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    Le tracce di Dio

    nel creato

    Per una spiritualità ecologica

    Bruno Forte 

    Creato per un atto di puro amore, conservato in essere per il costante attuarsi della donazione originaria, l’universo - nella concezione teologica cristiana - “dimora” nel mistero di Dio, Trinità Santa. Certamente, il Creatore è e resta sovrano e trascendente rispetto alle creature: non di meno, però, queste ricevono esistenza, energia e vita in ogni istante da Lui, per mezzo del Verbo, mediante il quale e in vista del quale furono create, e nella potenza dello Spirito, che le unisce all’eterna Sorgente dell’essere e le mantiene da essa distinte, come termine altro dal Donatore del sempre nuovo dono dell’amore creante. Dio Trinità è il mistero del mondo, perché ne è al tempo stesso e inseparabilmente l’origine, il grembo e la patria, l’eterna provenienza, l’eterno “spazio” dell’avvento e l’eterno avvenire, meta e ultimo senso di tutto ciò che esiste. La grande “casa” del mondo rimanda così alla sua “casa” trascendente, intima ad ogni cosa più che ogni cosa a se stessa: la “responsabilità ecologica”, che la creatura libera e consapevole è chiamata ad avere verso ciascuna delle creature di Dio e verso l’insieme della “casa”, che è il mondo, si radica propriamente in una “spiritualità ecologica”, nel rapporto cioè alla divina “casa” dell’universo creato, che è la Trinità trascendente, al tempo stesso rivelata e nascosta in tutto ciò che esiste.

    La Trinità, “dimora” santa del mondo rivelata pienamente a Pasqua, fonda quest’etica e questa spiritualità ecologiche in quanto manifesta il fine cui deve tendere ogni agire creato e traccia la via per pervenirvi. Il fine del creato non può essere altro che quello dell’atto creatore: la gratuità dell’amore, la pura, diffusiva bellezza d’amare. Il mondo creato per amore è destinato a realizzare la pienezza dell’amore: la gratuità che ne è l’origine, ne è non di meno la patria. Il Dio dell’inizio è il Dio del compimento, quando Egli sarà tutto in tutti e l’universo, dimorante in Lui, sarà senza residui la Sua dimora. Questo fine è quanto il linguaggio della tradizione ebraico cristiana chiama la gloria di Dio: il termine dice la potenza e lo splendore dell’Altissimo, il Suo comunicarsi gratuito e creatore alle creature, e, da parte di queste, il riconoscimento accogliente della donazione, l’autodestinarsi recettivo a Colui, che liberamente e per amore si è autodestinato ad esse. Il fine ultimo cui tende l’essere e l’agire di ogni creatura coincide con quello che ha spinto il Creatore a creare: l’amore, in quanto donato e ricevuto. Un comportamento ispirato ad un’etica e ad una spiritualità ecologiche non tenderà ad altro che a celebrare la gloria del Dio vivente, ad accogliere cioè il Suo amore creatore nell’atto sempre nuovo della donazione dell’esistenza, dell’energia e della vita, ed a rispondere al dono col dono, all’amore creatore con l’amore creato.

    La forma in cui si concretizzano quest’etica e questa spiritualità ecologiche è segnata dalla partecipazione dell’agire creato al mistero dell’agire eterno: come il divino evento dell’amore si compie nel gioco dell’Amante, dell’Amato e dell’Amore personale, che li unisce e li apre al dono di sé, così per l’atto della gratuita partecipazione dell’essere e della vita da parte del Dio vivente la persona umana celebra la gloria della Trinità attraverso una provenienza, una venuta e un avvenire, un’iniziativa, un’accoglienza e un incontro, che segnano il suo rapporto con l’universo creato e con la profondità divina del suo mistero. La gloria del Padre viene ad essere così celebrata nella creazione come dono accolto gratuitamente e gratuitamente restituito per il Figlio nello Spirito Santo. Il dinamismo ultimo dell’etica della responsabilità ecologica e della spiritualità in cui essa si radica è quello suscitato ed espresso dal mistero della liturgia: “A Patre per Filium in Spiritu Sancto ad Patrem” [1]. Perciò l’eucaristia è il denso compendio di ogni vero rapporto fra la creatura umana, il creato e il Creatore, fino al tempo in cui l’umanità stessa diventerà oblazione accetta a Dio: “Un pegno di questa speranza e un viatico per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede nel quale degli elementi naturali coltivati dall’uomo vengono tramutati nel corpo e nel sangue glorioso di Lui, come banchetto di comunione fraterna e pregustazione del convito del cielo” [2].

    La spiritualità e l’etica ecologiche vivono anzitutto di una “provenienza”, che riflette l’iniziativa dell’amore fontale del Padre: il rapporto dell’uomo col creato ne risulta caratterizzato da una certa partecipazione alla stessa azione creatrice di Dio, in cui viene a consistere propriamente ciò che è chiamato lavoro [3]. Esso stabilisce fra la persona umana e il mondo una relazione di trasformazione e di finalizzazione, chiamata a riflettere in sé la gratuità dell’azione creatrice del Padre, e che perciò non deve però essere di semplice strumentalizzazione e sfruttamento. Il lavoro richiede allora il rispetto delle cose create nella loro autonomia propria e nella loro finalizzazione generale al progetto di Dio: questa relazione, che coordina l’iniziativa operosa della creatura umana con la dignità e il destino proprio di ciascuna realtà creata, è stata espressa nella tradizione cristiana nella sua forma forse più alta dalla spiritualità della “organizzazione” benedettina. Il lavoro scandisce la giornata del monaco come una componente necessaria della sua vocazione alla glorificazione di Dio [4], ed entra armonicamente nel ritmo del tempo qualificato dalla lode dell’Altissimo, inserendovi la natura con i suoi cicli e le sue stagioni. L’interiorità del tempo si salda così all’esteriorità dello spazio in un processo vitale, che è al tempo stesso gloria dell’Eterno e realizzazione del creato in comunione con la persona umana e la comunità degli uomini, non nonostante, ma attraverso le trasformazioni che il lavoro introduce nei ritmi della natura. Vivificato dalla preghiera di lode e di intercessione, finalizzato al solo necessario, questo lavoro rende l’uomo con creatore con Dio: l’“opus hominis” diviene l’“opus Dei”.

    La spiritualità e l’etica ecologicamente responsabili vivono quindi di una “venuta”, che è riflesso nel tempo dell’eterno ricevere del Figlio, l’Amato: il rapporto fra la persona umana e il creato ne risulta caratterizzato da una relazione di rispetto profondo verso tutto ciò che esiste, di accoglienza obbediente della dignità e della ricchezza di essere di ogni creatura. Questo rapporto, fatto di sobrietà e di spirito di povertà, di attenzione e di ascolto discreto, riconosce ed accoglie in ogni realtà creata l’evento della donazione da parte del Creatore, che in essa si compie, il miracolo, sempre nuovo e sorprendente, dell’atto di essere. Perciò questo rapporto può essere caratterizzato con la categoria, propria della tradizione spirituale, della reverentia.

    Essa può essere illustrata con le riflessioni della Contemplazione per ottenere l’amore, con cui si chiudono gli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola: “Il primo punto è richiamare alla memoria i benefici ricevuti di creazione, redenzione e doni particolari... Il secondo è osservare come Dio abita nelle creature: negli elementi, dando l’essere; nelle piante, facendole vegetare; negli animali, facendo sentire; negli uomini, dando l’intendere; e così in me, dandomi l’essere, la vita, i sensi e facendomi intendere... Il terzo è considerare come Dio opera e lavora per me in tutte le cose create sulla faccia della terra, si comporta, cioè, come uno che lavora: così, per esempio, nei cieli, negli elementi, nelle piante, nei frutti, negli armenti... dando l’essere, conservando, facendo vegetare, sentire... Il quarto è osservare come tutti i beni e i doni discendono dall’alto: come la mia limitata potenza dalla somma e infinita di lassù; e così la giustizia, la bontà, la pietà, la misericordia... così come dal sole scendono i raggi, dalla fonte le acque...” [5].

    La memoria grata delle meraviglie di Dio, compiute nel tempo e nello spazio, nell’uomo e in tutte le creature, induce al riconoscimento dei doni attuali che il Creatore compie nell’universo creato, rendendo la persona attenta al loro discernimento e alla loro accoglienza umile e grata. Lo stupore e la meraviglia dinanzi all’evento sempre nuovo dell’amore, che è l’evento dell’essere in ogni creatura, divengono spirito di azione di grazie, povertà recettiva del dono, rispetto e delicatezza verso tutto ciò che esiste. Il puro riflesso del Cristo, l’Amato accogliente fatto carne nell’obbedienza filiale, risplende allora nel santo, che vive così in armonia con tutto il creato: “Il santo lascia percepire, nei riguardi di ogni essere umano, un comportamento pieno di delicatezza, di trasparenza, di purezza nel pensiero e nei sentimenti. La sua delicatezza si estende anche agli animali e alle cose, perché in ogni creatura egli vede un dono dell’amore di Dio, e non vuole che questo amore sia ferito, trattando questi doni con negligenza o indifferenza. Egli rispetta ogni uomo e ogni cosa. Se un uomo soffre, o anche un animale, manifesta ad essi una compassione profonda” [6].

    La spiritualità e l’etica ecologicamente responsabili vivono infine di un “avvenire”: esse si realizzano in un continuo e sempre nuovo incontro fra iniziativa e accoglienza, fra lavoro e recettività riverente, che riflette nel rapporto fra l’uomo e il creato l’opera che lo Spirito Santo compie nell’eterno mistero di Dio. Come il Paraclito è l’estasi e la pace dell’Amante e dell’Amato, la loro apertura generosa nel dono e la loro unità nella comunione dell’Amore, così Egli partecipa all’uomo nel suo agire verso l’universo creato una capacità “estatica” e “comunionale”. La persona umana vive il dinamismo dell’estasi nel suo rapporto con la creazione quando anticipa in essa il futuro promesso della Patria nella forma della festa: solo l’uomo è in grado di pregustare e di far pregustare a tutte le creature del suo ambiente vitale la domenica della vita, il giorno della nuova creazione, in cui è anticipata e promessa all’intero creato la bellezza della festa senza fine del Dio tutto in tutti. L’ottavo giorno, il giorno della resurrezione del Crocefisso nella potenza dello Spirito di santificazione (cf. Rm 1,4), è pegno nutriente della domenica senza tramonto della definitiva creazione rinnovata. Celebrare il giorno del Signore è allora esigenza profonda di una spiritualità ecologica, che alla festa dell’uomo col suo Dio invita l’universo intero, nel superamento delle lacerazioni antiche, nel rinnovamento dei rapporti fra uomini, animali e cose, nel coraggio di nuovi inizi conformi al disegno dell’Altissimo. L’avvenire di Dio viene così a prendere corpo nel presente del mondo e i giorni feriali vengono illuminati e redenti dal giorno della festa, pegno e anticipazione del domani dell’universo totalmente partecipe della nuova creazione nella Trinità.

    Lo Spirito partecipa alla creatura umana nel suo rapporto con l’universo creato anche la Sua forza di unità e di riconciliazione: grazie all’azione del Paraclito l’uomo può tessere vincoli di comunione e di pace con tutte le creature. Un segno e uno strumento di queste relazioni rinnovate è il riposo: esso non è la semplice cessazione delle attività produttive, ma la rigenerazione di tutti i rapporti, il tempo in cui tutto è visto e trasfigurato nella prospettiva dello shalom biblico, della creazione unificata in Dio. Nulla illumina meglio il senso teologico e spirituale del riposo che la concezione ebraica del sabato, il giorno della menuchà, del riposo di Dio (cf. Gen 2,2 ed Es 20,11): “Lungo tutto l’arco della settimana siamo sollecitati a santificare la nostra vita impiegando le ore dello spazio. Nel giorno del sabato ci è dato di partecipare alla santità che è nel cuore del tempo. Anche quando l’anima è indurita, anche quando dalla nostra gola rinsecchita non esce alcuna preghiera, il riposo pulito e silenzioso del sabato ci conduce a un regno di infinita pace, o alla fonte di consapevolezza di ciò che significa l’eternità... L’eternità esprime un giorno” [7]. La pace sabbatica è compimento del lavoro umano come riflesso del compimento del lavoro del Creatore, è riposo come riconciliazione del mondo e dell’uomo in Dio, è esperienza rigenerante dell’eternità nel tempo, è sguardo retrospettivo che si tuffa nella serena e riconciliante memoria del Santo. Il sabato è l’ultimo giorno, come la domenica è il primo: il sabato è il tempo sacro del riposo dell’uomo e della creazione, come la domenica è l’ora di grazia del nuovo inizio del mondo, la festa della creazione rinnovata. “Se il Sabato israelitico è prevalentemente giornata dedicata al ricordo e al ringraziamento, la festa cristiana della risurrezione è soprattutto giorno di inizio e di speranza” [8]: perciò, lungi dall’opporsi, l’uno rinvierà all’altro, senza eliminarne la bellezza ed il significato. Il “settimo giorno” sta all’”ottavo” come il riposo alla festa: il compimento vissuto e gustato nell’uno si coniuga al nuovo inizio celebrato nell’altra.

    Un esempio vivente della capacità di realizzare la relazione della persona umana col creato riconosciuto come Santuario di Dio nell’unità del riposo e della festa, del compimento e del nuovo inizio, è la spiritualità francescana della “custodia”: essa è ispirata ad un rapporto di profonda armonia, di pace e di gioia con l’universo intero, dagli esseri inanimati, agli animali, alle creature spirituali, ma è anche carica della tensione anticipatrice della creazione rinnovata. Francesco nel suo “Cantico delle creature” loda l’Altissimo “cum tucte le creature”, e “per” loro, cioè inseparabilmente con esse, a ragione di loro e attraverso loro, in un legame di comunione e di solidarietà col creato, che, mentre rende grazie per il dono che in esso si è già compiuto, si apre alla Trascendenza inesauribile dell’Eterno e alla nuova creazione in essa promessa. “Custodire” il creato è allora al tempo stesso vivere la pace del riposo sabbatico in solidarietà con esso, e aprirsi a ragione di esso e mediante esso alla festa della donazione sempre nuova del Creatore in spirito di “perfetta letizia”. Francesco unisce la spiritualità del sabato all’esperienza gioiosa del giorno del Risorto: “Attribuiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie perché procedono da Lui. E lo stesso altissimo e sommo solo vero Dio abbia, e gli siano resi, ed Egli stesso riceva tutti gli onori e l’adorazione, tutta la lode e tutte le benedizioni, ogni rendimento di grazie e ogni gloria, poiché ogni bene è suo ed Egli solo è buono” [9].

    Benedetto, Ignazio, Francesco offrono così tre modelli eloquenti delle attitudini fondamentali che costituiscono l’etica e la spiritualità ecologiche radicate nella fede trinitaria: lavoro e riverente accoglienza, riposo nella pace del compimento e festa nella gioia del nuovo inizio accomunano l’uomo e il creato in uno stesso rapporto di amore, che partecipa della donazione originaria e sempre nuova dell’amore creativo dei Tre, e celebra, nella responsabilità verso la grande “casa” del mondo, riconosciuta come Santuario di Dio, la gloria della Trinità, “dimora” trascendente e santa di tutto ciò che esiste. 

    NOTE   

    1 Cf. C. Vagaggini, Il senso teologico della liturgia, Paoline, Roma 1965 (IV edizione riveduta), specie cap. VII, 196ss.
    2 Cf. Concilio Vaticano II, Costituzione Gaudium et spes, 38.
    3 Cf. ib., 34. Cf. anche l'Enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II (1981).
    4 Cf. S. Benedetto, La Regola, Testo, versione e commento a cura di A. Lentini, Montecassino 1980², cap. 48, 418ss.
    5 S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, IV Settimana, Contemplatio ad obtinendum amorem.
    6 D. Staniloae, La preghiera di Gesù e lo Spirito Santo, Città Nuova, Roma 1988, 23.
    7 A. Heschel, Il Sabato, Rusconi, Milano 1987, 163.
    8 J. Moltmann, Dio nella creazione, Queriniana, Brescia 1986, 339.
    9 Regola non bollata (1221), 17,17ss.: 49. Cf. C.B. Del Zotto, Creato, in Dizionario Francescano, Padova 1983, 279 299.

    (Convegno della Pastorale del Turismo su “Etica e biodiversità”, Fara San Martino, Chieti, 11 Aprile 2011)   


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