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    "Ecologia integrale"

    Le radici antropologiche e teologiche

    Giannino Piana

    Al concetto di "ecologia integrale" è direttamente dedicato il quarto capitolo della Laudato si' di papa Francesco, ma in realtà tale concetto, che costituisce l'idea portante attorno a cui ruota l'intero contenuto dell'enciclica, è presente trasversalmente lungo tutto il corso della stessa. La "cura della casa comune" – è questo il sottotitolo della Laudato si' – implica infatti attenzione ai vari aspetti sotto i quali la questione ecologica si presenta – da quello scientifico-tecnico a quello antropologico, da quello culturale a quello etico – e comporta, di conseguenza, adesione a una visione "integrale" dell'ambiente come realtà multiforme e polivalente, come habitat globale entro il quale l'esistenza umana si dispiega.
    Alla definizione di tale concetto (1) e delle ragioni della sua crisi (2), ma soprattutto delle radici antropologiche e teologiche da cui trae origine (3) sono dedicate queste note, le quali approderanno, infine, alla delineazione delle modalità che l'impegno etico deve assumere se intende porsi al servizio di tale integralità (4).

    1. Un concetto "ad ampio spettro"

    La considerazione da cui papa Francesco prende avvio nell'affrontare la questione ecologica è la constatazione della stretta correlazione esistente tra "questione ambientale" e "questione sociale". Ripetutamente egli infatti afferma che "ambiente umano e ambiente naturale si degradano insieme" e che

    non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale, se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale (n. 48).

    E aggiunge che oggi si deve riconoscere

    che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri (n. 49).
    Queste importanti affermazioni che costituiscono una vera "novità", almeno per il modo con cui vengono formulate, mentre fanno rientrare la questione ecologica nel quadro più ampio della questione sociale, forniscono anche a quest'ultima una nuova chiave interpretativa, quella ecologica appunto, la quale, lungi dall'essere riducibile a fattore settoriale, assurge a prospettiva attraverso la quale osservare la realtà sociale in tutti i suoi aspetti e e secondo tutte le sue dimensioni. È allora evidente – e il papa non manca di rilevarlo – che tanto l'analisi delle cause dell'attuale situazione ecologica – vi è chi parla di "crisi" e chi giunge a usare il termine "disastro" – quanto la ricerca delle soluzioni da attivare non possono prescindere dall'attenzione alle interazioni tra sistemi naturali e sistemi sociali (n. 139).
    Il concetto di "ecologia integrale" trae anzitutto qui il suo fondamento e con essa si designa un processo di crescita che si estende ai vari ambiti dell'esperienza umana: da quello familiare a quello lavorativo; da quello urbano a quello economico; da quello sociale a quello relazionale, a partire dalla relazione della persona con se stessa, in quanto questa relazione genera un modo particolare di relazionarsi con gli altri e con l'ambiente (n. 141).
    Ma l'accostamento all'ambiente, quando lo si considera nella sua globalità, non può prescindere dalla considerazione di tre altri aspetti di particolare rilevanza.
    Il primo rinvia all'intreccio esistente tra patrimonio naturale e patrimonio storico, artistico, culturale, a tutto ciò che l'uomo ha creato con la sua ingegnosità, sia per rispondere a bisogni vitali, primo fra tutti quello della sopravvivenza, sia per dilatare gli orizzonti dello spirito attraverso l'arricchimento della conoscenza e la contemplazione della bellezza. L'ambiente, inteso come habitat umano, non è riducibile alla sola "natura", la quale peraltro non si dà mai "allo stato puro", ma è frutto di processi manipolativi dovuti all'intervento trasformatore dell'uomo; include dunque il ricco patrimonio storico, artistico e culturale (n. 143). Tutti questi fattori sono infatti parte dell'identità di un territorio, che trae la sua ricchezza dall'intreccio tra beni offerti dalla natura e beni prodotti dal lavoro umano. L'integralità comporta, in questo caso, un'attenzione particolare al rispetto dell'equilibrio tra "natura" e "cultura", superando tanto il rischio della sacralizzazione della natura quanto, all'opposto, quello del riduzionismo culturale.
    Il secondo aspetto è, invece, rappresentato dalla considerazione dell'ambiente come "mondo vitale" entro il quale ha luogo lo sviluppo delle relazioni umane e si sviluppa la qualità della vita umana (n. 147). Si tratta di creare le condizioni per l'attuazione di una "ecologia della vita quotidiana". L'assenza di spazi adeguati alle esigenze di incontro tra le persone e l'anonimato sociale, provocato da contesti privi di armonia e di ampiezza, impediscono lo sviluppo di processi di integrazione e generano comportamenti antisociali e disumani che alimentano i conflitti e la violenza (n. 149). Per questo l'enciclica insiste affinché "coloro che progettano spazi pubblici e città" facciano riferimento al "contributo di diverse discipline che permettano di comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone"; e ancora, si preoccupino di mettere la loro competenza al servizio della "qualità della vita delle persone, della loro armonia con l'ambiente, e dell'incontro e dell'aiuto reciproco"; e, infine, si impegnino a far sì "che il punto di vista degli abitanti del luogo contribuisca sempre all'analisi della pianificazione urbanistica" (n. 150). L'intervento della società deve inoltre allargarsi alla cura degli spazi pubblici, all'integrazione dei quartieri disagiati, alla politica dei trasporti e dei servizi sociali: fattori tutti che hanno a che fare con lo sviluppo di una forma di convivenza, in cui la crescita del senso dell'appartenenza fa "percepire gli altri come parte di un 'noi' che costruiamo insieme" (n. 151).
    Il terzo aspetto è costituito dalla inseparabilità dell'ecologia integrale" dalla nozione di "bene comune" (n. 156). Ad essere chiamata in causa è qui la giustizia sociale, la quale presuppone attenzione a una corretta distribuzione della ricchezza, che prenda avvio dal riconoscimento della comune destinazione dei beni della terra e favorisca lo sviluppo di una forma di solidarietà, che assuma come criterio valutativo delle scelte sociali la scelta preferenziale dei poveri (nn. 157-158). Inoltre – anche questo va sottolineato con forza – occorre estendere il concetto di "bene comune" oltre i confini del presente per aprirsi al futuro. Gli effetti delle trasformazioni ambientali provocate dai mezzi offerti dal progresso scientifico-tecnologico si ripercuotono infatti a distanza con ricadute sulla vita delle generazioni future. È allora necessario fare propria una prospettiva diacronica, fondata sull'impegno a consegnare a coloro che verranno un mondo abitabile (n. 159).

    2. Le ragioni della crisi

    Al modello di "ecologia integrale" fin qui delineato non sembra corrispondere il modello di sviluppo che si è imposto a partire dalla rivoluzione industriale e dall'avvento del capitalismo. Le ragioni di questo divario sono riconducibili a fattori di carattere socioculturale che meritano di essere evidenziati, se si vuole procedere a un reale cambiamento.
    Ad esercitare un ruolo di primo piano nell'elaborazione dell'odierno modello di sviluppo è anzitutto quello che papa Francesco definisce come il "paradigma tecnocratico"; un paradigma quantitativo i cui presupposti sono la considerazione della "natura" come realtà totalmente disponibile all'intervento manipolativo dell'uomo e la convinzione che esista in essa una quantità illimitata di risorse alle quali attingere. Il che rende plausibile l'esercizio di un dominio incondizionato su di essa, volto ad ottenere un sempre maggiore quantitativo di beni, in vista della soddisfazione di sempre nuove esigenze, con la presunzione che si dia una perfetta coincidenza tra sviluppo tecnico e crescita umana (nn. 106-108).
    Questo paradigma viene in primo luogo applicato in campo economico, dove profitto e mercato divengono il metro di misura della bontà dell'agire, senza alcuna attenzione alle conseguenze negative sulla vita personale e sociale e sull'ambiente che viene considerato come un contenitore di risorse da sfruttare (n. 109). La conoscenza assume pertanto un significato del tutto strumentale; viene cioè identificata con la possibilità di intervenire sulla realtà naturale in ragione di una volontà di potenza illimitata con le conseguenze devastanti già ricordate.
    La Laudato si' non manca di denunciare questo stato di cose, ponendo con forza l'accento sullo condizione di alienazione già presente e sulle allarmanti prospettive per il futuro.

    Le previsioni catastrofiche – si legge – ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell'ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni (n. 161).

    A giustificare questo atteggiamento è l'affermarsi di una sorta di illuminismo tecnologico che non fa assolutamente i conti con i limiti e l'ambivalenza della tecnica; ma presume, invece, che essa sia in grado di risolvere tutti i problemi ambientali e umani (n. 109). La crisi è pertanto una crisi etica, poiché i criteri valoriali propri della valutazione morale vengono sostituiti dalla adesione alle logiche dell'efficienza e dell'utile immediato, e persino dalla ricerca egoistica di soddisfare i propri bisogni senza alcuna attenzione a quelli degli altri, in particolare delle generazioni future (n. 162). Ad avere il sopravvento è, in definitiva, una forma di relativismo per il quale "tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati" (n. 122). Infatti, osserva l'enciclica,

    quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare (n. 123).

    3. Le radici antropologiche e teologiche

    Le conseguenze di questa interpretazione della realtà sono diverse. La più evidente (e preoccupante) è il farsi strada di una "concezione errata della relazione dell'essere umano con il mondo" (n. 116); è, in altri termini, l'incapacità "a riconoscere il messaggio che la natura porta inscritto nelle sue stesse strutture" (n. 117).
    La questione ecologica rinvia pertanto alla necessità di fare spazio a una adeguata antropologia. In questo contesto assume particolare rilievo il contributo della rivelazione biblica. È anzitutto importante sfatare, al riguardo, l'accusa rivolta al pensiero ebraico-cristiano di avere favorito, attraverso l'invito a soggiogare la terra (cfr. Gen 1, 28), lo sfruttamento selvaggio della natura. In realtà, la teologia dell'alleanza, che è alla base degli stessi racconti della creazione, concepisce il mondo creato, nel suo insieme, come un "tessuto relazionale", dove le tre relazioni fondamentali – con Dio, con il prossimo e con la terra – sono strettamente interconnesse (n. 66). Il fondamento di questa relazionalità sta nella considerazione che per la tradizione cristiana la "natura" assegna ad ogni creatura un valore proprio, in quanto direttamente voluta dal Creatore (n. 76).

    3.1. Il piano creazionale
    La creazione è atto che risale originariamente all'intervento divino e insieme processo che sta all'uomo proseguire; uscito dalle mani di Dio il mondo è affidato alle mani e alla responsabilità dell'uomo perché porti a compimento ciò che Dio ha inaugurato. Questo concetto dinamico di creazione che fa di essa un atto aperto, rende chiaramente trasparente il rapporto che deve instaurarsi tra l'uomo e la natura; un rapporto che è ben espresso dai verbi "coltivare" e "custodire" il giardino (Gen 2, 15).

    Mentre "coltivare" – osserva infatti la Laudato si' – significa arare o lavorare un terreno, "custodire" vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura (n. 67).

    La stretta connessione esistente tra i due verbi mette bene a fuoco l'esigenza di superare sia la tentazione della sacralizzazione della natura sia quella opposta della sua radicale demitizzazione. Si tratta, in altri termini, di abbandonare il fissismo naturalistico senza incorrere nel riduzionismo culturale, che nega la possibilità di istituire qualsiasi limite all'intervento umano.

    3.2. Il concetto di "responsabilità"
    Il concetto che diviene centrale e che fornisce un'interpretazione corretta dell'idea di "ecologia integrale" è allora quello di "responsabilità". Il suo esercizio presuppone il riconoscimento "che gli altri esseri viventi hanno un valore proprio di fronte a Dio" e che è necessario si rispettino "le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo" (n. 68). Anche in questo caso, tuttavia, l'accento è posto sulla unità che lega tra loro custodia del creato e impegno per la giustizia nelle relazioni sociali.
    L'istituzione dello Shabbat, l'anno sabbatico e il giubileo sono altrettante testimonianze di questa unità. Il riposo concesso alla terra si accompagna infatti in queste esperienze alla redistribuzione di essa ai suoi abitanti, nel doveroso riconoscimento che essa appartiene a tutto il popolo (n. 71). recologia integrale" implica dunque la stretta interdipendenza delle varie realtà che costituiscono l'universo nella consapevolezza che ogni essere vivente ha un suo ruolo in esso e che

    lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune (n. 83).

    3.3. L'evento cristologico
    L'ingresso di Gesù nella storia umana e l'instaurarsi in essa del regno conferma la prospettiva fin qui delineata e sollecita ulteriormente l'impegno responsabile dell'uomo. Il "farsi carne" (sarx) del Figlio di Dio implica l'assunzione del tempo e dello spazio con le loro connaturali limitazioni, il suo farsi "storia" e "natura", assumendo pienamente la condizione umana. L'azione redentiva acquista così il significato di liberazione dell'umanità e del cosmo; liberazione integrale che coinvolge dunque l'intera realtà creata. La continuità tra uomo e natura, che si istituisce attraverso la mediazione del corpo (o della "carne") – il corpo è ciò attraverso cui l'uomo entra a far parte della natura e la natura diviene partecipe della realtà umana – dà luogo a una lettura globale del mistero pasquale, la cui portata assume una dimensione universalistica, così da comportare l'estendersi della salvezza fino alla fine dei tempi e fino ai confini della terra.
    Gesù non ha mancato di ricordare queste relazioni anche nei dialoghi con i suoi discepoli, invitandoli a "riconoscere la relazione paterna che Dio ha con tutte le creature" e ricordando loro "come ciascuna di esse è importante ai suoi occhi (Lc 12, 6; Mt 6, 26)" (n. 96). Prendendo le distanze dalle filosofie che disprezzano la materia e il corpo, egli è vissuto in armonia con la creazione, di cui conosceva le leggi e dominava i fenomeni naturali (Mt 8, 27). In lui è dunque assunta e trasformata l'intera creazione, alla quale è assegnato un destino eterno al di sotto della signoria universale del Signore (nn. 98-100).

    3.4. Nel segno della bellezza
    L'"ecologia integrale" implica pertanto uno sguardo nuovo gettato sul mondo. Implica, in altre parole, una profonda conversione interiore, con l'assunzione di una serie di atteggiamenti, che vanno dalla gratitudine, per il riconoscimento che il mondo è un dono ricevuto, alla consapevolezza di essere legati strettamente a tutte le altre creature, in quanto parte di una comunione universale. Implica, infine, l'acquisizione di un'ottica contemplativa capace di rendere trasparente la profondità del reale (nn. 216-220).
    Il creato non ci è dato infatti soltanto come un contenitore di risorse da cui ricavare beni che sostentano la vita materiale, ma anche (e soprattutto) come realtà da contemplare per il nostro arricchimento interiore. La percezione di questo alto significato è resa possibile anzitutto dalla disponibilità ad uscire da un modo di leggere la realtà creata in un'ottica meramente efficientista ed utilitarista per fare spazio alla dimensione del "mistero". Si tratta di riconoscere – come ci ricorda la Laudato si' – che

    il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode (n. 12).
    L'etica ecologica trae da questo modo di agire sulla realtà il suo senso più profondo (n. 210).

    Se noi ci accostiamo alla natura e all'ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia – osserva papa Francesco – se non parliamo il linguaggio della fraternità e della bellezza della nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea (n. 11).

    Nella visione cristiana dell'esistenza questo comporta la disponibilità a scoprire l'azione di Dio in tutte le cose, sperimentando il profondo legame che le unisce tra loro e che rinvia alla loro sorgente, il Dio creatore e autore della salvezza. La spiritualità cristiana ci sollecita infatti al rendimento di grazia, che ha nell'Eucaristia il suo suggello: in essa il creato è assunto, nella sua materialità, e diventa oggetto di un processo di divinizzazione che coinvolge l'intera realtà (n. 236). La domenica, in cui l'Eucaristia viene celebrata, aiuta l'uomo a ricuperare, anche grazie al riposo, la dimensione ricettiva e gratuita, abbandonando la tendenza a un vuoto attivismo, che conduce allo svuotamento del proprio mondo interiore.

    Il riposo – osserva la Laudato si' – è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno del riposo, il cui centro è l'Eucaristia, diffonde la sua luce sull'intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri (n. 237).

    La dimensione contemplativa si nutre, oltre che della percezione del "mistero", dell'apertura alla bellezza come forma di accostamento alla realtà che trascende i livelli, pur importanti, della ricerca della verità e dell'impegno per il bene. Il bello trasfigura la conoscenza e l'azione, proiettando lo sguardo costantemente "oltre", impedendo che ci si chiuda entro schemi predefiniti e che si ritenga di spiegare tutto attraverso paradigmi razionali o esperienziali. La bellezza invita ad accostarsi alla realtà con gli occhi stupefatti di chi sa cogliere in essa le orme di una Presenza indefinibile e non raffigurabile.

    4. Le diverse forme di impegno

    L'"ecologia integrale" deve tradursi nell'esercizio di una serie di impegni, che mettano continuamente in relazione "questione ambientale" e "questione sociale", creando condizioni di liberazione integrale. I campi di azione sono, al riguardo, diversi. Ci limitiamo a segnalare qui quelli più importanti, non senza richiamare l'attenzione sul fatto che oggi, soprattutto in ragione della situazione di interdipendenza dovuta alla globalizzazione, la prospettiva non può che essere universalistica; che occorre, in altre parole, "concepire il pianeta come patria e l'umanità come popolo che abita una casa comune" (n. 164).

    4.1. L'azione economico-sociale e politica
    A dover essere, anzitutto, ripensato e ridefinito è il modello economico. La crisi finanziaria, che ha avuto inizio nel 2007, non aveva (e non ha) carattere congiunturale ma strutturale e obbliga pertanto – il che non è finora purtroppo avvenuto – a rivedere e a riformare l'intero sistema. A diventare necessario è un nuovo modello di sviluppo, che non si limiti a valutare la situazione in un'ottica quantitativa, rispondendo ai criteri del mercato, della rendita e del profitto, ma si preoccupi del rispetto dell'ambiente e dell'uso parsimonioso delle risorse e si impegni, nel contempo, a determinare una equa ripartizione delle risorse, privilegiando i bisogni dei più poveri.
    Il concetto di "sviluppo sostenibile" non può essere ridotto alla semplice attenzione alla questione ambientale (ecosostenibilità): deve estendersi anche ai rapporti sociali da gestire nel rispetto della giustizia distributiva (equisostenibilità). Quando il criterio dominante (o esclusivo) è la massimizzazione della produttività e del profitto, nonvi è posto per pensare ai ritmi della natura, alla complessità degli ecosistemi e alla biodiversità; ma non vi è neppure posto per rispondere all'esigenza di integrazione delle categorie più fragili e più povere (nn. 189-196).
    In questo contesto, acquisisce tutto il suo valore la politica, dalla quale l'economia non può prescindere, e che deve rivendicare la sua piena autonomia da essa.

    Abbiamo bisogno – si legge nella Laudato si' – di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale... Se la politica non è capace di rompere una logica perversa, e inoltre resta inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi problemi dell'umanità (n. 197).

    Per fare questo occorre uscire dalla assolutizzazione dello Stato-nazione per fare spazio a forme di collaborazione allargata, che consentano di stabilire percorsi concordati e quadri regolatori globali, accordandosi sui regimi di governance per affrontare una gamma assai vasta di beni comuni globali (nn. 173-174). Irrinunciabile diviene allora lo sviluppo di istituzioni internazionali, che sappiano supplire alla debolezza dei singoli Stati (n. 175).
    Il principio ispiratore di tale politica, che è il "bene comune", assume oggi connotati nuovi, riconducibili al rispetto di quattro condizioni, che meritano di essere elencate.
    La prima è l'attenzione al bene delle generazioni future. Non è sufficiente tenere conto soltanto dell'umanità presente avendo di mira la crescita integrale di tutte le persone esistenti (prospettiva sincronica); è necessario aprirsi all'interesse di coloro che verranno, ai quali occorre consegnare un mondo abitabile (prospettiva diacronica). Non si può infatti parlare di sviluppo sostenibile senza una vera solidarietà tra le generazioni, dimenticando che la terra che abbiamo ricevuto in eredità appartiene anche a coloro che verranno (n. 159).
    La seconda condizione è costituita dal rispetto delle altre specie con la capacità di leggere il messaggio scritto nelle strutture della natura e il conseguente esercizio di una responsabilità allargata, che va dall'attenzione a non violare equilibri tra ecosistemi vitali fino alla protezione della biodiversità e al rifiuto di ogni forma di maltrattamento nei confronti degli animali. Il profondo legame tra tutti gli esseri viventi, a cui si è fatto ripetutamente riferimento – legame che va fatto risalire alla loro origine comune, la creazione – esige che si coltivi un sentimento di unione con tutti gli esseri della natura nel riconoscimento del loro proprio statuto.
    La terza condizione coincide con la difesa delle diversità culturali e il riconoscimento dei diritti delle culture. Purtroppo la tentazione oggi ricorrente è a rendere del tutto omogenee le culture cancellandone le differenze e indebolendo la varietà culturale, che costituisce un patrimonio fondamentale dell'umanità. Il bene comune esige la tutela e la promozione dei diritti dei popoli e delle culture, e richiede pertanto che ogni trasformazione ambientale e sociale avvenga facendo spazio al protagonismo degli attori sociali, nel rispetto della propria tradizione culturale. La promozione dei diritti culturali implica un profondo rinnovamento di coscienza, ma esige anche l'allestimento di strutture adeguate che consentano, in una società divenuta ormai multiculturale, la piena espressione delle tradizioni delle diverse culture anche mediante la creazione di appositi spazi pubblici (n. 144).
    Infine, la quarta (e ultima) condizione è rappresentata dal rispetto del paesaggio e, in senso più specifico, dal rispetto del rapporto tra ambiente naturale e ambiente umano.

    Ogni intervento nel paesaggio urbano o rurale – si legge nell'enciclica –dovrebbe considerare come i diversi elementi del luogo formino un tutto che è percepito dagli abitanti come un quadro coerente con la sua ricchezza di significati. In tal modo gli altri cessano di essere estranei e li si può percepire come parte di un "noi" che costruiamo insieme. Per questa stessa ragione, sia nell'ambiente urbano sia in quello rurale, è opportuno preservare alcuni spazi nei quali si evitino interventi umani che li modifichino continuamente (n. 151).

    Ancora una volta vi è qui la saldatura tra rispetto della natura (e in questo caso anche della sua bellezza) e promozione della qualità della vita; saldatura che rende evidente la responsabilità umana sia verso l'ambiente da salvaguardare che verso l'uomo da promuovere nella sua piena dignità.

    4.2 Il cambiamento degli stili di vita personali
    All'impegno per il cambiamento del sistema economico e politico deve tuttavia affiancarsi lo sforzo da parte di ogni persona di cambiare il proprio stile di vita, nella consapevolezza che tale cambiamento è in grado di "esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale" (n. 206). Si tratta di acquisire una sempre maggiore sensibilità ecologica, che si traduca in scelte calate nella vita quotidiana e ispirate alla sobrietà.

    L'educazione alla responsabilità ambientale – osserva la Laudato si' – può incoraggiare vari comportamenti che hanno un'incidenza diretta e importante nella cura per l'ambiente, come evitare l'uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere luci inutili, e così via (n. 211).

    La spinta costante al consumo produce ansia ed impedisce l'apprezzamento vero delle cose. La sobrietà è invece liberante e conduce alla felicità, alla quale ci si apre nella misura in cui si reagisce ad alcuni bisogni indotti dalla pressione sociale per rendersi disponibili alle cose che contano, in primis ai beni relazionali, che favoriscono la possibilità di migliorare la qualità della vita.
    Tutto questo rifluisce per chi crede nel fare proprio un atteggiamento ispirato al "rendimento di grazie". La bellezza del creato ci rende consapevoli della grandezza del Creatore, e ci stimola a fare della vita una permanente celebrazione eucaristica, dove gli eventi quotidiani e le cose vengono assunti e trasfigurati grazie all'azione dello Spirito. E dove questa trasfigurazione che anticipa la gioia della piena comunione celeste ci sollecita ad invocare a gran voce: "Vieni, Signore Gesù!".

    (Itinerari 4/2016, pp. 31-43)


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