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    Reinventare la Chiesa

    Joseph Moingt

    chiesasconsacrata

    Dalla mia prima sosta a Bose, alcuni anni fa, ho conservato l'immagine di una "creatura nuova", cioè di un "rinnovamento" dell'antica via monastica: non di una pretenziosa "restaurazione" in modo identico della fondazione primitiva, né di un semplice adattamento ai gusti contemporanei, ma di una "riscoperta" della sua intuizione creatrice che certo si era trasmessa lungo tutta la tradizione monastica, ma legandosi a istituzioni e regole adattate a società, mentalità e costumi dei tempi andati, di modo che il suo slancio creatore avrebbe potuto manifestarsi nuovamente solo staccandosi da questi legami antichi per far fronte alle condizioni inedite dei tempi nuovi e far opera di autentica creatività.
    Così a Bose mi era stato fatto notare che nella sala capitolare il posto centrale della presidenza, del magistero era simbolicamente riservato non al fratello priore, come mi sarei aspettato, bensì al vangelo, fonte di ogni vita cristiana e della stessa Regola di Bose. Quest'ultima li viene letta ogni mattina sotto il primato del vangelo e in alternanza con le regole ricevute dalla grande tradizione della vita cenobitica. Tradizione riletta o, per meglio dire, "rivisitata" nello spirito di tante personalità spirituali del cristianesimo contemporaneo che hanno compiuto un pellegrinaggio a Bose fin dalla sua fondazione e i cui nomi fratel Enzo ha voluto che fossero impressi su una parete dell'accoglienza, così da onorarli come "ispiratori" di questa ri-creazione.
    Questa è l'immagine che mi torna alla memoria, il modello al quale vorrei ispirarmi per parlare della "reinvenzione" di cui ha bisogno oggi la chiesa cattolica.

    L'invenzione del presente

    Che la chiesa debba essere "reinventata" vuol dire due cose: innanzitutto che non si tratta di inventarla di sana pianta, come se non esistesse più o se non si potesse ricavare nulla da ciò che ne rimane; poi che essa è stata originariamente inventata e che oggi si tratta precisamente di ritrovare lo spirito e il senso, l'afflato e l'orientamento che le hanno dato origine. Parlerò in primo luogo di questa invenzione.
    "Invenzione" è un termine che il dogma cattolico aborrisce e al quale oppone quello di "fondazione": la chiesa non ha inventato nulla nel corso del tempo quanto a verità in cui credere o a precetti da praticare o a sacramenti da ricevere; essa è stata fondata da Cristo dal quale ha ricevuto in appannaggio, direttamente o attraverso gli apostoli, tutto ciò che la costituisce in quanto religione rivelata e salvifica, senza avervi aggiunto nulla di importante né di eterogeneo. Ma qui non si tratta di quello che essa avrebbe o non avrebbe inventato; si tratta solo del fatto che essa è stata inventata da Cristo o chiamata a lasciarsi inventare dallo Spirito santo di Cristo: la sua vitalità è nella sua inventività, perché la sua origine è un fatto di invenzione, essa è nata in una sospensione del tempo, tra la morte di Gesù e la sua elevazione verso il Padre, un puro momento di eternità che non aveva ancora un posto nel tempo del mondo. Questo è il primo elemento da considerare.
    Di fatto, da nessuna parte nei nostri quattro vangeli si scorge un Gesù preoccupato di lasciare dietro a sé un'istituzione destinata ad attraversare i secoli e a insediarsi saldamente dappertutto fra i popoli e le società umane, da nessuna parte vi si trova un progetto di fondazione di una nuova religione o di riforma della religione ebraica in cui egli era nato, e neppure o quasi elementi suscettibili di essere radunati per formare la costituzione di un gruppo religioso. Tutta la predicazione di Gesù è centrata sul regno di Dio di cui annuncia la prossima venuta e anzi la presenza già all'opera nel mondo, e la sua sola preoccupazione è insegnare ai suoi uditori, e innanzitutto agli apostoli che le trasmetteranno ad altri dopo di lui, le disposizioni interiori, le virtù e le opere di giustizia e di santità capaci di incamminarli verso questo Regno nel breve tempo che trascorrerà fra la sua partenza e il suo ritorno. Gesù è così poco assillato dal pensiero di una chiesa da fondare che il termine, per quanto ben presente nella Bibbia, è posto sulla sua bocca solo dall'evangelista Matteo, e non più di due volte: una per spingere i suoi fedeli a regolare le loro dispute fraternamente in "comunità" (cf. Mt 18,17), l'altra per proclamare che egli edificherà la "sua" chiesa su Pietro con una forza tale che vincerà quella della morte (cf. Mt 16,18); e si tratta del "piccolo resto" di Israele che Gesù è venuto a raccogliere (cf. Mt 23,27), della comunità messianica, della chiesa dei santi che sopravviveranno alle persecuzioni degli ultimi tempi ed entreranno nel regno di Dio per partecipare al trionfo del Figlio dell'uomo, al Giorno predetto dal profeta Daniele in cui "la grandezza dei regni che sono sotto il cielo sarà data al popolo dei santi dell'Altissimo" per un "regno eterno" (Dn 7,27). E Luca, prima di raccontare l'inizio della missione degli apostoli, ci informa che Gesù rimase ancora quaranta giorni in mezzo a essi dopo la sua resurrezione prima di salire al Padre per parlar loro "delle cose riguardanti il regno di Dio" (At 1,3): sarà dal seno del Padre che egli insegnerà ai suoi quello che dovranno fare nelle difficoltà della storia, inviando loro il suo Spirito ad "annunciare le cose future" (Gv 16,13). E si tratta sempre delle cose dell'alto, alla luce delle quali essi dovranno tracciare la loro strada sulla terra.
    La chiesa è nata dalla morte e dalla resurrezione di Gesù e dall'invio dello Spirito che sgorga simultaneamente dal suo corpo crocifisso e risorto; nasce dall'evento indivisibile della sua scomparsa dalla terra nel seno del Padre e dell'apparizione dello Spirito sotto forma di lingue di fuoco nella comunità dei discepoli, trae origine dall'esalazione di Cristo in croce che effonde il suo Spirito nel gruppo dei credenti per (ri)fare di loro il suo corpo e dimorarvi per sempre con i suoi. Gesù è morto da bestemmiatore, in stato di esecrazione, fuori religione; è per questo che la chiesa non nasce propriamente nell'ebraismo, ma fuori luogo finché non si sarà creata un luogo proprio, non si sarà costituita in comunità del Paraclito, o piuttosto non avrà lasciato lo Spirito radunarla dai quattro angoli della terra (cf. Ap 7,1-3). Ma questo va detto con precauzione, perché l'avvento della chiesa non ha la stessa istantaneità dell'evento della morte e resurrezione di Cristo.
    All'inizio della sua storia infatti la chiesa prende coscienza di sé e si presenta come una "via" particolare in seno all'ebraismo (cf. At 9,2), caratterizzata da una speranza escatologica fondata sulla predicazione di Gesù e sulla fede nella sua resurrezione, ma che condivide l'insieme delle credenze e delle pratiche comuni a tutti gli ebrei, dato che la sua fede in Cristo si radica nell'insegnamento dei profeti e in un'attesa apocalittica abbastanza generale nell'ebraismo dell'epoca. Ecco perché i primi credenti in Cristo assicurano i loro correligionari ebrei che i doni da essi ricevuti o attesi dallo Spirito o da Cristo sono ugualmente destinati a tutti loro (cf. At 2,39; 3,10-21), e manifestano ciò mediante una totale solidarietà: quelli di Gerusalemme frequentando con assiduità il tempio e le sue celebrazioni (cf. At 2,46), quelli della diaspora riunendosi, pregando e mangiando nelle sinagoghe con gli altri ebrei. Finché dura questa situazione, la chiesa non ha un luogo in cui vivere un'esistenza propria, se non in modo episodico e del tutto secolare, quando i credenti si riuniscono nelle loro case per spezzare il pane nel ricordo della morte di Cristo e nell'attesa del suo ritorno. Anche così, essa non appare sotto il suo vero volto, perché non testimonia ancora che lui è morto per tutti gli uomini senza eccezione.
    Ma ben presto si produce una frattura a causa dell'afflusso di pagani convertiti a Cristo e incorporati alla chiesa mediante il battesimo senza aver ricevuto la circoncisione, che d'altronde neppure vogliono, mentre i credenti in Cristo di origine ebraica provano ripugnanza a mangiare con quegli estranei per timore di contrarre la loro impurità. A questo punto i più antichi credenti in Cristo, e gli apostoli stessi, furono costretti a una nuova e decisiva tappa della loro conversione: decidere se si credono salvati dalla loro obbedienza alla legge mosaica o dalla fede in Cristo, dalla sua carne crocifissa o dalla circoncisione del loro corpo. Fu questo il tema profondo del "concilio" di Gerusalemme (cf. At 15) e della disputa fra Pietro e Paolo (cf. Gal 2). Solo allora la comunità cristiana prese veramente coscienza di essere la chiesa universale di Cristo, aperta a tutti gli uomini senza eccezione, e ne prese il volto riunendosi separatamente dagli ebrei per mangiare come gli altri uomini. Essa cominciò allora a essere riconosciuta nella sua specificità, e ricevette l'appellativo di "cristiana" (cf. At 11,26).
    Si sbaglierebbe però se si pensasse che il cristianesimo è entrato nella sua verità storica a causa della sua rottura con l'ebraismo, ed esclusivamente a causa di questo. Vi è entrato ripudiando ogni forma di separatismo e di esclusivismo, ogni spirito di egoismo e di superiorità, adottando un modo di vita tipicamente evangelico, una convivenza nell'unità e nella solidarietà, l'amore fraterno, l'umile servizio reso ai più piccoli, in uno spirito di umanità aperto a tutto ciò che è umano. San Paolo ne ha promulgato la regola:

    Non c'è giudeo né greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù (Gal 3,28).

    Qui non vi è greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto in tutti (Col 3,11).

    L'apostolo non intende negare ogni differenza sessuale, sociale, culturale, religiosa o etnica; egli pensa e dice solo che dal punto di vista del rapporto di ciascuno con Cristo non ci sono e non ci devono essere fra cristiani sentimenti né segni di superiorità o di inferiorità degli uni verso gli altri, né prevenzioni verso gli uni e indifferenza o disprezzo per gli altri, perché tutti sono ugualmente debitori a Cristo che fa i suoi doni a tutti senza misura e si dona agli uni per l'intermediario degli altri. Fu questa la prima costituzione ispirata alla chiesa dal modo dello Spirito di darsi a ciascuno "per il bene comune" (1Cor 12,7).

    L'invenzione del passato

    Diremo dunque che la chiesa è ormai entrata nella storia, che si è fatta il suo posto nel mondo? Non andiamo troppo in fretta. Essa è identificata quanto alla sua origine dal nome "cristiana", ma solo fino a un certo punto, perché il suo fondatore è scomparso e i suoi fedeli non aspirano ad altro che a raggiungerlo: in un avvenire molto prossimo, essi pensano. È difficile definire esattamente cosa essa sia: si sa che è sorta dall'ebraismo e che ne è stata cacciata o se ne è separata, ma non è possibile collegarla con un ramo particolare di questo popolo, nella misura in cui recluta i suoi fedeli in tutti i paesi, tutte le classi sociali, tutti i gruppi religiosi, senza essere annessa ad alcun popolo particolare né relegata in un solo luogo; non ha stato civile e non gode da nessuna parte di riconoscimenti legali. È una religione? Non si vedono i suoi fedeli rendere un culto pubblico alla loro divinità, li si sospetta di essere "atei" o forse di costituire una "setta" immorale e priva di senso civico. Vengono condotte al riguardo inchieste da parte delle autorità imperiali, e gli apologisti cristiani dovranno difendersi da questi sospetti durante tutto il ii secolo; essi si gloriano d'altronde di sentirsi dappertutto in patria senza avere alcuna patria particolare, di obbedire alle leggi dell'impero senza essergli assoggettati, di onorare Dio senza rendergli un culto sensibile; molti preferiscono addirittura definirsi una "scuola di filosofia", senza essere affiliati a una scuola conosciuta. Tutto ciò rende il cristianesimo difficile da classificare nel, lussureggiante paesaggio delle religioni dell'epoca.
    È così perché il cristianesimo non ha storia, non ha un passato reperibile nella storia di un popolo; è sorto all'improvviso, all'appello di un uomo appena conosciuto, ed emigra dappertutto come se non venisse da nessuna parte. La chiesa non potrà esistere in quanto tale e godere di un radicamento stabile che inventandosi un passato.
    Gliene è data l'occasione, o piuttosto se ne fa sentire la necessità, abbastanza presto nel corso del ii secolo a causa della proliferazione delle sette gnostiche e soprattutto del marcionismo. Le prime diffondono numerosi scritti apocrifi che mettono in grave pericolo la giovane fede cristiana; la chiesa se ne difende identificando la "tradizione apostolica" con la predicazione continuata e con gli scritti conservati nelle sue più antiche comunità, e trincerandosi dietro questa tradizione: è un inizio di storia, preziosissimo per il discernimento della propria dottrina, ma che non risale oltre il suo fondatore. La setta chiamata "montanismo", dal nome del vescovo Montano che l'aveva fondata, per contro obbligherà la chiesa a fissare le sue difese in un passato più lontano, perché questa setta sostiene che è un dio del tutto "nuovo" e precedentemente "nascosto" quello che si è rivelato "improvvisamente" e "recentemente" in Gesù: non il Dio creatore dei padri del popolo ebraico, non il Dio di Mosè e dei profeti, ma un Dio finora sconosciuto che si è rivelato solo in Gesù come Padre suo. La prova ne è che gli ebrei non hanno riconosciuto Gesù come messia, e che i cristiani non seguono più la legge di Mosè. Ecco allora la chiesa spinta a riconoscere la sua ascendenza ebraica per continuare a richiamarsi al Dio di Gesù e degli apostoli, quando già ormai si è ritirata o è stata cacciata dall'ebraismo. Vi giungerà, senza rinnegarsi, risalendo questo passato oltre l'ebraismo.
    Essa riconobbe che il suo Dio è quello stesso che si era rivelato a Mosè, liberatore e legislatore del popolò ebraico, poi ai profeti di questo popolo, e i cui insegnamenti e ordinamenti erano stati consegnati nelle Scritture dell'ebraismo, ma che è il Dio unico di tutti gli uomini, colui che li aveva creati e fin dal principio dei tempi si era fatto conoscere da loro e più tardi da Abramo e dagli altri patriarchi ebrei molto prima della costituzione del popolo ebraico da parte di Mosè e prima del suo insediamento sulle terre da esso conquistate. La chiesa riusciva in tal modo a darsi un passato nel popolo ebraico senza integrarvisi, perché era proprio lei, affermava, che Dio voleva fondare preparando la strada alla venuta del Figlio suo nel solco del regno di Davide. E ne forniva le prove: la traversata del mar Rosso prefigurava il perdono dei peccati del mondo grazie al battesimo cristiano, il pane caduto dal cielo durante la traversata del deserto annunziava quello che Gesù avrebbe tratto dalla propria carne, il sacrificio offerto da Mosè per celebrare la liberazione del popolo significava quello che Gesù avrebbe offerto a Dio per la salvezza del mondo, l'istituzione dei sacerdoti e dei leviti da parte di Mosè e Aronne preparava il sacerdozio cristiano incaricato di somministrare il sacrificio di Cristo.
    Così la chiesa è diventata religione e istituzione di salvezza come molte altre che le stavano attorno: era per essa l'unico modo di attualizzare il ricordo di Gesù nel corso del tempo e di dare a tale ricordo, che ne è l'origine, il suo pensiero e la sua vita, un volto visibile e identificabile nella diversità del mondo religioso dell'epoca. Ma essa testimoniava della sua singolarità continuando a richiamarsi all'unico evento e perpetuo scandalo della croce di Gesù, e ad aprirsi indistintamente a ogni uomo che si sentisse mosso a cercarvi la sua salvezza.
    Così essa non ha smesso di "reinventarsi", fissandosi spesso in questa o quella forma religiosa più accessibile all'intelligenza e al genere di vita degli uomini di questa o quella epoca o cultura, per distaccarsene più tardi e reincarnarsi in un'altra forma richiesta dai mutamenti della storia. Ad esempio, dopo aver offerto la riconciliazione con Dio nell'unico battesimo nel nome di Gesù, la chiesa l'ha sdoppiata nell'istituzione della penitenza pubblica e unica, che a sua volta si trasformerà, secoli dopo, nel sistema della confessione segreta e frequente; così pure il ricordo della morte di Gesù, che si esprimeva inizialmente in un pasto fraterno preso ogni giorno nelle case, si fisserà ben presto nell'eucaristia domenicale che radunerà tutti i cristiani di una stessa regione, prima di moltiplicarsi e disperdersi nelle messe celebrate per i fedeli in ogni luogo e in ogni tempo; o ancora, il sacerdozio di Cristo che esibiva la sua dignità all'inizio nell'unico presbitero, suo vescovo, di ogni città, ha in seguito volgarizzato e moltiplicato tale dignità nell'istituzione di un presbiterato "secondario", per singolarizzarla ed esaltarla nuovamente più tardi nella personalità di un vescovo universale, quello di Roma.
    In ciascuna di queste trasformazioni, quando essa cambiava morfologia, la chiesa aveva cura di richiamarsi alla sua tradizione e all'obbligo di continuarla mantenendo la propria identità ma in altro modo, alfine di portare al mondo e ai fedeli la stessa verità e gli stessi aiuti di Cristo ma in forme appropriate a tempi e bisogni nuovi. In realtà, ogni volta era il soffio dello Spirito di Cristo risorto che la sollevava, la stanava, la spingeva in avanti, ricordandole che essa non è di questo mondo, che non ha in esso una stabile dimora né un volto definitivo, ma che è nata per andare sempre altrove, per percorrere le vicissitudini del mondo, perché detiene dallo Spirito santo la potenza di rinascere della vita del Risortó in ogni circostanza e in qualunque modo osi affrontare la morte.
    Ed ecco che oggi il suo passato di istituzione religiosa è in via di sparizione, e che la chiesa sembra non avere più il suo posto nella storia in corso, completamente diversa da quella che l'aveva portata fin qui. Eccola ridotta a inventarsi un avvenire inedito: proprio come nel giorno della sua nascita... tranne che dovrà disabituarsi al passato che si era data e distaccarsi da esso.

    L'invenzione del futuro

    È possibile dire, senza disconoscerne il merito, che la chiesa non ha avuto eccessive difficoltà nell'inventare il suo passato: essa disponeva innanzitutto di quello di Gesù e degli apostoli, in seguito ha sempre trovato dei modelli da adattare; ha subito l'ostilità dell'impero ma è riuscita a farsene un alleato beneficiando più tardi del concorso dei popoli e degli stati che aveva iniziato alla fede cristiana e alla civiltà greco-romana. Ma la situazione è mutata a suo detrimento nei "tempi moderni" nella misura in cui le società si secolarizzavano e gli stati si laicizzavano: la gente aveva sempre meno bisogno della religione. È inutile dilungarsi sullo stato attuale della chiesa nelle società occidentali: seminari chiusi, congregazioni religiose spopolate, clero stanco e diradato, tanti edifici religiosi deserti, tante parrocchie esangui; le chiese evangelicali e le nuove comunità di tipo pentecostale soddisfano il sentimento religioso dei loro membri senza riempire il vuoto che continua ad approfondirsi nelle chiese istituzionali; la mondializzazione dei mercati, delle tecniche e dei beni culturali fa temere che il cristianesimo subisca la stessa sorte nei paesi che sono sfuggiti a quest'evoluzione, e se ne vedono già molti segni. Sarebbe crudele proseguire nella descrizione di questo stato di cose; per contro, non è inutile investigarne le cause più profonde.
    Certo, l'ateismo è stato propagato da certe correnti filosofiche, il dogma attaccato negli ambienti scientisti, la chiesa scalzata dal laicismo; il rilassamento dei costumi ha allontanato molti dalla pratica religiosa, e si potrebbero addurre ancora altri motivi. Ma la chiesa ha cozzato in ogni epoca con ostacoli di questo genere, che non spiegano il declino così così corrosivo e generalizzato del cristianesimo proprio là dove pareva regnare da padrone. A dire il vero, non si può dire che la chiesa cristiana in quanto tale sia stata il bersaglio di attacchi concertati diretti espressamente contro di lei; è il plurimillenario zoccolo religioso su cui si era costruita la sua tradizione che è crollato, trascinando anch'essa nella sua caduta al termine di una lenta disintegrazione. Essa non deperisce a causa di un rigetto della fede da parte dei suoi fedeli considerati individualmente, ma a causa di un mutamento globale di civiltà, della rottura delle articolazioni immemorabili tra credenza religiosa e legame sociale, ed è questo che fa la gravità irreversibile della situazione. La credenza in una divinità salvatrice ha fatto l'educazione dell'umanità fin dai tempi più remoti accessibili all'osservazione storica; il legame tra un culto protettore e un gruppo umano appare alla base delle più antiche forme di organizzazione politica delle città e degli stati. Il cristianesimo aveva costruito il suo passato di religione istituzionale su queste fondamenta molto anteriori a esso; ora queste fondamenta cadono in rovina, ed eccolo crollare sulle loro macerie.
    Il crollo della fede si è prodotto perché troppi cristiani si accontentavano di far dipendere la loro appartenenza alla chiesa dalla loro nascita e dalla loro educazione, senza curarsi di personalizzare e vivificare la loro fede in Cristo attraverso l'ascolto e la meditazione frequente del vangelo, per cui il loro legame con la chiesa traeva la sua forza dalla presa di questa sulla società, e la loro fede in Cristo dalla sopravvivenza di una comune credenza in Dio; questo legame finiva per disintegrarsi nel momento stesso in cui si sfaldavano le strutture religiose della società, e la fede di questi cristiani svaniva nella misura in cui la società non sentiva più il bisogno del sostegno di una trascendenza. Molti gruppi cristiani hanno resistito a questa disintegrazione identificando la loro posizione sociale con la loro appartenenza alla chiesa; altri fedeli, presi da nuovi modelli di pensiero da essa riprovati, si sono sentiti costretti a lasciarla per trovare al di fuori la libertà che essa rifiutava loro; ma nella maggioranza dei casi l'uscita dalla religione è stata fatta e continua a farsi senza urti né dolore da cristiani che si lasciavano e si lasciano portare dal corso della (post)modernità verso orizzonti "disincantati", svuotati della speranza del regno di Dio.
    In un simile cantiere ci sono delle vie d'aiuto? La chiesa non manca certo di proposte: "nuova evangelizzazione" della società, restaurazione della tradizione liturgica e dottrinale, rafforzamento della comunione gerarchica, e soprattutto, per cominciare, chiamata al reclutamento presbiterale. Ma tutte queste misure hanno di mira soprattutto la salvezza della religione cristiana dall'alto, e non propongono come mezzo che la ricostruzione del suo passato; e questa non può che fallire, per gli stessi motivi per cui il suo passato stesso è crollato.
    La salvezza non può consistere che nel dare un avvenire alla chiesa in questo mondo nuovo, in cui essa non trova posto perché il mondo crede di non aver più bisogno di lei; la salvezza consisterà nell'andare avanti senza più pensare al passato, non rigettando la tradizione (lungi da ciò), ma risalendone il corso fino alla nascita della chiesa, come si è detto fuori luogo e fuori religione, nella sospensione del tempo trascorso fra la morte e la resurrezione di Gesù, il cui ultimo soffio portatore di Spirito ha catapultato gli apostoli sulle strade del mondo, carichi di un vangelo non scritto, partiti senza bastone né sandali di ricambio per il breve viaggio che doveva condurli all'incontro con il Signore e che ve li ha effettivamente condotti ma per un tracciato imprevisto. La chiesa ha tratto l'intera sua vitalità dal respiro di questo invio, non ne troverà in altro modo, la rinnoverà sicuramente per la stessa via.
    Detto chiaramente, questo vuol dire che l'avvenire della chiesa può essere solo quello del vangelo, che esso non consiste nell'assicurare innanzitutto la propria sopravvivenza in quanto istituzione religiosa, ma nel permettere al vangelo di Gesù di passare al mondo attraverso di essa per annunciargli la salvezza, e adempierla. Perché il mondo non viene più a lei, essa riesce solo a proporgli i suoi riti, e anche questo a fatica per mancanza di ministri, benché la domanda sia in rapido calo; essa vorrebbe istruire il mondo, ma non sa più parlargli e il mondo non l'ascolta più. Essa dunque può adempiere alla sua missione solo affidandola a quanti fra i suoi fedeli sono più disposti a farlo e sono anche più adatti, quanti vivono più a contatto con il mondo, ne condividono le sofferenze, i bisogni, le aspirazioni, quanti hanno appreso i suoi modi di pensare e parlano lo stesso linguaggio: sono i laici, impegnati nel servizio dei loro fratelli nelle dure realtà dell'esistenza, formati nello spirito del Vaticano II, dell'apertura al mondo, assieme ai preti che li hanno formati e che sono risoluti ad accompagnarli in una nuova avventura evangelica.
    In che modo questi fedeli annunceranno il vangelo al mondo in modo da metterlo sulla via della salvezza? Ispirandosi alla missione iniziata da Gesù: questi raggruppava dei discepoli presso di sé, li iniziava al suo pensiero, li introduceva nella sua intimità con il Padre, se li portava dietro a visitare poveri, malati e peccatori, e poi, senza perder tempo, li metteva al lavoro, li inviava a fare come lui, non fino alle estremità della terra dove lui non è mai andato, ma nelle vicinanze, nelle case e nelle borgate vicine; diceva loro di entrare nelle case delle persone senza attendere che quelle andassero da loro, di portar loro un po' di pace e di speranza, non di indottrinarle né di redarguirle, ma di portar loro la buona notizia della salvezza, il tutto più con gli atti che con le parole: perché "il regno di Dio è in mezzo a voi" (Lc 17,21), già in azione, diceva loro; e gli apostoli dopo la sua partenza ripetevano ai loro ascoltatori: Dio non ha atteso che voi andiate a lui pieni di rimorsi e di opere buone, è venuto lui da voi e si è riconciliato con voi in Gesù, ha fatto lui i primi passi, la pace con il mondo perché voi gliela portiate a vostra volta; lui vi accorderà il suo perdono ogni volta che lo chiederete e lo accorderete agli altri, voi riceverete il suo aiuto dal sostegno che darete agli altri, e la salvezza giungerà al mondo attraverso l'aiuto fraterno che porterete a quanti sono nel bisogno, sull'esempio di Gesù che ha salvato gli uomini facendosi servo dei suoi fratelli.
    La salvezza non è qualcosa di etereo né di complicato, non avviene lontana dalle realtà del mondo, unicamente negli spazi celesti e nei tempi dell'eternità, sotto lo sguardo e il giudizio degli angeli estranei alla vita di quaggiù. Forse abbiamo allontanato le persone dalla salvezza, a forza di fare di questa un oggetto di timore più che di speranza, a forza di accumulare gli ostacoli affinché i comuni mortali si persuadessero che non è alla loro portata, e siamo riusciti a disgustarle di una simile salvezza così ricca di promesse, così meravigliosa, ma così poco umana da esentare Dio dalle preoccupazioni per le nostre faccende e nostre miserie terrene. Ascoltiamo piuttosto l'apostolo Paolo:

    Avete rivestito l'uomo nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, a immagine di colui che lo ha creato. Qui non vi è greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto in tutti. Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché a essa siete stati chiamati in un solo corpo (Col 3,10-15).

    La salvezza è una faccenda umana, ha il suo compimento in Dio, nell'unità di Dio e di Cristo, ma avviene sulla terra e fra gli uomini attraverso l'atto di unirsi e soccorrersi a vicenda, consiste nell'assumere un volto umano, attento agli altri, attraente, rassicurante, nell'avere fra di noi relazioni improntate a umanità, nell'umanizzare il nostro comportamento, nel portare i pesi gli uni degli altri. Ha una mira politica e lontana: fare la pace fra le nazioni, e una portata conviviale e immediata: bandire di fra gli uomini sentimenti e atti di esclusione e di dominio, stabilire relazioni individuali e civiche sulla base della fraternità e della solidarietà. Dio vuol salvare la totalità umana, tutti quelli che hanno ricevuto e conservato l'immagine di Dio, che è amore (cf. I Gv 4,8), tutti gli uomini giunti, in virtù della grazia ricevuta dalla creazione e fecondata dal sangue di Cristo, alla vera umanità secondo l'esempio dato da Gesù, un'umanità unificata dall'amore come lui è uno con il Padre (cf. Gv 17,22). La salvezza è opera di umanizzazione: e se questo punto di vista ci appare troppo "umanistico", troppo accomodante, osserviamo lo spettacolo offertoci dal mondo, oggi e da molti secoli a questa parte, esaminiamo senza compiacimenti il nostro comportamento personale più abituale, e ricordiamoci che Gesù ci ha dato in se stesso il modello e la misura dell'amore salvifico (cf. Gv 13,14; 15,13).
    Ma che cosa manca ai fedeli che lo desiderano per impegnarsi in questa via? La mancanza non è da parte loro, viene dall'istituzione ecclesiastica che, imbevuta di pregiudizi religiosi, non riconosce ai "semplici" fedeli la libertà e la responsabilità del loro essere cristiani e del loro vivere insieme, e che a causa di ciò, non vedendo altro modo di farli esistere in quanto cristiani che radunarli in riunione cultuale in un luogo consacrato attorno a un prete, priva numerosi spazi umani della presenza di una comunità cristiana viva, di una presenza evangelica che sia di lievito. Infatti, per timore di sembrare ridurre la necessità e la sfera di attività del sacerdozio consacrato, e malgrado gli inviti del Vaticano II, la chiesa non sa trattare i fedeli da individui "maggiorenni", vuole mantenerli sottomessi al potere sacerdotale e gerarchico che provvede i mezzi di accesso alla vita soprannaturale, e altro non può proporre loro che di aiutare i preti nei ministeri di cui detengono le chiavi; ecco perché i laici che non vogliono rimanere perpetui minorenni nella loro vita di fede né rinunciare a vivere nella chiesa da soggetti responsabili come fanno nella società civile continuano a lasciarla. Così essa si privadel loro concorso per annunciare il vangelo al mondo, e presto non avrà più altra visibilità che quella di una religione in via di estinzione.
    Per ovviare a tale pericolo mortifero, la chiesa lascerà ai fedeli che ne hanno l'ambizione la possibilità di organizzare da sé il loro modo di servire il vangelo nella chiesa, la libertà di formare comunità espressamente ordinate alla meditazione del vangelo, alla vita di discepoli di Gesù e all'azione evangelica nel mondo: ma tutto in pieno accordo con il vescovo per testimoniare che vivono una missione di chiesa in comunione con la chiesa universale. Una tale missione richiede necessariamente un alimento di vita spirituale, sacramentale ed eucaristica; e il vescovo onorerà la dignità dei cristiani radunati dallo Spirito santo in un "sacerdozio santo" (i Pt 2,5) riconoscendo che questo è stato da lui provvisto di mezzi per esercitare la sua vita di unione al Corpo e in quanto corpo di Cristo mediante l'esercizio del sacerdozio comune della chiesa, poiché la nuova alleanza li ha liberati dalle servitù dell'antica.
    Agli occhi di molti osservatori la chiesa dovrebbe togliere la legge del celibato sacerdotale e ordinare uomini (e donne) sposati per ritrovare un funzionamento normale: tale misura non dovrebbe urtarsi contro ostacoli insormontabili. Ma basterebbe a ricondurre alla chiesa i fedeli che l'hanno abbandonata perché stanchi delle mediazioni del sacro? Per altri, la sua suddivisione in comunità "tradizionaliste" e "progressiste" esigerebbe un raddoppiamento del clero, proprio mentre l'aspirazione sembra piuttosto andare nel senso di un'accresciuta declericalizzazione. Ma non è questo il momento di darsi alle previsioni sull'avvenire e di programmarle in anticipo. Si tratta invece di lasciar nascere un futuro nuovo come al tempo delle origini, e lo Spirito che soffia dove vuole (cf. Gv 3,8) passerà da questa apertura per installare lui stesso la chiesa nella novità del tempo. La fiducia e la pazienza dei fedeli le ispireranno l'audacia di lasciarli testimoniare dello Spirito che li anima, e la venuta dello Spirito farà germogliare nel mondo i semi dell'uomo nuovo.

    (Da: L'umanesimo evangelico, Qiqajon 2015, pp. 123-142)


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