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    Il sistema di valori della cultura giovanile


     

    Per un approccio di ecologia mentale

    Mario Pollo

    (NPG 1980-7-17)


    COME PARLARE DI GIOVANI E VALORI

    Molti osservatori rimangono sconcertati osservando i valori che la cultura giovanile esprime non riuscendo a cogliere alcun nesso sistematico che dia loro coerenza e quindi li unifichi in un sistema. Questo sconcerto si traduce solitamente nell'affermazione che i valori dei giovani sono un aggregato alquanto incoerente. Tuttavia, a mio avviso, la mancanza di apparente coerenza dei valori giovanili non autorizza, sic et simpliciter, la negazione che essi costituiscono un sistema. Il problema semmai è un altro e cioè l'identificazione delle caratteristiche e della funzionalità di un tal sistema. Secondo le classiche definizioni della teoria dei sistemi, un sistema è un insieme di unità tra loro interagenti. Un sistema di valori è quindi dato dai singoli valori che lo costituiscono o dalle relazioni che esistono tra di essi.

    Valori e mobilità ideologica-culturale

    Il primo valore da prendere in considerazione è quello che garantisce l'unità e l'integrazione del sistema, e cioè quello che in un mio articolo [1] di un paio di anni fa ho denominato «mobilità ideologica-culturale» che, pur avendo ampi punti di contatto e convergenza con la incoerenza, non ne è affatto un sinonimo.
    Con essa intendo essenzialmente due cose. La prima è la capacità che il gruppo sociale e l'individuo hanno di far convivere in un sistema eclettico e particolare valori tra loro non omogenei ed addirittura antagonisti. La seconda è data dalla estrema intercambiabilità reciproca dei valori, e cioè la possibilità per il gruppo sociale di sostituire rapidamente, attraverso passaggi successivi, nel tempo i valori con altri a volte estremamente diversi o addirittura opposti.
    La mobilità assicura l'unità non perché riesce laddove ogni genio logico fallirebbe, e cioè a portare a sintesi le contraddizioni, ma perché consente attraverso atteggiamenti e comportamenti ispirati a valori contraddittori, e a volte perciò essi stessi contraddittori, all'individuo e al gruppo sociale di rispondere ai loro bisogni e di stabilire un rapporto di adattamento o di non emarginazione con il sistema sociale in cui sono inseriti. Molto spesso la contraddittorietà dei valori e l'adattamento un po' schizofrenico che essa induce non sono altro che la risposta sofferta in chiave esistenziale di una situazione paradossale in cui li ha posti la relazione che come gruppo giovanile essi hanno con il sistema sociale complessivo e quindi con gli adulti. Sono paradossi relazionali che la differenziazione tra la cultura giovanile e quella degli adulti ha generato e che mettono il giovane nel vicolo cieco della «incoerenza».

    Valori come principi pratici di comportamento

    I valori non vanno visti come contenuti di tipo filosofico, teologico, ma come principi pratici che motivano e orientano il comportamento sociale degli individui dentro e fuori il gruppo sociale, come particolari modelli linguistici e di comunicazione che orientano, mediano e costituiscono il rapporto che i membri del gruppo hanno tra di loro, con gli altri e con la realtà.
    Nella prospettiva relazionale il discorso sulla coerenza dei valori perde terreno a favore dell'efficacia, dell'adattamento e del soddisfacimento dei bisogni.
    Si può correttamente dire però, per rendere un po' di giustizia ai «contenuti» dei valori, che nella situazione odierna i bisogni prevalgono nella formazione del sistema di valori, rispetto a obiettivi di livello più elevato, etici, di natura religiosa, morale, ideale o politica. In altri momenti pur non perdendo i valori la loro caratteristica funzionale e relazionale essi risentivano maggiormente di obiettivi trascendenti la sfera dei bisogni elementari e fondamentali.
    Il sistema dei valori giovanili attuale è un sistema composto prevalentemente da valori-bisogni, caratterizzato da una estrema mobilità, dalla interscambiabilità e sostituibilità dei valori che lo compongono e la cui differenziazione dal sistema dei valori del sistema sociale ne condiziona negativamente la coerenza.
    Sia chiaro che la coerenza dei valori non può essere intesa rispetto al piano del soddisfacimento dei bisogni e dell'adattamento al sistema sociale, a cui l'incoerenza è funzionale, ma bensì rispetto ad un sistema di valori astratti, il cui compito è di dare un senso, non contingente ma trascendente, ai valori concreti, pratici del gruppo sociale dei giovani. È quindi rispetto ad una funzione dei valori non contingente, ma trascendente la utilità biologica e in vista di una realizzazione umana quale prevista da ideali umani e religiosi, che il sistema dei valori giovanili può svelare la propria incoerenza. Potrebbe però questa incoerenza non esistere realmente all'interno del sistema dei valori giovanili ma essere dovuta alla falsità, e quindi all'inadeguatezza delle nostre teorie dei valori di descrivere e spiegare i valori giovanili.
    Oppure ancora potrebbe darsi che queste incoerenze siano il frutto di uno stato di transizione, di mutazione profonda, di un momento particolare dell'evoluzione dei valori dominanti il nostro sistema sociale (per nulla coerente) verso un altro sistema magari più coerente.

    UNA NUOVA CONTESTAZIONE DELLA POLITICA

    Molte inchieste sociologiche in questi ultimi tempi hanno posto in rilievo come in una larga fascia di giovani vi sia contemporaneamente il desiderio, l'invocazione di un radicale cambio dell'attuale sistema sociale unito alla rassegnazione, ad una sorta di consapevolezza dell'impossibilità di questo tipo di trasformazione rivoluzionaria e una conseguente sfiducia in ogni impegno politicamente attivo in questa direzione. C'è una diffusa sfiducia in ogni progetto politico che si ponga l'obiettivo di una qualsivoglia trasformazione delle strutture del sociale a cui consegue un ripiegamento nel proprio microcosmo privato, personale intessuto quasi esclusivamente dal vivere quotidiano. Vivere ripiegati in se stessi con un sogno lontano, irrealizzabile e cullare la propria rabbia inespressa,` la propria depressione sociale. Qual è il senso di questo ,valore contraddittorio? È questa la disperante mancanza di speranza del prigioniero che aspira alla libertà, alla fuga ma che oramai sa di non poter fuggire?

    Rivoluzione è rassegnazione, è ripiegamento nella routine quotidiana

    Una lettura dal punto di vista degli adulti sembra suggerire una risposta affermativa a queste domande oltre al rilevare l'incoerenza di questo valore. Personalmente sono convinto che questo valore apparentemente disperante, contraddittorio abbia un suo senso rispetto al non contingente. Questo senso può essere ricercato in due direzioni. La prima direzione è fornita dalle considerazioni inerenti il ruolo che la chiusura dei giovani, ma non solo di essi, intorno ai progetti sociali di trasformazione, lenta o rapida non importa, della società gioca nei confronti del sistema sociale. Infatti la rassegnazione, la acclarazione della vanità dell'impegno, il rifiuto di comunicare sul piano politico non producono, come a prima vista si potrebbe pensare, un rafforzamento del sistema sociale ma viceversa introducono in esso profondi elementi di crisi. L'implosione, la chiusura in sé ed il rifiuto non sono meno potenti dell'esplosione, dell'apertura verso gli altri.
    L'unica cosa che non mi convince troppo, ma probabilmente per i miei schemi di adulto, è il vago sapore di morte e la potenzialità distruttiva di questa implosione. Implosione è rivoluzione che passa attraverso il trauma irreversibile della distruzione. Distruzione del presente in nome di quale futuro? È questa la domanda angosciante che tormenta l'educatore politico, di fronte al rifiuto del progetto sociale in nome del diritto a implodere nella propria solitudine decretando la schizofrenia del gruppo sociale. C'è una speranza in questa «causa del politico» o solo la speranza che in ogni caso la vita prevarrà. La vita prevarrà, ma a quale prezzo? Ricominciando da capo? È certamente poco saggio ricostruire dalle ceneri della distruzione, è meglio portare il già costruito e riorientarlo. Queste sono le preoccupazioni dell'adulto che sa come in ogni costruzione sociale, anche la più in crisi e degenerata, sono contenuti elementi vitali, la cui invenzione e costruzione ha richiesto un duro cammino. E allora ecco all'adulto che non ha rinunciato al proprio ruolo rilanciata la sfida dell'implosione perché la sappia fermentare con la sapienza arcaica che ha chi sa che il vivere non è inutile, che la esperienza è ricchezza e vuole porgere il suo particolare dono a chi dopo di lui calpesterà il suolo della vita.
    La seconda direzione utile per ricostruire il senso di questo valore «contraddittorio» riguarda l'accelerazione alla crisi dei sistemi ideologici e politici correnti, che pur essendo oramai manifestamente inadeguati a consentire una corretta analisi e trasformazione della realtà contemporanea, continuano a occupare il sociale ed il politico con i loro apparati di potere, le loro proposte un po' stantie, il loro mestiere un po' burocratizzante ed i vessilli un po' stinti. Gli adulti continuano a giocare il ruolo della politica utilizzando sempre le stesse arti, gli stessi metodi, proponendo in un linguaggio sempre più astratto o chiuso alla vita le loro proposizioni risolutive di problemi che non sono più problemi perché la vita reale è oramai lontana e non più fecondabile da «questa» politica. Il silenzio dei giovani, la contraddizione di chi deve lasciar morire la propria speranza tra le spire della rassegnazione, è un rifiuto totale che rende evidente svelandolo il ruolo di chi per professione annuncia la propria speranza, lo stato cadaverico più o meno eccellente delle ideologie, delle prassi dei valori e della morale della politica attuale.
    È una contestazione della «politica» attuale più radicale a mio avviso, in quanto con essa non vi sono mediazioni possibili, di quelle più clamorose che hanno scosso gli anni intorno al '68 e '77.
    Con il silenzio non c'è mediazione, c'è solo lo svelamento dell'inutilità del proprio potere. Anche questa è una rivoluzione senza domani, che si basa sull'abolizione dell'esistente senza prospettive per il futuro e dopo? No, perché a questo valore del ripiegamento nella cultura giovanile si accompagna un nuovo valore che orienta la nuova dimensione della politica. È interessante notare che in questa nuova dimensione della politica trovano posto grandi vecchi, svezzati in altri e remoti tempi alla politica, più che la fascia intermedia degli adulti, quella cioè di coloro che detengono il massimo del potere sociale. Il giovane si congiunge al vecchio etico ovvero:

    La politica come espressione di se stessi, come gioco e come eticità

    La buona parte dei giovani attuali, pur nel loro ripiegamento della progettualità sociale, ammettono che la politica è una dimensione fondamentale dell'esistenza. Ma qual è il significato che essi attribuiscono al termine politico? Secondo alcuni sondaggi la vera politica per i giovani è «esprimere se stessi». Gli stessi sondaggi poi affermano che la maggior parte dei giovani non si identifica in alcun leader politico, e chi lo fa prende personaggi come Pertini, Pannella, ecc., che sono abbastanza atipici rispetto al mondo politico dominante. Molti vedono in questa nuota dimensione della politica l'emersione di una società radicale, ma invece a me sembra sia il segno della necessità che la politica ha, se vuole tornare ad essere una risposta a molti problemi dell'esistenza, di riavvicinarsi all'uomo storico concreto, con la sua individualità, i suoi personalissimi bisogni, che tra gli altri comprendono quello di essere un qualcosa di più di una pedina del sistema sociale, come invece fa la politica attuale che considera solo i grandi progetti sociali, dove c'è spazio per l'uomo astratto, per l'umanità in senso lato, ma poco spazio per gli uomini concreti che popolano lo spazio in cui si tesse il progetto politico. Non ricordo più chi diceva che è molto più facile amare «l'umanità» piuttosto che il proprio vicino. La politica attuale ha messo al centro progetti, programmi, strategie d'insieme in cui trovano posto uomini astratti, ridotti a variabili cariche di poche dimensioni.

    La riscoperta della eticità della politica

    La politica come espressione di sé è una contestazione a questo modo inumano, pianificato, di far politica e vuole sostituire al grande disegno del sistema sociale, un disegnino di piccoli ma veri uomini che faticosamente cercano di realizzarsi attraverso la propria espressione di sé nel sociale. A mio avviso questo è il germe di una rivoluzione profonda, capace di trasformare radicalmente la recita dei cadaveri eccellenti, imbalsamati, che occupano lo scenario della nostra politica.
    Questo nuovo valore politico si completa, si affina, prende profondità se letto in relazione con la stessa affermazione di una gran parte dei giovani secondo cui l'onestà, l'adesione a principi e valori, sono i comportamenti politicamente più efficaci.
    Alla scoperta della centralità dell'uomo storico concreto nella politica si accompagna la riscoperta che la politica per avere un senso deve essere etica. O la politica si riappropria dell'eticità o non è politica.

    La politica come gioco

    Un'ultima dimensione di questo valore/funzione è costituita dalla sottolineatura della politica come gioco, ossia come sperimentazione dei limiti del comportamento umano, come ricerca della gioia e della felicità, come scoperta di nuovi modi di espressione e di essere sociali, come demistificazione del potere senza che tutto questo comporti traumi dolorosi e cruenti nei rapporti umani. È chiaro che non tutto questo valore si è espresso ma mi sembra esistano nel sociale le premesse ad una sua feconda evoluzione. Buttare via il grigio burocratico degli apparati e scoprire che la politica è colorata e creativa. Giocare la politica è questa forse la speranza che può contrastare o dare un senso al rifiuto della politica e della progettualità sociale, così come essa è comunemente intesa nella cultura degli adulti.

    IL SENSO OLTRE AL SOCIALE

    Le generazioni cresciute intorno al '68, avevano posto nel sociale, nell'ipersocializzazione della vita umana, il luogo di tutte le speranze di salvezza. «Fuori dal sociale non c'è salvezza» sembrava essere il motto di quella generazione e ogni timido accenno sia al personale che al trascendente, correva il rischio di essere bollato come regressione o disimpegno.

    Bisogno di trascendenza nella ricerca del personale

    Il sociale era il luogo in cui trovare il senso della propria esistenza e quella felicità sempre agognata ma mai appagata. La stessa creatività individuale per non essere «out» doveva esprimersi in una funzione sociale o meglio ancora collettiva. Il limite dell'esistenza, il suo fine era la socialità piena e perfetta. Ora dopo la delusione sopravvenuta e del sociale come disillusione se non come barbarie, si sta aprendo una prospettiva che pone il senso della vita umana e della sua pienezza al di là del sociale in un bisogno di trascendenza che fonda il suo svolgersi nella profondità del «personale» di ogni individuo. Una trascendenza che non necessariamente si pone in modo esplicito la ricerca e l'amore di un ente supremo, ma può anche esaurirsi nella ricerca di una prassi di vita che spezzi la spirale della sofferenza, attraverso l'adesione a una rigorosa condotta di vita che controlli il manifestarsi delle pulsioni e del desiderio. È questa una via alla trascendenza che rimanda a quella delle grandi religioni orientali, al buddismo ed allo zen in particolare. C'è un senso individuale dell'esistenza, che non nega il sociale, ma si esprime nella trascendenza: è questo un altro valore che si esprime e completa, chiarendo meglio gli altri appartenenti allo stesso sistema, attraverso le diversità che ad essi lo appongono.

    «Carisma è bello»

    Questa ricerca di trascendenza a causa del «vuoto» relativo della tradizione non può percorrere le strade che la cultura del passato ha messo a disposizione e che è il frutto di sforzi di molti uomini in molti tempi, alla ricerca della trascendenza. Ecco allora il riempire questo vuoto attraverso l'identificazione nei confronti di leader carismatici, che possono essere uomini o astrazioni. Il vuoto della tradizione si riempie attraverso quella particolare forma di comunicazione che è la identificazione con un ente dotato di un forte potere carismatico.
    È questa per molti aspetti una ricerca della trascendenza, e anche della tradizione attraverso modalità di tipo prevalentemente estetico e più legato al dominio dell'affettività che della riflessione.
    Il senso oltre al sociale può essere mediato da un leader, da una moda o da una struttura più complessa di idee e di pensieri. Gli esempi di leader che rispondono alla domanda giovanile di tradizione e trascendenza, sono sotto gli occhi di tutti. Un po' meno forse le mode o i sistemi di pensiero. Un esempio può essere quello delle religioni o dei sistemi mistici orientali che attirano molti giovani di oggi. Siddharta di Hesse è molto letto tra i giovani adolescenti di oggi. Siddharta è un carisma che risponde a un bisogno/valore dei giovani di oggi, così come ad essi risponde il papa Wojtyla.
    «Carisma è bello»: la conoscenza segue anche le vie irragionevoli dell'affettività e la vita con le sue sofferenze può avere un senso e gioia.

    La solitudine è stare insieme

    Lo stare assieme, il gruppo primario, l'amicizia e l'immersione nella folla, costituiscono indubbiamente un valore altamente significativo per l'esistenza dei giovani. Per le generazioni precedenti, a cavallo del '68 (che cavallo il '68!), lo stare assieme non era un valore in sé, ma lo stare assieme era un valore solo se finalizzato a uno scopo, al fare assieme. Si stava insieme per fare insieme. Lo stare senza il fare era aborrito. Lo stare insieme poi comportava la condivisione di un progetto di vita, di un sistema di aspirazioni e di speranza.
    Oggi la situazione è radicalmente mutata in quanto lo stare insieme è un valore in sé e quindi non è minimamente subordinato al fare insieme. Si sta insieme perché ciò è esteticamente bello, dà sicurezza e risponde a un bisogno profondo. Lo stare insieme è un rifugio che permette di fuggire dalla sofferenza e dall'angoscia che si scatena nel vivere la vita... fuori dallo stare insieme tra giovani. Ecco allora l 'esplosione dei gruppi primari senza altro scopo che lo stare insieme, la ricerca della macro dimensione dello stare insieme nei concerti, nei raduni e nelle balere. Molti giovani intervistati confessano di andare ai concerti anche se il cantante non gli piace troppo per il piacere di stare insieme ad altri. Questo stare insieme, questo bisogno di rapporti umani a tutti i livelli, micro e macro, che è principalmente una fonte di sicurezza per il giovane non risolve minimamente la sua solitudine esistenziale, che rimane una delle sue più tipiche caratteristiche. Stare insieme ed essere soli nello stesso tempo è il paradosso che imprigiona, come sottile sofferenza, la vita del giovane di oggi. Con chi condividere la sofferenza, l'estraniazione dell'essere, con chi calpestare il deserto di un universo la cui enorme grandezza è senza senso per il mio essere?
    La risposta è forse nel valore precedentemente descritto. La trascendenza che parte dall'individuale e nell'individuale si realizza e che rimanda alla ascesi solitaria del Buddismo.
    Resta al di là di questo che il giovane è solo, e la folla o il piccolo gruppo, l'espressione di sé con l'amico/a o/e il ragazzo/a, non sono sufficienti a dare una risposta alla sua estraniazione ed alla sua solitudine.
    Da questo punto di vista il giovane si trova a esplorare da solo il mondo pieno di paure e di interrogativi del suo futuro.

    Il gioco come cosa seria

    Ho già accennato al senso del gioco parlando della riscoperta della politica come gioco. Si tratta ora di definirlo in modo più articolato o completo.[2]
    Nella nostra società il gioco è stato privato della sua libertà e della sua spontaneità, in quanto gli sono state assegnate delle precise funzioni socio-psicologiche, e cioè quelle della sospensione, della distensione e della compensazione, il cui scopo è quello di stabilizzare il mondo del lavoro e il potere.
    Il gioco nella nostra società è stato subordinato alla produzione e quindi per ciò stesso privato della sua identità e della sua vera funzione che è fondamentalmente quella della ricerca della felicità, della libertà e dell'esplorazione dei limiti umani. Il gioco è divenuto senza speranza, ha perso la sua molla essendo stato ridotto a strumento che serve per dimenticare il lavoro, le oppressioni e le violazioni del potere.

    Il ruolo politico del gioco

    Invece la sua molla profonda è quella che consente all'uomo di provare gioia nella libertà, «quando giocando anticipa ciò che può essere e deve diventare diverso, sopprimendo il bando dell'immutabilità di ciò che esiste»).[3]
    Il gioco così visto è rivoluzionario, è la fantasia al potere come diceva un celebre motto del maggio '68 francese.
    Il gioco è una cosa seria; è solo la nostra cultura che l'ha cacciato nel limbo delle cose «non serie») o perlomeno non strettamente indispensabili e utili alla vita umana se non come sorta di valvola di scarico.
    A me sembra che tra i giovani d'oggi vi sia maggiore disponibilità degli adulti a giocare, e che per essi il gioco sia un valore effettivo così come il lavoro per una sorta di legge del contrappasso rischia di non esserlo per loro. E questo è il rischio di riscoprire il gioco come valore negando il lavoro come valore. Personalmente penso che questo rischio non sia poi così elevato in quanto mi pare che stia diminuendo «il rifiuto del lavoro».

    Gioco e riscoperta della gratuità

    Il gioco come valore oltre a chiarire meglio il valore politico serve per chiarire meglio quello dello stare insieme. Lo stare insieme sganciato dal fare insieme è in effetti un giocare gratuito. Perché un altro «valore» del gioco è la sua gratuità e cioè il fatto che esso consente di scoprire che la vita umana, i gesti dell'uomo, sono belli ed hanno un valore in sé, al di là delle finalità che consentono di raggiungere.
    Nella cultura degli adulti i gesti umani e la stessa vita nel suo complesso hanno un senso solo se consentono di raggiungere un dato risultato. La vita è stata subordinata ad uno scopo. La riscoperta del gioco consente al giovane di riscoprire, giocando, la gratuità della vita.
    Con questa riflessione sul valore gioco non intendo minimamente affermare che esso sia già compiutamente presente nella cultura giovanile attuale ma che essa contenga i germi di tale valore. Se esso si svilupperà pienamente dipenderà anche dagli adulti, in primo luogo dagli educatori, e dalla relazione esistente tra le due culture.

    La riscoperta del fantastico e del non-razionale

    Connesso al gioco, ma se si vuole anche al trascendente, vi sono le dimensioni del fantastico e del non razionale.
    Si è scoperto che il fantastico non è un momento di erosione, di sospensione dalle costrizioni e dalle tensioni della realtà, ma un campo di esperienza e di conoscenza umana pienamente praticabile al fine di dilatare lo spazio esistenziale. Il fantastico non nega il presente ma anzi ne svela dimensioni sconosciute all'abitudine, ne amplia la profondità e la risonanza, ne demistifica le troppo sicure certezze e dà una speranza all'angoscia disperante di chi è chiuso nel vicolo cieco di situazioni vissute come immutabili. Il fantastico è nel presente ed il presente è nel fantastico, è questo un valore emergente, ancora incerto ma già percepibile nella sua potenzialità.
    Allo stesso modo il razionalismo e lo scientismo nella loro crisi profonda liberano il valore dalla conoscenza non razionale, mediata da vie affettivo-emotive e esperienziali, legate a ciò che non è esprimibile perché il linguaggio è incapace di esprimerlo. È conoscenza il sogno fantastico, l'amore e la passione, la poesia più spontanea e folle, il gesto senza utilità senso e scopo, la risposta non dicibile alla domanda di senso. Il non razionale come valore, oltre che con il gioco e il fantastico si lega al senso oltre il sociale in un gioco di significazioni e di rimandi tipico del «sistema», che fa sì che ogni atto umano, storicamente concreto, sia dotato di significato alla luce di una molteplicità di sistemi concettuali e astratti e sia esprimibile pienamente e proporzionalmente allo stesso tempo da una pluralità di gesti poetici/artistici.
    Questa parte del sistema di valori dei giovani si scontra, con l'implosione, con la rassegnazione, con inveterate abitudini consumistiche, facendo dire a volte che i valori giovanili sono incoerenti. Qui ribadisco semplicemente che questa è una caratteristica del sistema dei valori della cultura giovanile.

    L'INSORGERE Dl NUOVI RAPPORTI FAMILIARI ED EDUCATIVI

    Una terza area in cui si sperimenta un notevole cambio culturale è quella dei rapporti tra genitori e figli, tra giovani e famiglia, tra educando ed educatori. Vediamo con ordine questi diversi spazi di consolidamento di nuovi valori.

    Il padre «materno»: una riscoperta

    Dopo anni di «padre assente», di crisi dei rapporti padri/figli, oggi, come risulta da molte inchieste e molto più evidentemente dalla frequentazione abituale della vita, il padre torna ad essere per i giovani un valore, un punto fermo per la loro vita. Una riscoperta? Non esattamente, in quanto il padre che il giovane oggi scopre è un padre diverso rispetto al passato. In questi ultimi due decenni è avvenuta infatti nella nostra cultura una profonda rivoluzione e trasformazione del ruolo del padre. L'immagine di padre dominante oggi si è arricchita di alcuni tratti sino a ieri tipicamente materni, perdendone altri più connessi al suo essere «autorità». I padri di oggi sono molto più affettuosi e teneri che nel passato, sanno in qualche misura badare ai bisogni concreti dei figli, ecc. Un emblema di questo nuovo padre può, pur con alcune approssimazioni e distorsioni, essere visto nella figura del padre nel film «Kramer contro Kramer».
    Che senso ha per il figlio il padre materno, come gioca questo ruolo rispetto alla trasmissione culturale? Può essere visto come uno dei segni della crisi o come il segno dell'instaurarsi di un nuovo modo attraverso cui la cultura viene trasmessa da una generazione all'altra? Che senso ha questo valore nel sistema più generale della cultura sociale? Sono domande cui oggi è quasi impossibile dare una risposta, perché gli effetti di questo nuovo ruolo nella cultura sociale non si sono ancora manifestati. A mio avviso il padre materno può consentire una riduzione dello scarto generazionale e quindi incentivare la trasmissione culturale.

    La madre, ovvero la comunicazione silenziosa

    Anche la figura della madre sta riscoprendo una nuova immagine che per molti versi apparentemente contrasta con il ruolo più emancipato che la donna sta acquisendo nella società. La madre tende sempre di più ad essere per i figli colei che ti capisce senza che tu abbia bisogno di parlarle, che sa crearti intorno in famiglia un clima di comprensione e di amore che favoriscono da un lato la tua autonomia e dall'altro un forte legame affettivo di solidarietà. La madre salva l'autonomia, il diritto alla privacy, il ripiegamento del giovane perché sa capirne il vissuto da un lato e la voglia di dipendenza affettiva dall'altro, che deve essere però implicita e mai resa esplicita. Un ruolo molto particolare che consente a mio avviso di impedire che il ripiegamento, l'implosione si sviluppino in modo irreversibile e che sia mantenuto aperto uno spiraglio alla «progettualità sociale». In questo senso la madre ricopre in modo diverso un ruolo che un tempo era demandato al padre e cioè il rapporto con la progettualità sociale e i suoi valori.
    Il padre e la madre sono un nuovo valore, diverso da quello che gli adulti posseggono al loro interno. Sono gli stessi genitori a volte all'origine della differenziazione del valore padre/madre, in quanto essi con il proprio atteggiamento pratico propongono un certo valore padre/madre ai figli mentre poi rimangono a livello astratto legato al valore padre/madre che essi hanno vissuto nel passato.
    I genitori a volte sono un po' schizofrenici, perché non hanno ancora preso conoscenza del loro nuovo ruolo sociale, e di come sono vissuti dai giovani.

    La famiglia mononucleare come scelta spontanea

    La scelta di un rapporto stabile a due e quindi della formazione di una famiglia di tipo mononucleare, sembra oggi prevalere tra i giovani. Trovano poco credito tutti i modelli alternativi di famiglia, dalla comune alla famiglia aperta.
    La famiglia mononucleare è quindi un valore abbastanza definito e preciso. Da notare che per i giovani ha scarsa importanza che la famiglia costituisca attraverso l'atto sacramentale o istituzionale (rito civile) del matrimonio. Il matrimonio infatti sembra essere meno preferito della scelta di aggregazione spontanea, anche se all'atto pratico non viene rifiutato. La famiglia mononucleare, come ho già detto nelle parti precedenti, non viene più rifiutata come luogo dell'oppressione o del condizionamento sociale, ma viceversa vissuta come spazio di espressione di sé, di libertà e di autorealizzazione.

    L'educazione come umanizzazione

    L'incontro-scontro con l'adulto educatore non viene più rifiutato anzi viene richiesto, alla condizione però che esso sia centrato sulla disponibilità degli educatori a capire il giovane. La scuola non è rifiutata; c'è anzi la presa di coscienza che una parte della crisi che l'ha investita sia dovuta al rifiuto che di essa hanno fatto gli studenti.
    Sembra comunque che più importante dei contenuti che gli educatori trasmettono, dei metodi pedagogici che utilizzano, sia la possibilità di realizzare a scuola un clima di comprensione che faciliti al suo interno la crescita umana. Da notare che se l'educatore dimostra di capire i giovani gli viene consentito, in modo pieno e certamente di gran lunga superiore al passato più recente, di trasmettere contenuti ed esperienze. In un clima di reciproca comprensione, che permette l'espressione di sé, l'adulto può riappropriarsi della funzione educativa e della trasmissione culturale. Molti educatori però a tutt'oggi non se ne sono accorti, oppure se ne sono accorti ma a causa della loro ignoranza e del loro vuoto interno, non sanno più trasmettere né educare... sanno solo difendersi dagli studenti cattivi.
    La scuola o meglio i luoghi educativi possono essere lo spazio in cui il giovane dopo il ripiegamento, si riappropria lentamente di un nuovo tipo di progettualità, di espansione verso la costruzione del sociale. È forse questa una distorsione dell'adulto, resta comunque il fatto che la scuola come luogo di umanizzazione è un valore per la cultura giovanile.

    CONCLUSIONI

    Dopo questa rapida carrellata sulla cultura giovanile e su alcuni sottosistemi del suo sistema di valori mi sembra di poter affermare che in essa esistono due tendenze contraddittorie. L'una va verso l'annichilimento, l'implosione, il ripiegamento in sé distruttivo e l'altra verso la ricostruzione di una socialità meno barbarica e alienante. La cultura giovanile ha in sé la morte e la vita, dialetticamente opponentisi. Ma oltre le degenerazioni della cultura, che porta in sé, cioè le stigmate degli errori educativi degli adulti, contiene anche potenti antidoti alle stesse degenerazioni e ha quindi la capacità di trasformare il principio di morte nel principio di una vita più piena e più ricca.
    Da una caduta può nascere la santità, da un errore una scoperta, per cui la minaccia di morte presente nella cultura giovanile può essere la via di un arricchimento della stessa e della cultura sociale più generale. Questo però a condizione che la cultura degli adulti non incentivi ulteriormente la differenziazione ma anzi sappia trasformare la relazione di differenziazione in relazione reciproca.
    In altre parole che sappia da un lato mettersi in posizione di ascolto della cultura giovanile nelle sua caratteristiche più diverse e peculiari, e dall'altro sappia riprendere la trasmissione culturale e l'educazione. Gli adulti devono saper ascoltare i giovani e nello stesso tempo proporre loro la tradizione e la propria esperienza esistenziale. Direi che queste sono le due linee di fondo che, se sviluppate col rapporto adulti/giovani all'interno della nostra società, possono far sì che le istanze progressive e vitali presenti nella cultura giovanile si sviluppino vincendo quelle regressive e mortifere.


    NOTE

    [1] M. Pollo, Mobilità cukurale e ideologica, NPG 2/78.
    [2] Si veda anche M. Pollo, Giocare il gioco per riscoprire la vita, NPG 5/80, pp. 44-46.
    [3] J. Moltmann, Sul gioco, Brescia 1978, p. 25.


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