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    Mistica popolare

    e pastorale urbana

    Jorge R. Seibold

     

    L’Esortazione apostolica di Papa Francesco dal titolo Evangelii gaudium (EG), pubblicata a Roma il 24 novembre 2013, tratta dell’annuncio del Vangelo nel mondo attuale [1]. Qui intendiamo riflettere su alcuni aspetti particolari che vi sono indicati quando la «nuova evangelizzazione» viene messa in rapporto con la «pietà popolare», la «mistica popolare» e la «pastorale urbana», così come Papa Francesco li presenta in quell’Esortazione [2]. Sono aspetti molto vincolati alla ricca esperienza spirituale latinoamericana, espressa in molti modi, e più in particolare nel Documento di Aparecida del 2007. In questo è stata assai rilevante la presenza di Bergoglio, all’epoca cardinale di Buenos Aires, in Argentina, e responsabile della redazione finale di tale Documento ecclesiale dedicato ai popoli latinoamericani e caraibici. Adesso la Evangelii gaudium amplia lo sguardo a tutte le nazioni del mondo e ai destinatari a cui si rivolge.
    E ciò comporta un dilatarsi delle prospettive.

    La forza evangelizzatrice della «pietà popolare»

    L’esortazione si apre con quella che potremmo definire una prima introduzione o presentazione. Essa costituisce già un invito ad addentrarci nella problematica della «pietà popolare», della «mistica popolare» e della «pastorale urbana».
    Il primo tema della nostra indagine viene trattato esplicitamente nel terzo capitolo dell’esortazione, intitolato «L’annuncio del Vangelo» (EG 110-175). Dopo aver affermato, nei primi numeri di questo capitolo, l’importanza del fatto che «tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo», il Papa dedica uno spazio considerevole al tema della «pietà popolare» legata alla sua «forza evangelizzatrice» (EG 122-126). Esaminiamo ora più in dettaglio quanto viene esposto in questi numeri.
    Papa Francesco apre il n. 122 affermando il ruolo evangelizzatore che hanno i popoli ove il Vangelo è già penetrato nelle culture, con le quali si sentono identificati. Ciò fa sì che ogni popolo trasmetta «la fede in modi sempre nuovi; da qui l’importanza dell’evangelizzazione intesa come inculturazione».
    Il Papa, ispirato dai testi delle Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi nei Documenti di Puebla (1979) e di Aparecida (2007), afferma esplicitamente che «il popolo evangelizza continuamente se stesso». È in questo contesto che la «pietà popolare» viene citata per la prima volta nell’esortazione, come «autentica espressione dell’azione missionaria spontanea del Popolo di Dio. Si tratta di una realtà in permanente sviluppo, dove lo Spirito Santo è il protagonista».
    Subito dopo Papa Francesco riconosce (n. 123) che la «pietà popolare » è una realtà che è stata rivalutata negli ultimi anni del XX secolo, in particolare a partire dalla Evangelii nuntiandi di Paolo VI nel 1976, e confermata, più di recente, nell’apertura della V Conferenza di Aparecida (2007), quando anche Benedetto XVI ha segnalato che essa è «un prezioso tesoro della Chiesa cattolica» e che in essa «appare l’anima dei popoli latinoamericani».
    Papa Francesco prosegue (EG 124-126) in questa medesima direzione rivalutativa della «pietà popolare», citando lo stesso Documento di Aparecida (DA 262), in cui per la prima volta essa viene definita dai vescovi con i nomi di «spiritualità popolare» o «mistica popolare».
    Il Papa mostra poi la ricchezza di questo contenuto, mettendo in evidenza che la «pietà popolare» è una spiritualità dei semplici e degli umili, incarnata nella cultura dei poveri, ma anche pellegrina e missionaria.
    Leggiamo ora il testo completo, integrandolo con alcuni nostri commenti per meglio coglierne il senso: «Si tratta di una vera “spiritualità incarnata nella cultura dei semplici” (DA 263). Non è vuota di contenuti, bensì li scopre e li esprime più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione strumentale, e nell’atto di fede accentua maggiormente il credere in Deum [credere in Dio, ovvero in senso fiduciale, di fiducia, il movimento della volontà che trova il suo fine in Dio] che il credere Deum [credere Dio, che esprime un senso più intellettuale, come insegna san Tommaso nella Summa Theologiae]. È “un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari” (DA 264); porta con sé la grazia della missionarietà, dell’uscire da se stessi e dell’essere pellegrini: “Il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in se stesso un atto di evangelizzazione” (DA 264). Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!».
    A parlare, qui, non è soltanto la dottrina del Documento di Aparecida, bensì la stessa esperienza di Papa Francesco, che da giovane prese parte a queste grandi manifestazioni di fede popolare nella sua patria argentina, come ha dimostrato ampiamente nella «Giornata mondiale della gioventù» svoltasi a Rio de Janeiro nel luglio 2013, in cui si è prodigato totalmente. È lì che l’anima del pastore si addentra nel cuore del suo gregge, come dice il Papa subito dopo, nel n. 125 della sua esortazione: «Per capire questa realtà c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare. Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani, specialmente nei poveri. Penso alla fede salda di quelle madri ai piedi del letto del figlio malato che si afferrano a un rosario anche se non sanno imbastire le frasi del Credo; o a tanta carica di speranza diffusa con una candela che si accende in un’umile dimora per chiedere aiuto a Maria, o in quegli sguardi di amore profondo a Cristo crocifisso. Chi ama il santo Popolo fedele di Dio non può vedere queste azioni unicamente come una ricerca naturale della divinità. Sono la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato nei nostri cuori (cfr Rm 5,5)».
    Questo capitolo dedicato alla «pietà popolare», intesa come espressione fiduciale e apostolica, si conclude nel n. 126, in cui la «pietà popolare» è collocata come «luogo teologico » al quale occorre fare ricorso quando s’intende pensare la nuova evangelizzazione.
    Quanto detto fin qui ci prepara meglio ad addentrarci di più nel «senso mistico» della «pietà popolare».

    Il senso «mistico» della «pietà popolare»

    Sia il testo di Aparecida sia l’esortazione legano intimamente tra loro la «pietà popolare» e la «mistica popolare» [3]. In verità queste hanno una propria fisionomia, che le distingue una dall’altra, ma al tempo stesso possiedono molti lineamenti comuni che le legano strettamente tra loro. Tante volte esse sono state ritenute molto diverse, quando la «pietà popolare» è stata considerata qualcosa di «meramente esteriore» che caratterizza il comportamento del popolo fedele di Dio, mentre la «mistica» sarebbe qualcosa di «meramente interiore» e prodotta nel soggetto dall’agire di Dio attraverso segni e portenti tali da riservare una simile grazia a una cerchia ristretta di eletti. Sicché la «pietà popolare» si ridurrebbe ad alcune pratiche del nostro popolo devoto, in massima parte umile e semplice, che recita il Rosario alla Madonna nelle sue svariate invocazioni, venera le immagini dei santi, partecipa a vari pellegrinaggi nei suoi santuari preferiti, esterna molti gesti fisici di chiaro significato spirituale, come inginocchiarsi davanti a un’immagine, segnarsi con l’acqua benedetta, portare sempre con sé immaginette, medaglie e scapolari, con i quali ci si raccomanda a Dio, alla Madonna e ai santi per i quali si ha devozione.
    La verità è più complessa e si sottrae a una simile dicotomia.
    La «pietà popolare» possiede una profondità «mistica» che raggiunge l’intimo dei suoi fedeli, grazie all’azione primaria dello Spirito Santo, da cui dipende; e a sua volta la «mistica» non soltanto si radica con Dio nel cuore dell’uomo, ma conduce anche l’uomo, insieme a molti altri, a trasformare il mondo in cui è inserito. Entrambi questi movimenti dello Spirito sono necessari per realizzare la nuova evangelizzazione come la intende Papa Francesco.
    Nel capitolo quarto dell’esortazione, intitolato «La dimensione sociale dell’evangelizzazione» (EG 176-258), il Papa torna a riferirsi alla «mistica popolare», allo scopo di darle un senso sociale e trasformante, che la sottrae al rischio di rinchiudersi entro mistiche «disincarnate», che affondano soltanto nelle profondità dell’io umano, o si perdono e sbiadiscono in una trascendenza vuota, che è «niente», dimenticando con ciò che il mistero divino è intimamente connesso con il mistero umano e con il suo contesto sociale. In questa prospettiva, la «mistica popolare» si accosta alla «pietà popolare» e le apporta il suo senso più proprio e fecondo.
    Papa Francesco, in un testo di cui ora ci occuperemo, parla di uno dei princìpi che devono guidare la nuova evangelizzazione, dove si afferma che «il tutto è superiore alla parte».
    Ecco il testo: «A noi cristiani questo principio [“il tutto è superiore alla parte”] parla anche della totalità o integrità del Vangelo che la Chiesa ci trasmette e ci invia a predicare. La sua ricchezza piena incorpora gli accademici e gli operai, gli imprenditori e gli artisti, tutti. La “mistica popolare” accoglie a suo modo il Vangelo intero e lo incarna in espressioni di preghiera, di fraternità, di giustizia, di lotta e di festa. […] Il Vangelo è lievito che fermenta tutta la massa e città che brilla sull’alto del monte illuminando tutti i popoli.
    Il Vangelo possiede un criterio di totalità che gli è intrinseco: non cessa di essere Buona Notizia finché non è annunciato a tutti, finché non feconda e risana tutte le dimensioni dell’uomo, e finché non unisce tutti gli uomini nella mensa del Regno. Il tutto è superiore alla parte» (EG 237).
    Notiamo che qui il Papa sceglie l’espressione «mistica popolare» per riferirsi a tutta una serie di realtà che egli enumera, come la «preghiera», la «fraternità», la «giustizia», la «lotta» e la «festa».
    La «mistica popolare», alla stessa stregua della mistica dei grandi oranti, come san Giovanni della Croce e santa Teresa, non nega questi aspetti, altrettanto fondamentali quanto il mistero dell’unione e della trasformazione dell’uomo in Dio. Ma qualcosa di simile andrebbe detto anche della «pietà popolare». Quando essa è genuina, comprende tutti quegli elementi enumerati dal Papa, specialmente quelli che impegnano i fedeli nel loro ambiente sociale tramite relazioni di giustizia e di solidarietà. Una «pietà popolare» che si fermi a meri segni e pii atteggiamenti esteriori, come per esempio portare la croce sul petto, se non si accompagna al tempo stesso a una vita di impegno evangelico verso il prossimo, non è «pietà popolare», e non la si potrebbe neppure chiamare «mistica popolare».
    Papa Francesco l’aveva già detto in precedenza nella sua esortazione, quando nel capitolo secondo scriveva: «Esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”. Alcuni promuovono queste espressioni senza preoccuparsi della promozione sociale e della formazione dei fedeli, e in certi casi lo fanno per ottenere benefici economici o qualche potere sugli altri» (EG 70).
    Da qui l’importanza del fatto che i fedeli siano inseriti nel «popolo», perché così potranno vivere davvero una «pietà» e una «mistica» effettivamente «popolari». È per questa ragione che un poco più avanti, nel capitolo quinto dell’esortazione, il Papa ci parla di una mistica che non deve mantenersi a «una prudente distanza dalle piaghe del Signore». Gesù stesso infatti «vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo» (EG 270).
    Questa è l’esperienza basilare e umana dell’essere «noi», che è fondamentale per sentirsi popolo. L’evangelizzazione farà sì, dunque, che questa prossimità, questo «toccarci» e questa «tenerezza» si approfondiscano nel mistero di Cristo, che ci unisce a sé e tra di noi con i vincoli dell’amore: aspetti, questi, che Papa Francesco sviluppa nel n. 271 e all’inizio del n. 272. Qui appare di nuovo, e adesso legata alla nuova evangelizzazione, «la mistica di avvicinarci agli altri».
    Una mistica che, pur avendo un fondamento naturale nella capacità innata che noi uomini abbiamo di avvicinarci agli altri per formare famiglie e popoli, adesso, con l’incentivo dell’«azione dello Spirito», origine e frutto dell’evangelizzazione, non soltanto si arricchisce, ma ci spinge pure a evangelizzare affinché anche molti altri possano godere insieme a noi di tali «più bei regali del Signore». Questa ultima constatazione ci invita a entrare negli ambiti propri e più urgenti della nuova evangelizzazione. Uno di essi è la «pastorale urbana».

    La sfida attuale della pastorale urbana

    Entriamo nella sezione intitolata «Alcune sfide del mondo attuale» (EG 52-75). Dopo aver delineato una serie di «sfide» che si presentano alla Chiesa nei più diversi ambiti, Papa Francesco passa a trattare le «sfide delle culture urbane» (EG 71-75). Ci riferiremo ad alcune delle sue affermazioni in questa importante sezione.
    Per meglio disporci alla lettura, sarebbe conveniente fare ricorso a un testo precedente di Francesco, che risale più precisamente a quando, prima di essere eletto Papa, egli era il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo della città di Buenos Aires. Nel 2011 partecipò al primo Congresso di pastorale urbana, svolto dalla Regione metropolitana di Buenos Aires, con i suoi quasi 13 milioni di abitanti, raggruppati pastoralmente nell’arcidiocesi e in 11 diocesi suffraganee. Una grande sfida per la nostra pastorale urbana. Le parole iniziali di quel Congresso vennero pronunciate da Bergoglio, che scelse come tema Dio vive nella città, espressione che si trova anche nel Documento di Aparecida (cfr DA 514) e che il Congresso aveva scelto come propria cifra espressiva.
    Qui citiamo un solo testo, in cui egli mostra in chiave pressoché autobiografica l’importanza che per lui riveste questa problematica.
    Ecco le sue parole iniziali: «Quando prego per la città di Buenos Aires, ringrazio per il fatto che si tratta della città in cui sono nato.
    L’affetto che sorge da questa familiarità aiuta a incarnare l’universalità della fede che abbraccia tutti gli uomini di tutte le città. Oggi essere cittadino di una grande città è qualcosa di molto complesso, poiché i vincoli di razza, storia e cultura non sono omogenei, e nemmeno i diritti civili sono pienamente condivisi tra tutti gli abitanti. Nella città ci sono moltissimi “non cittadini”, “cittadini a metà” e “avanzi urbani”: o perché non godono di pieni diritti — gli esclusi, gli stranieri, le persone senza documenti, i bambini non scolarizzati, gli anziani e i malati privi di copertura sociale — o perché non adempiono i loro doveri. In questo senso, lo sguardo trascendente della fede, che porta al rispetto e all’amore del prossimo, aiuta a “scegliere” di essere cittadino di una società concreta e a mettere in pratica atteggiamenti e comportamenti che creano cittadinanza.
    Lo sguardo che voglio condividere con voi è quello di un pastore che desidera approfondire la propria esperienza di credente, di uomo che crede che “Dio vive nella città”» [4].
    In maniera analoga adesso, nella sua esortazione, Papa Francesco propone dal n. 71 la problematica pastorale che oggi affrontano le nostre grandi città. E lo fa in una prospettiva «contemplativa», con uno sguardo illuminato dalla fede, che, ispirandosi ad Ap 21,2- 4, lo porta ad affermare: «È interessante che la rivelazione ci dica che la pienezza dell’umanità e della storia si realizza in una città.
    Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze». E poco più avanti dice: «Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia».
    Ma la città non manca di conflitti e di contraddizioni, come il Papa indica nel n. 72: «Nella vita di ogni giorno i cittadini molte volte lottano per sopravvivere e, in questa lotta, si cela un senso profondo dell’esistenza che di solito implica anche un profondo senso religioso» (EG 72). Come già aveva anticipato il Documento di Aparecida, Dio si fa presente anche in mezzo alle ingiustizie e alle più terribili sofferenze (cfr DA 514).
    Questa analisi e altre più dettagliate che Papa Francesco espone in questi punti lo inducono a concludere con parole riprese dal Sinodo: «Il Sinodo ha constatato che oggi le trasformazioni di queste grandi aree e la cultura che esprimono sono un luogo privilegiato della nuova evangelizzazione (cfr Propositio 25). Ciò richiede di immaginare spazi di preghiera e di comunione con caratteristiche innovative, più attraenti e significative per le popolazioni urbane.
    Gli ambienti rurali, a causa dell’influsso dei mezzi di comunicazione di massa, non sono estranei a queste trasformazioni culturali, che operano anche mutamenti significativi nei loro modi di vivere» (EG 73). Pertanto «non bisogna dimenticare che la città è un ambito multiculturale. Nelle grandi città si può osservare un tessuto connettivo in cui gruppi di persone condividono le medesime modalità di sognare la vita e immaginari simili e si costituiscono in nuovi settori umani, in territori culturali, in città invisibili. Svariate forme culturali convivono di fatto, ma esercitano molte volte pratiche di segregazione e di violenza. La Chiesa è chiamata a porsi al servizio di un dialogo difficile […]. La città produce una sorta di permanente ambivalenza, perché, mentre offre ai suoi cittadini infinite possibilità, appaiono anche numerose difficoltà per il pieno sviluppo della vita di molti. Questa contraddizione provoca sofferenze laceranti.
    In molte parti del mondo, le città sono scenari di proteste di massa dove migliaia di abitanti reclamano libertà, partecipazione, giustizia e varie rivendicazioni che, se non vengono adeguatamente interpretate, non si potranno mettere a tacere con la forza» (EG 74).
    Papa Francesco si preoccupa inoltre di descrivere in maniera fenomenologica ciò che «appare» nella cronaca di tutti i giorni, e che lo spinge a esclamare: «Non possiamo ignorare che nelle città facilmente si incrementano il traffico di droga e di persone, l’abuso e lo sfruttamento di minori, l’abbandono di anziani e malati, varie forme di corruzione e di criminalità. Al tempo stesso, quello che potrebbe essere un prezioso spazio di incontro e di solidarietà, spesso si trasforma nel luogo della fuga e della sfiducia reciproca. Le case e i quartieri si costruiscono più per isolare e proteggere che per collegare e integrare» (EG 75).
    Davanti a questa cruda realtà, il Papa non cede allo sconforto, e conclude il testo invitando a «vivere» approfonditamente il Vangelo, e al tempo stesso consiglia di evitare uno stile uniforme e rigido nella pastorale urbana, affinché essa possa adattarsi a tutte queste problematiche con la pienezza del suo messaggio.
    In questi testi il Papa non giudica le cause politiche ed economiche che si celano dietro simili fenomeni, e nemmeno propone una «pastorale urbana» unica e determinata per affrontarli.
    Data la complessità di questa problematica, egli vuole condividere questo compito nella comunione con tutta la Chiesa, che saprà apportare le sue ricchissime esperienze locali di pastorale urbana.
    Per questo insiste sul fatto che «il senso unitario e completo della vita umana che il Vangelo propone è il miglior rimedio ai mali della città, sebbene dobbiamo considerare che un programma e uno stile uniforme e rigido di evangelizzazione non sono adatti per questa realtà. Ma vivere fino in fondo ciò che è umano e introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città, migliora il cristiano e feconda la città» (EG 75).
    Una passione per Gesù, una passione per il suo popolo Papa Francesco ci invita a sentire «la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EG 87).
    In questo testo si legano bene l’aspetto «umano», quello «mistico» e quello «devozionale», e persino quello «urbano», come potrebbe accadere in un «pellegrinaggio» a un santuario. Più avanti, nel capitolo quarto dell’Esortazione, il Papa tornerà a insistere sulla «dimensione sociale dell’evangelizzazione» (EG 176-258), perché, se questo avvertimento venisse trascurato, tanto l’«evangelizzazione» quanto la «devozione popolare» e addirittura la «mistica popolare» ne potrebbero essere snaturate. Lo dice chiaramente: «Com’è pericolosa e dannosa questa assuefazione che ci porta a perdere la meraviglia, il fascino, l’entusiasmo di vivere il Vangelo della fraternità e della giustizia!» (EG 179).
    Questa consapevolezza porterà il Papa a trattare due questioni principali quali «l’inclusione sociale dei poveri» e «il dialogo sociale come contributo per la pace» (cfr EG 186-258), temi che conservano una relazione con la «pietà popolare» e con la «mistica popolare».
    Nel quinto e ultimo capitolo della Evangelii gaudium ci viene detto che la nuova evangelizzazione ha bisogno di «evangelizzatori con Spirito», che «vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo» (EG 259). E poco dopo il Papa dice che, «dal punto di vista dell’evangelizzazione, non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore» (EG 262). Qui si vede con tutta evidenza che la nuova evangelizzazione, in qualsiasi contesto avvenga, rurale o urbano, ha sempre bisogno di un forte radicamento tanto in Gesù quanto nel popolo. Per questo Papa Francesco dirà poi: «La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo» (EG 268).
    Giungere a fare e a vivere questa evangelizzazione non è opera nostra, bensì opera dello Spirito in noi. E questo è eminentemente un fatto mistico. È l’esperienza di mettersi completamente nelle mani di Dio e impegnarsi sulle sue vie, così come Bergoglio stesso mostra di aver comprovato più volte quando dice: «È vero che questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento.
    Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!» (EG 280; i corsivi sono nostri).

     

    NOTE

    1. Cfr A. Spadaro, «“Evangelii gaudium”. Radici, struttura e significato della prima Esortazione apostolica di Papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 IV 417-433; G. Salvini, «Uno sguardo sulla società con la “Evangelii gaudium”», ivi 2014 I 508-519; G. Mucci, «L’importanza del dialogo nella “Evangelii gaudium”», ivi 2014 II 599- 606.
    2. Abbiamo già affrontato tale problematica prima che apparisse questo documento di Papa Francesco, in diversi scritti: per esempio, il libro La mística popular, México, Edición Buena Prensa, 2006; l’articolo «Piedad popular, Mística popular y Pastoral urbana. Sus vinculaciones según el Documento de Aparecida», in Medellín 35 (2009) 207-226; e più di recente l’articolo «La mística popular en la ciudad», in Stromata 67 (2011) 89-108.
    3. Per approfondire ciò che intendiamo per «mistica popolare», si può consultare la breve bibliografia personale citata sopra nella nota 2.
    4. Cfr J. M. Bergoglio (et Al.), Dios en la ciudad. Primer Congreso de pastoral urbana, Región Buenos Aires, Buenos Aires, San Pablo, 2012, 9.

    (La Civiltà Cattolica 2014 III 224-234 | 3939-3940, 2-16 agosto 2014)


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