Vetro, vuole favorire la mutua comprensione e il dialogo tra comunità credenti, perché si aprano alla cooperazione interreligiosa. Non è tollerabile politicamente (e moralmente) che una comunità religiosa non si relazioni in modo pacifico e costruttivo con le altre. Ne va pure della sua ortoprassi. Perché alle religioni è chiesto di contribuire radicalmente a tessere, riparare e ritessere le reti di fiducia tra gruppi sociali, senza le quali è improponibile lo «sviluppo sostenibile».
    Nel 2015, in occasione della World Interfaith Harmony Week (1-7 febbraio), a cui Ban Ki-moon ha inviato un messaggio, l’Assemblea Generale ha organizzato l’evento speciale Multi-Religious Partnership for Sustainable Development, durante il quale sono intervenuti numerosi rappresentanti religiosi, come l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu (6 febbraio) [19]. La questione ambientale era in primo piano, insieme con i drammi della povertà estrema, dell’esclusione sociale e delle guerre.
    Ma le iniziative interfaith, non soltanto all’interno della galassia onusiana, sono già state numerose e si moltiplicano sui tanti fronti dello sviluppo sostenibile: dal disarmo nucleare alle politiche minerarie [20], alla protezione degli oceani [21], alla tratta degli esseri umani [22] ecc.
    A questo proposito ricordiamo che è stato pubblicato un Report intitolato Religions and Development Post-2015, dove il sesto degli otto capitoli è dedicato all’ambiente e ai cambiamenti climatici [23].
    Vi si evidenziano anche le «minacce» che le religioni potrebbero portare allo sviluppo sostenibile, ad esempio quando favoriscono una governance politica non partecipata e non trasparente, o quando non condannano la strumentalizzazione dei sentimenti religiosi per sostenere i conflitti armati illeciti secondo il diritto internazionale.
    Ma è anche vero che molte volte il fenomeno credente (così come la fede altrui) non è ben compreso; e occorre una diffusa «alfabetizzazione » in proposito. Così l’Enciclica di Papa Francesco, tradotta in numerose lingue, si presterà anche a questo fine. Tuttavia le religioni non devono essere trattate come un tutto indifferenziato o sincretizzabile. Neppure in ambito «ecoteologico». Ad esempio, non in tutte le religioni il fenomeno del vegetarianismo è affermato nello stesso modo; la presenza del divino nella fauna e nella flora è dogmatizzato in modi molto differenziati; e la relazione profonda tra l’uomo e le altre specie animali è tematizzata in forme non sempre armonizzabili, come per la reincarnazione. Ma non c’è neppure un monopolio «ecoteologico» riconosciuto di una religione sulle altre.
    Tuttavia le differenze non rendono incompatibili gli atteggiamenti religiosi di rispetto verso ogni forma di vita. Le religioni infatti si ritrovano nel nucleo del loro discorso morale: «Tutte le tradizioni religiose affermano che la dignità intrinseca di ogni individuo è legata al bene comune di tutta l’umanità. Esse affermano la bellezza, la meraviglia, e l’intrinseca bontà del mondo naturale, e lo considerano un dono prezioso affidato alla nostra comune cura, per cui è nostro dovere morale rispettare invece di devastare il giardino che è casa nostra». Lo afferma la Declaration of Religious Leaders, Political Leaders, Business Leaders, Scientists and Development Practitioners, sottoscritta il 28 aprile in occasione del già ricordato Workshop delle Accademie Pontificie delle Scienze e delle Scienze Sociali. Ed essa appoggia, anche moralmente, gli ambiziosi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibili (Sustainable Development Goals [Sdg]) in discussione all’Onu [24].
    Con queste convinzioni teologiche e morali, comuni alle altre grandi religioni, e in sintonia con la comunità scientifica e quella diplomatica dell’Onu, si confronterà l’Enciclica sull’ecologia di Francesco. Ancora una volta si dimostrerà l’utilità pratica della Dottrina sociale della Chiesa, ben allenata a dialogare con il pensiero filosofico moderno e post-moderno, le scienze naturali e umane, il diritto, le arti e la narrativa. E soprattutto «esperta di umanità».

    NOTE

    1. Accademia Pontificia delle Scienze − Accademia Pontifica delle Scienze Sociali, «Climate Change and the Common Good. A Statement Of The Problem And The Demand For Transformative Solutions (April 29, 2015)», in www.casinapioiv.va/content/dam/accademia/pdf/statement_climate_change_common_ good%20(final).pdf
    2. J. D. Sachs, L’era dello sviluppo sostenibile, Milano, Egea, 2015.
    3. Cfr A. Annett, «Sustainable development is about decarbonization, not depopulation (May 4, 2015)», in www.commonwealmagazine.org
    4. La comunità scientifica che analizza l’ecosistema, in grande maggioranza, come le due Accademie Pontificie, certifica che entro il XXI secolo, se non si cambia strategia (globale e locale), è probabile che si superino le soglie di sicurezza anche riguardo agli altri sette «confini», tra loro strettamente correlati: l’impiego dell’acqua dolce, l’acidificazione degli oceani, la riduzione della fascia dell’ozono, i cambiamenti nell’uso del suolo, la diffusione di aerosol nell’atmosfera, il flusso del fosforo (con quello dell’azoto, inserito nella voce: cambiamenti del ciclo biogeochimico) e, non ultimo per importanza, i cambiamenti climatici (cfr D. Sachs, L’era dello sviluppo sostenibile, cit., 37-43; 185-221).
    5. Cfr la Dichiarazione Climate, Faith and Hope: Faith traditions together for a common future, in http//interfaithclimate.org/the-statement/ Cfr anche l’intervento del Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, al Summit Onu sul clima, in cui si afferma che «gli Stati hanno la responsabilità comune di proteggere il clima mondiale attraverso azioni di mitigazione, di adattamento e di condivisione delle tecnologie e del “know how”»; si dichiara pure che «la Santa Sede attribuisce grande importanza alla necessità di diffondere un’educazione alla responsabilità ecologica che cerchi anche di tutelare le condizioni morali per un’autentica ecologia umana» (www.vatican.va).
    6. Per alcune buone opzioni operative, cfr https://newclimateeconomy.report/ E sulla Corporate Sustainability, cfr www.unglobalcompact.org/
    7. www.endslavery.va/content/endslavery/en/events/protect/bankimoon.html
    8. www.casinapioiv.va/content/accademia/en/event/2015/protectearth.
    html/ Il Panel 2: Justice and Responsibility era affidato a importanti rappresentanti delle maggiori religioni. Con moderatore William Vendley, i panelists intervenuti sono stati: Rabbi David Rosen, Olaf Tveit, Metropolitan Emmanuel, Din Syamsuddin, Swamiji Theertha, Kosho Niwano (in www.youtube.com/ watch?v=pGy-EYmF8F0&feature=youtu.be). Cfr A. Annett, «Report on Vatican climate change symposium (April 30, 2015)», in www.commonwealmagazine.org
    9. Cfr nota 5.
    10. L. Larivera, «L’anno dello sviluppo sostenibile», in Civ. Catt. 2015 I 464- 474.
    11. Cfr nota 7.
    12. Cfr www.endslavery.va/content/endslavery/en/events/turkson.html/ Lo Stato del Vaticano lo sta attuando tramite impianti fotovoltaici interni, e sta finanziando la riforestazione all’esterno.
    13. Cfr D. Lang, «Ecologia», in Aggiornamenti Sociali, agosto-settembre 2014, 601-605 (con un’articolata bibliografia, in www.aggiornamentisociali.it); e l’editoriale di questo quaderno di Civ. Catt. Nell’intervento del card. Turkson, al Congresso The New Climate Economy. How Economic Growth and Sustainability can go Hand in Hand (Roma, 20 maggio 2015) si esprime, tra l’altro, l’auspicio che «d’ora in poi nella dottrina sociale cattolica, il principio della sostenibilità sia considerato alla pari con la solidarietà e la sussidiarietà» (www.iustitiaetpax.va).
    14. Sull’azione della Chiesa cattolica negli Usa, cfr www.catholicclimateco venant.org/ Per una rilettura statunitense «laica» sul ruolo della Santa Sede all’Onu, cfr https://foreignpolicy.com/2015/05/11/can-pope-francis-get-the-catholicchurchs- mind-off-of-sex/ Sempre in relazione ad alcune polemiche, in corso negli Stati Uniti, se il Papa, avvicinandosi a Ban Ki-moon e a J. Sachs, sostenga indirettamente, posizioni abortiste, cfr l’intervista all’arcivescovo Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere delle Accademie Pontificie delle Scienze e delle Scienze sociali, in https://c-fam.org/turtle_bay/vatican-prelate-blasts-critics-of-climate-conference/
    15. Per una presentazione della riflessione ecologica da parte delle 12 religioni più diffuse, cfr Alliance of Religions and Conservation (www.arcworld.org), dove si segnala che il 21 luglio prossimo, al Palazzo dell’Eliseo a Parigi, si terrà, con la partecipazione anche di esponenti religiosi e di artisti, il Summit of the Consciences for the Climate; e il lancio, dal prossimo 24 giugno, della campagna globale Why do I care, in preparazione al Summit parigino sul clima, al quale il Papa, come lo scorso anno a Lima (27 novembre 2014), invierà un messaggio. Il 1° luglio, le sei principali religioni in Francia consegneranno al presidente F. Hollande un testo comune per una risposta collettiva responsabile e coraggiosa alle sfide climatiche.
    16. Cfr p. 15 dell’intervento di J. D. Sachs, «Sustainable Development Goals for a New Era», tenuto al Joint Workshop delle Accademie pontificie delle Scienze e delle Scienze Sociali (3-6 maggio 2014) intitolato Sustainable Humanity, Sustainable Nature: Our Responsibility (www.pas/va/content/dam/accademia/pdf/es41/es41- sachs.pdf); e Id., «A Call to Virtue. Living the Gospel in the land of liberty», in America (May 18, 2015).
    17. Cfr il discorso del card. Turkson del 28 aprile scorso (nota 12).
    18. Cfr, ad esempio, The Africa Faith Leaders Position Paper Beyond Post-2015 Development Agenda, pubblicato il 2 luglio 2014 al Summit dei leader religiosi africani a Kampala (Uganda), in www.anglicannews.org/media/1390524/Faith-Leaders- Position-on-SDGs-July-2014-Final-pdf
    19. Cfr https://religionalinterfaith.org.au/interfaith/?p=373/ e l’intervento di mons. Auza del 27 marzo 2015, in www.holyseemission.org
    20. Cfr la rete Gmnr dei gesuiti per la governance delle risorse naturali e minerarie (www.ecojesuit.com).
    21. Cfr la Interfaith Ocean Ethics campaign all’interno del Franciscan Action Network (www.oceanethicscampaign.org).
    22. Cfr www.endslavery.va
    23. Cfr www.unfpa/sites/default/files/pub-pdf/DONOR-UN−FBO%20 May%202014.pdf
    24. Cfr www.casinapioiv.va/content/dam/accademia/pdf/declaration%20 (final).pdf/ È da notare che il 24 marzo scorso, al Palazzo di Vetro, la Santa Sede si è fatta portavoce anche di altre tradizioni religiose. Nella discussione sugli indicatori preliminari, presentati dalla Commissione statistica delle Nazioni Unite, da scegliere per misurare i sub-obiettivi (targets) degli Sdg, il nunzio apostolico Bernardito Auza ha dichiarato che: «Tali indicatori non devono sconvolgere l’equilibrio politico degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, né servire per imporre idee o ideologie che non trovano consenso negli esiti del Gruppo di lavoro aperto [Owg]. A tale riguardo, la mia Delegazione desidera rilevare che alcuni goals e targets vengono compresi in modo diverso in contesti culturali e religiosi differenti e quindi si tradurranno in maniera differente nelle politiche e nelle legislazioni nazionali. Riteniamo che gli indicatori debbano tener conto di tali differenze ed essere elaborati in modo da permettere ai Paesi di accertare i propri risultati in una maniera che rispecchi e rispetti i loro valori nazionali, sia coerente con le loro politiche e legislazioni nazionali» (in www.vatican.va). Mons. Auza, lo scorso 8 ottobre all’Assemblea Generale, ha pure rimarcato che il primo Sdg (sradicare la povertà estrema) è il più importante per la Santa Sede (in www.news.va).

    © La Civiltà Cattolica 2015 II 579-591 | 3960 (27 giugno 2015)


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