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    Sinodalità

    “Il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”

    Bruno Forte


     

    In occasione del cinquantesimo anniversario del Sinodo dei Vescovi (17 ottobre 2015) Papa Francesco ha affermato che è la sinodalità «il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» [1]. Si tratta di un’affermazione programmatica, che abbraccia 1 l’intero popolo di Dio nella ricchezza e varietà delle sue espressioni, in quanto la sinodalità è «dimensione costitutiva della Chiesa» intera [2]. Per operare efficacemente al servizio del rinnovamento della comunità ecclesiale occorre, allora, attivare un “processo sinodale”, un itinerario, cioè, in cui tutta la Chiesa si trovi impegnata intorno ai tre poli inseparabili della sinodalità: la comunione, la partecipazione e la missione [3]. «Questo itinerario, che si inserisce nel solco dell’“aggiornamento” della Chiesa proposto dal Concilio Vaticano II, è un dono e un compito: camminando insieme, e insieme riflettendo sul percorso compiuto, la Chiesa potrà imparare da ciò che andrà sperimentando quali processi possono aiutarla a vivere la comunione, a realizzare la partecipazione, ad aprirsi alla missione» [4].
    In questa linea, il Documento della Commissione Teologica Internazionale, dedicato a La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, afferma: «La sinodalità, in contesto ecclesiologico, indica lo specifico “modus vivendi et operandi” della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» [5].
    Risulta pertanto quanto mai utile approfondire il tema della sinodalità nella ricchezza e varietà dei suoi aspetti, partendo dal suo configurarsi nella tradizione delle Chiese d’Oriente, sia di quelle appartenenti alla Ortodossia che di quelle in comunione con Roma, per richiamare poi il suo progressivo emergere nell’ambito della riflessione e dell’esperienza della Chiesa latina e cogliere, infine, la forma in cui l’esperienza sinodale potrebbe essere recepita nelle nostre Chiese locali e nella comunione della Chiesa universale alla luce in particolare dei recenti sviluppi del dialogo cattolico - ortodosso. A questi aspetti sono dedicate le quattro parti della riflessione che segue, pensata come un contributo alla riflessione e alle scelte cui siamo chiamati nel nostro amore e nel nostro servizio alla Chiesa.

    1. La sinodalità e l’ecclesiologia ortodossa

    L’ecclesiologia ortodossa e il suo rinnovamento nel XIX secolo sono legati al cosiddetto “movimento slavofilo”, teso a riscoprire le ricchezze della tradizione slava orientale. È in particolare Aleksey Stepanovich Khomyakov a presentare la Chiesa [6] come mistero di unanimità nell’amore (sobornost) [7], totalità e unità dei suoi membri nella carità, depositaria, custode e trasmettitrice della verità cristiana, che è la verità dell’amore. Quest’unanimità nasce dal reciproco accogliersi dei credenti nelle relazioni ecclesiali ed è frutto dello Spirito Santo che opera in loro: «Il mistero insondabile della Chiesa, opera di Cristo e dello Spirito Santo, è di essere una nel Cristo, molteplice nello Spirito; una sola natura umana nell’ipostasi del Cristo, molte ipostasi umane nella grazia dello Spirito Santo»  [8]. Si ispira originalmente agli “slavofili” Nicolai Afanassieff [9], secondo il quale «in quanto corpo del Cristo, la Chiesa si manifesta in tutta la sua pienezza nell’assemblea eucaristica della Chiesa locale, perché il Cristo è presente nell’Eucaristia nella pienezza del suo Corpo. Ecco perché la Chiesa locale possiede tutta la pienezza della Chiesa, è, in altri termini, la Chiesa di Dio in Cristo» [10]. Perciò, «in ecclesiologia “uno più uno fa uno”: ogni Chiesa locale manifesta tutta la pienezza della Chiesa di Dio perché è Chiesa di Dio e non soltanto parte di essa... » [11].
    Di qui derivano la comunione e la reciproca accoglienza delle Chiese locali: «Empiricamente... ogni Chiesa locale accetta e si appropria di ciò che avviene nelle altre, e tutte le Chiese accettano quel che avviene in ciascuna di esse. Tale accettazione, che si può indicare col termine di “ricezione” (receptio), è la testimonianza della Chiesa locale nella quale abita la Chiesa di Dio su ciò che avviene in altre Chiese, nelle quali anche la Chiesa di Dio abita; è cioè la testimonianza della Chiesa su se stessa, o la testimonianza dello Spirito sullo Spirito» [12]. Proprio così la Chiesa eucaristica si manifesta come la Chiesa dell’Amore: «Quando ciascun cristiano e tutti i cristiani avranno compreso insieme che l’Amore è al di sopra della divisione e che la divisione stessa è un peccato davanti a Dio, allora la verità dell’Amore calpestata sarà ristabilita, e grazie ad essa e alla sua forza la stessa verità del dogma sarà restaurata» . La bellezza [13] delle intuizioni di Afanasieff non può oscurare i limiti della sua proposta, in particolare la contrapposizione esasperata che egli fa fra il primato della Chiesa locale e l’organizzazione storica della comunione della Chiesa universale.
    È un altro teologo ortodosso, Johannis Zizioulas, a mettere in guardia rispetto a questo limite [14]. Sin dalle origini, egli scrive, «l’eucaristia presentava il privilegio di riunire in un tutto, in un’esperienza unica, l’opera del Cristo e quella dello Spirito Santo e di esprimere delle considerazioni escatologiche attraverso delle realtà storiche, combinando nella vita ecclesiale l’elemento istituzionale e l’elemento carismatico... In ecclesiologia la polarizzazione fra l’istituzione e l’evento è evitata grazie all’eucaristia compresa correttamente: il Cristo e la storia donano alla Chiesa il suo essere, che diviene autentico ogni volta che lo Spirito costituisce la comunità eucaristica come Chiesa» [15]. Pertanto, «nella divina eucaristia la Chiesa si manifesta nel luogo e nel tempo come il corpo di Cristo, ma anche come unità canonica. L’unità della divina eucaristia si pone come la fonte dell’unità della Chiesa nel corpo di Cristo, ma anche dell’unità nel Vescovo» [16]. Si deve concludere allora che «la Chiesa in pienezza o cattolica è lì dove si trovano la divina Eucaristia e il Vescovo» [17]. Quando l’ecclesiologia eucaristica viene intesa integralmente, insomma, non solo essa non solo non esclude, ma implica l’unità visibile della Chiesa, espressa localmente nel Vescovo e universalmente nella comunione delle Chiese e dei loro Vescovi: «La soluzione delle questioni in sospeso fra Oriente e Occidente - afferma da parte cattolica, il P. Bernard Schultze - non sta nella separazione del diritto, dell’autorità e del potere dall’amore, ma nella loro sintesi, non in una contrapposizione fra ecclesiologia eucaristica ed ecclesiologia universale, ma nel loro incontro» [18].

    2. La sinodalità e il rinnovamento ecclesiologico cattolico

    La concezione della Chiesa dominante nella teologia cattolica anteriore al Concilio Vaticano II era caratterizzata dall’accentuazione degli aspetti visibili e istituzionali della realtà ecclesiale.
    L’enfasi era posta sulla sua dimensione cristologica, e quindi sul suo aspetto di «incarnazione» dell’invisibile [19]: l’accentuazione si era sviluppata nell’ecclesiologia medioevale, da una parte in conseguenza del ruolo storico-politico che la comunità cristiana era andata assumendo, dall’altra in relazione alla separazione introdotta nell’unità del mistero col contrapporre il Corpo di Cristo «vero» dell’eucaristia a quello ecclesiale, chiamato «mistico», in reazione alle dottrine eucaristiche di Berengario di Tours e al suo rifiuto di ammettere la presenza reale del Signore nei segni da Lui
    scelti per la Santa Cena [20]. Per evidenziare la verità del corpo eucaristico si designerà la Chiesa come «corpo mistico», senza che questa espressione abbia più alcun rapporto con l’eucaristia: di conseguenza le teorie ecclesiologiche andranno sviluppandosi al di fuori del quadro sacramentale.
    La compiuta formulazione di questa tendenza si avrà nell’ecclesiologia della Controriforma, attenta a sottolineare al massimo le mediazioni visibili ed istituzionali della Chiesa in alternativa all’«invisibilismo», attribuito ai Riformatori: la sistemazione classica di questo orientamento è dovuta a San Roberto Bellarmino. Per evidenziare l’unicità del dono di Dio che costituisce la comunità ecclesiale, il Cardinale teologo afferma che «la Chiesa è una sola, non due, e unica e vera è la comunità degli uomini raccolti mediante la professione della vera fede, la comunione degli stessi sacramenti, sotto il governo dei legittimi pastori e principalmente dell’unico vicario di Cristo sulla terra, il romano pontefice» [21]. In coerenza con la logica dell’incarnazione, Bellarmino ritiene che la Chiesa è altrettanto visibile quanto lo è la missione del Figlio e l’appartenenza ad essa si misura sull’oggettiva esperienza del dono di Dio: «Perché qualcuno possa essere dichiarato membro di questa vera Chiesa, di cui parlano le Scritture, noi non pensiamo che sia da lui richiesta alcuna virtù interiore. Basta la professione esteriore della fede e della comunione dei sacramenti, cose che il senso stesso può constatare. La Chiesa infatti è una comunità di uomini così visibile e palpabile come la comunità del popolo romano, o il regno di Francia, o la repubblica di Venezia» [22].
    Non mancheranno voci tese a riscoprire la Chiesa nella sua interiorità e nel suo mistero, con varietà di accenti e di approcci: fra queste, quelle della Scuola di Tubinga in Germania (J.B. Sailer, J.S. Drey, J.B. Hirscher, J.E. Kuhn, J.A. Möhler) [23], di John Henry Newman in Inghilterra, e in Italia di Antonio Rosmini e della Scuola romana del sec. XIX (G. Perrone, C. Passaglia, C. Schrader, J.B. Franzelin). In particolare, l’opera di Johannes Adam Möhler L’unità nella Chiesa, maturata nel clima del romanticismo tedesco e nutrita da un fecondo ritorno al pensiero dei Padri, presenterà l’unità della Chiesa, nella sua articolata diversità ed in continuo sviluppo organico, come frutto dell’azione dello Spirito Santo: «L’unità della Chiesa cristiana consiste in una vita, accesa direttamente e continuamente dallo Spirito divino; vita che si conserva e si propaga per il fattivo amore che stringe fra di loro i fedeli» [24]. Nonostante queste voci anticipatrici, si deve riconoscere che l’ecclesiologia cattolica alle soglie del XX secolo si presentava più come il frutto di reazioni e di difese, che come l’annuncio gioioso e liberante del «mistero» di grazia e di comunione, nascosto dai secoli e rivelato in Cristo.
    Il bisogno di un rinnovamento ecclesiologico si profilava come sempre più urgente: il secolo XX - definito molto presto in ambito teologico come il «secolo della Chiesa» [25] - si apre segnato da questo bisogno, che la crisi provocata dalla prima guerra mondiale ulteriormente evidenzia [26].
    All’esperienza diffusa della lacerazione e della solitudine si avverte l’urgenza di contrapporre la comunione donata dall’alto, offerta nella Chiesa [27]. Le cause più profonde del rinnovamento ecclesiologico sono di ordine spirituale e vanno individuate nella vigorosa presa di coscienza del soprannaturale provocata dall’azione antimodernista, nel movimento liturgico, nell’intensificazione della vita eucaristica, promossa da San Pio X, nel “ritorno alle fonti” bibliche e patristiche, nella riscoperta del ruolo attivo del laicato, nei primi impulsi del movimento ecumenico moderno, in «uno slancio di ordine spirituale, che fu vissuto prima d’essere formulato» [28]. Si andrà così profilando il superamento della concezione visibilista e giuridica dell’ecclesiologia della Controriforma nel senso di «una riscoperta degli elementi soprannaturali e mistici della Chiesa, di uno sforzo umile e religioso per considerare in tutta la sua divina profondità il mistero della Chiesa» [29].
    Attingendo soprattutto alla teologia dei Padri e della Scolastica si recupereranno le dimensioni pneumatologiche e cristologiche della realtà ecclesiale: andrà emergendo l’idea della Chiesa comunione, concepita a immagine della Trinità divina [30]. Si percepirà la vicinanza alla tradizione ortodossa, riproposta negli stessi anni dal movimento neopatristico [31]. È in questo clima che fiorisce in ambito cattolico la teologia della Chiesa Corpo mistico di Cristo: la Mystici Corporis (29 giugno 1943) vorrà equilibrare il rischio di ridurre la Chiesa a pura interiorità affermando l’equazione fra il Corpo Mistico e la Chiesa cattolico-romana. In tal modo, la Mystici Corporis chiuderà gli inizi del rinnovamento ecclesiologico, assumendone il contributo decisivo nella teologia del Corpo mistico, e solleciterà la ricerca verso nuovi sviluppi, che troveranno spazio nella primavera del Concilio Vaticano II, la cui riflessione sulla Chiesa può essere considerata come il frutto maturo del “renouveau ecclésiologique” che lo aveva preceduto.
    La prospettiva dell’ecclesiologia di comunione, emergente nei testi conciliari, è particolarmente feconda per comprendere la maniera in cui l’unità cattolica vive e si esprime nella comunione delle Chiese e dei singoli carismi e ministeri, senza annullarne la ricchezza e la varietà e al tempo stesso senza cedere a un localismo esasperato e privo di legami con la Chiesa universale. È quanto dimostrano le opere di grandi ecclesiologi del Novecento, fra i quali Henri de Lubac, Yves Congar, Jean-Marie R. Tillard e Joseph Ratzinger, secondo cui è in particolare l’ecclesiologia eucaristica che potrà aiutare a comprendere nel modo migliore la continua, reciproca inabitazione (“pericoresi ecclesiologica”), di cui vivono le Chiese nell’unità della Catholica: «L’unità della Chiesa si fonda sulla pericoresi delle Chiese, sulla pericoresi dell’ufficio episcopale, sulla compenetrazione del dinamico noi dalla molteplice vitalità che è in essa...» [32]. La Chiesa viene pensata come “communio” a immagine della Trinità divina, da cui proviene e verso cui tende, una comunione in cui l’unità nutre e vivifica la diversità e questa è sostenuta e alimentata dall’azione unificante dello Spirito Consolatore, specialmente nell’eucaristia, culmine e fonte di tutta la vita della Chiesa : una prospettiva, questa, che porta a riconoscere nella “sinodalità” [33] la via più feconda per il rinnovamento della vita e della missione della Chiesa.

    3. La sinodalità nei recenti sviluppi del dialogo cattolico-ortodosso

    È sulla strada aperta dal rinnovamento ecclesiologico tanto cattolico, quanto ortodosso, che si è mossa la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme, istituita da Giovanni Paolo II e dal Patriarca Ecumenico Dimitrios I in occasione della visita che il Papa effettuò al Phanar il 30 novembre 1979. I suoi diversi incontri sono culminati in quello di Ravenna nel 2007 e in quello di Chieti nel 2016, dove sono stati approvati significativi testi di consenso teologico.
    Il Documento di Ravenna si intitola Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità. In esso si afferma: «Durante il primo millennio, la comunione universale delle Chiese, nel normale svolgersi degli eventi, fu mantenuta attraverso le relazioni fraterne tra i vescovi. Tali relazioni dei vescovi tra di loro, tra i vescovi ed i loro rispettivi protoi, e anche tra gli stessi protoi nell’ordine (taxis) canonico testimoniato dalla Chiesa antica, ha nutrito e consolidato la comunione ecclesiale. La storia registra consultazioni, lettere ed appelli alle principali sedi, specialmente la sede di Roma, che esprimono palesemente la solidarietà creata dalla koinonia» (n. 40). Il documento aggiunge che «entrambe le parti concordano sul fatto che Roma, in quanto Chiesa che “presiede nella carità”, secondo l’espressione di Sant’Ignazio d’Antiochia (Ai Romani, Prologo), occupava il primo posto nella taxis, e che il vescovo di Roma è pertanto il protos tra i patriarchi. Tuttavia essi non sono d’accordo sull’interpretazione delle testimonianze storiche di quest’epoca per ciò che riguarda le prerogative del vescovo di Roma in quanto protos, questione compresa in modi diversi già nel primo millennio» (n. 41).
    Nel Documento di Chieti - intitolato Sinodalità e primato nel primo millennio: verso una comprensione comune al servizio dell’unità della Chiesa - si compie un significativo passo in avanti nell’incontro fra le due Chiese sorelle, grazie all’accordo raggiunto sul rapporto fra il primato del Vescovo di Roma e la sinodalità della Chiesa intera nel primo millennio. Il testo muove dal richiamo alle missioni divine del Figlio e dello Spirito (n. 1), in forza delle quali la Chiesa nasce a immagine della Trinità una nella diversità (n. 2), e dalla chiarificazione dei termini “sinodalità” (n. 3) e “primato” (n. 4), prendendo atto della rottura intervenuta tra Oriente e Occidente agli inizi del secondo millennio e dell’importanza di una retta comprensione del rapporto fra questi due poli per il ripristino della comunione fra cattolici e ortodossi (n. 5). Il Documento riflette sui tre livelli dell’esistenza storica della Chiesa: quello locale, quello regionale e quello universale. In primo luogo si afferma l’importanza fondamentale della Chiesa locale, presieduta dal vescovo, che in essa è segno di Cristo pastore, specialmente nella presidenza dell’assemblea eucaristica celebrata con i presbiteri e il popolo di Dio (nn. 8-10). Questa rilevanza, sempre sottolineata dall’Ortodossia, è stata rimessa in luce per la Chiesa cattolica dal Concilio Vaticano II.
    Sin dalle origini, però, il rilievo dato alle Chiese locali è stato coniugato alla necessità di una comunione regionale, espressa da sinodi e concili cui le Chiese locali partecipavano attraverso i loro vescovi. Questa comunione episcopale ha dato origine alle metropolie e ai patriarcati, in cui la varietà delle Chiese locali riconosceva una manifestazione e uno strumento significativo dell’unica fede professata da tutte (cf. nn. 11-14). Il passo importante fatto a Chieti è stato quello di attestare in maniera concorde fra Cattolici e Ortodossi la necessità e la fondatezza di un’espressione della comunione a livello universale (nn. 15-19). In questo contesto, riaffermando l’importanza della comunione sinodale di tutti i vescovi accomunati dalla successione apostolica, si evidenzia il ruolo unico del vescovo di Roma, la Chiesa che presiede nella carità, a cui peraltro è stato sempre riconosciuto il primo posto nell’ordine (“tàxis”) delle sedi patriarcali. Questo primato è inteso in Oriente come un “primato di onore” (n. 15), mentre in Occidente, particolarmente dal quarto secolo in avanti, è stato riferito al ruolo di Pietro fra gli Apostoli, interpretando la primazia del vescovo di Roma fra tutti i vescovi come una prerogativa legata al fatto di essere il successore di Pietro, primo fra i Dodici (n. 16).
    Questo spiega gli appelli alla sede romana provenienti sia da Oriente che da Occidente, per risolvere questioni fra le varie chiese e all’interno di esse, frequenti nel primo Millennio. Inoltre, «a partire dal primo Concilio Ecumenico (Nicea, 325), le questioni rilevanti riguardanti la fede e l’ordinamento canonico nella Chiesa furono discusse e risolte dai Concili ecumenici. Anche se il vescovo di Roma non partecipò di persona a nessuno di quei concili, ogni volta fu rappresentato dai suoi legati o approvò le conclusioni conciliari post factum» (n. 18). Così, la “sinergia” del vescovo di Roma fu definita dal secondo concilio di Nicea del 787 come una delle condizioni necessarie per riconoscere l’ecumenicità di un concilio. Il riferimento o l’appello alla sede romana e al suo Vescovo e l’accordo con lui furono, dunque, percepiti sempre più come segno e garanzia dell’unità della Chiesa universale (cf. n. 19). Il Documento di Chieti osserva: «Per tutto il primo millennio, la Chiesa in Oriente e in Occidente fu unita nel preservare la fede apostolica, mantenere la successione apostolica dei vescovi, sviluppare strutture di sinodalità inscindibilmente legate al primato, e nella comprensione dell’autorità come servizio (diakonía) d’amore» (n. 20).
    Il testo poi aggiunge: «Sebbene l’unità tra Oriente e Occidente sia stata a volte complicata, i vescovi di Oriente e Occidente erano consapevoli di appartenere alla Chiesa una» (ib.). È questa constatazione ad aprire le vie ai necessari sviluppi del dialogo: «Questa eredità comune di principi teologici, disposizioni canoniche e pratiche liturgiche del primo millennio rappresenta un punto di riferimento necessario e una potente fonte di ispirazione sia per i cattolici sia per gli ortodossi mentre cercano di curare la ferita della loro divisione all’inizio del terzo millennio. Sulla base di questa eredità comune, entrambi devono riflettere su come il primato, la sinodalità e l’interrelazione che esiste tra loro possono essere concepiti ed esercitati oggi e in futuro» (n. 21). Potrà il modello del primo Millennio tornare in auge per realizzare la comunione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente nel terzo Millennio? La risposta a questa domanda scandirà le prossime tappe del dialogo cattolico - ortodosso, in ogni caso segnato in maniera rilevante da quanto avvenuto a Chieti nel settembre del 2016, una svolta mille anni dopo la dolorosa rottura.

    4. La “sinodalità” per il rinnovamento della Chiesa: prospettive pastorali

    Citando il Documento della Commissione Teologica Internazionale dedicato a La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa nel suo discorso ai Vescovi italiani il 20 maggio 2019, Papa Francesco ha evidenziato le due direzioni inseparabili di essa: quella «dal basso in alto, ossia il dover curare l’esistenza e il buon funzionamento della Diocesi: i consigli, le parrocchie, il coinvolgimento dei laici (cf. CIC 469-494) … E poi la sinodalità dall’alto in basso…». Le due direzioni suppongono una partecipazione piena all’esercizio della sinodalità sia da parte di chi esercita il ministero ordinato al servizio della comunione, sia da parte di chi partecipa di questa comunione in forza del battesimo. Nella Lettera al popolo di Dio che è in cammino in Germania, resa nota il 29 giugno 2019, Papa Francesco ha affermato: «Il Signore cammina al nostro fianco ed è Lui a sostenere i nostri passi. Un sano camminare insieme deve far trasparire questa convinzione, cercando i meccanismi affinché tutte le voci, specialmente quella dei più semplici e umili, abbiano spazio e visibilità. L’Unzione del Santo che è stata effusa su tutto il corpo ecclesiale distribuendo “a ciascuno i propri doni come piace a lui” (1 Cor 12, 11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa» (n. 9).
    “Sinodalità”, dunque, è un termine che va risuonando in maniera sempre più frequente nel linguaggio ecclesiale ai nostri giorni. All’opinione pubblica, della Chiesa e non solo, l’idea arriva soprattutto dall’esperienza del Sinodo dei Vescovi, cui Papa Francesco ha dato una speciale rilevanza col cammino delle diverse assemblee sinodali da lui presiedute 34. Sotto il suo impulso si sta realizzando un articolato percorso sinodale, che stimola la Chiesa tutta ad esercitarsi in un processo di discernimento e di conversione pastorale, caratterizzato da un dibattito libero e costruttivo, nella comunione della fede e della volontà di cercare il bene maggiore per l’identità e la missione della Chiesa. In questo cammino, la sinodalità è intesa anzitutto nel senso della collegialità episcopale, della partecipazione attiva e responsabile, cioè, del collegio dei vescovi al governo pastorale del popolo di Dio con il Papa e sotto la sua guida. Essa però si estende a comprendere a) la partecipazione attiva e responsabile di tutti i battezzati alla vita e alla missione del popolo di Dio, b) articolata secondo i doni effusi dallo Spirito a ciascuno e i ministeri riconosciuti dalla Chiesa, c) sì da fare della sinodalità la via per un effettivo rinnovamento della vita e della missione del popolo di Dio. Sono i tre aspetti dalle ricche ricadute pastorali che ora vanno esaminati.

    a) Partecipazione di tutto il popolo di Dio all’agire sinodale. Sempre più appare chiaro che l’esperienza sinodale si avvale dell’apporto di tutto il popolo di Dio: così è stato per le recenti celebrazioni del Sinodo dei Vescovi, sia grazie alle numerose consultazioni preparatorie, che in forza dell’attiva partecipazione delle diverse componenti nelle assemblee sinodali. «Potrei dire serenamente - ha affermato Papa Francesco il 18 ottobre 2014 - che con uno spirito di collegialità e di sinodalità abbiamo vissuto davvero un’esperienza di Sinodo, un percorso solidale, un cammino insieme… e come in ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore». Commemorando, poi, il 50° dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, il 17 ottobre 2015, Papa Francesco ha affermato che esso, «rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale…».
    L’altro nome che si potrebbe dare a questa sinodalità intesa in senso ampio è quello di un’alleanza di corresponsabilità e di servizio tra tutti i membri del popolo di Dio: ognuno secondo il carisma ricevuto e il ministero cui è stato chiamato è responsabile con tutti gli altri della vita e della missione della Chiesa, in una coralità che si esprime nella reciproca accoglienza e nel reciproco ascolto, valorizza e rispetta la diversità dei carismi e dei ministeri e si fonda sull’analogia fra la comunione trinitaria e quella ecclesiale. Si tratta di far crescere una Chiesa di cristiani adulti e responsabili, in cui ciascuno viva in comunione con gli altri, favorendo la crescita di tutti con il proprio impegno, lasciandosi arricchire dai doni che lo Spirito effonde negli altri. Ciò potrà avvenire se ci sarà un costante esercizio di accoglienza e accompagnamento, di discernimento e d’integrazione: sono queste le parole chiave di un’azione pastorale ispirata ad una matura sinodalità.
    Accoglienza e accompagnamento significano prossimità, mettersi in ascolto dello Spirito che parla nella storia; discernimento vuol dire leggere la realtà alla luce della Parola di Dio, di cui una Chiesa viva e dei pastori responsabili si riconoscono servitori, in attento ascolto delle domande cui urge dare risposta alla luce della fede; integrazione significa che nessuno si deve sentire escluso nella Chiesa, in cui ognuno in forza del battesimo deve trovare il proprio spazio adeguato.
    Perché questo stile sinodale sia effettivamente vissuto, è necessario che siano detti tre “no” e tre “sì” da tutti i membri del popolo di Dio. Il primo “no” è al disimpegno, cui nessuno ha diritto, perché ognuno è per la sua parte dotato di doni da vivere nel servizio e nella comunione: ad esso deve corrispondere il “sì” alla corresponsabilità, per cui ognuno si faccia carico per la propria parte del bene comune da realizzare secondo il disegno di Dio. Il secondo “no” è alla divisione, che parimenti nessuno può sentirsi autorizzato a produrre, perché i carismi vengono dall’unico Signore e sono orientati alla costruzione dell’unico Corpo, che è la Chiesa (cf. 1Cor 12,4-7): il “sì” che ad esso corrisponde è quello al dialogo fraterno, rispettoso della diversità e volto alla costante ricerca della volontà del Signore. Il terzo “no” è alla stasi e alla nostalgia del passato, cui nessuno può acconsentire, perché lo Spirito è sempre vivo ed operante nello svolgersi dei tempi: ad esso deve corrispondere il “sì” alla continua, necessaria purificazione e riforma, per la quale ognuno obbedisca sempre più fedelmente alla chiamata di Dio, e la Chiesa tutta possa celebrarne pienamente la gloria. Attraverso questo triplice “no” e questo triplice “sì”, in maniera dunque dinamica e mai del tutto compiuta, la Chiesa si presenta come icona viva della Trinità, partecipazione nel tempo alla “pericóresi” della vita divina, impegnata ad annunciare tutto il Vangelo a tutto l’uomo, ad ogni uomo.

    b) Sinodalità e ministero di unità nella Chiesa. La sfida pastorale della sinodalità è dunque fondata sull’idea della Chiesa comunione, decisiva nell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, e risulta di una vivissima attualità per recepire la “conversione pastorale”, a cui Papa Francesco ha chiamato tutta la Chiesa (cf. Evangelii Gaudium, n. 25). Se il Sinodo va inteso come espressione della sinodalità costitutiva della Chiesa intera, la manifestazione della natura sinodale dell’essere ecclesiale, che in esso si realizza in forma peculiare, dovrà aprirsi sempre più a comprendere tutte le componenti della comunità ecclesiale in maniera articolata, dal basso e dall’alto: i ministri ordinati, i consacrati e i battezzati laici, uomini e donne. In questa linea il Documento della Commissione Teologica Internazionale dedicato a La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa afferma che il popolo di Dio «manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» [35]. L’idea della Chiesa come comunione sinodale ci stimola così a riscoprire la più profonda identità ecclesiale di ogni battezzato.
    Questa riscoperta si traduce in domande che ognuno di noi può rivolgere a sé stesso in rapporto ai carismi ricevuti e ai servizi esercitati nella comunità: come vivo l’impegno a cui sono stato chiamato nella Chiesa e per la Chiesa che amo? Come mi faccio carico della responsabilità e della sollecitudine per la Chiesa intera, nella comunione con i carismi e i ministeri altrui? Come mi rapporto al ministero di unità cui sono chiamato a collaborare, in primo luogo a quello del Successore di Pietro e a quello del Vescovo diocesano? Mi apro alla novità dello Spirito, impegnandomi nel discernimento di ciò che egli dice al suo popolo, in ascolto responsabile e attento della Parola di Dio trasmessa nella Chiesa, cui devo fiducia e obbedienza? Nutro fedelmente la vita secondo lo Spirito, partecipatami dalla Parola di Dio e dai Sacramenti? Riconosco con gli occhi della fede la Chiesa come icona della Trinità, nel cui seno sono stato generato per celebrare in tutto la gloria della Trinità divina? Nella risposta a queste domande, se ci coglie la trepidazione delle nostre realizzazioni incompiute, ci sostiene il “nugolo dei testimoni” (Eb 12,1), che ci hanno preceduto e ci accompagnano nella fede.
    Ricorrendo a una bella immagine patristica, si potrebbe dire che se Cristo è il sole rispetto a cui la Chiesa si offre come la luna nella notte del mondo, ogni battezzato deve accogliere e riflettere quel tanto di luce cui gli è dato di partecipare. Così, ad esempio, esprime quest’idea Sant’Ambrogio: «Questa è la vera luna. Dall’intramontabile luce dell’astro fraterno ottiene la luce dell’immortalità e della grazia. Infatti la Chiesa non rifulge di luce propria, ma della luce di Cristo.
    Trae il suo splendore dal sole della giustizia, per poter poi dire: Io vivo, però non son più io che vivo, ma vive in me Cristo! Veramente beata tu sei, luna, che sei stata degna di tanto onore!» [36]. Nel riflettere e irradiare la luce del suo Signore la Chiesa luna si lascia guidare dallo Spirito di vita [37], che unisce i fedeli non solo nello spazio, ma anche attraverso il tempo, come mostra l’idea teologica di “tradizione”: «La tradizione è l’espressione dello Spirito Santo che anima la comunità dei fedeli; essa corre attraverso tutti i tempi, vige in ogni momento, e prende corpo continuamente» [38]. Il segno e lo strumento di questa continuità nell’unità del principio fondante è per la Chiesa locale il vescovo, chiamato a garantire e promuovere la comunione della Chiesa a lui affidata e il suo inserimento vitale nella comunione delle Chiese sotto la guida del Vescovo di Roma, che presiede nella carità a tutte le Chiese.
    La comunione della Chiesa locale intorno al vescovo e quella dei vescovi intorno al Successore di Pietro costituiscono l’espressione della sinodalità al suo livello più alto: «Il vescovo è - per un luogo determinato - l’immagine visibile dell’unione invisibile di tutti i fedeli; è la personificazione dell’amore reciproco, la manifestazione e il centro vivente dei sentimenti cristiani che tendono all’unità… Il vescovo è l’amore comunitario personificato, e il centro di unione di tutti; perciò chi è unito a lui è in comunione con tutti, e chi da lui è diviso, si è ritirato dalla comunione con gli altri, è separato dalla Chiesa. La Chiesa dunque è nel vescovo, e il vescovo nella Chiesa» [39].
    Ogni Chiesa locale riconosce così sé stessa in ogni altra Chiesa, generata dall’eucaristia presieduta dal Vescovo, e partecipa dell’unità della Chiesa cattolica, prodotta dall’unico Cristo presente nel Pane di vita per riconciliare il mondo in sé. Le singole Chiese locali vengono così ad esprimere nella loro comunione una densa analogia con la comunione trinitaria: esse manifestano la “communio sanctorum” in quanto cooperano attraverso l’unione collegiale dei loro Vescovi sotto la guida del Vescovo della Chiesa, “che presiede nell’amore” (Sant’Ignazio di Antiochia, Ad Romanos, Inscriptio), alla testimonianza dell’unica fede, dell’unico Signore, dell’unico Spirito.
    c) Sinodalità e rinnovamento della Chiesa. Tutte le Chiese, nella comunione sinodale dell’unità cattolica intorno al Vescovo della Chiesa di Roma, che presiede nell’amore, sono chiamate al costante rinnovamento in ascolto dello Spirito, che soffia dove vuole: in questo senso, la comunione universale della Chiesa è stimolo alla perenne docilità al Signore, scuola di comunione per le singole Chiese locali e forza per sostenere l’impegno nel raccogliere le sfide sempre nuove del tempo in cui ci è dato di vivere, in obbedienza alla Verità che libera e salva. Qui l’affermazione del Concilio Vaticano II riguardo alla Chiesa «santa e insieme sempre bisognosa di purificazione», chiamata ad avanzare «continuamente per il cammino della penitenza e del rinnovamento» (Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 8), si offre in tutta la sua rilevanza: a nessuno è lecito fermarsi nel processo di rinnovamento e di conversione pastorale della comunità ecclesiale; a tutti è chiesto di offrire con generosità il proprio contributo perché il cammino verso l’unità voluta dal Signore avanzi e produca la pienezza dei suoi frutti.
    Vivere questa comunione attiva e dinamica significa per ogni battezzato, come per ogni Chiesa locale, fuggire i due estremi che negano l’unità e rendono impossibile la sinodalità: «Nella vita della Chiesa sono possibili due estremi; e tutti e due si chiamano egoismo. Essi si verificano
    rispettivamente quando ciascuno o quando uno solo pretendono di essere tutto. In quest’ultimo caso il vincolo dell’unità è così stretto, e l’amore così soffocante, che non si può evitare di spegnerlo; nel primo caso tutto è così sconnesso e freddo, che si gela. Uno di questi egoismi genera l’altro. Ma né uno, né ciascuno possono essere il tutto. Solo tutti costituiscono il tutto, e solo l’unione di tutti forma un tutto. Questa è l’idea della Chiesa cattolica» [40]. In questa luce, si comprende come la Chiesa sia la Madre a cui bisogna restare uniti per accogliere in modo sempre nuovo l’amore che viene dall’alto e che fa di tutti i battezzati uno in Cristo Gesù: «Non separarti dalla Chiesa! Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza, è la Chiesa. La tua salvezza, è la Chiesa. Il tuo rifugio, è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna» [41].
    Amando la Chiesa si possiede lo Spirito, si incontra Cristo, si vive di lui e si cammina con lui: «Tanto si ha lo Spirito Santo, quanto si ama la Chiesa di Cristo» [42]. È questa comunione - resa possibile dalla missione del Figlio e continuamente vivificata dallo Spirito - a costituire nel suo senso più profondo la sinodalità, che siamo chiamati a realizzare secondo la volontà del Signore. È in essa che la Chiesa si manifesta come anticipo e profezia del Regno, quando Dio sarà tutto in tutti e il mondo intero sarà la Sua patria: «La Chiesa cesserà forse di esistere al compimento dei tempi e la sua luce verrà spenta in qualche modo da una morte? Noi rispondiamo: quando senti Chiesa, sappi che ti si parla della santa moltitudine dei credenti. La sua morte, secondo il principio vitale dell’esistenza visibile e carnale, è un andare là, dove noi conseguiremo il diritto di cittadinanza e la vita in Cristo; la sua morte è la svolta per una trasformazione in ciò che v’è di meglio in tutto il creato… una morte che ci introduce in un’altra vita, dalla debolezza ci conduce alla forza, dal disprezzo all’onore, dalla corruzione all’immortalità, dalla finitezza del tempo all’eternità della vita divina» [43]. La vita sinodale autenticamente vissuta si manifesterà allora in piena luce come una partecipazione nel tempo alle relazioni trinitarie, resa possibile per grazia quale segno e caparra dei beni futuri promessi in Cristo, crocifisso e risorto per noi.
    Lo chiediamo al Dio, Signore della vita e della storia, da cui viene la Chiesa e a cui essa tende nel cammino del tempo: «Donaci, Padre, di amare la Tua Chiesa e di volerla sempre più Sposa bella del Tuo Figlio Gesù. Aiutaci a fare di essa il porto accogliente per la salvezza di tutti, popolo sinodale in cui per ognuno ci sia posto, riconoscimento e accoglienza. Ogni battezzato si senta chiamato a servire il Tuo popolo santo dove lo hai inviato, nella docilità all’azione del Tuo Spirito, in comunione responsabile e fedele con i pastori che Tu hai voluto. E i Successori degli Apostoli, chiamati a guidare la barca della Chiesa sui mari del tempo nei molteplici passaggi della storia, siano di esempio nell’annunciare a tutti, con le parole e la vita, la grandezza e la profondità del dono che è il Tuo popolo santo, la Chiesa icona della Trinità, scuola di comunione e di servizio, partecipazione e caparra dell’eterno amore, destinato a tutti. Amen!».

     

    NOTE

    1 Francesco, Discorso in occasione della Commemorazione del 50.mo anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015: AAS 107 (2015) 1139.
    2 Ibid.
    3 Cf. Papa Francesco, Ai fedeli della Diocesi di Roma, Discorso del 18 settembre 2021.
    4 Documento preparatorio della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Per una Chiesa Sinodale, 7 novembre 2021, 1.
    5 Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018, n. 6.
    Sulla sinodalità nella Bibbia cf. A. Martin, Sinodalità. Il fondamento biblico del camminare insieme, Queriniana, Brescia 2021. Sulla sinodalità nella Chiesa delle origini cf. A. Landi, Camminare insieme. Lo stile sinodale nella Chiesa delle origini, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2021. Sui vari aspetti della sinodalità cf.: La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, a cura di P. Coda e R. Repole, Dehoniane, Bologna 2019; Sinodalità, a cura di R.
    Battocchio - L. Tonello, Messaggero, Padova 2020; Sinodalità. Istruzioni per l’uso, a cura di A. Melloni, Dehoniane, Bologna 2021; La sinodalità al tempo di Papa Francesco, 1. Una chiave di lettura storico-dogmatica, a cura di N.
    Salato, Dehoniane, Bologna 2020; La sinodalità al tempo di Papa Francesco, 2. Una chiave di lettura pastorale e teologica, a cura di F. Asti e E. Cibelli, Dehoniane, Bologna 2020; Quelli della Via. Indagini sulla sinodalità nella Chiesa, a cura di D. Righi, Dehoniane, Bologna 2020; G. Ruggieri, Chiesa sinodale, Laterza, Bari 2017; E. Ronchi, La Chiesa tra grido e fraternità. Laboratori sinodali su Evangelii Gaudium con il linguaggio del cinema, Paoline Editoriale Libri, Milano 2018; G. Calabrese, Ecclesiologia sinodale. Punti fermi e questioni aperte, Dehoniane, Bologna 2021; F. De Giorgi, Quale Sinodo per la Chiesa italiana? Dieci proposte, Morcelliana - Scholé, Brescia 2021; M. Scarpa - S. Currò, Giovani, vocazione e sinodalità missionaria. La pastorale giovanile nel processo sinodale, Editrice LAS, Roma 2019; U. Sartorio, Sinodalità. Verso un nuovo stile di Chiesa, Ancora, Milano 2021; D. Vitali, Un popolo in cammino. La sinodalità in Evangelii Gaudium, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2018.
    6 L’Église latine et le protestantisme au point de vue de l’Église d’Orient, Lausanne et Vevey 1872, e Tserkov odna, L’Église est une, in A. Gratieux, Le mouvement slavophile à la veille de la révolution, Paris 1953, 213-242. Cf. dello stesso Khomiakov et le mouvement slavophile, 2 voll., Paris 1939.
    7 Etimologicamente sobornost equivale a “sinodalità” o “collegialità”, ma nell’uso ecclesiastico slavo corrisponde anche a “cattolicità”, intesa non in senso geografico-esteriore, ma come unanimità libera e perfetta nell’amore: cf. M. Jugie, Theologia Dogmatica Christianorum Orientalium, IV, Paris 1931, 568ss, e L. Peano, La Chiesa nel pensiero russo slavofilo, Brescia 1964.
    8 V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente (1944), Bologna 1967, 175.
    9 Cf. N. Afanassieff, Una Sancta, in Irénikon 36(1963) 436-475; Id., La Chiesa che presiede nell’amore, in AA.VV., Il primato di Pietro, Bologna 1965, 487-555; Id., L’Église du Saint-Esprit, Paris 1975.
    10 Ib., 452.
    11 La Chiesa..., 510s.
    12 Ib., 514.
    13 Ib., 474. Cf. Id., L’Église du Saint-Esprit, o.c., 371. Queste prospettive possono essere integrate nella concezione cattolica della “communio” ecclesiale, quale è stata proposta dal Vaticano II: cf. B. Forte, La Chiesa nell’eucaristia. Per un’ecclesiologia eucaristica alla luce del Vaticano II, Napoli 1975. 19882.
    14 Fra le sue opere principali vanno ricordati il volume L’unità della Chiesa nella santa eucaristia e nel Vescovo secondo i Padri dei primi tre secoli, Atene 1965 (in greco), e la raccolta di saggi L’être ecclésial, Genève 1981.
    15 L’être ecclésial, o.c., 17s.
    16 L’unità della Chiesa, o.c., 58s.
    17 Ib., 99.
    18 Der Primat Petri und seiner Nachfolger nach den Grundsätzen der universellen und eucharistischen Ekklesiologie, in Orientalia Christiana Periodica 31(1965) 51.
    19 Questo modo di vedere è stato definito «cristomonismo»: cf. Y. Congar, Pneumatologie ou “Christomonisme” dans la tradition latine?, in Ephemerides Theologicae Lovanienses 45(1969) 394-416.
    20 Questo passaggio è documentato da H. de Lubac, Corpus Mysticum. L’Eucaristia e la Chiesa nel Medioevo, Torino 1968.
    21 R. Bellarmino, Disputationes de controversiis christianae fidei adversus huius temporis haereticos (Controversiae) (1586-1593), Ingolstadt 1601, t. II: Prima Controversia generalis, liber III: De Ecclesia militante, caput II: De definitione Ecclesiae, 75.
    22 Ivi.
    23 Cf. W. Kasper, Concezione della teologia ieri e oggi, in Id., Fede e storia, Brescia 1975, 17-42.
    24 J.A. Möhler, L’unità nella Chiesa. Il principio del cattolicesimo nello spirito dei Padri della Chiesa dei primi tre secoli, Roma 1969, 29.
    25 Cf. O. Dibelius, Das Jahrhundert der Kirche, Berlin 1926, e Y. Congar, «Le siècle de l’Église», in L’Église de saint Augustin à l’époque moderne, o.c., 459ss.
    26 Cf. P.C. Bori, Κoιvωvία. L’idea della comunione nell’ecclesiologia recente e nel Nuovo Testamento, Brescia 1972, 15.
    27 Cf. K. Adam, L’essenza del cattolicesimo (1924), Brescia 1947, 188: «Il cattolico non è mai solo»! Nel medesimo contesto in campo evangelico D. Bonhoeffer maturava la sua tesi, discussa nel 1927, ma pubblicata solo tre anni dopo col titolo Sanctorum communio. Una ricerca dogmatica sulla sociologia della Chiesa, Brescia 1972.
    28 Y. Congar, Chronique de trente ans d’études ecclésiologiques, in Sainte Eglise, études et approches ecclésiologiques, Paris 1963, 514. Cf. tutto il testo: 445-696.
    29 Ib., 450.
    30 Cf. Y.M.-J. Congar, Chrétiens désunis, Paris 1937, 71: «Nella Chiesa l’umanità... è unita a Dio... con una unione vitale, non personale, per formare una realtà divino-umana misticamente una. Non c’è più unione (entitativa) di due nature in una Persona, ma comunione di più persone nella stessa vita divina».
    31 Cf. V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, o.c., 175.
    32 J. Ratzinger, Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971, 235.
    33 Cf. B. Forte, La Chiesa nell’Eucaristia, o.c.; Id., La chiesa icona della Trinità. Breve ecclesiologia, Brescia 1984. 20038; Id., La Chiesa della Trinità. Saggio sul mistero della Chiesa, comunione e missione, Cinisello Balsamo 1995.
    34 Le due sulla famiglia, quella straordinaria (5-19 ottobre 2014) e quella ordinaria (4-25 ottobre 2015), il Sinodo dedicato a “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (3-28 ottobre 2018), e l’Assemblea speciale per la regione pan-amazzonica, svoltasi dal 6 al 27 ottobre 2019 sul tema “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. È stata inoltre annunciata per il 2023 la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che tratterà il tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
    35 Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 6.
    36 S. Ambrogio, Hexaemeron 4, 8, 32: CSEL 32, I, 138, 15-20. Cf. H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Roma 1971, 205ss.
    37 Cf. J. A. Möhler, L’unità nella Chiesa, o.c., 29.
    38 Ib., 67.
    39 Ib., 226s.
    40 Ib., 292s.
    41 San Giovanni Crisostomo, Homilia De capto Eutropio, c. 6: PG 52, 402.
    42 Sant’Agostino, In Iohannis Evangelium Tractatus, 32,8: CChr 36, 304.
    43 Cirillo d’Alessandria, Glaphyrorum in Genesim 4: PG 69, 224s.

    (Al Clero di Napoli, 25 gennaio 2022)


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